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Che
Dio salvi il nuovo cinema italiano!
All'approssimarsi dell'apertura del come sempre atteso Festival
del Cinema di Venezia 2000, con la presunta rivincita del
cinema italiano nei confronti del "grande rifiuto"
del Festival di Cannes, ma soprattutto a seguito del recente
incontro-dibattito dal titolo "Ai giovani piace il
cinema italiano?", svoltosi presso l'area dibattiti
di FestAmbiente 2000 a Grosseto, ho deciso di "stendere"
alcune riflessioni su questo ormai vecchio argomento.
Antefatto:
Il punto dolente dell'annata 1999/2000 non è stato
certo lo "schiaffo" di Cannes, ma quello che ha
ricevuto dal mercato, il "grande rifiuto" è
quello del proprio pubblico, mai come in questa stagione
in fuga dal prodotto nazionale. Le cifre, aggiornate al
30 aprile, parlano di una quota di mercato, per quanto concerne
il numero degli spettatori, scesa al minimo storicodel 13%
(16,3% con le co-produzioni), cioè appena l'1% in
più del cinema britannico (la fonte è il "Box
Office" del Giornale dello Spettacolo del 5 maggio
2000). L'anno scorso, record positivo degli ultimi cinque
anni, era stata del 27,1%, vale a dire che l'emorragia è
quantificabile nel 50%. Tanto per rendere l'idea: la stagione
che sta per chiudersi, a fronte della sostanziale tenuta
di alcuni campioni della comicità e dell'inconsistenza
(Pieraccioni, Vanzina, Parenti, forse Salemme), è
stata quella degli appena 4 miliardi racimolati dai "mostri
sacri" della commedia Nuti e Verdone; del misero miliardo
e mezzo cui si è fermato nonostante tutto un titolo
pompatissimo e furbetto quale Come te nessuno mai;
dei 700 milioni che hanno inaspettatamente trasformato Tinto
Brass in autore "di nicchia"; dei 500 milioni
che hanno sancito il tramonto, si auspica definitivo, di
Paolo Villaggio; dei 400 milioni concessi al cinema d'autore
di Giuseppe Bertolucci, per nulla beneficiato dalla Francesca
Neri recentemente "miracolata" da Celentano; dei
150-250 milioni che hanno bocciato le giovani promesse di
Majo, Tavarelli e Zanasi; dei 158 milioni (!) che hanno
seriamente incrinato l'affidabilità commerciale di
Abatantuomo quando, come nel caso dell'originale giallo
di Francesco Calogero Metronotte, si discosta dalla
comicità più facile e sguaiata; degli oltre
20 titoli, infine, il cui incasso si è arrestato
al di qua della soglia dei 100 milioni, con esempi davvero
mortificanti che preferirei non menzionare. Come è
possibile constatare, nonostante la fiducia e l'ottimismo
del ministro Melandri, questa si chiama crisi e, tra le
tante cose, suggerisce alcuni interrogativi forse solo apparentemente
paradossali: si producono molti più film rispetto
alla forza e alla penetrazione (o semplicemente alla volontà)
della distribuzione? ai giovani italiani piace il cinema
italiano? il nuovo cinema italiano merita tanta attenzione?
Ma
le cifre non sono tutto... All'incontro-dibattito di FestAmbiente
(erano presenti Luciana Castellina, presidente di Italiacinema,
Gianluca Arcopinto, storico produttore indipendente e Distributore
Pablo, Stefano Della Casa, Direttore del Torino Film Festival,
e Francesco Falaschi, "giovane" regista italiano)
la parola più usata è stata "nicchia",
dopo tanto dire è stato constatato che il cinema
italiano è un "cinema di nicchia". Conclusione
che lascia leggermente spiazzati, ma che forse apre nuovi
spiragli alla produzione nostrana: un'atteggiamento di guerriglia,
piuttosto che una competizione aperta (impossibile da sostenere),
nei confronti del grosso cinema di consumo americano. Una
produzione e una distribuzione a diffusione rizomatica,
un continuare ad essere e parlare anche per piccoli numeri
(come ha fatto giustamente notare Arcopinto), una rivalorizzazione
del concetto di "cineclub", magari ad un prezzo
inferiore!! rispetto alle normali sale cinematografiche.
E se capita che un film ben fatto riesca a superare le barriere
poste dal mercato, ben venga anche il successo al botteghino.
Un sorprendente esempio di inaspettato successo economico
l'ha offerto Pane e tulipani di Silvio Soldini (7,6
miliardi, dati di Cinetel al 23 maggio 2000), uscito senza
troppi clamori all'inizio di marzo e lentamente cresciuto
complici il passaparola, i nove David e il supplemento di
promozione offerto dal Festival di Cannes. Tra i meriti
del film indubbiamente più ammirato della stagione,
troviamo: la capacità di coinvolgere lo spettatore
facendogli amare tutti i personaggi, la leggerezza del tocco,
la fluidità del congegno narrativo, il tono leggermente
favolistico della vicenda, e soprattutto il personaggio
della madre di famiglia Rosalba, l'eroina capace di prendere
in mano il proprio destino e rivoltarlo come un guanto senza
troppi eccessi o gesti plateali. L'adozione della commedia,
in una forma peraltro debitrice a modelli stranieri (Almodovar
su tutti) piuttosto che nostrani, consente all'autore di
andare maggiormente incontro al pubblico senza per questo
determinare una svolta nella propria filmografia (ogni tanto
si può anche ridere!): l'idea della fuga, del viaggio
come strumento iniziatico per raggiungere la felicità,
nonchè quella del ruolo determinante del caso nelle
esistenze degli individui, allineano senza troppe forzature
questo film ai precedenti Un'anima divisa in due
e Le acrobate.
Ma
il problema è anche un altro.... Al di là
del panorama abbastanza desolante cui ci siamo imbattuti
riguardo alle "cifre", il cinema italiano, oltre
al caso Soldini, ha dato alla luce pochi altri prodotti
veramente interessanti nel corso di questo biennio. Possiamo
ricordare Preferisco il rumore del mare di Calopestri,
film denso e cupo, forse doloroso e pessimista, ma dotato
di un sentimento della realtà molto forte e sincero;
che portano l'autore a ritrarre un'Italia senza speranze
dove tutti condividono uno stesso destino di smarrimento,
afasia e alienazione. Questo film porta allo scoperto proprio
alcuni dei nodi non risolti (e forse irrisolvibili) dell'Italia
odierna: la persistenza di diversità culturali e
sociali, l'incomunicabilità tra generazioni diverse,
i guasti della modernità e del consumismo. Infine
due film coraggiosi e irriducibili, che, come sempre più
spesso accade, la partecipazione alla passata edizione della
Mostra del Cinema di Venezia ha procurato più problemi
che benefici. Il "film-scandalo" Guardami
di Davide Ferrario, ispirato alla vita di Moana Pozzi, il
quale offre sia uno spaccato del mondo del cinema pornografico,
descritto con durezza e realismo, ma anche e soprattutto
una lucida e dolorosa riflessione sul corpo e la malattia.
Il tutto accompagnato da una sapienza nelle scelte linguistico-espressive
e da un'attenzione alla qualità visuale del film
spesso poco presenti nei recenti autori italiani, e che
purtroppo (ma anche, prevedibilmente) non hanno trovato
ne il favore della critica, ne quello del pubblico, già
in parte prevenuto a causa delle stroncature dei recensori.
L'altro titolo è Appassionate di Tonino De
Bernardi, operazione anomala e rischiosa, almeno per il
nostro cinema, non a caso condotta da un regista di formazione
underground recentemente orientatosi verso la ricerca di
un pubblico più ampio, e non tanto perchè
costruito su un continuum canoro che copre l'intera durata
del film, quanto perchè capace di immergersi nel
folclore partenopeo più ovvio e abusato, tra vicoli,
melodie e passioni estreme, per riscattarlo attraverso uno
sguardo sempre spiazzante e immagini sempre pregnanti e
sensuali come solo un certo cinema portoghese sa offrire.
Peccato che ad ammirare questo film, complice una distribuzione
a dir poco sciagurata, siano stati solo 7.000 spettatori.

E
per il futuro... Non ci resta altro che aspettare gli esiti
del "nuovo pacchetto" presente alla Mostra del
cinema di Venezia di quest'anno. Tra i quali abbiamo Il
partigiano Johnny di Guido Chiesa; I cento passi
di Marco Tullio Giordana; La lingua del Santo di
Carlo Mazzacurati; e Denti di Gabriele Salvatores,
in concorso; inoltre Sud Side Story di Roberta Torre;
Estate romana di Matteo Garrone; Animali che attraversano
la strada di Isabella Sandri; Placido Rizzotto
di Pasquale Scimeca; Rosatigre di Tonino de Bernardi;
Lontano in fondo agli occhi, opera prima del più
vecchio esordiente del Festival, Giuseppe Rocca; e "La
Monnezza" sezione di cortometraggi in video di giovani
registi italiani (!), tra cui le rivelazioni Nina Di Majo,
Giovanni Davide Maderna e Carolina Freschi, e grandi autori
video quali Daniele Segre e Vito Zagarrio.
(Informazioni
liberamente tratte da Accadde domani 2000, a cura
di Vincenzo Cavandoli)

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