Lisbona, come
tutte le città di confine è un luogo pieno di contrasti e di esperienze uniche,
un posto dove il passato, ancora presente nella sua autenticità, vive quella
fase che precede la sua trasformazione in un fatto di costume, in un richiamo per
turisti globali e sofisticati.
Lisbona genera curiosità nei
suoi visitatori; su di me suscitò un fascino tanto complesso quanto istantaneo.
Tra i tanti luoghi che ho visitato negli anni in cui battevo l’Europa in lungo
e largo, nessuna città come la capitale Lusitana mi apparve così poco europea
e, nello stesso tempo, così assolutamente familiare.
L’atmosfera, un po’ retrò e
decadente del centro storico era la stessa che avevo conosciuto anni prima a
Dublino, la triste malinconia di alcune canzoni di Amalia Rodriguez era la
stessa delle ballate irlandesi. Il suono delle parole, il fare un po’ levantino
degli abitanti erano simili alle abitudini della gente della mia Terra. Ma il
sapore dell’aria, il colore delle case, i disegni dell’architettura dei
monumenti e delle strade, i tram che correvano sfrenati per i vicoli alti del
centro non li avevo ancora incontrati nell’Europa che conoscevo e mi ricordarono
cose che avevo vissuto solo nei libri di Garcia Marquez e di Jorge Amado. L’Atlantico,
lo stesso di Bilbao e San Sebastian, ma diverso da quello di Caen e Reykyavik segnava la diversità rispetto alle città di mare mediterranee e io
avvertivo tutt’intorno un’atmosfera di vago sapore coloniale anche se il clima
non era propriamente quello caraibico o sudamericano.
Non fu facile in tutto questo
riuscire a trovare una libreria antiquaria, ma io volevo assolutamente portar
via un pezzo di quella città e, visto che nessuna pietra mi sembrava autenticamente originaria di
quella Terra, dovevo prendere un libro antico.
Lisbona, città in bilico tra
passato e futuro, tra una cattedrale terremotata e mai ricostruita ed il più
grande ponte sospeso d’Europa, aveva un gran numero di librerie che vendevano
libri usati, riviste, giornali, più che altro modernariato, ma nulla che
passasse i 50 di vita e di storia.
In una strada che portava al
Bairro Alto trovammo una vera libreria antiquaria. Anche qui, però, la cosa che
attrasse la maggior parte della mia attenzione non fu la modesta disponibilità
di libri, peraltro carissimi, ma i documenti catastali e giudiziari che erano
accatastati ovunque. Sentenze di tribunali, contratti di fideiussione e pegno,
compravendite, atti di successione, contratti di dote nuziali, ipoteche, bandi
pubblici, manifesti, un intero viaggio nelle più comuni vicende umane tra il
XVII° e il XIX° secolo. Francesco, come da copione cercò, invano, documenti di
storia bitontina e pugliese, fiducioso nelle antiche origini iberiche della sua
città d’origine; non ebbe chiaramente successo.
Io però volevo un libro. Ne
scelsi un paio, tra cui questo dizionario, che come tutti i dizionari e i
trattati in genere, restituiscono un’immagine fedele della lingua e dell’epoca
in cui furono scritti e stampati.
Per una volta non ebbi nessun brivido di vera esaltazione nel prendere quel libro, però un pezzo della storia e della città di Lisbona entrava a far parte della mia collezione, e questo bastò a colmare la mia soddisfazione.