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Cogito
ergo est:
la "realtà della visione" in Fight Club.
di
Vincenzo Cascone
il
sogno di un uomo sveglio, di un uomo che sa di sognare
che quindi sa che non sta sognando, che sa di essere al
cinema,
che sa che non sta dormendo: perché se un uomo che dorme
è uno che non sa di dormire, un uomo che sa che non dorme,
è un uomo che non dorme.
Christian
Metz
Piccola premessa sulla modernità cinematografica.
Nel
suo significato più ampio il concetto di scrittura cinematografica
si è posto al centro della riflessione teorica sul cinema.
Si è trattato, e si tratta ancora, di installarsi dentro
la pratica della scrittura e, da questa, di cogliere la
flagranza dell'incontro fra l'opera e l'immaginario che
la produce, declinandone criticamente e lo spazio produttivo
peculiare di un dato film, e la strategia comunicativa (ed
eversiva nel migliore dei casi) che il discorso filmico
contiene. In particolare, ci sembra che la scrittura cinematografica
"metta in scena" al suo interno la propria possibilità,
cioè a dire, la propria capacità di sintesi, di traduzione
simbolica, fra e dei diversi aspetti che soggiacciono
alla messa in moto della macchina-cinema : dal tecnologico
all'estetico. Processo di sintesi che non smette di porre
il film, ogni film, come un fatto sociale: messa in scena
dell'immaginario di una data società attraverso il dispositivo
ottico-sonoro e secondo la particolare visione del regista.
Nell'ampio panorama dell'odierna produzione cinematografica,
ci pare che la scrittura si impenni immediatamente a tipologia
discorsiva, segnalando o denunciando l'adesione o la distanza
da un certo modo di fare cinema rispetto ad un altro (bastino
come esempi il consolidarsi di una certa cinematografia
di stampo "regionalista", sia essa cinese, iraniana se non
palermitana, oppure il provocatorio prodursi di movimenti
dogmatici). In ogni caso, pensiamo si tratti di una dimensione
preliminarmente problematica dell'atto cinematografico,
di un'autoreferenzialità autoriale del testo filmico.
L'autoappellarsi ad un movimento o ad un'identità, e il
parallelo instaurarsi di una più o meno definita ideologia
produttiva non è un fenomeno recente. Esempi come il formalismo
russo o il Neorealismo, o anche la Nouvelle Vague fino al
divampare di una certa cinematografia cosiddetta "indipendente",
possono essere considerati come momenti topici di una scrittura
cinematografica che interroga se stessa dall'interno, istanze
di riflessione sul processo di manipolazione del reale e
della sua moderna configurazione nello spettacolo cinematografico.
Da dove si produce e come? E' questa la domanda
che ha soppiantato il cosa del cinema classico e che ha
posto l'atto cinematografico al di là della storia che questo
stesso ci racconta. Quesito che dispone il fatto cinematografico
ad affrontare una perenne soglia terminale di indagine:
una scrittura che legge se stessa. Pensando a visioni più
"recenti", potremmo esemplificare questo concetto nell'individuazione
di ciò che definiamo come estetica della differenza,
simultanea adozione e messa in questione della "grammatica
implicita" che insiste sull'elaborazione del tessuto filmico.
Basti considerare le fuorvianti costruzioni di un Lynch
(Eraserhead, Lost Highways) e di un Cronemberg
(The Naked Lunch, Existenz), o anche all'adozione
sempre più frequente di testi filmici, o parte di essi,
come fonte d'ispirazione: il remake e il citazionismo.
In ogni caso, è l'uso ostinato dello "scarto semantico"
che caratterizza la differenza dal modello che questi
film propongono, e anche e soprattutto la chiamata in causa
di una nuova e più attiva dimensione spettatoriale.
Non si può più raccontare una storia, o meglio
l'immagine non denota più una traiettoria definita dello
spazio d'azione del personaggio in rapporto ad un reale
supposto come omogeneo, ma, piuttosto, pare che l'immagine
si sia indurita, che abbia perso quella malleabilità
che le permetteva di assecondare l'avanzamento dell'eroe
in relazione ad uno scopo; si evidenzia, invece, proprio
l'impossibilità dell'azione e l'autonomia dell'immagine
in se stessa. Siamo in quella che Gilles Deleuze chiama
la nascita del cinema moderno (in quanto crisi dell'immagine
azione) e che lo stesso situa nel consolidarsi del movimento
neorealista italiano. La crisi è già in sé scarto, è la
manifestazione dell'"inciampo" che si traduce in fatto stilistico,
una sorta di "consapevolezza inconscia" dell'autore, disseminata
sulla scrittura sotto forma di un perenne interrogare il
proprio agire creativo. Proprio per questo è bene sottolineare
come Deleuze non fissi la modernità del cinema a partire
da un dato storico (naturalmente l'ambito sociale del dopoguerra
ha influito sulle scelte estetiche dei cineasti italiani),
quanto ad una nuova densità dell'immagine in rapporto
al reale: nella lettura del filosofo francese l'opera di
Welles o di Hitchcock è ben più che una mera anticipazione
della modernità. L'immagine si fa problematica, nel prodursi
di una scrittura cinematografica che muove la macchina
da presa nei meandri di un reale tutto da decifrare . Al
di là dell'importante implicazione riguardante l'inversione
della dipendenza fra movimento e tempo, quello che c'interessa
è il mutamento interno del rapporto fra l'agente e il reale,
nella progressiva implosione del secondo termine all'interno
del primo. La "visionarietà del personaggio" oltre a rappresentare
la totale autonomia dell'immagine in se stessa, annuncia,
allo stesso tempo, lo slittamento della figura dello spettatore
all'interno del film. Il personaggio si fa anch'esso spettatore
immobile di un reale che eccede la capacità di lettura del
soggetto, cioè il reale è non più disponibile alla modifica
secondo la capacità del soggetto di reagire e modificarlo
(allentamento dei legami senso-motori) e, parimenti, la
stessa immagine si apre all'indiscernibilità fra ciò che
reale e ciò che è immaginario: sviluppo di immagini ottiche
e sonore pure.
Ecco allora come il nuovo spettatore non possa più prescindere
dallo straniamento provocato da una realtà del film
critica di per se stessa, essendosi il limite che
separava l'immaginario e il reale, il virtuale e l'attuale,
sfilacciato. Esso letteralmente si vede costretto all'impasse,
da quella che potremmo definire una scrittura fredda,
crudelmente volta alla demistificazione del personaggio
in pura passività percettiva, e allo stesso tempo, alla
messa in evidenza di quelle stesse funzioni che la scrittura
utilizza per la costruzione della realtà del film.
E' uno spettatore disincantato e complice che assiste al
decentramento dal contenuto alla forma, dal cosa al
come appunto.
Ben diverse sono le problematiche legate al dove
questa scrittura si produce, quali istanze produttive le
soggiacciono, a quali fini e ideologie essa fa riferimento.
Se possiamo, come abbiamo fatto, rintracciare la modernità
in ciò che abbiamo chiamato estetica della differenza,
cioè nella volontà di alcuni cineasti di sfruttare la macchina-cinema
secondo prospettive critiche e non più persuasive (di mero
intrattenimento), dobbiamo, e questo è il dato interessante,
verificare come questa stessa problematica sia rintracciabile
all'interno di un contesto per più versi demoniaco come
quello rappresentato dalla nuova Hollywood. A questo punto,
possiamo sottolineare come il nostro tentativo d'analisi
abbia per oggetto quel particolare cinema che preferiamo
connotare come "diegetico", distinguendolo da altri generi
meno narrativi come, ad esempio, il documentario; ma più
che altro, questa definizione ci appare troppo generica,
nel senso che anche il documentario strumentalizza e dispone
i dati oggettivi per "raccontarci" un fenomeno. Parleremo
quindi di un cinema diegetico nella sua configurazione più
marcatamente commerciale, all'interno di determinate logiche
produttive (dall'uso dello star system all'applicazione
delle più sofisticate tecnologie) e di peculiari circuiti
distributivi. Ciò che vogliamo dimostrare è come, la più
grande macchina capitalistica d'intrattenimento cinematografico,
abbia assorbito la sua stessa messa in crisi, abbia spettacolarizzato
la propria morte nell'imporre allo spettatore la scissione
fondamentale fra "visione della realtà" e "realtà della
visione".
Verbalizzazione.
Tratto
da un romanzo di Chuck Palhaniuk, Fight Club (1999)
di David Fincher narra la storia di un impiegato (Edward
Northon) di una delle maggiori aziende automobilistiche
del paese, oppresso da un periodo di insonnia cronica. Dopo
svariati tentativi di risolvere "clinicamente" il problema,
Jack (chiamiamolo così per adesso) trova sollievo attraverso
un'insolita terapia: frequentare le riunioni dei malati
terminali . L'incursione all'interno delle più svariate
malattie, dal cancro ai testicoli fino alla leucemia, permette
a Jack di ritrovare la propria serenità d'individuo. Serenità
presto infranta da una presenza perturbante, tale Marla
Singer (Helena Bonham Carter), che come lui frequenta "clandestinamente"
gli incontri. Jack perde di nuovo il proprio equilibrio,
si sente invaso dalla presenza che gli rinfaccia il proprio
inganno, non riesce a fingere se la finzione gli è riproposta
da Marla. In uno di questi incontri affronterà Marla imponendole
una risoluzione a questo problema: si lasceranno dividendosi
i turni delle malattie. Seguiamo Jack all'interno della
sua vita privata: il lavoro in ufficio, lo stile d'arredamento
della casa, la routine da "porzione singola" delle missioni
lavorative, che costringono il nostro a continui viaggi
aerei fra uno stato e l'altro. E' in uno di questi viaggi
che Jack fa conoscenza di Tyler Durden (Brad Pitt), produttore
e distributore di saponi (da cui gli spiega è possibile
ricavare la nitroglicerina), dal piglio provocatoriamente
anarchico. Tornato a casa, Jack la ritrova completamente
saltata in aria (una fuga di gas?). Quindi costretto a cercare
aiuto, Jack chiama Tyler che lo ospiterà previo invito a
colpirlo violentemente in faccia. Inizia qui la convivenza
dei due in un vecchio rudere di un quartiere periferico,
divisi fra il lavoro (il primo muta decisamente la propria
postura all'interno dell'ufficio in un fare decisamente
arrogante, mentre il secondo consuma piccoli atti terroristici
come proiezionista e cameriere) e la lotta. Quest'ultima
è il vero motore che innesca il Fight Club. Ben presto infatti,
durante un ennesimo scontro fra i due amici, alcuni avventori
notano l'insolita occupazione, innescando subito in loro
il medesimo desiderio di combattere. Il meccanismo prende
piede fino a formare una vera e propria congrega di adepti.
Tyler e Jack ne sono, per così dire, i direttori, mentre
la cantina della taverna di Lou, il ring. La cerchia si
allarga e con essa i segni del Fight Club, riconoscibili
solo a chi ne fa parte. La riapparizione di Marla provocherà
una scissione fra i due leader. Per uno scambio accidentale
la ragazza, in preda a deliri suicidi, farà la conoscenza
di Tyler, con il quale entrerà nella casa e dove consumerà
sedute di sesso violento, mentre Jack si limiterà a subirne
i rumori, tagliando corto tutte le volte che Marla tenterà
di instaurare una comunicazione con lui. Poco importa, anche
perché il Fight Club sta gradualmente espandendosi. Ora
Tyler, è in definitiva la "mente organizzativa" del gruppo,
comincia gradualmente ad attribuire piccoli compiti da eseguire,
dalle ostentate provocazioni verso gli estranei, fino ai
veri e propri sabotaggi verso i diversi simboli cittadini
del capitalismo. Jack, da parte sua, ne sembra al di fuori.
Si sorprende nel veder mutare la fisionomia della casa in
una sorta di quartier generale, con tanto di prova d'iniziazione
(rimanere sull'attenti all'addiaccio per diversi giorni)
per poter essere ammessi dentro, ma d'altra parte quando
in un attentato muore Robert Palson (Meat Loaf) non può
non rendersi conto che il Fight Club è diventato un esercito
terroristico paramilitare con tanto di uniforme e missione:
il progetto Mayhem. Si tratta di un attentato definitivo
verso le sedi generali degli istituti di credito, un proposito
di azzeramento totale delle differenze economiche. Jack
si mette in moto alla ricerca di Tyler, sparito da diverso
tempo, per fermare il progetto. Trovati dei biglietti aerei,
precedentemente usati da Tyler, incomincia a ripercorrere
il tragitto che lo può far ricongiungere all'amico. In ogni
città in cui si reca intuisce la presenza dei diversi Fight
Club, oltre a vedersi riconoscere come il capo dell'organizzazione.
E' qui che Jack si rende conto dell'essenza di Tyler. Dopo
una telefonata a Marla, scoprirà che Tyler Durden altri
non è che se stesso. In quello stesso momento gli appare
immediatamente Tyler, che ora sappiamo essere il suo alter-ego,
con il quale entra in polemica sulla scelta del progetto
Mayhem. La macchina terroristica è in movimento ovunque,
anche Marla, che sa adesso troppe cose, è in pericolo in
quanto intralcio al progetto. A Jack non resta da fare altro
che tentare di fermarlo, prima denunciandosi come leader
del gruppo alla polizia, tentativo fallito per una chiara
ingerenza delle forze dell'ordine al medesimo progetto,
e poi, recandosi personalmente sul luogo dell'attentato.
Ad attenderlo c'è Tyler che lo dissuade dall'interferire
al progetto. Dopo una lunga colluttazione, avrà la meglio
Tyler, che lo costringerà sotto la minaccia di una pistola
a godersi lo spettacolo finale. Già ma Tyler non è che una
proiezione di Jack, quindi la pistola è nelle sue mani e
non in quelle di Tyler. L'unico modo per ucciderlo è quello
di sparare a se stesso. Jack si punta la pistola in bocca
e preme il grilletto. Mentre Tyler muore, alcuni soldati
del progetto Mayhem entrano trasportando la pericolosa Marla.
Jack incredibilmente sopravvissuto allo sparo suicida, allontana
i suoi e, dopo aver preso per mano la ragazza, si volge
insieme a lei a guardare l'esplosione finale in piena apoteosi
da special FX.
Il soggetto fra psicosi e violenza.
Abbiamo
tentato questa verbalizzazione per due ordini di motivi.
In primo luogo, per circoscrivere preliminarmente alcuni
dei contenuti che vengono veicolati all'interno del film:
vedi la violenza, il capitalismo, o la più fondamentale
problematica della soggettività alle prese con l'Altro.
In secondo luogo essa, se pur fallimentare, ci permette
di evidenziare l'espansione che questi stessi elementi subiscono
nella progressione del discorso filmico di FC. Dall'iniziale
violenza fra Jack e Tyler, alla messa in moto della macchina
terroristica, dalla critica allo stile di vita yuppie
(vedi la sequenza dell'arredamento Ikea) ai colossali istituti
di credito; dall'iniziale rapporto di morte con l'altro
(i malati terminali) alla sua espansione simbolica nel rapporto
con la donna e/o Tyler. Sembra che FC giochi al suo interno
sul doppio registro della messa in scena di un immaginario
mistico dell'anticapitalismo, tradotto e rilanciato in scala
soggettiva nell'esperienza del Sé del protagonista. Concetto
questo esemplificato dalla frase di Tyler: "Le cose che
possiedi alla fine ti possiedono".
Il centro del film resta il soggetto, artefice-traduttore
della dialettica fra immaginario e simbolico, sospinto da
una volontà di potenza che, tanto più si manifesta
sulla realtà, quanto meno essa subisce le difese dell'Io
alle prese con i diritti e i doveri del patto sociale. La
storia di FC si svolge tutta a lato, nel senso che il rapporto
fra l'artefice e la sua creatura è aberrante, sproporzionato,
al di là del principio di realtà, giacché proprio come immediatamente
soggettiva ci è data la percezione di quest'ultima. Una
realtà allucinata che trae la sua origine nell'impossibilità
di dormire che apprendiamo, in apertura, essere l'assillo
di Jack. Più che di una nevrosi, Freud parlerebbe qui di
una perdita di realtà più propriamente psicotica, quando
pone i termini di Es (il soggetto) e Io, in rapporto ad
un reale che contrasta con i moti pulsionali del soggetto
in questione:
-
Ci
si potrebbe ora aspettare che nella produzione della
psicosi si verifichi qualche cosa di analogo al processo
della nevrosi, naturalmente fra istanze differenti;
ci si potrebbe cioè aspettare che anche nella psicosi
si evidenzino due stadi, il primo dei quali svincoli
l'Io (dalla realtà questa volta), mentre il secondo
stadio, nel tentativo di risarcire l'Io del danno subìto,
ristabilisca il rapporto con la realtà a spese dell'Es.
Effettivamente qualcosa di simile può essere riscontrato
nella psicosi; in essa pure esistono due stadi, il secondo
dei quali reca in sé i caratteri della riparazione[Š].
Anche il secondo stadio della psicosi vuole controbilanciare
la perdita di realtà, ma ciò non avviene al prezzo di
una limitazione dell'Es - come nella nevrosi a spese
del rapporto con la realtà- ma per un'altra via indipendente,
mediante cioè la creazione di una realtà nuova e diversa,
che non presenti gli stessi impedimenti della realtà
che è stata abbandonata.
(S. FREUD, 1924, trad. it. pp. 360-361)
In
pratica, se nel caso della nevrosi, il "desiderio di potenza"
si oppone al contrasto con la realtà attraverso una fuga
immaginaria, nella psicosi questa stessa realtà viene come
rimpiazzata, ricostruita ex novo dal soggetto. Naturalmente
esso lavorerà su una rappresentazione psichica del reale
precedentemente acquisita, ma sfrondandola da tutti quegli
aspetti che sono in aperto conflitto con il soggetto, procurandosi
invece "percezioni tali da poter corrispondere alla nuova
realtà che il soggetto si è creato; e l'allucinazione
è la strada più radicale per raggiungere questo intento"
(Freud: ivi pag.362). L'impasse onirica di Jack è, in un
certo senso, la possibilità stessa di sviluppo dell'istanza
di potere sulla realtà ma anche la sua negazione, o se vogliamo
rimanere nella terminologia freudiana, la sua rimozione.
La realtà di FC è il protagonista stesso, che nei diversi
passaggi del film si identificherà ora con un organo del
corpo ora con un altro, quasi a collocare idealmente i diversi
aspetti del "reale" come altrettanti organi del corpus
mentale del protagonista. E' qui che l'abilità della scrittura
di Fincher si manifesta in pieno, nel continuo celare e
svelare l'ordine immaginario e quello reale dei "dati",
all'interno di un tessuto narrativo che ibrida l'istanza
razionalizzante alle fughe immaginifiche del protagonista.
Sullo scambio fra l'onirico e il reale è lo stesso Jack
che dichiara l'impossibilità di una consapevolezza: "Quando
soffri d'insonnia non sei mai realmente addormentato e non
sei mai realmente sveglio". Come a dire che la consapevolezza
del protagonista, viene definita come impossibilità di identificarsi
in una appartenenza ad una o all'altra dimensione, quasi
che, una volta varcata la soglia che separa l'ordine diurno
(regno dell'Io, dell'identità sociale) da quello notturno
(regno del soggetto, del desiderio che eccede l'Io),
i due ambiti tendano a confondersi, ponendosi nei loro limiti
come distinguibili ma non discernibili. I circuiti di questa
indiscernibilità sono diversi e, tutti quanti, mantengono
un'apertura per l'ingresso di elementi eterogenei dell'immaginario
del protagonista: un continuo processo di sostituzioni.
Nella sequenza della terapia di gruppo, quando l'oratore
guida gli astanti all'interno della "stanza personale",
Jack trova il "suo animale" nella visione della caverna.
Questa visione viene chiaramente marcata da Fincher
tramite l'uso della tecnologia digitale, quasi ad indicare
la coscienza di un tale processo di codificazione soggettiva
del reale. Lo stesso si può dire per le altre visioni: dal
disastro aereo immaginato in uno dei suoi viaggi, alla raffigurazione
delle cause dell'esplosione nell'appartamento, fino alla
cosmogonia capitalistica prodotta all'interno di un cestino
dell'immondizia. In tutti questi segmenti narrativi, lo
spettatore e il protagonista sanno di trovarsi in un regime
virtuale dell'immagine, capacità di discernere fra la realtà
e la sua traduzione nello spazio virtuale-onirico dell'immagine
digitale.
Il circuito d'indiscerniblità si manifesta,
a nostro parere, nell'ingresso diretto (nel senso di "non
controllato") di Marla Singer all'interno di questo spazio
personalissimo del protagonista: in una riproposizione della
medesima stanza, il perturbante-Marla si sostituisce al
pinguino provocando la confusione fra le due dimensioni.
Se un dato reale entra all'interno dell'immaginario del
soggetto provocando uno shock (e impennandosi a simbolo),
già più volte segnalato dal protagonista ("Se avessi un
tumore lo chiamerei Marla"), allora ci si può aspettare
come reazione la messa in moto di un movimento psicotico
del soggetto sul reale. Gli investimenti di energia
saranno così indirizzati verso la creazione di una nuova
realtà del soggetto: "ed è così che ho conosciuto Tyler
Durden".
La coesistenza immaginaria di Tyler e Jack è da riferirsi
alla relazione inconscia fra quest'ultimo e Marla, nel senso
che la rimozione operata sul perturbante provoca le creazione
di un Io immaginario (per il soggetto) che affronti il reale
in sua vece, mentre ciò che ha provocato questo processo
verrà rimosso (vedi il misconoscimento dei rapporti sessuali
con la suddetta dirottati su Tyler).
Siamo cioè in una catena di successive sublimazioni,
investimenti di energia che dall'interno si riversano verso
l'esterno, operando in accordo a dei principi narcisistici
di manipolazione del reale. Si è parlato a sproposito di
un abuso immorale della violenza all'interno della sua opera,
idiozia che ha costretto Fincher ha puntualizzare che la
violenza veicolata all'interno della sua opera non va intesa
come fine a se stessa, ma come metafora del sentire: "to
feel". Nei fight club, non si combatte per vincere, ma per
fare del dolore un'esperienza vitale, per liberare il corpo
dalle catene dell'io; solo superando la rappresentazione
del dolore si potrà essere veramente liberi (in quanto spettatori!)
Ci tornano utili alcune delle ultime riflessioni di Maurizio
Grande sulla riconfigurazioni del corpo all'interno dell'immaginario
cinematografico americano:
-
Una
violenza dispiegata con la forza d'urto dei corpi che
l'affermano come techné e come esercizio fisico
è qualcosa di più della violenza umana e sociale rappresentata
sullo schermo[...] una serie di performance che vanno
al di là della rappresentazione e che si fanno valere
per se stesse come introduzione alla sperimentazione
della morte nel godimento sessuale e nel godimento del
dolore (godere il dolore, e non godere attraverso
il dolore; il che segnala la differenza minima e massima
dal masochismo classico). La morte non è rappresentata
come fantasma e come valore, come terrore e come angoscia,
come "soluzione finale"; piuttosto è presentata
come un processo che si può sperimentare attraverso
la violenza sessuale e attraverso la sofferenza fisica,
provocando il tormento dei sensi in una carne già ferita
e cicatrizzata [come in Crash di Cronemberg,
N.d.A]. C'è forse qualcosa di sacrale in questo
processo e nel suo modo di essere presentato agli attori
in una condizione di totale appartenenza fisica al loro
ruolo, al di là di ogni pudore o riserva etica e morale.
Qualcosa di sacrale, come sono "sacre" le cicatrici,
l'amputazione, la malattia, la sofferenza della carne.
(Cfr. M. Grande, 1996: pag. 78)
Posto che presentare la violenza direttamente,
senza motivazione apparente, è in un certo senso la riscoperta
di una "dimensione sacrale" del corpo nella sua evenienza
performatica, da un punto di vista del soggetto essa è e
soprattutto l'ultima frontiera del godere, del desiderio
innestato e consumato nel corpo, e non attraverso
questo (per questo vedi la funzione degli "innesti" in opere
come Existenz o Matrix). In FC, la dimensione
cultuale della violenza, opera nella direzione di una spettacolarizzazione
del corpo atletico e dell'instaurazione di un godimento
del dolore, e va intesa sempre come messa in crisi
del principio di identità ad opera del soggetto: "al di
là del desiderio e della sua impossibile soddisfazione,
il corpo offre una strategia di violenza masochistica, che
è anche l'adattamento specifico alla violenza generalizzata
della società sadica" (M. Grande, 1996: pag. 77).
Vista da questo punto di vista, la feroce critica dei modelli
di vita capitalistici che percorrono il film sono direttamente
collegati all'emancipazione del proprio essere nel corpo.
Solo indirizzando e veicolando il differenziale fisico fra
"stile di vita" e "soggettività eversiva", si può produrre
un potenziale rivoluzionario che attenti alla tenuta di
quella stessa società sadica che perpetra la morte del soggetto
a spese dell'instaurazione di un Io modellato su standard
commerciali. L'eclissi dell'Io, nell'organizzazione di un
esercito paramilitare di soggetti anonimi, è specchio ed
amplificazione di un gioco sull'anonimato condotto in primo
luogo nel processo di eversione del soggetto Jack. Il protagonista
è il senza nome che schiva l'identità: sarà Cornelius al
cancro ai testicoli, sarà Trevis alla tumore intestinale,
sarà Tyler Durden nel rapporto con Marla, sarà definitivamente
il dettaglio del proprio corpo in rapporto alle situazioni
di rottura col patto sociale (lavorativo o sentimentale):
"Sono il rutto biliare di Jack", "Sono il polmone di Jack"
, "Io sono l'ardente senso di rifiuto di Jack" ecc.
Il film di Fincher è importante perché innesta l'interiorità
sul "corpo", un pò come, e questa per qualcuno potrebbe
essere una provocazione, faceva Antonioni mostrando l'interiorità
del personaggio attraverso le posture, gli atteggiamenti
del corpo dell'attore. Paragone incongruo per le effettive
divergenze stilistiche, che ci permette però di verificare
come quelle che per Deleuze sono le due figure della modernità
cinematografica, un cinema del corpo e un cinema del cervello,
vengano, anche se in maniera diversissima, in ambedue i
cineasti attualizzate:
- Vi
è altrettanto pensiero nel corpo che choc e violenza nel
cervello. Vi è altrettanto sentimento nell'uno e nell'altro.
Il cervello domina il corpo che è solo una sua escrescenza,
ma anche il corpo domina il cervello che è solo una sua
parte: nei due casi, non si avranno i medesimi atteggiamenti
corporei nè il medesimo gestus celebrale".
(G. Deleuze, 1984: trad. it. pag.227)
Corpo
e cervello, violenza e psicosi, sono i due poli dell'instaurazione
della realtà del film o, sarebbe meglio dire, della "visione
della realtà" che il film propone. Sono d'altronde il soggetto
nella sua corporeità, nella fisicità che lo rende bergsonianamente
"immagine fra altre immagini": non avere ma essere
un corpo.
La messa in scena dello spettatore.
FC
sintetizza i due ambiti appena trattati, all'interno di
un discorso che è criticamente indirizzato verso lo spettacolo
cinematografico in rapporto alla condizione del suo spettatore.
Il carattere essenzialmente meta-discorsivo del film è rintracciabile
in diversi elementi del tessuto narrativo, ed è d'altra
parte principio di unificazione del testo nella sua interezza.
Infatti, se volgiamo l'attenzione alla prospettiva diegetica
del film, possiamo notare come essa è interamente affidata
al racconto in prima persona del protagonista. Fatto di
enorme importanza, per quel gioco di ibridazione a cui accennavamo,
cioè nel permettere, da un lato, di giocare con le dinamiche
di identificazione fra lo spettatore e la focalizzazione
interna della storia e, dall'altro, di operare secondo continue
sovrapposizioni fra la realtà percettiva di Jack e il commento
superiore dell'azione dello stesso, cioè fra un reale da
decifrare e un sapere che ha già decifrato e che si appresta
a "presentare".
Il film inizia con il vertiginoso movimento di macchina,
che dall'interno del corpo, porta la macchina da presa fino
alla canna di una pistola ficcata in bocca. Dall'interno
all'esterno, l'inquadratura si sofferma sulla canna
rimanendo sul volto sofferente di Jack. Da qui inizia il
racconto in prima persona e il parallelo instaurarsi della
materialità di Tyler: esteriorizzazione dell'interno, sottodeterminazione
del sapere del narratore, consapevolezza inficiata dal dare
e vedere l'allucinazione in quanto tale, paradosso infine
che apre alla potenza falsificante del film.
Tyler tiene sotto mira Jack che non può far altro che volgersi
al suo interno, a raccontare la sua storia a noi,
attraverso il meccanismo del racconto retrospettivo. Da
questo momento in poi la narrazione procede per successive
anacronie, salti in avanti e indietro dell'istanza
narrativa sulla storia raccontata. Quando si parla di anacronie,
facciamo riferimento a quel particolare "gioco col tempo"
che definisce le relazioni di ordine fra la storia
e il racconto e che Genette ha classificato sotto i nomi
di analessi e prolessi (J. GENETTE, 1972,
Trad.it., pp. 81-134). La prima è un salto indietro, cioè
l'innesto su una dimensione temporale data, (nel nostro
caso: gli ultimi tre minuti prima dell'esplosione), di un'istanza
narrativa seconda, o 'altra', che ha il compito di svelarci
la catena di eventi che ha prodotto quella stessa situazione
iniziale: l'analessi è una retrospezione che colma
una lacuna.
D'altro canto ciò che definisce la prolessi
è un meccanismo di preveggenza, una sorta di "sommario anticipato"
che farà da limite o compimento al processo narrativo innescato.
Nel caso dell'incipit di FC, più che ad una o all'altra
delle due figure narrative, pensiamo di trovarci di fronte
ad una forma mista. Dalla situazione iniziale alla sua "giustificazione"
narrativa, c'è un apparente istanza analettica, cioè un
movimento all'indietro volto a colmare i "buchi di sapere"
che illuminano la situazione data. Pur tuttavia è la voce
off che ha il compito di dominare gli scarti, gli
svincoli e i raccordi secondo un principio decisamente prolettico:
"vi mostrerò come tutto questo, la pistola, la bomba, la
rivoluzione ha a che fare con una certa Marla Singer" (esempio
di "intrico di predestinazione"). Definiremo quindi la dimensione
temporale di FC come una prolessi travestita da analessi.
Travestimento prodotto nel discorso filmico e che
rende conto di un medesimo gioco fra interno ed esterno
nel caso della realtà del personaggio, e fra linearità e
scarti nella prospettiva temporale della narrazione.
La discontinuità con cui vengono presentate le anacronie
accresce il senso di ibridazione fra il personaggio e la
sua voce off, variazione continua da una focalizzazione
interna ad una esterna. L'illusione di dominare la situazione
attraverso la voce che commenta, nel presentare e incastonare
le diverse linee narrative che convergono verso la fine
, ci autorizza a trattare il flash-back come profitto di
sapere (regredire del protagonista alle cause), mentre
toglie consapevolezza al protagonista stesso che si trova
come afferrato in una gabbia narrativa che lo porterà all'esplosione
finale (progredire del protagonista verso la consapevolezza)
[Nota: I film precedenti di Fincher, soprattutto
Se7en (1996) e The Game (1998), hanno portato
alle estreme conseguenze il meccanismo della predestinazione,
il primo nel progetto del serial killer che per compiersi
ha bisogno di colui avrebbe dovuto fermarlo; Nel secondo,
nella graduale creazione attorno al personaggio, di strati
finzionali di realtà che abbracciano quest'ultimo fino a
quell'unica traiettoria finale (il volo suicida) che lo
riporterà alla realtà iniziale]. Se
le cause e la consapevolezza fossero da attribuire ad un
fenomeno oggettivo, il processo di elaborazione rischierebbe
una certa logica, nel senso che la descrizione renderebbe
conto di una distanza razionalizzante i due movimenti. Ma
qui l'insonnia e la psicosi tendono a coincidere, nel senso
che la causa è l'essenza del processo di autocoscienza,
la regressione è l'ambito critico che permette la ri-organizzazione
funzionale del reale.
Così, il primo salto indietro, prodotto da un movimento
di strappo sulla figura di Jack, viene raccordato alla sequenza
che lo vede piangente fra i seni enormi di Bob (alias Robert
Palson), mentre la voce off descrive l'estasi quasi
divina di un tale cuscino d'espiazione. A questo punto lo
stesso narratore ferma la catena filmica per giustificare
questa insolita situazione. Nuovo salto che questa volta
apre al "vero" inizio: "da sei mesi non dormivo". Da qui
in poi si impone una apparente linearità, nel senso di consecutività
temporale fra gli eventi del film che ci porterà dritti
verso la fine-inizio. Diciamo apparente, perché ciò che
dovrebbe assicurare la tenuta del reale viene messo in discussione
dallo scarto che separa il telling dallo showing,
ciò che la voce ci racconta da ciò che l'immagine ci mostra,
quasi che il narratore-protagonista non ci dicesse tutto
mostrandocelo, e non ci mostrasse tutto dicendocelo, in
una meccanica di reciproco transfert fra le due prospettive.
Lo scarto di sapere fra il protagonista e il narratore,
permette in un primo momento al discorso di impennarsi sui
dati dell'immaginario quotidiano per procedere, poi, ad
una loro espansione simbolica. La causa del progetto Mayhem
in questo senso non sarebbe altro che l'apparizione di Marla
nella vita di Jack. Vorremmo dimostrare come è la stessa
scrittura di Fincher a disporsi come psicotica, producendosi
come una falla di sapere, fra il conscio e l'inconscio,
evidenziando il proprio lavoro di rimaneggiammento temporale
dei segmenti narrativi. Il montaggio svolge la funzione
di saturare questo scarto organizzando gli elementi dell'uno
e dell'altro secondo una scrittura ellittica. Ad esempio,
l'inserto del fotogramma di Tyler all'interno delle sequenze
iniziali anticipa la sua apparizione come personaggio, e
d'altra parte gioca con il sapere preliminare dello spettatore
che sa della presenza di Brad Pitt all'interno del film.
Allo stesso modo, quando Jack ci fa vedere il lavoro notturno
di Tyler, vediamo come Tyler stesso stia mostrando come
sia possibile inserire, attraverso il montaggio, alcuni
fotogrammi pornografici all'interno di proiezioni per famiglie.
Tyler mostra come sia possibile la sua esistenza cinematografica,
e come questa sia inscindibile da una "inconsapevolezza
conscia" del sogno ad occhi aperti dello spettatore al cinema:
ci mostra cioè quanto egli sia una creatura del montaggio.
Ripetiamolo: è il montaggio che si assume il compito di
suturare la divaricazione del sapere del soggetto nella
messa in forma di un divenire che si compie fra un'istanza
primaria (inconscia) e un'istanza secondaria (razionale,
consapevole). Va da sé che noi continuiamo a dare realtà
a qualcosa di virtuale, il film continua anche dopo aver
scoperto la reale consistenza del personaggio. Il narratore
lo sottolinea non appena Jack si scopre Tyler: "Vi preghiamo
di mettere i sedili in posizione eretta. Abbiamo appena
perso pressione in cabina. Si chiama "cambio parte", il
film continua a scorrere e il pubblico non s'accorge di
niente". Questi inserti sono semplicemente la messa in discorso
ciò che era stato disseminato in più parti durante il testo
filmico , così come Jack altri non è che la "messa in personaggio"
dello spettatore.
Christian Metz (Metz, 1977. Trad. it. Pp.
91-131) distingue, recuperando le riflessioni freudiane
sul sogno, due processi che insistono, in maniera diversa,
all'interno della dimensione spettatoriale, (dimensione
di semicoscienza a metà strada fra la veglia e il sonno)
istituendo un parallelo fra lo stadio filmico e quello onirico.
Il processo primario è l'attività psichica d'investimento
energetico del soggetto sui dati della realtà: condensazioni,
spostamenti, figurazioni. E' ciò che viene chiamata la "logica
assurda" della produzione onirica, in cui lo scarico massimo
di energia vale di per se stesso senza correzione del principio
di realtà, senza che si ponga necessariamente un principio
che unifichi logicamente questi investimenti. Il processo
secondario è invece interamente al servizio del principio
di realtà, a lui è assegnato il compito di unificare, legare
e in un certo senso di indirizzare l'attività primaria verso
una logica coerente. Essa però interviene a posteriori,
sulle operazioni primarie di investimento. Se tutte le associazioni,
prodotte cioè su un regime di tipo primario, fossero lasciate
integre in se stesse, cioè se non fossero "secondarizzate",
ci si ritroverebbe in una dimensione assurda (come succede
quando ci svegliamo da un sogno con quel senso di illogicità
straniante). D'altra parte, dato il carattere essenzialmente
inconscio del processo primario, esso può essere
conosciuto solo attraverso determinati casi limiti (lapsus,
sintomi, ecc.), negandosi sempre ad una osservazione diretta.
Nel caso di FC, ad esempio, il passaggio dal perturbante
Marla alle "enormi tette di Bob" è attuato tramite il rapido
stacco cui accennavamo prima. La condensazione operata dal
montaggio, fra l'ossessione del narratore nei riguardi della
figura femminile, e il rapporto fisico, al limite omosessuale,
fra Jack e Bob, acquista un carattere di assurdità comica
sull'oggetto dell'investimento psichico. Non è un caso che
il narratore secondarizzi la sintesi prodotta, giustificando
la particolare relazione fra le parti, cioè tornando ancora
più indietro a dimostrare il motivo di un tale rapporto
fisico.
Per semplificare, nell'ambito di discorso filmico si può
parlare di diegetizzazione delle figure primarie (organizzazione
dei diversi investimenti libidici al di qua del principio
di realtà, quindi per lo più psicotici), processo che interviene
a disporre come ordinato ciò che era stato prodotto tramite
la logica assurda dell'inconscio (il montaggio come produttore
di figure primarie, come ad esempio la dissolvenza). Allo
stesso modo, si possono leggere i diversi contesti in cui
si fa allusione alla castrazione, come una narrativizzazione
di un unico trauma della perdita simbolica del fallo. Insomma,
se possiamo descrivere un nucleo tematico che sintetizzi
il film di Fincher, non possiamo non evidenziare come esso
si giochi nel passaggio da una produzione inconscia di segmenti
narrativi ad una più conscia di sviluppo organico. Il montaggio
media fra le due istanze, realizza cioè l'instaurazione
di figure primarie (stacchi che sintetizzano) e funge da
strumento di secondarizzazione (successiva narrativizzazione).
Allo stesso modo, ma sul piano interno, sarà Tyler il principale
mediatore degli investimenti psichici di Jack ma anche il
principio unificatore, la "mente" del progetto Mayhem (finalità
complessiva delle diverse istanze primarie).
Perde di senso criticare, come molti hanno fatto, il finale
parossistico del film, quasi a voler mistificare il discorso
prodotto da Fincher sulla base di un giudizio di inverosimiglianza,
o di assurdità narrativa, che, tra l'altro, abbiamo visto
esserne il motore stesso dello sviluppo del film. Ci pare
invece che FC ponga, senza mezzi termini, delle problematiche
fondamentali sulla coscienza dello spettatore attraverso
la costruzione di una complessa struttura en abyme
che raddoppia la materia filmica indirizzandola sullo stesso
immaginario cinematografico che lo ha prodotto.
Da un lato nell'esplicita messa in crisi della figura dell'eroe,
reale o virtuale che sia, attraverso l'evidenziazione dei
meccanismi di traslazione percettiva: identificatevi pure
con Brad Pitt se volete. Dall'altro, e qui il discorso si
fa delicato, Fincher sembra voler giocare con la stessa
industria produttrice del film, nel momento in cui costruisce
un film sulla disfatta del "sistema di credito". Identificarsi,
dare realtà alla finzione, "dare credito" al personaggio.
L'istituto cinematografico crolla e rinasce sulle macerie
di un personaggio troppo sveglio per potere agire, il quale
si rivolge, con lo sguardo in macchina, a richiamare l'attenzione
sulla tecnica che produce e s-vela quella particolare "realtà
della visione". Traduzione filmica di quel "cogito ergo
est" caro a Schopenhauer: è il soggetto che fa esistere
il mondo come volontà e rappresentazione, così come è lo
spettatore a fare esistere il film, a dare realtà tridimensionale
a ciò che è bidimensionale. In ultima analisi, il registro
dichiaratamente psicologico adottato da Fincher, e di cui
noi abbiamo dato una breve lettura, ci appare come una determinata
e "moderna" messa in questione dello statuto dell'immagine
e dello spettatore, un continuo lacerarsi del "velo di Maya"
nella progressione della potenza immaginifica della tecnica
cinematografica. Dall'impressione di realtà, dimensione
materiale e ontologica della forma cinematografica, all'illusione
di realtà, dimensione "economica" (in tutti i sensi)
degli investimenti psichici sulle forme riprodotte sullo
schermo, il film di Fincher costruisce il proprio "mondo
possibile", sfrutta cioè l'impressione di realtà
per denunciarne il carattere decisamente illusorio.
Per concludere, pensiamo che la chiamata in causa dello
spettatore riguardi la critica ad una prassi asettica di
consumo del film, all'inconsapevolezza di appartenere ad
un macchina che investe e produce denaro sulla pelle di
uno spettatore sempre più addormentato che esige dal cinema
solo storie e non "visioni critiche". In FC non si può prescindere
da un discorso che è principalmente sul cinema, cioè
a dire una dichiarata presa di posizione verso l'istituzione
cinematografica, macchina produttrice di sogni e di desideri
"a portata di sguardo".

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