Memorie personali

 

L’incontro con un personaggio storico è un momento di massima tensione emotiva, un attimo indimenticabile che avvicina il nostro presente a quell’eterno divenire dello Spirito dell’Uomo che  noi appassionati chiamiamo Storia con un rispetto ed un senso dell’infinito, difficili da spiegare senza accenti retorici.

Non tenterò dunque di condensare in questa mia riflessione tutto il drammatico e intenso sentire che provo e che tanti come me provano, ogni qual volta incontriamo una vestigia del passato e misuriamo rispetto ad essa il nostro pensare, la nostra cultura e l’agire del nostro tempo. Sono certo che qualche lettore mi capirà.

Ultimi giorni di inverno del duemila, il mio primo inverno emiliano, scopro una bottega nella Bologna fuori le  mura appena sotto i colli, una bottega, non un negozio come mi resi conto appena entrato. L’atmosfera intima e raccolta, la mancanza di quel senso di soggezione e di timore reverenziale che si prova generalmente nelle più blasonate  librerie antiquarie europee, mi predisposero subito a sentirmi a mio agio tra libri e scaffali. Sembrava proprio il prototipo di libreria familiare “parva sed apta mihi” che avevo in mente da qualche tempo, quel campicello da coltivare senza pretese, in cui, novello Cincinnato,  mi ritirerò tra qualche anno a raccogliere vecchie memorie e, ovviamente, vecchi libri.

Espressi il mio pensiero alla gentilissima proprietaria, che ancora guardava con sospettosa curiosità questo strano giovane che si aggirava tra i suoi libri, chiacchiere e riflessioni accompagnarono il resto della mia permanenza in quel luogo tanto, che ancora oggi ne conservo un piacevole ricordo.

Il Libro era lì, impilato con garbo e gentilezza in mezzo ad altri libri, senza che nulla lo facesse spiccare o lo rendesse più attraente rispetto ai suoi compagni. Non ebbi alcun particolare slancio nei suoi confronti, né fui folgorato da un guizzo o da uno sguardo rivelatore. Tralascio quindi ogni possibile concomitanza con eventi inusitati, di quelli che riempiono i miti e le storie di eroi, tutto accade con semplicità e compostezza e, solo arrivato il suo turno, il Libro lasciò il suo posto e finì nelle mie mani.

Il dorso e la copertina, di una pelle sottile e lisa dai secoli, di sicuro rimaneggiata in almeno una occasione, non presentavano nessun fregio o scritta particolare, solo in alto sul tergo si leggeva (e leggerò per il resto della mia vita), “CODICIS IUSTINIANI”.

Fui percorso da un brivido acutissimo accompagnato da un pensiero e da un timore : -non può essere !- Rapidamente passai ad esaminare il frontespizio, scorsi velocemente alcune pagine e capii che invece era davvero come d’istinto avevo pensato e sperato, proprio il celeberrimo Corpus Iuris di Giustiniano, pietra miliare nella storia del diritto e della civiltà occidentale in un’edizione antichissima e forse unica. Avevo tra le mie mani il monumento che più delle mura di Costantinopoli e della Chiesa di Santa Sofia, consegnò ai posteri la memoria dell’uomo che legò il suo nome alla sistematica codifica del diritto romano e che permise la sua integra conservazione nei bui secoli successivi.

Molti furono i pensieri che mi si affastellarono nella mente, uno tra questi le poche parole, confuse, che ricordavo avesse scritto Dante a proposito di Giustiniano, Pandette e Belisario:

 

“Cesare fui e son Iustiniano,

che, per voler del primo amor ch’i’ sento,

d’entro le leggi trassi il troppo e il vano.

(…)

Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,

a Dio per grazia piacque di ispirarmi

l’alto lavoro, e tutto ‘n lui mi diedi;

e al mio Belisar commendai l’armi,

cui la destra del ciel fu sì congiunta,

che segno fu ch’io dovessi posarmi.”

 

Ceduto a Dante il compito di tracciare una breve e completa apologia dell’augusto ispiratore dello storico lavoro compiuto nel mio libro, continuerò, brevemente il mio piccolo naufragio tra ricordi ancora recenti.

Non acquistai subito il libro, l’emozione provata e il costo dell’opera mi avevano lasciato un po’ confuso e indeciso, tornai a casa inquieto e pensieroso e per alcuni giorni attesi un qualcosa che non so ancora, nei miei diari del tempo non ho lasciato traccia di cosa mi tratteneva dal ritornare in quella libreria.

Lo feci sei giorni più tardi,  e la proprietaria della bottega non ebbe alcun dubbio sulle mie intenzioni non appena mi vide. Acquistai il libro senz’altra titubanza, avevo un’unica premura, tornare a Bari per riporlo accanto agli altri libri della mia collezione.

Nella concitazione degli eventi avevo tralasciato di esaminare l’ultima parte dell’opera, unica almeno quanto il pezzo iniziale. Solo il lavoro di consultazione sereno e ben ponderato di Francesco mi rivelarono l’autentico gioiello che avevo omesso di ammirare: le Costituzioni Melfitane opera dell’altro grande legislatore della storia che fu Federico II di Svevia.

Questa volta trovò meritata soddisfazione anche il mio orgoglio di lucano e di meridionale, cresciuto come tanti nel  mito e nella celebrazione di colui che la storia ricorda come “Stupor Mundi”.

La mia felicità fu completa e, in parte, dura acora oggi.

 

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