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Il cinema d¹artista italiano
della fine degli anni Sessanta
Come abbiamo potuto constatare,
già all¹interno dell¹area dell¹Arte programmata nasce
l¹esigenza da parte degli artisti di operare attraverso
sconfinamenti linguistici che portano all¹uso del mezzo
cinematografico, come nel caso dei "films di ricerca"
del Gruppo MID del 1966. Ma verso la metà degli anni
Sessanta si accentua ancor più in Italia questo bisogno
di apertura a nuove tecniche che darà avvio a quel
particolare fenomeno che verrà definito come "cinema
degli artisti"45
e che in qualche modo anticiperà e costituirà
le fondamenta di una pratica video degli artisti che si
svilupperà parallelamente a partire dai primi anni
Settanta.
Le prime attenzioni della
critica per il "film d¹artista" le abbiamo con
Calvesi che già nell¹aprile del 1966, nella presentazione
di Luca Patella alla galleria romana Il girasole, tendeva
a sottolineare alcune differenze sostanziali del cinema
di Patella rispetto al "cinema dei cinematografi"
e forse anche al "cinema d¹avanguardia": "non
solo non sarà un film abbordato con la mentalità
della "produzione" e non solo non sarà
un ciclo compiuto, sistematico di immagini più o
meno narrative, ma deporrà il nuovo riflesso di un¹attenzione
visiva variamente e liberamente sbrigliata o concentrata;
le sequenze non potranno che essere improntate al gusto
imperioso di un¹elaborazione personalmente inventiva e "pittorica",
nel senso di un occhio che non registri i dati dell¹esterno
in base a moduli percettivo-figurativi già costituiti,
ma che questi moduli continuamente rinnovi e reinventi"46.
Sempre nella stessa presentazione Calvesi sottolinea l¹intenzione
di Patella di voler "sconfinare nell¹animazione e nel
cinema", e non come una dadaistica proposta di "anti-pittura",
ma come un modo di "arricchire l¹esperienza artistica
e di guadagnarle nuovi strumenti, nuove dimensioni".
Ed è ancora Calvesi
che nell¹articolo Ricordi di una farfalla47,
a proposito della mostra di Mario Schifano presso la galleria
Marconi di Milano dove tra diversi dipinti viene proiettato
il film Anna vista in agosto dalle farfalle, scriverà:
"Il "film d¹artista" è una delle manifestazioni
più interessanti dell¹arte attuale, e più
tipiche del suo bisogno di annettere nuove tecniche e di
sconfinare nello spettacolo. Tuttavia il ruolo del film
d¹artista non è ancora bene inquadrato; in molti
casi dovremmo, il che è difficile, abituarci a guardarlo
come un quadro, piuttosto che come un film. [Š] Il film
d¹artista in molti casi, e certo in questo di Schifano,
ha un interesse fondamentalmente se non esclusivamente percettivo"48.
Logicamente le riflessioni
di Calvesi nella loro precocità si rivelano inevitabilmente
poco esaustive, mentre più attenta e completa risulta
invece l¹analisi sul "cinema d¹artista" proposta
da Fagone una decina di anni dopo49.
Questi fa notare che uno degli aspetti del cinema dei pittori
è proprio di non caratterizzarsi per un trasferimento
meccanico, se non addirittura passivo di alcuni elementi
della ricerca visuale quali immagini, situazioni o comportamenti,
in quanto "impegnava una estensione della ricerca alla
costituzione e alla definizione del film": "L¹espansione
dello spazio d¹intervento dell¹artista, l¹assunzione dei
metalinguaggi dell¹esperienza estetica come campo di ricerca,
ha riproposto nel cinema una sorta di specchio fluido dove
immagini e produzione di immagini possono convivere inseparabili,
essere messe in un unico circuito, omologate a una "impropria"
specificità. Non che il cinema diventi un passivo
strumento di registrazione di azioni e performances ma esso,
come la fotografia, come il video-tape, diventa un nuovo
utensile per la proposta di un campo attivo di espansione
dell¹universo artistico"50.
Naturalmente lo sviluppo
della pratica cinematografica degli artisti è connessa
anche a particolari congiunture socio-politiche, quali ad
esempio la svolta del ¹68, quindi se lo "sconfinamento"
corrisponde a una determinata congiuntura estetica, la "liberazione
di nuove energie in più vasti campi di intervento"
è legata certamente al clima di contestazione di
quegli anni51.
Allora la necessità
di uscire dal campo del quadro, e cioè il rifiuto
di un confine disciplinare e il relativo "sconfinamento"
nella vita, viene a coincidere con la necessità del
possesso creativo dei nuovi media, nella direzione propria
di una sperimentazione analitica "del fare immagine".
Come scrive ancora Fagone: "L¹espansione nei media
è così allargamento dei "mezzi"
dell¹artista, e anche del campo dell¹immagine, dove le immagini
si formano e si danno, dove non sono immagini ma relazioni
naturali. E, in questa dimensione, il tempo ritrova un suo
significato: il tempo non è quello della narrazione
cinematografica, ma una realtà, e una relazione,
fisica da esplorare. [Š] Il cinema d¹artista lavora con
affinate strategie su l¹illusione; non solo sulla sua qualità
ottica, ma sui suoi meccanismi di costituzione, condensazioni
e spostamenti: nella strettissima intercapedine tra visione
e illusione"52.
Il catalogo di Fagone uscì
in occasione della presentazione dei lavori cinematografici
di Patella, Baruchello, La Pietra, Carpi e Nespolo al Centro
Internazionale di Brera, a cura dello stesso Fagone, nel
maggio 197653.
Il primo film in 16mm di
Luca Patella, del 1965, si intitola Tre e basta ed
è composto da "immagini documentarie" che
sottolineano la preoccupazione dell¹autore verso l¹osservazione
della realtà, studiata scientificamente (ma anche
ironicamente) nella sua struttura, fenomenologia e linguaggio.
L¹uso del mezzo filmico si svilupperà quindi all¹interno
di una pratica "extramediale" fondamentalmente
di carattere "concettuale", con aperture "proto-landartistiche"
(Terra animata, 1967), ma attenta anche alla dimensione
comportamentale (Materiale per camminare, 1967) ed
ai giochi e analogie linguistiche (Lu¹ capa tella,
1970-73)54.
Baruchello d¹altro canto,
che in collaborazione con Alberto Grifi realizza già
nel 1964 La verifica incerta, una divertente ed ironica
operazione di assemblaggio di materiale del cinema spettacolare
americano in una critica che coinvolge sia i modelli di
vita che l¹ideologia del cinema di "consenso",
per tutta la seconda metà degli anni Sessanta continuerà
a realizzare numerosi altri film sempre sorretti da una
forte presenza del montaggio e da un¹attenta e pungente
intenzione critica o dissacratoria55.
Per La Pietra invece il mezzo filmico si rivela un ottimo
strumento per le sue critiche analisi ambientali e di comportamento
urbano, nonché per alcune puntuali riflessioni didattiche
sullo spazio dell¹architettura56.
Mentre Cioni Carpi si è mosso dapprima in operazioni
del tutto sperimentali e con Dog, Rat, Puzzle (1972),
brevi film choc di 3-4 minuti ciascuno, esplorando anche
la dimensione del coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Nespolo per conto suo si preoccupa di allestire situazioni
comportamentali grottesche e dissacranti, soprattutto nei
confronti di mitologie avanguardistiche e relativo mercato
(da La galante avventura del cavaliere dal lieto volto,
1967, a Il supermaschio, 1976)57.
A questi artisti va aggiunto
il già citato Schifano che realizza da metà
degli anni Sessanta numerosi cortometraggi, dalla sperimentazione
ottico-percettiva di Anna Carini vista dalle farfalle,
del 1967, a Umano non Umano (1969), nel quale monta,
secondo la tecnica del collage, le esperienze diverse e
parallele dei Rolling Stones, e di artisti, intellettuali
e operai in sciopero nell'autunno del 1969, tutte attraverso
un distacco "oggettivante" che amplifica il coinvolgimento
dello spettatore. Ma sono da aggiungere anche Desiato, con
una serie di intensi film (soprattutto del 1964-1965) connessi
alle sue "azioni" (Rito n. 1); Nato Frascà
che nel film Kappa, del 1967, partendo dall¹analisi
di una serie di immagini ottiche sviluppa un singolare percorso
narrativo per cui lo spazio della geometria può trasformarsi
nello "spazio dell¹esistenza"; e infine Trubbiani
che fra il 1968 e il 1976 opera attraverso il mezzo filmico
in originali ed acuti lavori, in parte connessi all¹immaginario
della sua scultura58.
Inoltre va ricordato che accanto al cinema dei pittori in
Italia si sono mossi anche film-maker sperimentali, quali
Alberto Grifi, Tonino De Bernardi, Paolo Benvenuti, Piero
Bargellini, o personalità poco classificabili come
Carmelo Bene, con le sue dissacranti operazioni a cavallo
tra teatro cinema e video, che rappresentano un importante
ed imprescindibile momento della sperimentazione audiovisiva
italiana59.
Ma quali sono i punti di
contatto tra il cosiddetto "cinema degli artisti"
e il meno conosciuto "video degli artisti"?
Per alcuni critici, quali
per esempio Enrico Crispolti, non c¹è un vero e proprio
punto di contatto tra queste due pratiche o linguaggi di
comunicazione estetica, anche se si riconosce che l¹uso
del film e del video rappresentavano delle possibili e praticabili
uscite dal ristretto campo del quadro in quel clima di "sconfinamento"
caratteristico del decennio a cavallo tra i Sessanta e i
Settanta60. Per cui era
possibile che uno stesso artista sperimentasse entrambi
i medium, ma in generale chi utilizzava il video lo faceva
quasi esclusivamente per documentare le proprie azioni o
performances, e chi usava il film, con altri presupposti,
cercava di verificarne le possibilità comunicative
oltre alle possibili sperimentazioni linguistiche61.
In effetti esistevano (ed esistono ancora) delle profonde
differenze tra il mezzo televisivo e il mezzo cinematografico62,
ma queste non escludono i numerosi punti di contatto che
collegano le ricerche video con le sperimentazioni del cinema
d¹artista soprattutto nei primi anni Settanta63.
Secondo Vittorio Fagone
le origini della videoarte in Italia vanno ricercate e collegate
proprio alle ricerche cinematografiche di artisti quali
Patella, Baruchello e Cioni Carpi, ma andrebbero aggiunti
anche Nespolo e Schifano, oltre a tutti quegli artisti "comportamentali"
che a partire dai primi anni Settanta passeranno dal mezzo
filmico a quello video, nel tentativo di proporre una maggiore
immediatezza e di ottenere un maggior controllo dell¹opera
nel suo farsi, consentendo perciò di assimilare il
processo al prodotto. In definitiva le prospettive aperte
dall¹assunzione da parte degli artisti della dimensione
audiovisiva, attraverso la forma filmica già praticata
dalle avanguardie storiche, trovano un¹ulteriore espansione
nelle diverse possibilità offerte dal mezzo televisivo.
Soprattutto per quanto riguarda le nuove processualità
di produzione e riproduzione di immagini in tempo reale
messe in gioco dal dispositivo video, ma anche per la maggiore
maneggevolezza, accessibilità e personalizzazione
offerte da questo. Ecco allora che artisti come Patella,
Baruchello, De Filippi ed altri ancora, proseguiranno le
ricerche avviate con le esplorazioni del mezzo filmico attraverso
l¹uso del video, e con questo ne avvieranno di nuove, sempre
proiettate nella direzione di una "nuova pratica della
visione": "Come una architettura il film d¹artista
[e successivamente il video d¹artista] è struttura,
modello, utensile e artefatto. Lo è come ogni struttura
formalizzante una nuova pratica della visione, un nuovo
criterio di conoscenza dello spazio visibile"64.

Note
- 45. Secondo la catalogazione
proposta da Fagone in Arte e Cinema. Per un catalogo di
cinema d'artista in Italia 1965/1977, Marsilio, Venezia,
1977, risalgono intorno alla metà degli anni Sessanta
le prime manifestazioni italiane di un cinema realizzato
da artisti plastici e "impegnato a sperimentare le possibili
espansioni del mezzo e del linguaggio cinematografico,
ad analizzarne ogni peculiare carattere strutturale" ma
anche a ribadire il "rifiuto di un confine disciplinare
legato ad una specificità artigianale e la scelta di un
linguaggio più aperto e mobile, vitalmente discontinuo,
come spazio di sperimentazione, di ricerca e di registrazione".
- 46. M. Calvesi, Avanguardia di massa,
Feltrinelli, Milano, 1978, p. 201.
- 47. Pubblicato su "L'Espresso" del 22
ottobre 1967.
- 48. M. Calvesi, Avanguardia di massa,
op. cit., 1978, p. 208.
- 49. Come fa notare lo stesso Fagone in
Arte e Cinema. Per un catalogo di cinema d'artista in
Italia 1965/1977, op. cit., 1977, p. 6, le ragioni e le
prospettive di questi lavori non risultavano completamente
definite al suo nascere né per i critici che tempestivamente
le registravano, né per gli artisti. Quindi a proposito
di Patella Alberto Boatto nel 1967 scrive: "Mentre i cineasti
puntano su nuove forme di narrazione, in un esercizio
ancora prevalentemente negativo, di contestazione dei
moduli di racconto corrente, i pittori cinematografici
puntano su modi inediti di vedere, d'inquadrare il mondo,
spostando al centro della ricerca il linguaggio". Tali
riflessioni (come anche gli apporti di critici quali Nello
Ponente o Daniela Palazzoli) contribuiranno comunque a
determinare una "specificità" del lavoro degli artisti
italiani nel cinema. Sul cinema d'artista cfr. anche V.
Fagone, Artisti e Cinema negli anni '70, in "La tradizione
del nuovo", n. 2, apr. 1978.
- 50. V. Fagone (a cura di), Arte e Cinema.
Per un catalogo di cinema d'artista in Italia 1965/1977,
op. cit., 1977, p. 7.
- 51. Come sottolinea Franco Quadri in
Trapianto, consunzione e morte del cinema dei pittori,
"L'uomo e l'Arte", n. 7, Milano, 1971: "Singolarmente
in Italia, una generazione di pittori sembra assumere
il cinema come una via d'uscita: e non si tratta solo
di un fenomeno di riporto, è a un certo momento lo sbocco
naturale di un mezzo d'espressione che non basta più o
che non arriva a comunicare, o che viene rifiutato a livello
di semplice creazione di prodotti da immettere in un mercato;
o un modo di controllo e di confronto del proprio lavoro;
o l'approdo di un inevitabile procedimento di espansione
attraverso il movimento, con la conquista di una dimensione
temporale. In definitiva un mezzo di reinserimento in
una realtà attiva da parte dell'artista combattuto tra
contestazione e opera d'arte". Inoltre come ci fa notare
A. Farassino nella presentazione di Arte e Cinema. Per
un catalogo di cinema d'artista in Italia 1965/1977, op.
cit., 1977, p. 3, "Dobbiamo obbiettivamente constatare
che per le opere-cinema la famosa uscita dalle gallerie
sostanzialmente non c'è stata. I film d'artista si vedono
molto sporadicamente in alcuni dei nuovi cineclub, appaiono,
e sempre più raramente, in qualche festival. Insomma,
al di là delle sue apparenti differenziazioni interne,
il film d'artista rimane, per le sue condizioni strutturali,
per il suo rapporto con il pubblico, un'opera d'arte su
pellicola", ed anche oggi, a distanza di venti anni, possiamo
constatare che la situazione è praticamente rimasta la
stessa.
- 52.
V. Fagone (a cura di), Arte e Cinema. Per un catalogo
di cinema d'artista in Italia 1965/1977, op. cit., 1977,
p. 7.
- 53. Ma in Arte e Cinema. Per un catalogo
di cinema d'artista in Italia 1965/1977 Fagone registra
molti altri autori italiani: i fratelli Adami, Becattini,
Benedini, la Berardinone, Carrega con Ferrari e Salocci,
Coleman, Dadamaino, De Filippi, De Freitas, Dias, Frascà,
Gianikian e Ricci Lucchi, Gioli, Granchi, i Loffredo,
Mari, Martelli, Moretti, Mussio, Nagasawa, gli Oberto,
Ontani, Pacus, Pardi, Paradiso, Plessi, Pomodoro, Ranaldi,
Sarri, Schifano, Schober, Emilio Simonetti e Vaccari.
- 54. Cfr. Luca M. Patella, con e senza
peso, a cura di B. Di Marino, Museo Laboratorio di Arte
Contemporanea, Roma, 1994.
- 55. Cfr. Baruchello, a cura di C. Subrizi,
Diagonale, Roma, 1997.
- 56. Cfr. E. Crispolti, Extra-media: esperienze
attuali di comunicazione estetica, Studio Forma, Torino,
1978.
- 57. Cfr. Ugo Nespolo. La fugace vita
dei fotogrammi, a cura di V. Fagone, Mastrogiacomo, Padova,
1978.
- 58. Cfr. Valeriano Trubbiani, Film 1968-1978,
Galleria La Margherita, Roma, 1978. Per quanto riguarda
le manifestazioni dedicate al "film d'artista" in Italia,
o più in generale le manifestazioni artistiche d'avanguardia
in cui sono presenti film d'artista, rimando alla ricognizione
di E. Crispolti in La pittura in Italia. Il Novecento/3.
Le ultime ricerche, a cura di C. Pirovano, Electa, Milano,
1994, pp. 120-122.
- 59. Cfr. A. Granchi (a cura di), Cinema
d'artista e cinema sperimentale in Italia 1960/1978, Firenze,
1978; D. Noguez, Il cinema diversamente, Cappelli, Bologna,
1979.
- 60. Anche Silvia Bordini nella sua Videoarte
e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, accennerà
solo brevemente ai rapporti tra video e cinema d'artista
facendo cominciare la ricognizione della situazione italiana
direttamente dalla mostra bolognese Gennaio 70.
- 61. A. Giorgi, Intervista a Enrico Crispolti,
inedita, Pontignano, Siena, 20/1/1999.
- 62. Sulle differenze tra cinema e video
si sono soffermati un po' tutti i critici che si sono
occupati dell'immagine audiovisiva a partire da Fagone
in L'immagine video, op. cit., 1990, passando per V. Valentini
nei cataloghi delle diverse edizioni della Rassegna Internazionale
del Video d'Autore, fino a R. Payant che nel testo La
frenesia dell'immagine in Metamorfosi della visione, op.
cit., 1988, si sofferma, in modo quasi scientifico, sulle
caratteristiche proprie dell'immagine elettronica.
- 63. Senza comunque stabilire una diretta
filiazione del "video d'artista" rispetto al cinema degli
artisti come propone ad esempio Maurizio Calvesi in Documenti
di un percorso, in La coscienza luccicante, a cura di
P. S. Serra Zanetti, M. G. Tolomeo, Gangemi, Roma, 1998.
- 64. Arte e Cinema. Per un catalogo di
cinema d'artista in Italia 1965/1977, op. cit., 1977,
p. 7. Interessanti appaiono anche le riflessioni di Adriano
Aprà a proposito dello sperimentalismo audiovisivo italiano
degli anni a cavallo tra i 60 e i 70, dove si sottolinea
l'ipotesi che le esperienze avanzate del cinema sperimentale
italiano in qualche modo abbiano trovato una continuazione
proprio nello sperimentalismo delle ricerche video: "Perché
continuo a credere che quell'avventura creativa, di cui
pochi sono stati testimoni, di cui pochissimi hanno parlato,
abbia a che vedere con la frammentazione del paesaggio
audiovisivo di cui siamo testimoni, nonché ovviamente
col video. [Š] Proprio i mezzi di massa, che sembrerebbero
agli antipodi della cantina sperimentale, ne hanno raccolto
inconsapevolmente alcuni insegnamenti: l'elettricità era
nell'aria" (in L'underground di A. Aprà, in Prima della
rivoluzione. Schermi italiani 1960-1969, a cura di C.
Salizzato, Marsilio, Venezia, 1989, p. 163).

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