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Il video nella pratica
artistica italiana degli anni Settanta
I primi anni Settanta sono,
in Italia come nel resto dei paesi occidentali, gli anni
del superamento del limite fisico dell¹oggetto, e quindi
gli anni delle "immagini virtuali", delle immagini
proiettate. Immagini realizzate dagli artisti usando i mezzi
della grande comunicazione, ma fuori dai canoni e dalla
sintassi impropriamente attribuitegli dal sistema dell¹informazione
massificata. L¹immagine dell¹artista, la sua stessa presenza,
il suo corpo, vengono agiti come luogo reale di definizione
di una nuova pratica della visione, ma anche di una più
diretta capacità di comunicazione65.
Ma gli anni Settanta sono
anche gli anni dell¹"esplicitazione"66,
in cui alla complessità della situazione socio-politica
e culturale si opponeva una forte consapevolezza politica
e chiarezza dell¹esprimersi degli artisti operanti in quel
decennio. Diciamo che siamo di fronte ad una prospettiva
nella quale il lavoro dell¹artista rende espliciti i meccanismi
del fare arte, dimostra e verifica i processi che sottendono
alle dichiarazioni di intenti. Come scrive Fagone: "Gli
anni Settanta sono gli anni dell¹"esplicitazione":
il mondo dell¹arte può essere traversato con strumenti
diversi, l¹oggetto artistico rifiuta un proprio corpo per
dichiarare il proprio divenire, misurare la possibilità
di utili contagi con l¹ambiente, ancora più o più
decisamente che negli anni Sessanta"67.
Ecco allora che il panorama
artistico italiano dei primi anni Settanta, in linea con
le ricerche sviluppate contemporaneamente in altri paesi
europei e d¹oltreoceano, si apre alla dimensione di una
"energetica primaria", che mentre altrove si realizza
nella strategia di Fluxus, in Italia si realizza soprattutto
nella strategia dell¹"arte povera", arte antiformale
come il movimento Fluxus ma di minore intensità e
meno attento al rapporto con le nuove tecnologie68.
In questo clima si muoveranno
le prime realizzazioni esploranti la dimensione del video,
parallelamente (ed a volte congiuntamente) alla pratica
del "cinema degli artisti", e direttamente connesse
al campo della performance e del "comportamento".
a. Ricognizione degli
eventi ufficiali ove si è manifestata la pratica
del "video d¹artista"
Per avere un¹idea della
situazione artistica "ufficiale" dell¹Italia degli
anni Settanta in rapporto alla pratica del video nei suoi
molteplici aspetti ed applicazioni, prenderemo in esame
le manifestazioni, le mostre e gli eventi di una certa rilevanza
storica e di una particolare incisività problematica.
Per chiudere, infine, con una ricognizione delle diverse
edizioni della Biennale di Venezia dal 1970 al 1980, quale
campione delle più attuali e aggiornate proposte
della ricerca artistica italiana ed internazionale, proprio
per tracciare e valutare l¹andamento della ricerca video
all¹interno della più vasta situazione artistica
"ufficiale".
La prima mostra di una certa
importanza, in cui sono presenti un cospicuo numero di artisti
alle prese con il mezzo video, è la 3° Biennale
internazionale della giovane pittura, Gennaio 70, organizzata
da Barilli, Calvesi e Trini, al Museo Civico di Bologna
dal 31 gennaio al 28 febbraio 197069.
In questa rassegna collettiva si prendono in esame tutta
una serie di indirizzi che in qualche modo tendono ad evidenziare
il loro carattere processuale, "anti-formale",
attraverso proposizioni di "arte povera" o per
lo più di arte concettuale e comportamentale, senza
comunque tralasciare la dimensione fortemente ideologica
del fare arte: "Le richieste reali di tutti gli artisti
presenti in questa mostra vanno oltre l¹estetico così
com¹è contrabbandato, e accettato, attraverso le
istituzioni; pongono il problema della destinazione del
loro lavoro; e non già la destinazione delle opere,
ma della globalità del loro vivere e operare, del
ruolo assegnato e assegnatosi nella formulazione e nell¹esercizio
di una cultura non borghese"70.
Ma questa mostra assume
una particolare importanza proprio perché comincia
ad interrogarsi sulle possibilità e nuove aperture
offerte dal mezzo televisivo, si confronta con quanto in
questo campo avviene all¹estero (vengono presentati anche
Land Art di Gerry Schum e Eurasienstab di
Beuys, di cui abbiamo già parlato nel capitolo I),
ma soprattutto obbliga i curatori della mostra, alle prese
con tecniche ed immagini nuove, ad elaborare uno sguardo
e un linguaggio critico adeguato71.
Le loro indicazioni puntano ad evidenziare la novità
dell¹iniziativa e a cercare nello stesso tempo di legittimarla
sottolineando la connessione dei video con gli orientamenti
artistici contemporanei, giungendo ad individuare nello
strumento tecnico, sulla scia delle ipotesi mcluhaniane,
alcune prime specificità linguistiche in rapporto
al mezzo cinematografico e nella sua fluidità strutturale72.
Calvesi, quindi, riferendosi
alla mostra bolognese in Schermi TV al posto dei quadri,
pubblicato in "L¹Espresso" il 15 marzo 1970, spiega
che "chi si affaccia nelle sale del museo vede ad ogni
angolo un televisore che trasmette scene ed apparizioni
enigmatiche, spesso mute, spesso incollate per lunghe frazioni
di tempo alla stessa inquadratura", e che quindi "il
vecchio metro del giudizio di valore è inadatto",
in quanto la mostra rappresenta "uno sfasamento tra
il campo dell¹arte e il campo dell¹estetico", e continua
scrivendo che "Di fatto, il posto che nelle case occupava
un tempo il dipinto o la stampa è stato usurpato
dal televisore: un riquadro contenente immagini che ha denunciato
l¹arcaicità degli altri. Legittimo dunque sperimentare
la sostituzione anche all¹interno di una mostra; la trasmissione
su più canali avrebbe dovuto far sì che girando
l¹occhio da un televisore all¹altro il visitatore potesse
soffermarsi su azioni diverse, come ci si sofferma sui quadri
che più avvincono. Ma la funzione della registrazione
video, che esclude il montaggio, è soprattutto quella
di documentare nel modo più adeguato e anonimo questo
nuovo mezzo espressivo che è l¹"azione"
dell¹artista"73.
Come scrive Silvia Bordini:
"Tra le varie anime della videoarte, tra le opzioni
emergenti in campo internazionale, si sceglie quella della
documentazione di opere effimere ¯ le azioni, legate alla
presenza dell¹artista e all¹immediatezza del suo agire ¯
che comunque attraverso il video acquistano una visibilità
più ampia, una memoria duratura; modificandosi inoltre
nella coincidenza nuova tra l¹immagine dell¹opera, il processo
del suo farsi e la registrazione stessa di questa immagine-processo"74.
Ecco allora che in questo
contesto di iniziale sperimentazione si delineano in Italia
diversi parametri di lettura, che oscillano tra l¹apprezzamento
delle innovazioni portate dal mezzo elettronico nella modalità
e nella fenomenologia artistica, e il suo essere completamente
subordinato alle pratiche performative e comportamentali
che proprio allora andavano affermandosi sempre più
come opere d¹arte. Emerge quindi una volontà di classificazione
e di razionalizzazione nella quale si manifesta una duplice
tensione: la disponibilità ad aprirsi alle nuove
esperienze e ai "nuovi mezzi", e la difficoltà
del riconoscimento di una loro autonomia. Barilli quindi,
in un articolo dal titolo Video-recording a Bologna75,
tornando sulla pratica del video e sul rapporto che questo
medium, come uno "specchio limpido e fedele",
ha con le azioni degli artisti, si domanda quanto tali mezzi
siano "semplicemente sussidiari dell¹esperienza estetica,
o costitutivi di essa"; da qui nasce l¹esigenza di
trovare una terminologia e un metodo di lettura specifico
per queste opere, e dunque sottoscrivere una sorta di catalogazione
delle esperienze video degli artisti presenti alla mostra
bolognese76.
L¹esperienza di Gennaio
70 costituisce la prima di una serie di iniziative "ufficiali"
che si accendono in Italia nel corso degli anni Settanta,
anche e soprattutto di breve durata, piene di entusiasmo
e disponibilità alla sperimentazione e legate per
lo più all¹attività delle gallerie private.
Queste iniziative accolgono al loro interno un¹articolazione
di possibilità d¹impiego del video in arte che si
fa sempre più complessa: dalla semplice documentazione
all¹esplorazione creativa del mezzo, dall¹interazione con
altri materiali del mondo dell¹arte all¹analisi della comunicazione
e dell¹informazione in una prospettiva nuova e fortemente
politicizzata.
Tommaso Trini organizza
a Milano, nel maggio 1970, il "Telemuseo" di Eurodomus
3, "primo video-teatro completamente affidato al
medium elettronico", in cui oltre a riportare l¹esperienza
di Gennaio 70, Agnetti, Colombo, Marotta, Martin,
Mauri, Pistoletto, Restany e lo stesso Trini "visualizzano
idee e fanno regia di spettacolo sia per esplorare il linguaggio
del mezzo che per proporre controspettacoli TV"77.
La posizione di Trini è quindi quella di fondere
nelle possibilità del video l¹aspetto estetico con
l¹aspetto politico e sociale, e a proposito di Eurodomus
3 continua scrivendo: "L¹approccio linguistico
al medium elettronico è ostacolato dalla scarsa disponibilità
dei nuovi strumenti, complessi e in continua evoluzione
anche nel solo ambito del video-tape. Ma è sfidato
anche dalle forme di linguaggio codificate dalle trasmissioni
della tivù-tribù. [Š] Il linguaggio televisivo
è l¹uso sociale della TV. Il linguaggio del videotape,
che adombra lo stadio del cinema underground e va oltre,
è nella rivoluzione delle video-cassette, da un lato,
e nell¹organizzazione di una TV di alternativa dall¹altro"78.
Sempre a Milano si inaugura
nel maggio 1974, al Centro Internazionale di Brera, la rassegna
Nuovi Media ¯ film e videotapes con una sezione dedicata
alla "videoarte" a cura della De Sanna e della
Palazzoli. E nel marzo 1975 ha luogo alla Rotonda della
Besana Artevideo e Multivision, a cura di Trini,
in cui sono presenti fra gli altri Baruchello, Carmi, Colombo,
Agnetti, Vaccari, Calzolari, Fabro, Paolini e Trotta. Di
questa rassegna ne parla Calvesi in un articolo pubblicato
nel "Corriere della Sera", del 23 marzo 1975,
dal titolo Complicità tra mezzo e messaggio:
"Se a Bologna [Gennaio 70] il pubblico, tutto
sommato, si disinteressò, e qui è accaduto
il contrario, la ragione non credo sia solo questa, cioè
l¹ampiezza e la bontà della documentazione; né
il tempo passato, durante il quale, certo, l¹uso dell¹immagine
fotografica, filmica o televisiva ha preso ancor più
posto nella prassi dell¹arte e nell¹abitudine degli osservatori.
La ragione principale ritengo sia l¹impeccabile riuscita
tecnica, il normale e non inceppato funzionamento dei vari
gruppi di televisori, con il possibile uso di cuffie per
concentrarsi sul sonoro di una trasmissione senza essere
disturbati da quello di un¹altra. Per non dire delle perfette
sincronie della "Multivision". [Š] l¹impressione
che si poteva ricevere visitando la rassegna della Besana
è proprio che il messaggio fosse il medium
stesso. Del resto, l¹atteggiamento critico del curatore,
che ha voluto soprattutto fornire informazione, è
stato di adeguamento non tanto ad una problematica ideologia
del nuovo mezzo, quanto al suo alto potenziale d¹informazione;
e nell¹informazione, medium e messaggio tornano a
coincidere"79. In
tutt¹altra prospettiva si muove la mostra itinerante Fotomedia80,
curata dalla Palazzoli, che ha luogo nel marzo-aprile 1975
nella stessa Rotonda della Besana, in cui sono presenti
artisti operanti sia con la fotografia, ma anche con riporti
fotografici su tela, che operanti specificamente con il
solo mezzo video (Agnetti, Asnaghi, Berardinone, Calzolari,
Carpi, Chiari, Colombo, La Rocca, Mattiacci, Mosconi, Ontani,
Pacus, Paradiso, Patella, Gianni Pisani, Vettor Pisani e
Vaccari), ma all¹interno di un discorso quasi esclusivamente
concettuale: "Con l¹arte concettuale oltre al riporto
su tela emulsionata è la stessa fotografia a divenire
strumento di comunicazione artistica. Essa viene concepita
come un ideogramma mentale, un¹idea della realtà,
in cui consiste la proposta di arte dell¹autore. I videotapes
in quanto fotografie conservate su nastro magnetico, sono
una continuazione di questo discorso che non indulge in
compiacimenti tecnici di tipo artigianale ma mira a identificare
o una diagnosi della realtà o una proposta alternativa
nei confronti di essa sotto forma di riflessione o di comportamento"81.
A Roma, d¹altro canto, la
Galleria dell¹Obelisco a partire dal 1971 sviluppa un interessante
quanto breve progetto di costituzione di una sezione video,
la VideObelisco AVR (Art Video Recording), coordinata
da Francesco Carlo Crispolti e intesa come struttura fissa
per la sperimentazione tecnica ed espressiva, ma anche come
offerta e disponibilità di strumentazioni e spazi
per gli artisti. Il 14 maggio 1971 si svolge una "videoserata",
a cura di F. C. Crispolti, in cui vengono proposte opere
di Agnetti e Colombo, Berdini, Cristoforo, Panseca, Patella,
Pierelli e Valentini, nel catalogo si legge: "Videoregistrazione,
dunque, come modulo nuovo; telecamera e videotape come memoria
presa diretta provocazione, dissenso dai canali ufficiali,
happening gesto presenza casualità spontaneità
scatole cinesi, e infinite altre possibilità per
le arti visive, questa volta inserite nel concetto più
vasto di informazione [Š] la videoregistrazione offre un
canale preciso allo sforzo dell¹arte d¹oggi diretto a penetrare
nelle possibilità interne del flusso del reale"82.
Nello stesso anno la galleria L¹Attico propone alcuni videotapes
connessi alla pratica della performance (tra cui Identifications
di Gerry Schum); e nel 1973 la Quadriennale di Roma apre
una sezione video curata da F. C. Crispolti. Di poco successiva
è la mostra Contemporanea, curata da Bonito
Oliva, dalla Lonardi e dalla Palazzoli, nel Parcheggio di
Villa Borghese (nov. 1973 / feb. 1974), che include un settore
di Video-tapes e films d¹artista nel quale sono presentati,
degli italiani, i lavori di Agnetti, Chiari, De Dominicis,
Fabro, Germanà, Kounellis, Mario Merz, Vettor Pisani
e Prini. All¹interno di una prospettiva di sconfinamento
nel "territorio totale della creatività",
con aperture in direzione del "comportamento",
dell¹evento e in definitiva della strategia Fluxus, prende
corpo la sperimentazione di nuovi mezzi, ma secondo un percorso
già tracciato da Trini e F. C. Crispolti nei primi
anni Settanta, nel senso di un approccio ideologico-informazionale
nell¹uso del video, che anche se è in parte valido
per il videotape, certamente è meno applicabile al
cinema d¹artista: "Video-tapes e films d¹artista
e cioè il rilevamento e l¹informazione più
che l¹espressività e l¹espressione. All¹aura di memoria
e di creatività che l¹opera tradizionale persegue,
si sostituisce la registrazione e la notizia"83.
E ancora nel 1974 Incontri Internazionali d¹Arte (che aveva
promosso la rassegna Contemporanea) organizza gli
Incontri video ¹74, a cura sempre di Bonito Oliva
e della Lonardi.
Sulla scia dell¹iniziativa
romana VideObelisco AVR, in particolare per l¹aspetto
nuovo dell¹utilizzazione delle telecamere a circuito chiuso
che trasforma un normale vernissage in un confronto diretto
degli spettatori con i nuovi mezzi, ha luogo, nel settembre-ottobre
1972, ad Acireale Circuito chiuso-aperto. VI Rassegna
d¹arte contemporanea, curata da Mussa e F. C. Crispolti,
in cui è rappresentato, degli italiani, il lavoro
di Cintoli, Patella, Gruppo OB, Binga, Sottile, Corvino,
Agnetti e Colombo, Takahashi, Paladino. Nello stesso 1972
a Ferrara, dal 7 al 16 aprile, si svolge nel Palazzo dei
Diamanti TV: Mezzo aperto, a cura della Bonora; sempre
nel 1972, alla Galleria del Naviglio di Venezia, ha luogo
Video nella strada, rassegna realizzata da Luciano
Giaccari, nella quale è presentato, dalla serie TV
OUT 1, il lavoro di Fabro, Chiari, Maud, Nagasawa, Ravedone,
Trotta e Vaccari; mentre nel 1973 a Pesaro, alla IX Mostra
Internazionale del Nuovo Cinema, artisti e critici si
occupano delle possibilità non solo artistiche, ma
anche politiche e sociali dell¹uso del video, in una tavola
rotonda dal titolo L¹altro video, incontro sul videotape84.
A Venezia la Galleria del Cavallino di Paolo Cardazzo inizia
dal 1974 ad occuparsi, con una certa costanza, del video
d¹artista, curandone sia l¹aspetto della produzione che
quello più propriamente della diffusione attraverso
l¹organizzazione di mostre e rassegne, quali ad esempio
Videotapes, 809° Mostra del Cavallino, del 1975,
o Identite-Identità, del 1976. Ancora a Venezia,
dal 7 al 12 novembre 1977, la Biennale di Venezia organizza
alla Ca¹ Corner della Regina Gli Art/tapes dell¹ASAC,
una rassegna internazionale di videotapes d¹arte su grande
schermo a cura di Maria Gloria Bicocchi, in cui sono presentati,
degli italiani, i lavori di Pirelli, Calzolari, Del Re,
La Rocca, Chiari, Luigi Viola, Paolini, Boetti, Ambrosini,
Nannucci e Dias85. E sempre
a Venezia, nel maggio 1978, ha luogo una grande mostra alla
Galleria Bevilacqua La Masa dal titolo Nuovi Media: fotografia,
cinema, videotape, performance, a cura di Sartorelli
e Toniato. Mentre a Bari, nel marzo 1977, Celant organizza
nell¹Expo Arte, Offmedia. Nuove tecniche artistiche:
video, disco, libro, da cui nasce l¹omonima pubblicazione,
che costituisce anche uno dei primi tentativi di storicizzazione
della pratica "videoartistica"86.
A Ferrara, d¹altra parte,
dove già dal 1972 ha inizio l¹attività del
Centro Video Arte del Palazzo dei Diamanti, diretto
da Lola Bonora, ha luogo dal 25 al 29 maggio 1975, presso
il Centro Attività Visive del Palazzo dei Diamanti,
a cura della stessa Bonora, il Third International Open
Encounter on Video, manifestazione itinerante organizzata
dal CAYC di Buenos Aires, nel quale fra l¹enorme mole di
video internazionali sono presenti anche i lavori di Lola
Bonora, Cardazzo e Stuffi, Crivelli e Naldi, Chia, Chiari,
Dias, Fabro, Germanà, Giaccari, Gruppo OB, La Pietra,
La Rocca, Marchegiani, Mattiacci, Merz, Mosconi, Nagasawa,
Nannucci, Nespolo, Paolini, Parmiggiani, Patella, Plessi,
Ravedone, Sambin e Vaccari. E sempre a Ferrara, nel novembre
1979, ha luogo nella Sala Polivalente Video Show Ferrara,
organizzato da Cardazzo della Galleria del Cavallino di
Venezia e dalla Bonora del Centro Video Arte, nel quale
sono presentate fra le altre videoperformance di Cosua,
Sartorelli, Kubisch e Plessi, Sambin, e Luigi Viola87.
Mentre sull¹altro versante, a Genova, ha luogo nel Palazzo
Ducale verso la metà del 1979 la rassegna Words.
L¹uso del linguaggio nell¹arte dell¹ultimo decennio,
a cura della Puliafito, in cui è presentato, degli
italiani, il lavoro in video di Chia, Chiari, Gianikian
e Ricci-Lucchi, Merz, Ontani, Paolini, e Pozzi.
Si chiude quindi il decennio
con una serie di mostre storiche di notevole portata, come
a Roma, presso il Museo del Folklore Romano nel maggio 1979,
la rassegna Video ¹79: video - the first decade,
a cura di Alessandro Silj, nella quale vengono presentate
340 opere, dalla produzione improntata all¹impegno sociale
e politico (il gruppo Videobase, della Lajolo, Leonardi
e Lombardi), alle contaminazioni con il cinema (Jean-Luc
Godard), fino all¹uso creativo e specificamente artistico
del mezzo dove fra gli altri figurano Agnetti, Paolini,
Parmiggiani, Pirelli, Calzolari, Boetti, Nannucci, Daninos,
Chia, Mauri, La Rocca, Kounellis, Del Re, Pozzi, De Laurentis,
Scabia, Caruso, Cardini, Chiari e Sambin. Questa mostra
mette in evidenza, così, la molteplicità degli
usi del video, l¹ambiguità del suo carattere in molte
produzioni degli anni Settanta, ma soprattutto essa diventa
il momento conclusivo di un particolare e diffuso atteggiamento
in cui si credeva che l¹uso di questo mezzo in una certa
direzione avesse potuto contribuire ad un cambiamento culturale
e sociale unendo nelle sue opere arte, esistenza, ideologia
e critica.
Sul versante della più
"ufficiale" ricerca artistica si muove invece,
sempre a Roma, la grande mostra storica al Palazzo delle
Esposizioni, nel febbraio-aprile 1981, Linee della ricerca
artistica in Italia 1960/1980, a cura di Ponente, in
cui è presente una sezione dedicata agli "sconfinamenti"
dell¹arte nel cinema e nel video, a cura di Fagone, e dove
fra le numerose proposte del "cinema d¹artista",
troviamo i lavori in video di Luigi Viola, Sambin, Plessi
e Kubisch.
Intanto a Torino, nell¹aprile
1980, ha luogo Videoarte a Palazzo dei Diamanti 1973/1979,
a cura di Janus, una mostra riassuntiva della produzione
del Centro Video Arte di Ferrara, in cui si propone una
esplicativa distinzione tra le opere di "videoarte"
(con lavori di Plessi, Cintoli, Maurizio Bonora, Marchegiani,
Kubisch, Zoccola, Sartorelli, Giuman, Lazzarini, Marocco,
Cosua, Gianikian e Ricci-Lucchi, Goberti, Lola Bonora, Kuchta,
Vigo, Xerra, Sarfaty e Janus), le "videoregistrazioni"
di performance (fra cui Cavallini, Lombardo, Chiari, Bussotti,
Marangoni, Ambrosini e Costa), i "videodibattiti",
le opere di "videosociale" e infine i lavori di
"videodidattica". Come scrive Janus: "Il
primo gruppo, intitolato Videoarte, contiene i videotapes
che affermano una propria originalità artistica sia
sotto il profilo estetico e sia sotto quello dei contenuti
o di entrambi. Abbiamo qui nastri che sono stati creati
in previsione di un lavoro autonomo, sotto lo stimolo d¹una
propria invenzione, d¹una propria intuizione, che cercano
quindi di usare il mezzo tecnico come il pittore usa il
pennello ed i colori e lo scultore l¹argilla o il marmo
[Š] La seconda sezione, dal titolo Videoregistrazioni,
ha lo stesso carattere creativo del primo, ma passa attraverso
un duplice stadio: vuole essere la registrazione d¹un fatto
o avvenimento artistico che è stato pensato soprattutto
per la rappresentazione visuale, su un palcoscenico o altrove
(comunque sempre fuori del laboratorio), che può
entrare o non entrare nella dimensione del video, ma in
ogni caso non ne è mai estranea. E¹ la continuazione
ideale d¹un momento precedente e ne è già
la sua conclusione"88.
Si può constatare, quindi, che non è così
semplice stabilire una netta e chiara differenza linguistica
tra le opere del primo e quelle del secondo gruppo, e anche
se esiste una distinzione riferita all¹intenzionalità
dell¹operazione dell¹artista, questa separazione spesso
non è possibile, come invece è chiaramente
possibile rispetto ai lavori degli ultimi tre gruppi89.
Ma al di là delle casistiche in cui si suddivide
questa mostra, adottate per "rendere più chiaro
il processo di sviluppo verso cui tende questo mezzo",
come sottolinea Janus: "Si tratta d¹un episodio fondamentale
per l¹arte contemporanea non solo perché strettamente
collegato all¹evoluzione della televisione, ma perché
in stretto rapporto con la nostra maniera di vivere. Questa
rassegna offre un ampio esempio di quello che è accaduto
in Italia, ma anche di quello che accadrà ancora
domani e della curiosità sempre più viva che
circonda l¹uso di questo mezzo"90.
Concludiamo questa carrellata
di eventi "ufficiali" con la grande rassegna Camere
Incantate. Video cinema fotografia e arte negli anni ¹70,
a cura di Fagone, che si svolge a Milano nel Palazzo Reale
tra maggio e giugno 1980, in cui è presente il pacchetto
ferrarese sopra citato, con inoltre il lavoro di Sambin,
e un cospicuo numero di "videoinstallazioni" e
"videoperformance", fra le quali i lavori di Plessi,
Viola, Mauri, Carpi, Coleman, De Filippi, La Pietra, De
Freitas e Vaccari. E come scrive Rossana Bossaglia in un
articolo del 1980 dal titolo L¹arte attraverso la Camera
incantata: "La mostra, progettata e diretta da
Vittorio Fagone, raccoglie esempi di body-art, narrative
art, comportamentismo, concettualismo in senso lato e fenomeni
affini; li raccoglie però non in quanto tali, bensì
in quanto intesi a utilizzare i mezzi foto-video-filmici,
all¹insegna dell¹iterazione e del prolungamento dell¹effetto
espressivo, affidato in prima istanza alle performances,
o della combinazione degli effetti in installazioni che
spesso mescolano le varie tecniche per ottenere un maggior
stimolo percettivo e l¹ideale congiungimento della presenza
immediata del segno con la sua riproduzione"91.
b. Biennale Internazionale
d¹Arte di Venezia, 1970/1980
Da una ricognizione della
Biennale di Venezia, attraverso l¹analisi della documentazione
relativa alla rassegna veneziana nell¹arco temporale che
va dal 1970 al 198092,
assunto come campione per la riflessione sulla situazione
artistica e socio-culturale di quel decennio, è possibile
giungere alle seguenti conclusioni:
- Nei primi anni Settanta
è ancora forte l¹interesse per le nuove tecnologie,
per l¹influenza dei nuovi mezzi di comunicazione, e per
l¹utilizzo di questi ultimi in un contesto estetico. Ugualmente
forte è l¹aspetto politico e sociale dell¹operare
artistico che si muove per lo più secondo una pratica
nomadica dell¹uso dei media, anche non convenzionali (appunto
"intermedia" e "extramedia" per usare
le parole di Enrico Crispolti93).
- Verso la metà degli
anni Settanta l¹interesse si sposta maggiormente sulla componente
sociale e su un¹ipotesi di ricostruzione e riproposizione
delle problematiche riguardanti il rapporto arte-ambiente
(in una connotazione politica oltre che estetica). Permane
il carattere intermedia, mentre si fa più forte l¹esigenza
di una metodologia extramedia dell¹operare artistico.
- Sul finire dei Settanta,
digerite le tematiche scritte sopra, si assiste ad un progressivo
recupero delle soluzioni oggettuali e tradizionalmente legate
al sistema dell¹arte, nonché la ricostituzione degli
specialismi e degli ambiti di intervento fortemente delimitati.
Si procede inoltre alla "sistematizzazione" delle
esperienze "anti-formali" che hanno in qualche
modo attraversato e caratterizzato il mondo dell¹arte di
questo decennio.
L¹uso del video come mezzo
di comunicazione estetica risente inevitabilmente di questo
andamento generale, ma per una più approfondita analisi
soffermarci velocemente su ognuna delle edizioni della Biennale
di Venezia svoltesi nel decennio in questione.
La 35° edizione della rassegna
veneziana offre un interessante aspetto di apertura alla
tecnologia e alla sperimentazione, in senso anche epistemologico,
con la sezione Ricerca e progettazione. Proposte per
una esposizione sperimentale, a cura di Apollonio,
Caramel e Mahlow, in cui vengono esplorati sia gli aspetti
della comunicazione, sulla scia delle teorizzazioni di McLuhan,
che le possibilità offerte dai nuovi media, ma anche
le problematiche connesse alla derivazione di metodologie
dall¹ambito scientifico, le prime immagini computerizzate,
i primi sistemi televisivi a circuito chiuso, ma soprattutto
si constata la tendenza alla "cerebralizzazione d¹ogni
fenomeno artistico"95,
fino al rifiuto totale dell¹oggetto artistico stesso. Per
avere un¹idea vediamo cosa scrive Apollonio nella presentazione:
"Uno dei temi di maggiore impiego per attaccare la
mostra riguarda la abdicazione dell¹arte (magari dell¹Arte)
di fronte al prevalere sgominante della tecnologia, di cui
gli organizzatori avrebbero celebrato con ingenuità
pari alla connivenza il trionfo indiscutibile. Ciò
sarebbe vero se l¹introduzione al catalogo generale della
35° Biennale non dichiarasse che "il ricercatore scientifico
è pari, a pieno titolo, al ricercatore estetico"",
mentre Caramel, nel testo L¹espansione dell¹arte,
scrive: "Così è indubbio che il progresso
della scienza e della tecnologia, con le sue conseguenze
ed implicazioni, ha non solo offerto nuovi mezzi e nuovi
materiali e quindi nuove possibilità, ma ha scosso
in profondità ¯ anche attraverso i nuovi mezzi ed
i nuovi materiali ¯ le tradizionali metodologie e, con esse,
le strutture su cui queste poggiano"96.
Ma la dichiarazione più interessante ce la offre
uno degli artisti presenti alla mostra, che scrive: "In
attesa che la tecnica ci fornisca una televisione a tre
dimensioni posso oggi fare un esperimento con la televisione
a colori e un nastro magnetico video mescolando le proprietà
elettroniche della televisione e la luce laser prodotta
direttamente nella telecamera. Il medium per mezzo dei media.
E¹ riprodurre quello che non si è mai visto prima"97.
In definitiva anche se non
sono ancora presenti vere e proprie opere video98,
possiamo comunque constatare la presenza di un clima e di
un atteggiamento che abbiamo visto essere determinante per
la pratica del video in arte.
L¹edizione successiva, nell¹estate
1972, della Biennale di Venezia, in continuità con
l¹interesse dimostrato due anni prima per l¹uso dei nuovi
mezzi nella pratica artistica, presenta una sezione video
curata da Gerry Schum, nel quale vengono trasmessi diversi
video di artisti internazionali, tratti dai suoi film televisivi
Land Art e Identifications, e fra cui i lavori
di De Dominicis e Mario Merz. Anche nel padiglione Italia
viene utilizzato il video: nella registrazione a circuito
chiuso di Olivotto, con la collaborazione tecnica di Giaccari,
e ancora nei lavori comportamentali di De Dominicis. Inoltre
all¹interno della Biennale viene aperto un "video-laboratorio"
per consentire agli artisti la realizzazione di "video-oggetti",
ma forse si può già parlare di "video
d¹artista", poiché anche se questi lavori sono
strettamente legati al "comportamento" e alla
"processualità", lo sono in un modo che
non può essere reso attraverso altri media, stabilendo
così un rapporto di interscambio tra le possibilità
del mezzo video e le possibilità dell¹operazione
artistica. Ma vediamo cosa scrive Gerry Schum nella presentazione
della sezione video della Biennale: "In base a un¹organizzazione
fornita dalla Videogalleria Gerry Schum e su indicazioni
critiche fornite dallo stesso Schum e da Renato Barilli,
molti artisti avranno la possibilità di mostrare
e produrre direttamente video-oggetti nel corso della Biennale
di Venezia, all¹interno del padiglione italiano. Nell¹ambito
del confronto "opera o comportamento" ci sarà
una mostra video che presenterà video-oggetti di
artisti d¹avanguardia di varie nazionalità. Queste
opere saranno programmate in permanenza su una serie di
schermi televisivi. In concomitanza con questa mostra verrà
organizzato un video-laboratorio. Il mezzo televisivo risulta
straordinariamente atto a registrare e trasmettere processi,
atteggiamenti, ovvero appunto "comportamenti".
I video-oggetti realizzati in questo laboratorio varranno
particolarmente a evidenziare il contrasto ovvero il dualismo
fra le tradizionali opere d¹arte risultanti da attività
e tecniche "artistiche" da una parte, e l¹arte
intesa come processo o performance dall¹altra"99.
Mentre, d¹altro canto, nella sezione Italia, dove appunto
si svolge il confronto tra opera e comportamento, Barilli
si interroga proprio sul rapporto tra comportamento e sua
documentazione: "E per esempio, non si può già
cogliere qualche tendenza alla fissità del prodotto
anche entro questo stesso ambito di ricerche comportamentistiche?
Non per niente abbiamo sentito il bisogno di allargare la
loro documentazione ricorrendo anche a una sala televisiva
e a un¹esposizione di libri "d¹artista". E i video-nastri
o i libri inventati sono indubbiamente dei modi di oggettivare
la fluidità del comportamento"100.
Ma probabilmente la fluidità del comportamento trova,
nell¹oggettivazione del video, una corrispondenza proprio
con i fondamenti fisici del linguaggio e dell¹immagine elettronica
(e cioè il flusso di elettroni in continuo movimento
all¹interno dello schermo), cominciando così a determinare
i primi caratteri di una "estetica video".
La Biennale veneziana del
1974 si presentata senza la sezione Arti Visive, proponendo
degli eventi, spettacoli, o meglio azioni sceniche, dalla
forte caratterizzazione ideologica e politico-sociale. Le
manifestazioni, raccolte sotto il titolo generale Per
una cultura democratica e antifascista, si muovono per
lo più in direzione della documentazione storica
e di cronaca, attraverso l¹uso di mezzi audiovisivi quali
il cinema e il video, e con ampia apertura alle proposte
dei collettivi e dei gruppi di base. Un¹attenzione particolare
è dedicata all¹uso del videotape, soprattutto dalle
realtà di base, e al di là di ogni interesse
specificamente artistico, come dimostra la presenza del
"Programma VT" (con videotape del Collettivo cinema
militante di Torino, Collettivo cinema militante di Milano
e Gruppo audiovisivi di Bologna) nella sezione Cronaca
sul fascismo, oppure nella sezione Cinema comunicazione
intervento, gestita dalle associazioni culturali di
base, la presentazione dei programmi "Il videotape:
esperienze" e "Il videotape: interventi".
La pratica del video, per le sue caratteristiche specifiche,
diventa allora luogo d¹incontro e di contaminazione tra
le proposte politico-rivoluzionarie dei gruppi militanti
e le proposte estetico-rivoluzionarie degli artisti.
Prima di passare alla Biennale
del 1976, però, volevo soffermarmi sull¹intervento
di Dorfles in 7 Contributi, nell¹Annuario
1975 della Biennale di Venezia, dal titolo Condizioni
e ruolo delle arti contemporanee nella crisi di trasformazione
del mondo. Radio e Televisione nella cultura e nella società
d¹oggi, in cui appare evidente come una istituzione
artistica quale la Biennale debba necessariamente interessarsi
a quelli che sono gli aspetti artistici del mezzo televisivo,
a quella che ormai viene definita come "videoarte".
Scrive Dorfles: "La TV non è solo trasmettitrice
ma può essere anche creatrice di opere d¹arte specifiche.
Altro è servirsi del medium come trasmettitore
di eventi artistici già esistenti come tali o più
o meno "ridotti" al linguaggio televisivo, e altro
trasmettere opere create appositamente con la TV per la
TV, che possono esistere e aver vita soltanto attraverso
di essa", e conclude sottolineando che: "parlare
di "pittura" e "scultura", quando più
spesso si tratta di fotoriporti o di video-tapes;
parlare di teatro quando molto spesso si tratta di spettacoli
e di performances dove la voce è assente e
tutto si manifesta a livello del gesto o dell¹atteggiamento
corporeo [Š] ci dimostra, da un lato, l¹importanza oggi
assunta dagli inter-media, dalla frammistione tra
i diversi mezzi espressivi, dall¹altro, il predominio dei
mass media per la propagazione, la diffusione, e
la stessa creazione di molti fenomeni espressivi a carattere
artistico. Ma tutto ciò ci dice ancora una cosa:
come anche i media audiovisivi possano assurgere a livello
artistico in maniera autonoma e come, dunque, non possano
più essere ignorati in una grande manifestazione
dedicata a tutte le arti dei nostri giorni"101.
La Biennale di Venezia del
1976 presenta una situazione artistica decisamente più
complessa, a partire dal ruolo dell¹artista, che già
diventato "operatore culturale visivo", assume
ora la funzione di "provocatore di autocoscienza culturale
altrui", un "co-operatore" che provoca la
cosciente partecipazione del "fruitore"; il suo
campo d¹azione e di intervento è quello dell¹"ambiente
come sociale", ma come scrive Crispolti: "Non
si tratta di surrogare con ragioni puramente di natura sociologica
o puramente d¹azione politica, come neppure di natura puramente
antropologica, l¹operazione visiva tradizionale, ma di rappresentare
in senso documentario esauriente, e in un tentativo molto
attuale e per la prima volta proposto con tale ampiezza
problematica, il quadro fenomenologico di queste proiezioni
dell¹operatore culturale, e visivo in particolare, nel contesto
sociale, in un¹esperienza cioè al di fuori dei termini
canonici del consumo dell¹arte: artista ¯ oggetto estetico
¯ galleria d¹arte privata o museo ¯ fruitore/collezionista"102.
Queste "esperienze-opera" sono quindi inevitabilmente
documentate attraverso mezzi audiovisivi, per cui il video
entra nel contesto dell¹arte, ma attraverso l¹uscita dell¹opera
dal contesto dell¹Arte, e cioè non per le sue qualità
estetiche ma per la sua immediatezza documentaria103.
Altro aspetto rilevante
che emerge in questa edizione della Biennale è il
mutato rapporto degli artisti con l¹uso dei propri mezzi
(convenzionali e non), in cui "nessuno può più
sottrarsi alla propria responsabilità personale al
momento della scelta della forma, rimandando a sistemi di
valori convenzionali", in quanto "lo stile non
è più sufficiente a definire un talento artistico;
è il talento artistico che inventa lo stile"104,
e quindi la scelta del mezzo di espressione usato dall¹artista
dipenderà proprio da ciò che dovrà
essere espresso, "dall¹urgenza del momento comunicativo",
al di là quindi di un uso formalistico e feticistico
del mezzo in quanto tale105.
Evidentemente ciò comporta sia un maggiore avvicinamento
degli artisti all¹uso del video, ma anche e soprattutto
il rifiuto di approfondirne le peculiarità e le possibilità,
e in definitiva il linguaggio stesso.
Nella mostra storico-critica
Sei stazioni per Artenatura. La natura dell¹arte,
alla Biennale del 1978, a cura di Bonito Oliva, non viene
presentata alcuna opera video, a parte nella stazione "La
convenzione della visione" in cui sono presenti i lavori
di due grandi artisti che hanno usato il video con una certa
costanza e sempre ad un alto livello: mi riferisco a Set
of coincidence (1974) di Peter Campus e Performance
corridor (1968) di Bruce Nauman106.
Nella mostra Dalla natura all¹arte, dall¹arte alla natura
ugualmente scarso appare l¹interesse per la pratica del
video; nel padiglione Italia è presente Chiari con
un lavoro del 1974, ma ancora come semplice documentazione
di una performance, mentre molta più attenzione è
invece dedicata all¹uso del medium fotografico. Nella sezione
"Retrospettive", in quella dedicata a Cintoli,
viene proposta la "documentazione in videotape"
della performance Crisalide del 1972, sottolineando
di questo autore l¹aspetto della molteplicità di
interessi e di pratiche dei "media": "Il
suo operare è tipico di quel procedere "extra-media"
che rappresenta un momento della maggiore rilevanza nell¹operatività
estetica oggi"107.
Mentre la sezione dedicata agli audiovisivi si occupa quasi
esclusivamente dei rapporti tra arte e cinema in "Arte
e cinema", opere storiche, documenti e materiali attuali
(1916-1978), a cura di Fagone. Sicuramente il tema di
questa edizione della Biennale ha influito sulla presentazione
del materiale, e quindi sulla quasi totale assenza della
pratica video, ma si può anche ipotizzare che con
la progressiva definizione di quell¹ambito della ricerca
artistica denominato "videoarte", con il suo "desiderio
di autonomia", cominci anche la sua "marginalizzazione"
in rassegne e luoghi specifici e specialistici di fruizione
che sarà una caratteristica propria degli anni Ottanta108.
Una conferma di questa ipotesi ce la offre la stessa Biennale
di Venezia con l¹organizzazione, in un contesto separato
quanto isolato, di rassegne di "videoarte", come
ad esempio Gli Art/tapes dell¹ASAC, del 1977, e di
cui abbiamo già parlato sopra, e qualche anno dopo
Videotapes dall¹Australia, del 1980, entrambe svoltesi
alla Ca¹ Corner della Regina di Venezia.
Siamo infine giunti alla
Biennale di Venezia del 1980, una sorta di resoconto e ricostruzione
delle vicende artistiche che hanno attraversato gli anni
Settanta109, in cui è
presente un po¹ di tutto, ma soprattutto molta pittura e
scultura, contrariamente a quelle che sono le letture teoriche
fatte dai diversi critici intervenuti al catalogo che in
qualche modo puntano tutte a constatare e sottolineare questa
"grandiosa tendenza alla smaterializzazione dell¹arte"
degli anni Settanta110,
logicamente poco esponibile. Ma vediamo cosa propone la
Biennale. La sezione Film Video presenta alcuni documentari
di mostre prodotti dalla RAI, le "Mostre televisive
di Gerry Schum", con i lavori di Anselmo, Boetti, Calzolari,
De Dominicis e Merz, e "Film e videoproduzioni di artisti
che lavorano in performance", in cui non è presente
nessuno dei lavori italiani. Nel padiglione Italia, nonostante
i riferimenti di Fagone, commissario della sezione, alla
forte componente audiovisiva della pratica artistica italiana
degli anni Settanta, i lavori recenti degli artisti presentati
sono quasi tutti improntati ad un ritorno a soluzioni oggettuali
di tipo pittorico o scultoreo. L¹unica eccezione è
costituita dall¹installazione audiovisiva di Cioni Carpi.
Molto interessante si rivela, invece, il padiglione del
Canada, con una selezione di opere esclusivamente in video,
da Campbell alla Steele, da Falardeau e Poulin al gruppo
General Idea e a Sherman. Queste creazioni video hanno una
propria autonomia, in cui il mezzo è utilizzato per
le sue qualità estetiche e per le sue caratteristiche
specifiche, in un¹altra direzione rispetto all¹uso del video
come pura documentazione o costitutivo di un¹azione in cui
l¹elemento predominante è comunque sempre "l¹artista".
Possiamo quindi constatare che in queste opere il medium
video assume una certa importanza, viene esplorato, analizzato,
praticato, diversamente da come viene agito nella pratica
artistica italiana, in cui il medium assume un valore relativo,
un¹importanza secondaria, rispetto all¹urgenza comunicativa
del momento, in una sorta di "impulsività incoerente"
di mezzi e di stile, ma chiara e lucida di cosa fare e dire,
propria di una certa fetta degli artisti italiani di quegli
anni111. E le ragioni
sono ovviamente culturali e sociali, come anche politiche,
ma sono legate in parte anche alla componente "tecnologica"
stessa di questo mezzo e quindi ancora a motivi politico-istituzionali
di gestione dei finanziamenti dati alla ricerca in determinati
campi piuttosto che in altri. E in Canada la situazione
è stata molto diversa da quella dell¹Italia, come
ci fa notare Ferguson, uno dei commissari del padiglione
Canada: "La produzione video in Canada da parte di
artisti e produttori indipendenti è stata integrata
totalmente nelle attività sostenute dallo Stato,
soprattutto dal Canada Council. [Š] Infatti, il Council
creò subito una divisione dedicata al video entro
la propria sezione delle arti visive. Nello stesso tempo,
anche le riviste alternative e gli "spazi alternativi"
iniziati da artisti cominciarono a ricevere fondi. Questo
sistema trilaterale di sostegno contribuì alla produzione
di una larga quantità di materiale video e alla coesione
di indirizzo fra gli specialisti del video"112.
c. "Fluxus"
e "Arte povera": "performances" e comportamento
nella pratica video degli artisti italiani
Abbiamo visto che la pratica
del videotape da parte di artisti in Italia avviene in linea
di massima secondo due prospettive: una connessa alla necessità
di documentazione di performances e azioni comportamentali,
in cui il dispositivo video da elemento esterno diventa
sempre più una componente imprescindibile dell¹opera
stessa, l¹altra più propriamente creativa, nella
specificità del nuovo mezzo e attraverso un¹operazione
di lavorazione dell¹immagine, sia nella struttura semantica
che nella sua specifica struttura fisico-elettronica. Tale
distinzione, proposta in sede teorica, non è comunque
sempre così facilmente applicabile, in quanto i due
campi a volte tendono a mescolarsi, arrivando a fondere
in una sola opera l¹esplorazione del corpo del performer
con l¹esplorazione delle possibilità creative del
mezzo stesso, come per esempio in alcuni dei primi lavori
in video di Plessi e Chiari, ma in qualche modo anche di
Pistoletto (il video per Gennaio 70).
E¹ comunque all¹interno
di quella che abbiamo ipotizzato come prima prospettiva,
e cioè l¹uso del video come documentazione di azioni
di "comportamento", che cominciano a muoversi,
e si muoveranno successivamente, la maggior parte degli
artisti italiani che operano con il video, i quali provengono
o sono strettamente legati all¹ambiente dell¹esperienza
italiana di Fluxus o a quello in qualche modo parallelo
dell¹Arte povera.
In Italia, come abbiamo
già accennato, l¹esperienza del Fluxus arriva solo
marginalmente, ma lascia dietro di sé tutta una serie
di stimoli e prospettive di apertura a nuove possibilità
linguistiche ed operative, che trovano una continuazione
e parallela dimensione nella ricerca di una energetica primaria
portata avanti dall¹Arte povera. Gli artisti che operano
direttamente nel segno di una strategia Fluxus non sono
tanti, e per quanto ci riguarda vanno ricordati almeno Simonetti,
Chiari e Nespolo, ufficialmente inseriti nel "Diagram
of Fluxus" di Maciunas, e Nannucci, Boetti, Pistoletto
e Baruchello, indirettamente legati a Fluxus per vicinanza
di spirito e atteggiamento, o per sporadici ed occasionali
contatti113.
Come abbiamo visto nel Capitolo
I, Fluxus si rivela fondamentale per la pratica "videoartistica"
internazionale114, ed
anche in Italia contribuisce a determinare quel clima di
apertura alla dimensione performativa delle proposizioni
artistiche e di liberazione in direzione di una prospettiva
operativa di tipo nomadico, consentendo così l¹esplorazione
del mezzo video, spesso associato alla componente musicale
fortemente presente nel Fluxus internazionale così
come nella variante italiana. In questa direzione si muove
appunto l¹esperienza di Gianni-Emilio Simonetti, ma soprattutto
quella di Giuseppe Chiari.
Simonetti incomincia dalla
metà degli anni Sessanta a muoversi nell¹ambito gestuale,
dedicandosi in seguito a quella che si può definire
"una quasi-carriera da performer", organizzando
una serie di concerti Fluxus115.
Nell¹aprile 1967 viene presentata, dalla Galleria Il Punto
di Torino, una tre giorni dal titolo Les mots et les
choses. Concert Fluxus Art Total, in cui lo stesso Simonetti,
con Vautier e Nespolo, esegue pezzi di diversi artisti Fluxus,
mentre nell¹ultima serata è presente Boetti, che
qualche mese dopo sarà a Genova per la prima mostra
di Arte povera organizzata da Celant alla Galleria La Bertesca-Masnata116.
Parallelamente a Firenze opera, sempre nell¹ambiente musicale,
Chiari che inizia la sua attività Fluxus con Gesti
sul piano, azione eseguita nel 1962 al Fluxus Internationale
Festspiele Neuester Musik di Wiesbaden, e con il Teatrino,
eseguito durante il convegno Arte e Tecnologia a
Firenze nel 1965. Mentre, ancora a Firenze, dal 1967 Nannucci
prende indirettamente contatto, sempre nell¹ambito delle
esperienze musicali e di poesia sperimentale, con il Fluxus
internazionale. Ma gli stimoli prodotti dalle nuove aperture
prospettate dal Fluxus sono evidenti anche in autori come
Baruchello a Roma, nel suo operare attraverso diversi media
e nel carattere aleatorio di certe operazioni direttamente
connesse al suo interesse per Cage e Brecht117;
e a Torino in artisti quali Nespolo, Pistoletto e Boetti118.
Gli artisti sopra citati
si avvicineranno tutti, chi più chi meno, alla pratica
del video ed ognuno con il proprio personale rapporto con
questo mezzo e le sue possibilità d¹impiego. A partire
da Simonetti che progetta per la mostra Gennaio 70
un videotape, dal titolo Camera folta (a, a, a,),
in cui una "telecamera modificata" riprende "il
luogo e gli oggetti come sono stati trovati nel laboratorio
il giorno della registrazione", proponendo così
un interessante rapporto tra la documentazione di una realtà
quotidiana come si presenta e la sua alterazione mediante
la modificazione dell¹occhio che la vede (la telecamera
modificata).
Mentre Pistoletto, anch¹esso
presente alla mostra bolognese con un video dal titolo Riflessioni,
usa il mezzo televisivo per analizzare i "misteri della
specularità", realizzando con esso una sorta
di espansione della sua ricerca estetica fondata sul concetto
di specularità, che lo ha portato ad usare gli specchi
come elemento ricorrente e che trova nel gioco di rimandi
operato dal "feed-back" video una sorta di espansione
ulteriormente virtuale. Nella rubricazione proposta da Barilli
per le opere video della mostra Gennaio 70 troviamo
il lavoro di Pistoletto, affiancato da quello di Prini,
sotto la dicitura "Metateatro", e in cui si legge:
"Dapprima il gioco è semplice, la camera sta
nascosta, si limita a inquadrare una normale e ovvia superficie
speculare data da uno specchio: uno specchio su cui Pistoletto
fa avanzare lentamente la sua immagine conciata in modo
un po¹ istrionico [Š] Per un breve tratto il vero e il suo
Œdoppio¹ si affiancano, poi exit il Œdoppio¹ e il
Œvero¹ termina la sua processione rivoltandosi verso il
pubblico e presentandoglisi di faccia. E¹ questo un prologo
teatrale, perfino gigionesco, a un gioco più sottile
e specificamente visivo che comincia quando la Œcamera¹
esce allo scoperto, abbandonando la sua posizione privilegiata
di spettatore olimpico, e si dà a riprendere il monitor,
sul quale d¹altra parte che cosa mai può comparire,
se non appunto la camera nell¹atto di riprenderlo? I due
occhi si colgono di infilata, rimbalzano l¹uno nell¹altro,
si propagano in una serie infinita di sdoppiamenti e di
rinvii; al limite, il raggio luminoso così infittito
e rimandato tra i due apparecchi che se lo palleggiano lungo
un unico asse esce in una nota abbagliante quasi insostenibile
allo sguardo. Poi, la camera abbandona quel bruciante tête-à-tête
col suo partner e si dà a gironzolare per la stanza,
affrontandone il materiale plastico con lunghe e lente carrellate.
Qui in effetti, come qualcuno ha subito notato, si rischia
di scivolare nell¹ambito di un normale uso cinematografico
del mezzo con effetti di ottima lega, ma non nuovissimi,
sulla linea della nouvelle vague. Ma quando lo Œsguardo¹
si rituffa in quella sorta di braccio di ferro con il suo
ricevitore, quando cioè si ristabilisce il corto-circuito
tra la camera e il monitor, chi può negare
che si rientri nel giro di un acuto, sottile sfruttamento
del mezzo in quanto ha di più specifico?"119.
Proprio nella capacità di giocare sul rapporto speculare
tra la videoregistrazione e la realtà, innescando
un ambiguo gioco di rimandi reciproci, si realizza una delle
caratteristiche più prossime alla natura di questo
mezzo, e Pistoletto ne ha colto in pieno il senso nonostante
il suo uso occasionale e certamente non specialistico120.
Ma Pistoletto ha realizzato
anche un altro video, precedente a quello per la mostra
bolognese, il quale partecipa di un clima che investe buona
parte della ricerca visuale internazionale di quegli anni:
e cioè la curiosità e insieme l¹avversione
verso la televisione121.
Di questo lavoro, dimenticato dall¹autore stesso, Fagone
in L¹immagine video scrive: "In
un video di Michelangelo Pistoletto del 1969, che è
stato possibile rivedere di recente al Festival "Video
d¹autore" a Taormina [1987] dopo quindici anni dall¹ultima
presentazione, si vede una bella ragazza che dal monitor
sfida, con l¹insistenza un po¹ ostinata e corriva di tutte
le "operazioni concettuali" di quegli anni, chi
guarda a dire cosa sta vedendo. Dopo aver formulato una
decina di volte la domanda con suasiva e non eludibile pertinacia,
la ragazza spiega "voi state vedendo la televisione".
Chiarisce, non me, la televisione. E ancora: io posso parlarvi,
voi potete solo ascoltarmi. E¹ un colloquio dispari, un
canale sempre interrotto. Conclude: non illudetevi; voi
non vedete me, voi vedete il mondo in forma di televisione:
e lì dentro, anche me"122.
Anche Boetti è fra
gli artisti che realizza un videotape per Gennaio 70,
in questo lavoro dal titolo Numerazione l¹autore
"conta" la serie dei numeri primi ritornando ogni
volta a zero e aumentando di uno, accompagnando la numerazione
con i battiti su uno strumento a percussione. Barilli, nella
rubricazione dei video per la mostra bolognese, inserisce
questo lavoro nella casistica "Iterazione", assieme
al lavoro sulla serie di Fibonacci di Merz, ed infatti scrive:
"E¹ il trionfo della monotonia, la ricerca di un effetto
esasperante, provocatorio, nemico del canone estetico della
variazione piacevole, e quindi deciso a puntare sull¹ossessione.
Qui appunto si rivela di grande aiuto il carattere docile
e lineare del video-recording: quel che conta infatti
è la pura durata, che non ammette tagli, né
mutamenti di angolazione"123.
Ma di questo video va sottolineata soprattutto l¹importanza
dell¹elemento sonoro che accompagna il visitatore col suo
ritmo continuo: una sorta di "litania numerale"
la cui attenzione supera quella dell¹immagine visiva124.
Un aspetto decisamente interessante,
legato all¹ambito musicale e sperimentale di Fluxus125,
è proprio l¹esplorazione dei rapporti tra suono,
immagine e video, fortemente presente nelle ricerche di
alcuni artisti italiani già dai primi anni Settanta,
e che trova un terreno fertile soprattutto sul finire del
decennio. Tra questi spicca Giuseppe Chiari che comincia
ad usare il video per documentare le sue performance musicali
già dal 1968 con Concerto per donna, proseguendo
poi nei Settanta con una serie di videotape sempre più
accurati, da Gesti sul piano, del 1972, a Happening
sulla Tv, prodotto dalla Videoteca Giaccari di Varese
lo stesso anno, e ancora Il suono, del 1974, prodotto
dall¹Art/Tapes 22 di Firenze126,
o Discussioni sulla struttura e sulla sovrastruttura,
del 1977 e prodotto dal Centro Video Arte di Ferrara, fino
a Concerto per video, pianoforte, camera, monitor
del 1979, in cui il dispositivo video non è più
soltanto un semplice strumento di documentazione ma diventa
un elemento costitutivo dell¹opera stessa. Vanno ricordati
inoltre alcuni lavori della seconda metà degli anni
Settanta di Plessi, soprattutto in collaborazione con la
Kubisch, come ad esempio Tempo Liquido, del 1978,
o Tam Tam, del 1979, e i lavori di Sambin, quali
Spartito per cello (1974), dove il video viene usato
come partitura musicale, Duo (1979), e VTR &
I (1978), in cui l¹autore esegue delle vocalizzazioni
modulate che vengono registrate, sfasate e riproposte diverse
dai monitor127, oppure
la ricerca di Ambrosini con opere quali Videomusic,
del 1977, e Visivo/Visibile del 1979128.
In tutti questi casi il video consente di moltiplicare ed
espandere le possibilità espressive del suono e della
voce, mentre la musica, che ripeto è l¹elemento determinante
di queste performance, stimola le immagini ed è al
tempo stesso stimolata da esse.
In Italia, comunque, a partire
dai primi anni Settanta il "video d¹artista" è
legato, come abbiamo detto, più che all¹esperienza
Fluxus alle ricerche degli artisti "poveri"129,
che sperimentano il mezzo elettronico in una prospettiva
operativa autenticamente nomadica, "guerrigliera"
e proiettata verso la possibilità di una libera espressione,
nel rifiuto di ogni discorso univoco e coerente ritenuto
funzionale al "sistema", anche se in definitiva
"motivata del tutto individualmente"130.
Ma l¹aspetto interessante è proprio il realizzarsi,
nei lavori degli artisti "poveri", di una fusione
dell¹elemento naturale con l¹elemento artificiale, di una
"energetica primaria", in quanto atto, processo,
con la "secondarietà" dell¹oggetto e della
tecnologia elettronica, ma assunti fondamentalmente come
pretesto lessicale. Scrive Barilli: "Si dà una
specie di cortocircuito tra un ritorno a principi arcaici
e "poveri" come l¹utilizzo della forza animale,
o della crescita vegetale, o dell¹energia gravitazionale,
e principi "ricchi" ed estremamente sofisticati
come quelli insiti nello sfruttamento del neon e dell¹elettronica"
e continua: "muovendosi in una dimensione "reale"
non tanto di oggetti, di cose, quanto di processi, di atteggiamenti;
o di cose in quanto portatrici di processi e di atteggiamenti"131.
La mostra Gennaio 70,
di cui ho già parlato, documenta molto bene tale
situazione con la presenza di numerosi artisti dell¹ambito
"povero", anche se per molti di essi tale etichetta
finisce per risultare riduttiva se considerata alla luce
del lavoro complessivo da loro svolto, quali Kounellis,
Mattiacci, Fabro, Anselmo, Zorio, Mario Merz, Marisa Merz,
Prini, Penone, Paolini, Ceroli, Calzolari, e Pistoletto
e Boetti di cui ho già parlato. In questa occasione
tali artisti si confrontano con le possibilità offerte
dal medium video, quasi esclusivamente in rapporto alla
dimensione comportamentale, e connesse alla propria personale
poetica, ma dimostrando con ciò l¹ambiguo rapporto
con le "nuove tecnologie" esistente nelle pratica
artistica "povera": "Molti degli artisti
figuranti nell¹elenco degli invitati erano "assenti"
come ingombro materiale di opere, perché vi si sperimentava
per la prima volta su vasta scala una forma di presenza
tutta affidata a quella straordinaria banca di dati informativi
che è il video-nastro. [Š] E siamo al solito cortocircuito:
l¹uso arcaico-regressivo del corpo, della voce, il compimento
di elementari esercizi psico-motori, possono essere fissati
e conservati grazie ai più sofisticati sviluppi della
tecnologia"132.
Fra i video presentati ricordiamo
il lavoro di Fabro, Quid nihil nisi minus?, una sorta
di meditazione "barocca" sul nulla, "con
apparizione di roghi parziali in cui si consuma la mano
di un manichino" e inserito da Barilli nella casistica
"Montaggio" per la sua struttura "cinematografica"
nell¹accostamento di tante scene staccate133;
il lavoro di Calzolari, invece, viene inserito da Barilli
nel gruppo "Fissazione dell¹immagine" insieme
a quello di Ceroli e di Marisa Merz per la monotonia e l¹iterazione
dei gesti e delle immagini, del resto vicini al lavoro di
Mario Merz, con l¹aggiunta in quest¹ultimo della scansione
fonica del violino anch¹essa ripetitiva. Calzolari e Merz
saranno entrambi presenti nella mostra televisiva Identifications
di Schum e continueranno anche se occasionalmente a realizzare
dei video nel corso degli anni Settanta134.
Zorio e Anselmo, anch¹essi presenti nella mostra di Schum,
sono collocati da Barilli l¹uno nella rubrica "Taglio
casuale", assieme all¹operazione "landartistica"
di Penone, col video Fluidità radicale, in
cui l¹autore si fa riprendere in un ambiente di grandi ventilatori
all¹interno di un essiccatoio e pronunciando, nel bel mezzo
della loro azione vorticosa, la frase paradigmatica "fluidità
radicale". Anselmo, invece, è collocato nella
rubrica "Concettualità", accanto al lavoro
di Mattiacci sull¹idea di equilibrio, e dove l¹uso della
videoregistrazione consente la "concretizzazione"
di concetti quali ad esempio "il tempo che la luce
ci mette dal sole alla terra": "Gli otto e passa
minuti che l¹ombra di Anselmo, partita dallo Stromboli,
ci mette a giungere sul suolo sarebbero mentalmente inesistenti,
se appunto non ci pensasse la registrazione televisiva a
concretarli in una misurabile "durata" di vuoto
o di non-immagine sullo schermo"135.
Sempre nell¹ambito dell¹Arte
Povera, con aperture in direzione di un concettualismo mediterraneo,
si muove il lavoro di collaborazione televisiva di Pascali136
e l¹operazione di riduzione spazio-temporale del video di
Paolini dal titolo Unisono137.
Di quest¹ultimo, unico videotape realizzato dall¹artista,
Paolini, rispondendo alla domanda "Quali sono state
le motivazioni che l¹hanno portata a realizzare un videotape?",
scrive: "Più che di motivazioni in senso stretto,
fu proprio la sollecitazione convincente di Maria Gloria
Bicocchi a portarmi a sperimentare quel nuovo mezzo: ancora
una volta quindi cedetti, se così posso dire, alle
persone prima che al materiale. Certamente, va anche detto,
qualche curiosità per il video era nell¹ariaŠ.."138.
Ma torniamo ai lavori realizzati
per Gennaio 70. Anch¹esso del gruppo degli artisti
"poveri", Kounellis propone una pura e semplice
documentazione di una sua opera-azione dal titolo Fiori
di fuoco139. Barilli,
nella sua rubricazione, colloca questo video nella casistica
"Spettacolo-happening" e lo propone come "l¹uso
più proprio e specifico del mezzo, interamente abbandonato,
senza complicazioni Œconcettuali¹, al compito naturale di
fissare un¹azione in tutta la sua evidenza e flagranza"140.
Come è possibile vedere, nei primi approcci al video
ancora non si era delineata una piena consapevolezza delle
reali possibilità e modi d¹impiego di questo mezzo
in arte, per cui anche nella coscienza della critica il
carattere di riproduzione "oggettiva" di un evento
o di una azione si presentava come l¹uso più specifico
e più consono a un tale medium. Quindi il lavoro
di Kounellis trasposto in video acquista una propria valenza
e autonomia che gli consentono di essere riproposto per
tutto l¹arco degli anni Settanta, nei numerosi festival
di videoarte, come un¹opera a se stante, probabilmente al
di là dell¹intenzione dell¹artista stesso141.
Sul versante opposto, cioè
di un intervento diretto sul video o con il video, si muovono
invece Prini e Colombo, presenti entrambi alla mostra bolognese
Gennaio 70. Prini attraverso operazioni autoriflessive
e autodescrittive obbliga il mezzo televisivo a rendersi
accessibile, ne svela i meccanismi, e mentre a Bologna la
camera si cimenta in un "tête-à-tête"
con un televisore che trasmette se stesso all¹infinito,
giocando su ritmici spegnimenti dell¹uno e dell¹altra142,
a Monaco, nel 1971, la camera documenta letteralmente lo
smontaggio fisico dell¹apparato elettronico di un televisore
e come scrive Celant: "La registrazione di questo fatto
è regolata rigorosamente dalle leggi di scomposizione,
non è determinata a priori e dipende dagli elementi
costitutivi del mezzo. Il medium si esplicita e si degrada.
Attraverso un¹operazione sui generis si pone di fronte ai
suoi embrioni. Nell¹annullarsi si "vede""143.
Gianni Colombo in questa
direzione instaura un interessante e serrato dialogo proprio
con il medium elettronico, distaccandosi così dalle
proposizioni meno consapevoli e meno interessate al mezzo
degli altri artisti presenti alla mostra bolognese, anche
in virtù delle sue precedenti esperienze e ricerche
sulle possibilità di interazione tra arte scienza
e tecnologia nell¹ambito dell¹arte cinetica e programmata,
come esponente del Gruppo T di Milano. Tra le molteplici
possibilità di utilizzo del video Colombo sceglie
quindi quella dell¹intervento diretto sul dispositivo elettronico
e relative deformazioni del segnale (parallelamente alle
operazioni che Paik proponeva oltreoceano), programmando
l¹autogenerarsi di immagini astratte, e scavalcando in questo
modo il vincolo di una referenza ad una realtà esterna
al mezzo stesso. Segnali Vobbulati, che si presenta
come una sequenza di "patterns" geometrici che
si aggregano e si disgregano in un equilibrio caleidoscopico,
viene inserito da Barilli nella rubrica "Elettronica",
e di cui scrive: "Basta un nulla, un piccolo incidente
tecnico per far fuggire il flusso elettronico dalla gabbia
cui lo obblighiamo, e allora assistiamo allibiti, sui teleschermi,
ai balletti sfrenati che esso celebra. [Š] ottenendo brillanti
risultati di danze cinetiche, molto più rapide e
sciolte di quanto normalmente egli non ottenga attraverso
la costruzione di laboriosi apparati meccanici. Probabilmente
è stato, questo di Colombo col Œvideo-recording¹,
un incontro non sporadico e casuale, ma pieno di futuri
sviluppi"144. Ma
è lo stesso Colombo che in uno scritto per il catalogo
della mostra Gennaio 70 ci fa intravedere l¹ipotesi
di una continuità di esperienza tra l¹arte cinetica
e programmata e le sperimentazioni di video d¹artista: "Nella
convinzione che un oggetto destinato ad un uso visivo, qualunque
sia il significato che intende comunicare è in origine
una emittente di luce stimolante gli organi della visione
e quindi rappresenta un certo modo di organizzare la luce,
consentaneo ci appare l¹impiego, in tali oggetti, della
luce artificiale in quanto è il mezzo più
misurabile e diretto per intervenire nel processo ottico-percettivo
dell¹osservatore e ciò con massima economia negli
elementi presentazionali. Fra le numerose sorgenti di luce
artificiale di cui possiamo disporre il cinescopio tv è
una delle più complesse e internamente modulabili.
In questa esperienza ho scelto di utilizzare la televisione
quale possibilità per indagare Œsegnali¹ ottenuti
elettronicamente e non come strumento di registrazione di
oggetti ripresi dalla realtà"145.
Come fa notare anche Fagone
la ricerca di Colombo approda al video attraverso un percorso
che ne motiva, in modo non superficiale, l¹approccio al
nuovo mezzo, che si rivela dunque come un¹occasione di "esplorazione
e di verifica produttiva": "Colombo vi verifica
la sua geometria generante e allusa, mai "concreta"
nel senso classico, ma piuttosto riflessa e tagliente. Crescita,
espansione e rottura ridefinitoria degli equilibri della
percezione sono legati alle possibilità ottiche del
mezzo"146. Anche
per Vincenzo Agnetti, che assieme a Colombo realizza per
il "Telemuseo" di Eurodomus 3 l¹interessante esperimento
Vobulazione e bieloguenza NEG, il video si rivela
un¹occasione di esplorazione e di verifica produttiva, cui
l¹autore giunge da posizioni di ricerca molto affini: l¹interesse
per una produzione linguistica dematerializzata e comunicante,
una fisicità obliqua e contraddetta, le possibilità
di espansione sociale della comunicazione artistica, l¹intensificazione
di definizioni e dimostrazioni. Come afferma ancora Fagone:
"Agnetti vi trova un campo in cui l¹evidenza ha un
possibile, inedito, punto di distanza e la virtualità
di un¹originale risoluzione. Il video è luogo di
ambigue presenze e di sfuggenti, sottili, risonanze mentali"148.
Le proposizioni di Agnetti trovano allora nel mezzo televisivo
un supporto non oggettuale, smaterializzato, e quindi propriamente
concettuale, nel senso di una purezza di ascetico radicalismo
propria delle operazioni d¹oltreoceano, come si evince anche
dal video Documentario no. 2, del 1973149.
Accenniamo brevemente al
lavoro di Massimo Asnaghi che nella prima metà degli
anni Settanta opera direttamente sul mezzo televisivo, impostando
una riflessione, critica, su questo mezzo e sulle sue specifiche
comunicazionali. Sia nei Criptopacks, del 1970-71,
che nella Segregazione della comunicazione (1973-74),
quindi, il video cessa di essere un mezzo e diventa una
sorta di materiale, se non addirittura il soggetto e contenuto
dell¹opera stessa. Come scrive la Palazzoli nel catalogo
per la mostra Fotomedia: "Il gesto di Asnaghi
consiste nel segregare dei televisori funzionanti in un
bagno di cristalli fenolici con dentro sigillata l¹ultima
immagine da essi trasmessa. Si tratta di un silenzio simbolico
che ci induce a riflettere sul carattere passivo del messaggio
televisivo o, come dice Pierre Restany parlando della Segregazione
dell¹Immagine, del "carattere tanto profondamente demagogico
quanto illusorio del mito della comunicazione globale""150.
Sempre nella sezione "video-recording"
della mostra bolognese Gennaio 70 sono presenti i
lavori di De Dominicis, Cintoli e Patella, ormai fuori dal
circuito dell¹Arte povera, sulla scia di un "concettualismo
comportamentistico" leggermente obliquo rispetto alla
purezza di una dimensione esclusivamente mentale, quale
ci è proposta dagli esempi Anglo-americani (Kosuth,
Weiner, Kawara, Art & Language, ecc.). De Dominicis
ci propone una serie di azioni volte a convincerci della
propria assurdità: così Prestidigitazione,
Tentativo di volo, Tentativo di far formare dei
quadrati invece che dei cerchi intorno ad un sasso che cade
nell¹acqua, sono la documentazione di operazioni concettuali
che il video offre nella propria evidenza, come esempi concreti,
e nel quale si attende comunque il miracolo151.
E infine La morra cinese, operazione che Barilli
definisce come "l¹anti-metafora", il "concetto
barocco alla rovescio", e cioè il prendere alla
lettera un significato che è figurale già
nel linguaggio comune: "Magritte e i surrealisti "spostavano"
la corrispondenza tra il significante e il significato;
oggi, dopo tanti spostamenti semantici, l¹unico modo di
sorprendere ancora il pubblico è quello di ristabilire
tra il significante e il significato una corrispondenza
precisa"152. De
Dominicis realizzerà un altro video, nel 1972, dal
titolo Terza soluzione d¹immortalità, presentato
nella sezione "Video-tapes e films d¹artista"
della rassegna Contemporanea, a Roma tra il 1973
e il 1974, e infine Videotape, prodotto dall¹Art/tapes/22
di Firenze, nel 1974. Inoltre Tentativo di volo e
Quadrati cerchi saranno inseriti nel programma della
mostra televisiva Identifications di Schum e trasmessi
nel novembre del 1970 dalla tv tedesca153.
Cintoli, anch¹esso inserito
da Barilli nella casistica "Spettacolo-happening",
usa il video nel modo più semplice e naturale possibile,
si limita cioè a documentare la propria performance,
dal titolo Chiodo fisso, rendendola così accessibile
ad un pubblico più vasto. Diventa allora uno spettacolo
che si ripete all¹infinito nell¹azione dell¹impacchettamento
di un uomo nel cui involucro viene piantato il proprio "chiodo
fisso": "Imboccare vicoli ciechi, saltar fossi,
scavalcar siepi, superare ostacoli, subire violenze e torti,
inghiottire rospi, accumulare frustrazioni, trascinare pesi
morti, tutto per un chiodofisso: diventare sé stesso
a qualsiasi costo""154.
Molto più complessa, proprio nell¹utilizzo del medium
video, è l¹operazione di Patella Preghiere marziane,
in cui l¹artista stesso, nella veste di mago in versione
tecnologica, conduce un "rappresentante del volgo profano"
a scoprire assieme le tracce di un¹invasione spaziale. Il
video, in questo caso, assume una funzione definitoria di
spazi e situazioni, rivelandosi così, attraverso
una struttura quasi cinematografica, un importante elemento
di costituzione dell¹opera, e come scrive Barilli: "Il
ricorso a interni, a esterni, a zoomate, a sapienti accompagnamenti
musicali ha fatto di questo un prezioso Œtour de force¹
tecnico"155. Una
tale sapienza e pratica nell¹uso del linguaggio audiovisivo
è fornita a Patella dalle sue precedenti esperienze
nell¹ambito del cinema sperimentale o "d¹artista",
nel quale si è mosso con alcuni risultati di grande
importanza, e che lo ha predisposto ad una riflessione sulle
possibilità tecniche e creative proprie del mezzo
video.
Con questi ultimi due autori
si apre un discorso più complesso sul rapporto tra
artisti e mezzi usati, un discorso che tira in ballo una
serie di problematiche di carattere metodologico, ideologico
e politico, molto presenti nella pratica artistica italiana
degli anni Settanta, e che in qualche modo ne caratterizzano
la situazione anche in rapporto all¹uso del video.
d. Fabrizio Plessi:
il video per via d¹acqua
Il caso di Plessi richiede
un discorso a parte, sia per la sua collocazione, tra "comportamento",
ricerche "povere" e uso di moderne tecnologie,
sia perché rappresenta uno di quei casi di artista
il quale riconoscimento del proprio ruolo nelle vicende
della "videoarte" italiana è avvenuto solo
dopo molti anni e fuori dall¹Italia157.
Inoltre il suo lavoro aprirà tutta una serie di nuove
prospettive alla ricerca video, in direzione di un allargamento
nella dimensione ambientale (e quasi monumentale) dell¹uso
combinato di questo mezzo, attraverso quella che chiamiamo
"videoinstallazione", che si riveleranno determinanti
per la pratica video, e più in generale artistica,
degli anni Ottanta e Novanta158.
Come scrive Fagone: "Alcuni
artisti italiani hanno intrattenuto, o intrattengono, rapporti
fruttuosi con il mondo dei nuovi media allargando il confine
del "linguaggio delle immagini" che, almeno dalla
nascita della fotografia in poi non può essere considerato
bloccato alla pittura. [Š] Fabrizio Plessi è, tra
questi, il più attento, il più assiduo, e
anche chi ha raccolto in Italia risultati di maggior rilievo,
nel campo del video"159.
La ricerca di Plessi tra gli anni Sessanta e Settanta si
muove allora in direzione di una "concettualizzazione
ridondante" che non esclude l¹ironia e certi giochi
di spiazzamento poggianti proprio sui "disequilibri
della percezione", che trova nel video una sorta di
"materia" dalle segrete complicità con
l¹elemento costante della sua ricerca: l¹acqua. Ecco che
allora l¹incontro di Plessi con il video si rivela non solo
"fortunato", ma quasi inevitabile: proprio per
il suo sperimentare sull¹acqua si fa forte l¹esigenza di
operare con "materiali" che percettivamente simulassero
il massimo di realtà e nello stesso tempo consentissero
una visione fluida e in continuo movimento. Come afferma
lo stesso Plessi: "Esistono delle segrete complicità
tra l¹acqua e il video: l¹acqua è un elemento azzurrognolo
sempre in movimento, il video è un elemento azzurrognolo
in continuo movimento, è instabile, è fluido,
non ha delle fissità plastiche, ma vive di luce,
di pulsioni elettroniche, vive di una vibrazione fisicaŠ.."160.
Ma questa "segreta
complicità" viene trasferita anche alla dimensione
sonora, che in qualche modo controlla proprio il ritmo delle
immagini, e che nelle performance degli anni Settanta giunge,
grazie alla collaborazione con Christina Kubisch, ad esplorare
effettivamente le possibili relazioni tra acqua e suono:
l¹improvviso smorzamento interno, la riduzione del suono
al "piccolo rumore", la messa in tempo delle espansioni
ritmiche dell¹acqua161.
Ciò di cui si occupa Plessi, però, non è
l¹acqua in sé, ma le reazioni che essa scatena nell¹agire
umano, le infinite (im)possibilità dell¹intervento
umano nei confronti dell¹acqua: "L¹elemento agile è
per lui la "fonte" dell¹ispirazione, catalizzatrice
della sua fantasia spumeggiante, stimolatrice della creatività
come pure indicatore dei limiti che si frappongono alla
realizzazione. Così non si tratta più dell¹acqua,
ma del comportamento e dell¹agire umano verso una chiarificazione
del rapporto fra l¹uomo e il mondo"162.
Le operazioni di Plessi,
nate da un proliferare di modelli e dimostrazioni, tendono
allora a sciogliere il gioco delle apparenze lucide in una
progressione di metafore che riconducono all¹acqua, senza
comunque fare appello a energie fondamentali e primarie
tipiche della "performance", ma attraverso la
riflessione, la successione cioè di momenti di un
processo diretto alla dimostrazione di un luogo immaginario,
paradossale, anche se infine strutturato sempre nel senso
dell¹evidenza e della riconoscibilità. Ciò
che avviene allora è una sorta di "deragliamento
percettivo" che si trasferisce nell¹uso del video come
presenza materica, come "presenza dell¹immagine"
nella sua inconsistenza fisica, "l¹acqua era acqua,
non era l¹immagine del mare" sottolinea Crispolti in
una conversazione con Plessi.
L¹aspetto interessante del
lavoro di Plessi è quindi la capacità di far
convivere elementi che sono apparentemente opposti e lontani:
l¹acqua (elemento naturale per eccellenza) e il video (elemento
tecnologico per eccellenza), "l¹arte povera" contaminata
con l¹elettronica. A questo proposito può essere
interessante affrontare il rapporto di Plessi con l¹Arte
povera ufficiale, letto attraverso le parole dello stesso
Plessi: "L¹arte "povera" letta in una maniera
elettronica ha avuto una grande influenza sul mio lavoro,
certo in una situazione in cui il critico del momento prende
5 persone e più di quelle 5 non sono per l¹arte povera,
tutti gli altri che hanno indagato su filoni iconografici
apparentemente vicini restano completamente isolati"163.
Quello di Plessi è
comunque un caso particolare, come abbiamo già detto,
che si è mosso autonomamente, e quasi isolatamente,
nonostante i punti di contatto con la pratica comportamentale
e le ricerche "povere", e che ha prodotto nel
corso degli anni Settanta una grossa quantità di
videotape, videoperformance e, sul finire degli anni Settanta,
videoinstallazioni, grazie anche alla felice collaborazione
con il Centro Video Arte del Palazzo dei Diamanti, diretto
da Lola Bonora, e attivo a Ferrara dal 1974 fino a qualche
anno fa164. La vicenda
artistica italiana in rapporto al video si presenta invece
molto diversa, e maggiormente problematica, per cui passeremo
ora ad analizzare proprio quegli elementi che hanno in qualche
misura caratterizzato tale situazione.
e. Problemi di sviluppo e diffusione
del video d¹artista in Italia
Abbiamo visto che la pratica
del videotape d¹artista si sviluppa fondamentalmente secondo
due prospettive: una più attenta alle specificità
del mezzo, l¹altra legata alla necessità di documentazione
di azioni di "comportamento". Entrambe, e soprattutto
la seconda, molto diffuse in Italia nel corso degli anni
Settanta, ma senza che tale pratica trovi però la
possibilità di affermarsi in modo specifico, come
osserva Crispolti, attraverso l¹eccezionalità del
lavoro di alcune personalità veramente forti, come
avviene in ambito internazionale di cui se ne farà,
invece, una professione specifica e d¹alto livello165.
La seconda ipotesi di parametro
interpretativo proposta da Crispolti, nella mostra Attualità
internazionali Œ72-76, come uno dei tre possibili parametri
per la lettura delle ricerche artistiche della prima metà
degli anni ¹70166, pone
l¹attenzione proprio su questo particolare nodo problematico
dell¹uso del video da parte degli artisti italiani operanti
in quegli anni.
Il nodo problematico è
il seguente:
In Italia il video ha
sempre faticato a trovare una collocazione privilegiata
presso l¹operare degli artisti, soprattutto nella prima
metà degli anni Settanta.
I motivi che hanno determinato
tale situazione sono rintracciabili e suddivisibili in:
- Motivi che riguardano il contraddittorio
rapporto con la tecnologia nella forma dell¹Arte povera
e suo portato
- Motivi che riguardano l¹operatività
estetico-culturale degli artisti attivi in quegli anni
in Italia (la metodologia "extra media").
- Motivi politico-ideologici (uso "militante"
e anti-artistico del video)
- Motivi politico-economici (scarsa attenzione
da parte degli organi istituzionali, sia per quanto
riguarda la proposizione che per l¹incentivazione delle
ricerche video)
- Motivi tecnologici - connessi alla
situazione politica e economica - (scarsa disponibilità
di strumentazioni avanzate e ritardo nella ricerca scientifica
e tecnologica)
Per quanto riguarda il primo
punto, cioè il contraddittorio rapporto con la tecnologia
intessuto dalle ricerche dell¹Arte Povera, e che abbiamo
già affrontato nel paragrafo precedente, ci limiteremo
a sottolineare come per Fagone tale congiuntura si sia rivelata
determinante: "L¹opzione decisa per l¹Arte Povera,
che condanna l¹uso delle tecnologie, del mezzo tecnologico,
è stato un punto chiave della vicenda videoartistica
italiana"167. Ma
che in realtà, come abbiamo visto, è proprio
nell¹ambito dell¹Arte Povera che si sono sviluppati i primi
interessi e le prime curiosità verso le possibilità
del mezzo video, anche se per lo più in una prospettiva
di critica o pura documentazione168.
e/I. La metodologia "extra
media"
I motivi che riguardano
l¹operatività estetico-culturale degli artisti italiani
della prima metà degli anni ¹70, sono chiaramente
riscontrabili nella suddetta ipotesi di parametro interpretativo
proposta dal Crispolti169.
L¹ipotesi è la seguente:
"Riguarda un modo di utilizzazione del tutto eterodossa
di "media" diversi. Se anni fa si è parlato
non irragionevolmente di "inter media" per giustificare
l¹uso di mezzi diversi entro un analogo filo di discorso
figurale, oggi ¯ dopo il Œpovero¹, dopo il Œconcettuale¹,
quanto dopo la figurazione, o nuova, o Œpop¹ o Œpost-pop¹,
o Œmec art¹, o Œiperrealista¹ che sia, e dopo o meglio contro
la semplice Œnarrative art¹ ¯ sembra evidente una sorta
di rovesciamento: non più operare unitariamente attraverso
mezzi diversi, ma in certo modo operare disparatamente attraverso
mezzi diversi, oltre, fuori anzi d¹ogni singolo mezzo in
sé feticizzato. Esattamente: "extra media",
cioè usare il mezzo in valore del tutto relativo
e del tutto circostanziale; quasi che l¹occasione faccia
il mezzo, cioè l¹urgenza del momento comunicativo,
del messaggio, insomma, determini occasionalmente la scelta
del mezzo. [Š] Sarà un superare di netto l¹uso formale
del mezzo, per cui un operatore usa sempre la fotografia,
come un tempo il pittore olio su tela, o usa il video come
poco tempo fa il breve segno esistenziale Œpovero¹, materia
o altro; l¹uso insomma del mezzo feticizzato per tale"170.
Dunque in opposizione all¹idea mcluhaniana del medium che
determina il messaggio171,
qui è la necessità comunicativa che determina
il mezzo, al di là di qualsiasi coerenza stilistica
e di qualsiasi specialismo nell¹uso del medium stesso.
Dunque continuando con Crispolti:
"E chiaramente di netto si supera anche il feticismo
formalistico del ben fare, come del ben usare il mezzo stesso.
La coerenza non sarà stilistica, in senso idealistico-formalistico,
non sarà di unicità di scelta di mezzo, sarà
invece nella opportunità e pertinenza del mezzo al
comunicare, e sarà nel circolo complessivo delle
diverse proposte di comunicazione: cioè non in cifre
stilistiche, non in oggetti o modi estetici conclusi, ma
in un processo virtualmente aperto, in una disponibilità
che corrisponde esattamente al modo critico e autocritico
di gestire esistenzialmente la propria operatività
culturale-sociale, attraverso uno specifico riportato alle
origini dell¹urgenza comunicativa e riscattato dai tentacoli
delle declinazioni oggettualistiche e formalistiche del
consumo mercantilistico (e borghese) dell¹arte"172.
Per cui all¹interno di una
tale metodologia operativa risulta evidente che il rapporto
degli artisti con il mezzo video assuma inevitabilmente
un carattere occasionale e poco approfondito, ma non per
questo meno interessante o di minore forza comunicativa.
Le esperienze con questo mezzo di operatori quali Nannucci,
De Filippi, Cintoli, La Pietra, Vaccari, De Vecchi, Boriani,
Croce, Trotta, Ufficio per l¹immaginazione preventiva, Baruchello,
e Patella173 sono paradigmatiche
in questo senso, e offrono un importante chiave di lettura
della situazione "videoartistica" italiana degli
anni Settanta. Allora Nannucci, che già abbiamo trattato
per i suoi contatti con l¹ambiente Fluxus, anche se usa
il calcolatore elettronico non si può assolutamente
considerare un "artista del computer"; De Filippi
usa il videotape, e soprattutto il film, come momento di
documentazione e significazione delle sue trasformazioni
d¹identificazione personale con Lenin, ed in questo il video
assume un importante ruolo di temporalizzazione dell¹evento,
ma l¹attenzione è concentrata quasi esclusivamente
sul significato ideologico di tale operazione174;
per Cintoli l¹uso del videotape è un aspetto di una
pratica di "media" diversi essenziale alla dialettica
interna del suo operare; La Pietra usa la televisione come
episodio strumentale di un intervento urbano contestatorio
(entro il quadro di un "sistema disequilibrante")176,
o nella sua valenza di contenitore per proposizioni e progetti
di modificazione ambientale di forte carattere ideologico;
Vaccari usa il video come strumento per una "provocazione
comportamentale collettiva", con particolare interesse
per il momento del rilevamento e della verifica, ma attento
anche alla dimensione sociologica-esistenziale del "tempo
reale"177; Boriani
e De Vecchi, entrambi con alle spalle esperienze di Arte
programmata nel medesimo Gruppo T di Milano, sono ancora
una volta insieme per la Biennale di Milano del 1974, dove
usano il videotape come mezzo analitico di "comunicazione
comportamentale culturale", e cioè come struttura
di comunicazione aperta per un¹indagine sul contesto culturale
di una esposizione178;
Croce, la cui metodologia "extra media" si riferisce
fondamentalmente ad un¹analisi lirica tutta interiore, nei
primi anni Settanta ci offre invece una serie di interessanti
lavori sia attraverso la modificazione diretta dei sistemi
video, che attraverso riporti fotografici su tela di operate
distorsioni televisive179;
per Trotta l¹uso del videotape all¹interno di una pratica
"extramediale", tutta in funzione di una "analisi
fenomenologica", risponde all¹esigenza di sperimentazione
in direzione di una "ricerca analitica in termini di
rispondenze psichiche comportamentali"180;
per l¹Ufficio per l¹immaginazione preventiva (Benveduti,
Catalano, Falasca) la pratica video si inserisce in un più
vasto lavoro, di forte concettualizzazione, sui "diversi
gradi e livelli della comunicazione di massa, dall¹ambito
strettamente culturale a quello propriamente consumistico,
a quello ideologico, attivandovi continuamente un intervento
analitico provocatorio"181.
Il complesso lavoro "concettuale"
di Patella, sempre affidato a una concretezza materiale,
rientra all¹interno di una metodologia propriamente "extramediale",
in quanto operante liberamente tra proposte oggettuali,
verbali, proiettive, video-filmo-fotografiche e installative,
a seconda appunto del momento comunicativo motivante. L¹uso
del video assume quindi, nel suo lavoro, l¹importante funzione
di rendere oggettiva la sua idea di Arte: i suoi collage
visivo-verbali, le sue dimostrazioni para-scientifiche,
le sue "analisi di comportamento". Come afferma
lo stesso Patella: "Il concettualismo andava inventato
mediante i media"182;
posizione questa che riporta alla mente un¹interessante
affermazione di Fontana di un ventennio precedente: "La
televisione è per noi un mezzo che attendevamo come
integrativo dei nostri concetti"183,
e ben applicabile a buona parte delle proposizioni video
italiane legate all¹ambito concettuale, e soprattutto al
lavoro di Patella.
La ricerca di Baruchello,
condotta attraverso una pluralità di media diversi
(dalla "pittura-scrittura" agli oggetti, dal film
sperimentale al teatro e al videotape, dalla fotografia
ai manifesti murali, dai rapporti con il cibo alle operazioni
agricole), assume un valore paradigmatico all¹interno di
una operatività dichiaratamente "extramediale",
e continuamente orientata verso una tensione contestativa
e di provocazione rivoluzionaria. Per cui anche i rapporti
con il video, precocemente esplorati dall¹artista, vanno
comunque riferiti a tale metodologia e modo "politico"
di usare il mezzo. Come spiega lo stesso Baruchello: "Non
sono infatti un gran sostenitore del videotape come mezzo
per ¯ come ha detto qualcuno ¯ sostituire il pennello. [...]
Penso piuttosto alla capacità di "intervento",
in senso politico, del videonastro, alla sua capacità
un po¹ guerrigliera contro il grosso mostro televisivo
del capitale e dello stato, o alle sue possibilità
d¹uso immediato anche all¹interno delle istituzioni dei
media, magari per scavarcisi, se ci riesce, un suo spazio".
Già dalla metà
degli anni Sessanta, quindi, Baruchello si confronta con
l¹oggetto "televisivo", con una buona dose di
carica provocatoria e un irrefrenabile istinto di negazione,
come ci mostra il progetto Television Limiter, del
1965, in cui si propone l¹azzeramento della visione attraverso
schermi opachi da posizionare davanti ai monitor, e Enoncé
impossible, del 1967, in cui compie un¹operazione rituale
di inscatolamento di un oggetto, operazione ricorrente nel
suo cinema, ma in questo caso con valore ulteriormente provocatorio,
in quanto si tratta di un nastro da due pollici di provenienza
RAI, mai visionato, e spedito a un festival come opera di
videoarte: "Siamo di fronte a un azzeramento della
visione (e dell¹enunciazione) con uno scarto ironico aggiuntivo,
poiché lo statuto di "videoarte" non è
dato tanto dalle immagini, quanto dal contenitore, dall¹involucro
che le contiene preservandone la loro inconoscibilità"184.
In quegli stessi anni Baruchello concepisce dei quadri "come
programmi di trasmissioni televisive", dal titolo Dieci
trasmissioni televisive per cameraman sprovvisto di potere;
nel corso degli anni Settanta realizza Was is Trigon?
(1973), inviato al Festival di Gratz in copia unica mai
restituita, e Mutila (1975), ma il più imponente
lavoro in video realizzato dall¹artista (ancora una volta
in collaborazione con Grifi) è ancora oggi A partire
dal dolce (doux comme saveur), del 1979-80, circa 22
ore di interviste a una serie di filosofi, scrittori e intellettuali
francesi sul tema del dolce e della dolcezza, mai editato
e mostrato al pubblico nella sua interezza. Concludo con
le parole dello stesso Baruchello che nel 1978, a proposito
del suo rapporto con il video, afferma: "Dunque, benché
il mio nome sia in qualche modo legato a questo tipo di
esperienza, io non mi ci sento affatto. Né ¯ pure
essendo compreso nelle antologie e nelle retrospettive ¯
mi considero uno che "dipinge col pennello elettronico".
Balle, ho visto cose anche simpatiche fatte da americani
ma con impianti (colore, titoli elettronici, effetti) da
far tremare noi poveri possessori di scarse lire. Avanguardia
artistica sì, ma per benestanti".
e/II. Il carattere politico
e ideologico dell¹uso del video
Come abbiamo potuto osservare
la maggior parte degli artisti operanti attraverso una metodologia
"extra media" spesso connota il proprio lavoro
di una forte componente politica e ideologica, insita già
nella scelta di una determinata metodologia operativa, ma
presente anche come contenuto dell¹operazione stessa. Tale
componente politica e ideologica ha fortemente caratterizzato
anche l¹utilizzo del video, soprattutto nei primi anni Settanta,
proprio per la carica innovativa, e per la qualità
destrutturante che l¹uso di questo mezzo poteva portare
rispetto all¹arte e al suo sistema. Artisti, operatori culturali
e critici, in sintonia con il clima politico di quegli anni,
abbracciano quindi l¹idea di un¹arte che, attraverso l¹uso
dei mezzi elettronici, trovi la possibilità di liberarsi
dalle maglie del sistema, uscire dalle gallerie e dai musei,
misurarsi col sociale, farsi strumento "alternativo"
di comunicazione e di controinformazione. L¹uso del video
in Italia viene quindi collegato a una situazione contestatoria
e rivoluzionaria che nel mondo dell¹arte assume la forma
di una fusione della dimensione politica con quella estetica
volta a ridefinire il concetto stesso di operazione creativa:
l¹uso creativo del videotape finisce per coincidere con
il suo uso politico. Come scrive Tommaso Trini nei primi
anni Settanta: "Per gli artisti, a me sembra, è
un¹occasione propizia di creatività nella misura
in cui: 1) non prendano il videotape per una nuova forma
di arte e la video-cassetta per un multiplo; ma 2) ne facciano
strumento per rivoluzionare i loro rapporti acritici con
la società; e possibilmente 3) per verificare ulteriormente
quanto c¹è di superato, storicamente morto, nella
volontà stessa di fare arte"185.
E come afferma anche Ernesto Francalanci, nella presentazione
della mostra Videotapes alla galleria del Cavallino
di Venezia: "E¹ evidente il potenziale politico che
il V.T. (videotape) possiede se esso viene amministrato
da una gestione collettiva (come ad esempio, in operazioni
di fabbrica, di scuola e di quartiere, dove tutti gli intervenuti,
prendendo possesso dello strumento, possono realizzare una
autoregistrazione, di qualsiasi specie e con qualsiasi funzione)
che può verificare e chiarificare la volontà
immersiva e decelebrativa dell¹artista", ma sottolineando
anche "lo straordinario e forse rivoluzionario contributo
che il V.T. reca alla questione del rapporto tra attività
critica e attività artistica"186.
Diventa quindi necessario,
all¹interno della nostra ricognizione, considerare anche
l¹esistenza di una certa realtà di base, che ha fatto
largo uso del mezzo video, muovendosi in parte in una dimensione
estetica (sperimentando quindi le possibilità e specificità
del mezzo) e in parte in quella politica e sociale, con
ottimi risultati, ma che trova comunque una difficile e
problematica collocazione in ambito storico-artistico187.
Un¹idea del fermento esistente negli ambienti militanti
e "di base" ce la offrono Lombardi e la Lajolo,
del gruppo Videobase, che scrivono: "La comparsa
dei nuovi mezzi di videoregistrazione portatili perché
leggeri e tanto magnificati e teorizzati per la loro flessibilità,
prontezza e presenza discreta, non condizionante nelle situazioni
reali, tra la gente, sembrava aprire prospettive fino allora
impensabili di progettazione e produzione audiovisiva. E
portava una ventata di entusiasmo euforico che prometteva,
lasciava intravedere una azione, se non una rivoluzione,
dirompente nella comunicazione di immagini, storie e informazione
"di base""188.
Del resto, come abbiamo osservato dalla ricognizione dei
luoghi espositivi, la stessa Biennale di Venezia del 1974,
e in minor misura anche quella del 1976, offre un chiaro
esempio del clima di attenzione e interesse per l¹uso del
video come strumento di intervento politico e sociale.
Vediamo caratterizzarsi
quindi una situazione italiana in rapporto al video in cui
il lavoro degli artisti "poveri" è in qualche
modo improntato ad un impegno politico-ideologico, le operazioni
degli artisti che si muovono all¹interno di una metodologia
"extra media" sono fortemente caratterizzate dalla
componente politica e ideologica, l¹uso del video è
di per se caricato di una connotazione ideologica190,
per cui la pratica del video d¹artista in Italia finisce
inevitabilmente per assumere un carattere leggermente "guerrigliero"
e "alternativo", tanto da poter costituire una
sorta di chiave di lettura della vicenda "videoartistica"
nostrana, e cioè una delle motivazioni che hanno
determinato il particolare rapporto degli artisti italiani
con il mezzo video.
Questo carattere un po¹
"guerrigliero" e "alternativo" entra
anche come elemento linguistico nei lavori video degli anni
Settanta, dandogli uno stile granuloso, non levigato, in
perfetta sintonia con la tendenza antitelevisiva di queste
operazioni, così come l¹esplorazione della dimensione
del "tempo reale", un tempo continuo e senza tagli,
oppure una temporalità dilatata portata all¹estremo
della guardabilità. Il carattere politico-ideologico
di certe soluzioni estetiche è ben espresso dalle
parole di Lombardi e della Lajolo che scrivono: "Però
l¹incompiutezza e la rozzezza formale facevano e stabilivano
la diversità, venivano recuperate dallo spontaneismo
diffuso come qualità, stile sporco antiborghese contro
il potere che faceva le immagini, in senso ampio, curate
e belle. E questo punto di vista assumeva significato, certo
frainteso, di classe, povertà contro ricchezza"191.
Risulta interessante notare
come tutte queste soluzioni estetiche, che abbiamo visto
essere strettamente connesse a motivazioni ideologiche,
vengono lette oggi come noiose e pesanti, e quindi meno
degne di considerazione, persino da un critico quale Fagone192.
E ciò sicuramente dà la misura della complessità
della situazione video italiana e di come questa viene letta
dalla critica e dalle istituzioni culturali. Per cui all¹interno
di quello che oggi consideriamo il contenitore "videoarte"
si fa fatica ad inserire certe operazioni poco leggibili,
"noiose" e "qualitativamente scadenti"
di alcuni video, che rischiano per questo di rimanere chiusi
in cassetti ed armadi, deteriorizzandosi irreversibilmente.
Quindi diventa necessario sottolineare che se il nostro
senso estetico si è modificato (o forse viziato!)
in direzione di una maggiore qualità e accelerazione
delle immagini193, per
cui non ci è più possibile sostenere i tempi
prolungati dei video in questione, ciò è avvenuto
proprio a causa dei modelli proposti dalla televisione,
e contro cui la maggior parte di queste opere si rivolgeva.
Questa particolare situazione
di fusione di arte e ideologia all¹interno della pratica
video attraversa tutti gli anni Settanta e trova un momento
culminante, ma anche il suo epilogo con la mostra romana
Video ¹79: dieci anni di videotape, in cui è
presente sia una vasta produzione improntata all¹impegno
sociale e politico, come quella del gruppo Videobase,
sia un altrettanto vasta gamma di opere di artisti italiani
e internazionali (tra gli altri Agnetti, la Abramovic, Cahen,
Chiari, Godard, Mauri, Muntadas, Nauman, Palestine e Viola)
che evidenzia appunto la molteplicità degli usi del
video in arte194.
e/III. Il fattore tecnologico
Un importante aspetto da
prendere in considerazione nel parlare dell¹uso del video
in arte e da cui non è possibile prescindere è
il diverso processo di produzione, distribuzione e fruizione
pubblica di tali opere. L¹elemento tecnologico che in qualche
modo costituisce il supporto dell¹opera richiede in certi
casi proprie specifiche strutture, diverse da quelle normalmente
adibite alle pratiche artistiche tradizionali, che sicuramente
si sono rivelate determinanti nell¹indirizzare i percorsi
e gli sviluppi della ricerca video in Italia. Come osserva
Alessandro Silj, curatore della mostra Video Œ79:
"I problemi con i quali ci si è dovuti confrontare
in tutti i paesi sono soprattutto tre: 1) i costi, non tanto
di gestione quanto dell¹investimento iniziale, 2) la distribuzione,
3) la diversificazione eccessiva degli standards e l¹incertezza
sugli orientamenti dell¹industria"195.
Il diverso rapporto con
l¹industria è certamente un fattore caratterizzante
la pratica video nostrana. Mentre in America l¹industria
si occuperà non solo di finanziare direttamente le
ricerche video, ma anche, verificando i propri prodotti
attraverso un continuo scambio con le più aggiornate
realtà artistiche, di promuoverle come le nuove frontiere
dell¹arte (attuando così un¹interessante "strategia
di mercato" che a quanto pare ha ottenuto degli ottimi
risultati), e trovando in questo modo il precoce e necessario
appoggio delle grosse istituzioni artistiche196.
Come scrive ancora Silj: "Il video americano è
pragmatico e fortemente influenzato dalla gamma di possibilità
offerte dalla tecnologia elettronica, dal gusto per il nuovo
¯ la stessa tecnologia è resa accessibile a chi lavora
con il video, nelle università ricche, nei laboratori
di certe industrie, in centri di sperimentazione finanziati
da fondazioni. I primi lavori di Ed Emhswiller, un pioniere
in questo campo, poté realizzarli perché era
"artist in recidence" al TV Lab. della WNet"197.
In Italia, caratterizzata
da una diversa situazione politica ed economica, il ritardo
nella ricerca tecnologica, il disinteresse delle istituzioni
artistiche e dell¹industria verso il "nuovo" mezzo
video, e quindi la mancanza di finanziamenti per la realizzazione
di centri di produzione di video d¹arte e di ricerca, e
la scarsa promozione di attività legate alle proposte
video negli ambienti ufficiali, hanno portato a una pratica
quasi "sotterranea", anche se diffusa, del video
d¹artista. Andrebbe però indagato se l¹arretratezza
tecnologica italiana, e la disorganizzazione dello sperimentalismo
(non pilotata dall¹industria), non abbiano consentito invece
una elaborazione più approfondita e "libera",
di quanto non sia avvenuto in paesi come gli USA, la Gran
Bretagna, la Germania, dove il tempestivo intervento del
"potere" (aiuti e sovvenzioni) dà l¹impressione
di aver bloccato la ricerca in uno spazio che potremmo definire
come "nuova accademia".
Sta di fatto che se, come
sembra che sia, i parametri di lettura attuali delle opere
video si fondano sulla qualità "fisica"
delle immagini, risulta ovvio che la mancanza di strutture
e strumentazioni tecnologiche necessarie ad una buona definizione
dell¹immagine elettronica diventi un elemento penalizzante
proprio quella produzione di opere video "più
artigianali", che spesso ne ha fatto a meno sorretta
anche dalle motivazioni politico-ideologiche di cui abbiamo
detto sopra, e che costituisce la maggior parte dei video
italiani degli anni Settanta.
In una tale situazione di
necessità tecnologica un ruolo importante lo hanno
svolto i centri di produzione e le gallerie che si sono
occupate di video d¹artista. Sedi attive e costanti sono
riconoscibili nella Galleria del Cavallino a Venezia198,
nella Videoteca Giaccari a Varese199,
e nel Centro Videoarte del Palazzo dei Diamanti a Ferrara,
diretto da Lola Bonora200;
un¹intensa e importante attività, anche se di breve
durata, viene svolta dall¹Art/Tapes/22 di Firenze, diretto
da Maria Gloria Bicocchi201;
ma vanno ricordati anche: la Galleria del Naviglio a Venezia,
a Roma la Galleria dell¹Obelisco, con l¹iniziativa Videobelisco
AVR, la Galleria l¹Attico, e il Filmstudio, a Milano la
Galleria Diagramma, la Galleria De Angeli Frua e il Centro
Internazionale di Brera. Queste iniziative, per la maggior
parte nate e portate avanti grazie all¹impegno di singole
personalità e, come ho detto, senza particolari aiuti
o sovvenzioni, costituiscono i punti di riferimento della
vicenda videoartistica italiana, promuovendo nel loro piccolo
la ricerca e la sperimentazione video, e confrontandosi
costantemente con i problemi tecnici e tecnologici legati
a queste ricerche.
Un importante ruolo è
svolto anche dai collaboratori tecnici, i quali, lavorando
a stretto contatto con gli artisti e interagendo direttamente
con il processo creativo, costituiscono un aspetto non trascurabile
di un modo di operare che riconosciamo come predominante
nel rapporto degli artisti italiani con il video: l¹uso
delegato ai tecnici, il video come esperienza trasferita
ad un operatore, e non come strumento diretto di espressività
(come lo utilizza ad esempio Bill Viola). Non a caso l¹esperienza
giovanile di Bill Viola, nei primi anni Settanta, come direttore
tecnico dell¹Art/Tapes/22 di Firenze avrà una grande
importanza, non solo per la maturazione del suo inconfondibile
stile che fonde insieme le possibilità del mezzo
elettronico e le capacità di un¹originale produzione
artistica, ma anche per l¹influenza che la collaborazione
di questi avrà su artisti italiani, quali ad esempio
Chiari o Vaccari, sollecitati a saggiare le potenzialità
del nuovo mezzo.
La collaborazione di Fabrizio
Plessi con Carlo Ansaloni, operatore video del CVA di Ferrara,
è un altro esempio paradigmatico come sottolinea
lo stesso Plessi in una recente dichiarazione: "Pensate
che sono 27 anni che ho lo stesso assistente [Š] Carlo Ansaloni
del Centro Video Arte: ecco un altro grande scandalo, il
CVA di Ferrara che è miseramente fallito, lo hanno
chiuso, perché è arrivato uno sgarbiano, un
certo Buzzoni che ha detto buttiamo via tutte queste immondizie.
Film di Rauschenberg, film di Jim Dine, film della Marina
Abramovic li ha presi il mio assistente che adesso ha tutto
l¹archivio, ma lui li voleva buttare via, materialmente,
buttare al macero. Allora, dicevo, in 25 anni insieme al
mio assistente abbiamo costruito un nucleo di lavoro che
è come una bottega rinascimentale"202.

Note
- 65. Sul desiderio di
rimuovere i confini dell'arte, su questa urgenza comunicativa,
ha sicuramente influito la necessità di sfuggire al chiuso
gioco di relazioni imposto dal mercato, quello che Gerry
Schum definisce "l'eterno triangolo di studio, galleria,
collezionista".
- 66. Definizione utilizzata da Vittorio
Fagone nella presentazione della sezione Italia, di cui
era commissario, alla Biennale di Venezia del 1980, il
quale scrive: "La rivelazione degli anni Settanta come
anni dell'"esplicitazione anni in cui è d'obbligo dire
ciò che si fa, e fare ciò che si dice (dire nel senso
di dichiarare, comunicare, esprimere con consapevolezza
e chiarezza) è premessa necessaria per render chiari i
criteri di scelta e di ordinamento adottati" (in Biennale
di Venezia. Catalogo generale 1980, a cura di G. Dogliani,
Ed. La Biennale di Venezia, Venezia, 1980, p. 135).
- 67. Biennale di Venezia. Catalogo generale
1980, op. cit., 1980, p. 134. Non molto diversa da quella
di Fagone è la lettura di Enrico Crispolti che definisce
gli anni Settanta in Italia come "gli anni dello smarginamento
e della partecipazione" di cui ho già accennato nell'introduzione
di questo capitolo.
- 68. Come vedremo Fluxus arriva in Italia
solo marginalmente, e quindi anche la pratica del "video
d'artista", strettamente legata all'ambiente fluxus e
ai suoi portati estetici di cui abbiamo parlato nel primo
capitolo, si svilupperà per lo più nell'ambito delle ricerche
dell' "Arte povera".
- 69. Sono presentate nella sezione "video-recording"
di Gennaio 70, attraverso un sistema di trasmissione a
circuito chiuso, registrazioni di azioni concepite appositamente
per il mezzo televisivo e interventi diretti sul dispositivo
video dei seguenti artisti: Anselmo, con Nell'istante
in cui appaiono queste scritte è trascorso il tempo che
un giorno la mia ombra partita all'alba dalla cima dello
Stromboli ha impiegato per percorrere una distanza pari
a quella fra il Sole e la Terra; Zorio, con Fluidità radicale;
Calzolari, con Io e i miei cinque anni nell'angolo della
mia reale reale predica; Mario Merz, con La serie di Fibonacci;
Marisa Merz, con Antibiotico / Registrazione con oggetto
di cera e sintesi elettrica; Penone, con Lettere d'alfabeto;
Boetti, con Numerazione; Pistoletto, con Riflessioni;
Prini, con Magnete / Proiezione TV. Programmazione di
elementi a proiezione miniaturizzata con cancellazione
alterna nel quadro; Kounellis, con Fiori di fuoco; Patella,
con Preghiere Marziane; Cintoli, con Chiodo fisso; Mattiacci,
con Alta acrobazia; Ceroli, con Riflessione speculare;
Fabro, con Quid nihil nisi minus?; Colombo, con Vobulizzazione;
De Dominicis, con Prestidigitazione. Tentativo di volo.
Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi
intorno ad un sasso che cade nell'acqua. La morra cinese;
Simonetti, con Camera folta (a, a, a) (acquitrino, ansietà
artificio) che non viene presentato per inconvenienti
tecnici. Cfr. Gennaio 70, III Biennale internazionale
della giovane pittura. Comportamenti Progetti Mediazioni,
a cura di R. Barilli, M. Calvesi, T. Trini, catalogo della
mostra, Edizioni Alfa, Bologna, 1970.
- 70. Gennaio 70, III Biennale internazionale
della giovane pittura. Comportamenti Progetti Mediazioni,
op. cit., 1970, p. 28.
- 71. Inoltre l'esperienza di Gennaio 70,
se letta in un più ampio panorama internazionale, dimostra
la sua precocità e vitalità nel campo delle problematiche
estetiche, ma anche politico-ideologiche, connesse alla
pratica del video d'artista. Per dare un'idea: Documenta
di Kassel inserirà nei suoi programmi un cospicuo gruppo
di opere video solo dal 1972, la Biennale dei giovani
di Parigi introdurrà una sezione video dal 1973, ugualmente
le prime grandi rassegne di video d'artista in Europa
le abbiamo a partire dal 1973-1974: Art-vidéo confrontation
al Musée d'Art Moderne di Parigi, nel 1974; Kunst bleibt
Kunst. Projekt 74 nella Kunsthalle e nel Kunstverein di
Colonia, entrambe nel 1974; Video-Impact a Losanna, nel
1974; ma anche negli USA, a parte TV as a Creative Medium
del 1969, gli eventi fondamentali per il riconoscimento
della "videoarte" negli ambienti artistici ufficiali cominceranno
dalla metà del 1970 (cfr. nota 60 del capitolo I), fino
alla grande rassegna Circuit: a Video Invitational all'Everson
Museum di Syracuse, del 1973; così come gli International
Open Encounters on Video verranno organizzati dal CAYC
di Buenos Aires nei maggiori centri del mondo a partire
dal 1973 (cfr. Japan video art festival, a cura del C.A.Y.C.,
catalogo della rassegna, Buenos Aires, 1978).
- 72. Scrive Barilli nel catalogo Gennaio
70, III Biennale internazionale della giovane pittura.
Comportamenti Progetti Mediazioni, op. cit., 1970, pp.
14-15: "La mostra di Bologna accresce il repertorio dei
"mezzi" già collaudati consentendo ad alcuni artisti di
sperimentarne uno inedito particolarmente intonato ai
caratteri di una "civiltà elettronica" avanzata. Si tratta
di un procedimento di video-recording, di registrazione
di immagini e di azioni su nastro elettro-magnetico. Il
che è cosa alquanto diversa dal "mezzo" cinematografico:
questo infatti si basa su procedimenti chimici attraverso
i quali le emissioni luminose vengono fissate una volta
per tutte, alterando materialmente una pellicola con effetto
irreversibile [Š] La registrazione su nastro elettromagnetico
è molto più "morbida" e soffice: il nastro stesso si dimostra
ricettivo all'infinito, potendo venirvi "cancellate" le
immagini già affidategli per lasciar posto a un nuovo
flusso visivo. Tale docilità di impressione riesce anche
a garantire un fondamentale principio di continuità: non
si può intervenire a freddo e a posteriori, su quella
corrente così fluida, così fedelmente sintonizzata sullo
scorrere stesso della vita".
- 73. M. Calvesi, Avanguardia
di massa, op. cit., 1978, pp. 226-227.
- 74. S. Bordini, Le molte dimore. La videoarte
in Italia negli anni Settanta, in La coscienza luccicante,
op. cit., 1998, p. 32.
- 75. Pubblicato in "Marcatre", n. 3/4/5,
Roma, 1970, pp. 136-145.
- 76. Questa rubricazione si rivela estremamente
interessante oltre che per l'aspetto critico, per l'aver
raccolto la testimonianza (e le descrizioni) di questi
primi esperimenti di video d'artista che purtroppo sembra
che siano andati perduti, o comunque non più consultabili
a causa dell'originario formato di registrazione (informazione
avuta da Pistoletto in una conversazione del 30/5/1998
a San Gimignano, e confermata da Calvesi in La coscienza
luccicante, op. cit., 1998, p. 60).
- 77. T. Trini, Di videotape in videotappa.
Note sui primi esperimenti televisivi da parte degli artisti,
in "Domus", n. 495, febbraio, 1971, p. 50.
- 78. Di videotape in videotappa. Note
sui primi esperimenti televisivi da parte degli artisti,
op. cit., 1971, p. 50.
- 79. Avanguardia di massa, op. cit., pp.
232-233.
- 80. La mostra si è aperta al Museum am
Ostwall di Dortmund il 10 marzo 1974.
- 81. Presentazione della mostra Fotomedia,
in "Domus", n. 534, maggio 1974, p. 49.
- 82. Videolibro n. 1, Art video recording,
a cura di F. C. Crispolti, Galleria dell'Obelisco, Roma,
1971.
- 83. A. B. Oliva, Contemporanea (arte
1973-1955), in catalogo della mostra Contemporanea, Centro
Di, Firenze, 1973, p. 30.
- 84. Cfr. AA.VV., L'altro video (incontro
sul videotape), Quaderno informativo n. 44 della IX Mostra
Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro, 1973.
- 85. Questa rassegna rappresenta una selezione
dei video prodotti dall'Art/tapes/22, centro di produzione
e distribuzione di video d'artista attivo a Firenze dal
1973 al 1976, il quale alla cessazione delle attività
ha venduto tutto il proprio materiale all'ASAC di Venezia
perché ne costituisse un archivio.
- 86. Cfr. G. Celant, Offmedia. Nuove tecniche
artistiche: video disco libro, Dedalo, Bari, 1977.
- 87. Cfr. Centro Video Arte 1974-1994,
a cura di L. Magri, Corbo Editore, Ferrara, 1995.
- 88. Videoarte a Palazzo dei Diamanti
(1973-1979), a cura di Janus, catalogo della mostra, Torino,
1980, pp. 14-15.
- 89. Sul finire degli anni Settanta, come
possiamo osservare, si fa ancora più forte l'esigenza
di sistematizzare la produzione video, per cui oltre alla
già accennata separazione tra "videoarte" e "registrazione"
di una performance, si aggiunge anche la "video-musica"
(con opere di Chiari, Ambrosini, Sambin, ecc.), e cioè
la "registrazione" in video di una performance musicale,
proposta per esempio dalla rassegna Video '79, a Roma,
oppure nel libro Videotapes: Arte, tecnica, storia, a
cura di S. Luginbuhl e P. Cardazzo, Mastrogiacomo, Padova,
1980; ma in realtà al proliferare delle etichette non
corrisponde una netta e plausibile distinzione linguistica
che le motivi.
- 90. Videoarte a Palazzo
dei Diamanti (1973-1979), op. cit., 1980, p. 21.
- 91. R. Bossaglia, L'arte attraverso la
Camera incantata, in "Corriere della Sera Illustrato",
anno 4, n. 22, 31 maggio 1980, p. 38.
- 92. Anche se limitiamo questa indagine
ai soli anni Settanta e bene ricordare che per molti questo
periodo storico comincia con il Sessantotto. Da parte
mia le tensioni sviluppatesi durante il decennio precedente
trovano un "punto critico" e di massima espansione nel
maggio del '68, che sul versante della ricerca artistica
si manifesta sia nel bisogno di uscire dal campo feticistico
del quadro che nella necessità e capacità di una riformulazione
linguistica dell'arte. Gli anni Settanta comunque si aprono
con una diversa consapevolezza, nutrita certo degli umori
di quei "fantastici" anni, ma la fantasia stava maturando
in impegno o in leggenda e anche gli artisti che non avrebbero
mai esposto alla Biennale di Venezia del 1968 lo faranno
senza alcun problema nelle edizioni successive.
- 93. Cfr. nota 1 del Capitolo I.
- 94. Osservazione fatta da Gillo Dorfles
nel testo Dal modulo al territorio. Dal museologico all'ecologico,
in Ricerca e progettazione. Proposte per una esposizione
sperimentale, a cura di U. Apollonio, L. Caramel, D. Mahlow,
La Biennale di Venezia, Venezia, 1970, e che trova un
ulteriore sviluppo nelle formulazioni di Filiberto Menna
in direzione di una "linea analitica" della produzione
artistica degli anni Settanta. Cfr. F. Menna, La linea
analitica dell'arte moderna, Einaudi, Torino, 1975.
- 95. Ricerca e progettazione. Proposte
per una esposizione sperimentale, a cura di U. Apollonio,
L. Caramel, D. Mahlow, La Biennale di Venezia, Venezia,
1970.
- 96. L'espansione dell'arte di L. Caramel,
in Ricerca e progettazione. Proposte per una esposizione
sperimentale, op. cit., 1970.
- 97. Dichiarazione di Carl-Frederick Reutersward,
in Ricerca e progettazione. Proposte per una esposizione
sperimentale, op. cit., 1970.
- 98. L'impianto TV a circuito chiuso è
qui inserito nella sezione Relax e gioco, che consente
allo spettatore di esplorare la dimensione spazio-temporale
offerta da questo mezzo, ma senza una reale connotazione
creativa, almeno nel senso autoriale della tradizionale
operazione artistica. Mentre sul versante della Computer
Graphics è presente, degli italiani, Auro Lecci, nel quale
lavoro l'attenzione va posta soprattutto sul "programma"
di costituzione dell'immagine digitale: siamo ancora di
fronte ai primi rudimentali esperimenti in questa direzione.
- 99. 36° Biennale di Venezia , catalogo
generale, La Biennale di Venezia, Venezia, 1972, p. 32.
- 100. 36° Biennale di Venezia , catalogo
generale, op. cit., 1972, p. 96.
- 101. G. Dorfles, Radio e Televisione
nella cultura e nella società d'oggi, in La Biennale di
Venezia. Annuario 1975, a cura dell'ASAC, Venezia, 1975,
pp. 781-782.
- 102. Presentazione della sezione Italia
di E. Crispolti, in Biennale di Venezia '76, vol. I, Ed.
La Biennale di Venezia, Venezia, 1976, p. 106.
- 103. Come scrive R.
De Grada in Per una mostra dell'"ambiente" sempre nella
presentazione della sezione Italia in Biennale di Venezia
'76, op. cit., 1976, p. 109, "la documentazione video
che qui si presenta offre alla considerazione internazionale
la realtà di un Paese come il nostro che sta realizzando,
accanto alle istituzioni, una trasformazione nei fatti
e ancor più nelle coscienze". La presentazione di queste
esperienze di intervento socio-ambientale, nel padiglione
Italia, è data dalla sua documentazione ordinata nel seguente
modo: Sala A - informazione multivision sui cinque aspetti
di ricerca documentati (livello di sintesi informativa);
Sala B - quattro canali di programmi videotape di azioni,
ordinati secondo i cinque aspetti di ricerca documentati
(livello di studio); Sala C - tre canali video con interviste
di protagonisti, film di azioni, alcuni carousel con ulteriori
documentazioni, documenti stampati e fotografici (livello
di documentazione e di studio); Sala D - materiale video,
filmico, fotografico e stampati relativi ai diversi argomenti
di "documentazione aperta".
- 104. O. Granath, Un salone delle intenzioni,
in Biennale di Venezia '76, vol. II, op. cit., 1976, p.
298.
- 105. Questo aspetto è particolarmente
evidente nella mostra Attualità internazionali '72-76,
a cura di Olle Granath, connessa alla Biennale veneziana,
che in qualche modo cerca di coprire il "vuoto di informazione"
venutosi a creare con l'assenza della sezione Arti Visive
della Biennale del 1974, e in cui Crispolti propone un'analisi
del carattere "extra media" della metodologia di alcuni
operatori artistici presenti alla mostra, che sarà successivamente
ripresa e sviluppata nel libro Extra-media: esperienze
attuali di comunicazione estetica, Studio Forma, Torino,
1978.
- 106. Curiosamente nel catalogo non si
accenna per niente alla componente video dell'installazione
di Nauman, ma solo ad un generico "Pannelli di legno truciolare
compressi", eppure il dispositivo video costituisce l'elemento
determinante l'opera stessa: non a caso queste opere vengono
definite videoinstallazioni.
- 107. E. Crispolti, Retrospettive. Claudio
Cintoli, in Dalla natura all'arte, dall'arte alla natura,
catalogo generale, La Biennale di Venezia, Venezia, 1978.
- 108. Aspetto, questo, più facilmente
spiegabile per la situazione americana, in cui per motivi
di sovvenzioni statali e finanziamenti vari è stato necessario
separare il lavoro prodotto in video dagli altri lavori
con media diversi (Cfr. M. Sturken, Paradossi nell'evoluzione
di un'arte: Grandi speranze e come nasce una storia, in
Video imago, op. cit., 1993, pp. 141-169). Ma per l'Italia
che non ha mai visto una lira per queste attività? Per
ora, comunque, sorvoliamo sui motivi e le responsabilità
che agiscono in questa separazione dell'ambito della videoarte,
accennando solo che in parte è dovuto agli addetti ai
lavori, in parte alle istituzioni, in parte a motivi tecnici
e tecnologici e in parte al rapporto della nostra cultura
con la "televisione".
- 109. Come scrive Carluccio, direttore
del Settore Arti Visive, nella presentazione del Catalogo
generale 1980, a cura di G. Dogliani, Ed. La Biennale
di Venezia, Venezia, 1980, p. 10: "Questa è la prima manifestazione
del Settore Arti Visive nel quadro del piano quadriennale
di massima che ha proposto "di ricostruire la complessa
vicenda dei mutamenti intervenuti nell'ultimo decennio
e di caratterizzare, in una dimensione tanto analitica
quanto progettuale, la sequenza storica costituita dagli
anni Settanta rispetto agli anni Sessanta"".
- 110. Cfr. Biennale di Venezia. Catalogo
generale 1980, op. cit., 1980.
- 111. Siamo lontanissimi da quella vicinanza,
o addirittura fusione, di medium e messaggio così sentita
nella cultura americana e che ha in McLuhan il proprio
cantore. La direzione è quella di un procedere "extra-media"
dell'operare artistico, di cui parleremo più avanti, e
di una "incoerenza" di stile come ci fa osservare per
esempio Baruchello a proposito della sua attività: "Sono
dunque conosciuto, incasellato, codificato per una certa
tipologia di immagini "alla Baruchello". Diciamo che,
azzardando un bilancio delle energie spese, tutto questo
è stato un quinto della mia attività" (in Extra-media:
esperienze attuali di comunicazione estetica, op. cit.,
1978, p. 30).
- 112. B. Ferguson,
Padiglione Canada, in Biennale di Venezia. Catalogo generale
1980, op. cit., 1980, p. 90.
- 113. Cfr. L. Kaiser, Fluxus. Fasi e varianti,
in "La Diana", Annuario della Scuola di Specializzazione
in Archeologia e Storia dell'Arte dell'Università degli
studi di Siena, Anno II, 1996, pp. 159- 187.
- 114. Cfr. Cap. I, il paragrafo Fluxus:
l'espansione della pratica artistica, pp. 14-26.
- 115. Cfr. C. Romano, G. Simonetti, La
questione italiana, in "Le Arti", n. 4, aprile 1976.
- 116. Alla Galleria La Bertesca-Masnata
di Genova si svolgerà poco prima della mostra organizzata
da Celant un evento dal titolo Concert Fluxus - Art Total,
a cui partecipano fra gli altri Simonetti e Nespolo, e
che è un elemento importante per comprendere la vicinanza
delle esperienze dell'Arte povera con quelle di Fluxus.
- 117. Cfr. Baruchello, op. cit., 1997,
pp. 30-31.
- 118. Ma l'impronta di Fluxus sarà evidente
anche nel modo di operare "extra media" di alcuni artisti
italiani degli anni Settanta di cui ci occuperemo più
avanti, e tra i quali troviamo gli stessi Nannucci e Baruchello
che abbiamo visto essere vicini a Fluxus già dalla metà
degli anni Sessanta.
- 119. R. Barilli, Video-recording a Bologna,
in "Marcatre", n. 3/4/5, Roma, 1970, pp. 139-140.
- 120. Informazione avuta direttamente
da Pistoletto nel corso di una conversazione del 30/5/1998
a San Gimignano, cfr. Antologia di documenti, p. 170.
- 121. Questo atteggiamento è particolarmente
evidente nelle operazioni decisamente aggressive di un
Vostell, o in quelle più ironiche di un Paik, ma anche
nelle proposizioni simbolico-rituali di un Beuys, o in
quelle di natura più concettuale di un Douglas Davis o
di un Mauri.
- 122. V. Fagone, L'immagine video, Feltrinelli,
Milano, 1990, p. 54.
- 123. Video-recording a Bologna, in "Marcatre",
op. cit., 1970, p. 138.
- 124. Boetti realizza altri due videotape:
Oggi è venerdì 27 marzo 1970, per il film televisivo Identifications
di Schum, del 1970, presente anche a Documenta 5 di Kassel
(1972); e Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo,
prodotto e realizzato all'Art/Tapes 22 di Firenze nel
1974. In entrambi i lavori, sostanzialmente simili, l'attenzione
è posta soprattutto sull'elemento comportamentale e concettuale
dell'azione di Boetti, in cui il video ha la funzione
di documentare l'evento attraverso una linearità temporale
che gli è propria, ma che è anche strettamente connessa
all'azione che si limita a registrare.
- 125. L'impiego del videotape nelle performance
musicali trova a partire dall'incontro Paik-Cage un terreno
molto fertile di verifica e di sperimentazione: nel 1965
Paik, Cage e Merce Cunningham realizzano un felice connubio
tra elettronica e balletto; nel 1969 Paik realizza con
la violoncellista Charlotte Moorman la famosa videoperformance
TV Bra for living sculpture, nella quale la Moorman suona
il violoncello nuda con addosso un reggiseno composto
da due piccoli monitor le cui immagini sono determinate
dal suono; Nauman, attratto maggiormente dalle esperienze
di musica ripetitiva e orientaleggiante di Philip Glass,
Terry Riley e La Monte Young, documenta con il video le
"partiture musicali" create dalle posizioni del proprio
corpo; e Palestine con Body Music 1 e 2 (1973-74) mostra
il rapporto tra il corpo e la voce umana in relazione
agli influssi dell'ambiente esterno e a quelli psicologici
e fisiologici dell'interno.
- 126. Nel catalogo
della mostra itinerante Americans in Florence: Europeans
in America, a cura dell'Art/Tapes/22, Centro Di, Firenze,
1974, si legge: "In Il suono Chiari playes the camera
using the real combinations; sound-recording: off/on;
image-recording: off/on; right direction; wrong direction.
We have 8 situations / in these 8 situations the performance
is free and played personally by the author".
- 127. Dichiara Sambin: "Questo lavoro
è una dichiarazione dell'utilizzo del videotape (VTR)
come estensione di me stesso [Š] l'insieme di apparecchiature
video forma un complesso strumento che mi permette di
moltiplicare le possibilità espressive; nella realtà ho
una sola bocca e una sola voce, in VTR & I posso avere
molte voci e molte bocche" (in S. Luginbuhl, P. Cardazzo,
Videotapes: arte, tecnica e storia, Mastrogiacomo, Padova,
1980, p. 41).
- 128. "Ambrosini, provvisto di chitarra,
posto di fronte ad uno schermo proiettivo, esegue una
composizione su spartiti-ritmi-televisivi emessi in circuito
chiuso da tre monitor; il suono della chitarra provoca
delle vibrazioni in due bacinelle d'acqua colpite da fasci
luminosi e viene visualizzato per riflessione su di uno
schermo che fa da soffitto. Entrano in gioco tre elementi:
visivo, sonoro, visibile, in una compromissione di fatti
creati e provocati, ritmi televisivi, ritmi della chitarra
e riflessi d'acqua in vibrazione" (in Videotapes: arte,
tecnica e storia, op. cit., 1980, p. 41).
- 129. Per saperne di più sull'Arte povera
rimando all'articolo "a caldo" di G. Celant, Arte povera.
Appunti per una guerriglia, in "Flash", n. 5, nov.- dic.
1967; oppure ai libri, sempre di Celant, Arte Povera,
Mazzotta, Milano, 1969, e Precronistoria 1966-69, Centro
Di, Firenze, 1976; e più di recente a F. Poli, Minimalismo,
arte povera, arte concettuale, Laterza, Roma-Bari, 1995.
- 130. Per Crispolti una tale intenzionalità
eversiva, antisistema, e anticonsumistica, risulta in
realtà di breve durata, subito ammortizzata in una integrazione
ufficializzata, del resto ricercata da Celant sin dall'inizio,
per cui tale atteggiamento risulta infine "di mero velleitarismo
ideologico-verbale", e come scrive ancora Crispolti: "è
evidente fin dall'inizio il più fondativo atteggiamento
sostanzialmente individualistico di chiaro accento neoromantico,
in particolare avvertibile nella proclamata programmatica
"identificazione di uomo-natura". Che è infatti la prospettiva
che più o meno da presso si riscontra implicata nell'operatività
degli artisti "poveri" italiani, per continuità anche
negli anni Settanta" (in La Pittura in Italia. Il novecento/3,
a cura di C. Pirovano, op. cit.,1994, p. 57).
- 131. R. Barilli, Dall'opera al coinvolgimento,
in Arte in Italia 1960-1977, a cura di R. Barilli, F.
Menna, A. Del Guercio, catalogo della mostra, Torino,
1977, p. 16.
- 132. R. Barilli, Dall'opera al coinvolgimento,
in Arte in Italia 1960-1977, op. cit., 1977, p. 18.
- 133. Cfr. Video-recording a Bologna,
in "Marcatre", op. cit., 1970, p. 141. Fabro realizzerà
successivamente un altro video dal titolo Tre Apologhi,
prodotto dalla Videoteca Giaccari di Varese, nel 1972,
che sarà presentato nella sezione "Area Aperta" della
rassegna Contemporanea a Roma, nel 1974, e alla mostra
Artevideo e Multivision a Milano nel 1975.
- 134. Calzolari, per esempio, realizzerà
No title nel 1973, video prodotto dall'Art/Tapes/22 di
Firenze, presentato nella sezione Videotape della mostra
Fotomedia nel 1975, alla mostra Artevideo e Multivision
di Milano, e nella mostra itinerante Americans in Florence:
Europeans in Florence del 1974, nel quale catalogo si
legge l'estratto di una lettera in cui Calzolari scrive:
"YesŠ I send you a film so that you can watch it. You
are, in fact, one of the few to whom I feel obliged to
account to periodically. It is a piece that I made here
in Berlin, in this house, one of the many houses that
you know, with the garden just outside the kitchen, the
blackbirds in the morning and the cold light in part of
the studio. Describing the film is only an impression
of the work: how to do it? We should rely on the same
reciprocal "entendu" as a semi-school in Lyonne. I have
to give you a descriptive list: research of an organic
structure, stratified that can affirm a continuous reality,
where every intention should be as important as the things
themselves; a reality without interval. A list of the
times of a cuckoo or of the times the glass reflects -
the glass is reflecting - walk strongly - I give him my
belt - my belt walks - that which interests me in the
end we know - a structure, an internally complex history,
a European notion, Central European?, and the compromising
fascination like arts in family".
- 135. Video-recording
a Bologna, in "Marcatre", op. cit., 1970, p. 142.
- 136. Sulla realizzazione di sigle, caroselli
e altre "opere" tv di questo artista esiste un film-documentario
di Marco Giusti dal titolo "Pascali, o le trasformazioni
del serpente", del 1992; cfr. anche Il serpente in moto,
di M. Ragozzino, in "il manifesto", 25 marzo 1992.
- 137. L'opera, prodotta dall'Art/Tapes/22
di Firenze nel 1974, era accompagnata dalle seguenti parole:
"Novantadue opere, datate dal 1960 al 1974, dimenticano
la loro immagine originale e tendono a identificare, nello
'spazio' di un minuto, una dimensione abituale e sconosciuta:
quella di un quadro".
- 138. Intervista a cura di A. Cigala,
in Cominciamenti, a cura di V. Valentini, De Luca, Roma,
1988, p. 79.
- 139. Kounellis realizzerà nel corso degli
anni Settanta anche un altro video, No Title, del 1973,
prodotto dall'Art/Tapes/22 di Firenze, di cui scrive:
"It is necessary to have a medium to make a videotape,
or the videotape is a medium. Everything trasmitted is
a compressed image, (a painting by Mondrian). Our imagination
creates images, or images represent common interests.
For the creative man, morality is a scandal. The moral
image (for always) is a scandal. I myself however, have
no wish to hide from you my jacobean past, despite the
fact that today, after extensive travel and knowledge,
I have understood the significance of that which Rimbaud
intended for free liberty. The revolutionary vitality
of an imaginary image" (in Americans in Florence: Europeans
in Florence, op. cit., 1974).
- 140. Video-recording a Bologna, in "Marcatre",
op. cit., 1970, p. 142.
- 141. In un incontro con Kounellis alla
Certosa di Pontignano, Università di Siena, del 9/3/1999,
questi parlando del video afferma di non aver mai avuto
a che fare con questo mezzo, né con la fotografia. I video
presentati come opere di Kounellis non sono realizzati
dall'artista stesso, così come la maggior parte delle
opere di questo periodo, ma sono il risultato di un lavoro
di collaborazione tra il tecnico-operatore (generalmente
anonimo) e l'artista-progettista (solitamente assunto
come autore dell'opera). Ciò apre una serie di problematiche
di carattere generale sul ruolo dell'artista e il suo
rapporto con la materia, con l'oggetto e con il progetto,
che richiederebbero una trattazione più approfondita,
non realizzabile per motivi di spazio in questo elaborato.
- 142. Scrive Barilli: "Una perfetta partitura
di scansioni visivo-sonore, ritmicamente alternate, ottenute
con mezzi semplicissimi, "poveri", totalmente aderenti
alla natura specifica degli strumenti impiegati" (in Video-recording
a Bologna, in "Marcatre", op. cit., 1970, p. 140).
- 143. Offmedia, op. cit., 1975, p. 67.
- 144. Video-recording a Bologna, in "Marcatre",
op. cit., 1970, p. 142.
- 145. Gennaio 70, III Biennale internazionale
della giovane pittura. Comportamenti Progetti Mediazioni,
op. cit., 1970.
- 146. L'immagine video, op. cit., 1990,
p. 167.
- 147. Cfr. Cap. I, p. 70.
- 148. L'immagine video, op. cit., 1990,
p. 166.
- 149. In questo nastro
l'azzeramento avviene isolando le immagini dalla descrizione
dell'ambiente filmato. Il video si sviluppa poi con una
descrizione puramente fonologica: le parole private del
loro significato sono sostituite con dei numeri. Nella
misura in cui la parola scompare il numero che la sostituisce
diventa un semplice supporto di intonazione.
- 150. D. Palazzoli (a cura di ), Fotomedia,
catalogo rassegna, Milano, 1975.
- 151. All'inizio di Tentativo di volo
De Dominicis espone il contenuto del lavoro, informando
che: "Forse è perché so nuotare che ho deciso di imparare
a volare. Ho ripetuto questo esercizio per tre anni. E'
possibile che non raggiungerò mai il mio scopo. Ma se
persuaderò mio figlio, e questi il figlio di suo figlio,
forse uno dei miei discendenti scoprirà come si può volare".
Quelli che sono tirati in gioco sono proprio i concetti
quale: "Quanto possono essere assolute le leggi della
natura?".
- 152. Video-recording a Bologna, in "Marcatre",
op. cit., 1970, p. 141.
- 153. Cfr. Cap. I, Land Art: l'opera come
documentazione, pp. 45-52.
- 154. Dichiarazione di Claudio Cintoli,
in Extra media: esperienze attuali di comunicazione estetica,
op. cit., 1978, p. 62. Cintoli successivamente realizza
un altro videotape, intitolato Il filo i Arianna e prodotto
dal Centro Video Arte di Ferrara nel 1974, in cui la semplice
documentazione dell'azione si mescola e si contamina con
il carattere propriamente creativo dell'uso del mezzo
video.
- 155. Video-recording a Bologna, in "Marcatre",
op. cit., 1970, p. 141.
- 156. Cfr. Cap. II, p. 97.
- 157. Come afferma lo stesso Plessi: "Ho
fatto dieci Biennali di Venezia e niente, ho fatto Kassel
[Documenta 8, del 1987] e all'improvviso sono diventato
uno dei più importanti videoartisti internazionali" (in
Antologia di documenti, p. 182).
- 158. Cfr. L'opera video di Fabrizio Plessi,
in L'immagine Video, op. cit., 1990, pp. 172-177.
- 159. V. Fagone, Immagine liquide: Plessi
e il video, in Plessi water video projects, Treviso, 1983.
- 160. Dichiarazione dell'artista, Incontro
con Fabrizio Plessi, 20 gennaio 1999, Certosa di Pontignano,
Università di Siena, in Antologia di documenti, p. 181.
- 161. Elementi questi presenti spesso
nelle opere di Plessi da Travel, del 1974, a Tam-Tam,
del 1979.
- 162. H. Gercke, Fabrizio Plessi e l'ombra
di Marcel Duchamp, in Plessi water video projects, op.
cit., 1983.
- 163. Dichiarazione dell'artista, Incontro
con Fabrizio Plessi, 20 gennaio 1999, Certosa di Pontignano,
Università di Siena, in Antologia di documenti, p. 181.
- 164. Per l'attività del Centro Video
Arte di Ferrara rimando a Centro Video Arte 1974-1994,
a cura di L. Magri, Corbo Editore, Ferrara, 1995; per
quanto riguarda il lavoro di Plessi rimando a AA.VV. (a
cura di), Plessi. Retrospektive 1976/1993, catalogo mostra
Museum Am Ostwall, Dortmund, 1993; oppure A. B. Oliva
(a cura di), Plessi Video Cruz, catalogo mostra Museo
Español de Arte Contemporaneo, Madrid, 1987, contenenti
anche una completa videografia e bibliografia.
- 165. Cfr. Cap. I.
- 166. Cfr. Attualità internazionali '72-76,
in Catalogo della BV '76, vol. II, Ed. La Biennale di
Venezia, Venezia, 1976, pp. 292-293.
- 167. Videointervista a Vittorio Fagone,
a cura di P. Serra Zanetti e M. G. Tolomeo, presentata
alla mostra La coscienza luccicante, Palazzo delle Esposizioni,
Roma, 1998.
- 168. Cfr. Cap. II, pp. 135-145. Il problema
resta comunque aperto in quanto non è possibile determinare
quali sarebbero stati gli sviluppi della vicenda "videoartistica"
senza la componente ideologica e di critica all'eccessiva
"tecnologizzazione della vita" proposta dagli artisti
"poveri", e che in qualche modo ha caratterizzato proprio
la pratica del video d'artista italiano. Sicuramente avrebbero
avuto un diverso sviluppo le ricerche "programmate" e
con loro una certa pratica, diversamente creativa, della
videoarte di tipo spettacolare e di "stampo americano",
ma queste sono solo possibili ipotesi.
- 169. Bisogna comunque puntualizzare che
tale ipotesi interpretativa non era ristretta solo alla
produzione artistica italiana, ma applicata ad un'area
di fenomenologia della ricerca artistica a carattere internazionale.
Ciò non toglie che tale ipotesi possa risultare utile
nell'aver colto i caratteri di una specificità e modalità
operativa ben applicabile alla produzione artistica italiana
di quegli anni.
- 170. Catalogo della Biennale di Venezia
1976, op. cit., 1976, p. 292.
- 171. Cfr. M. McLuhan, Il medium è il
messaggio, Feltrinelli, Milano 1968.
- 172. Catalogo della Biennale di Venezia
1976, op. cit., 1976, p. 292. Il discorso "extra media"
verrà ripreso e approfondito qualche anno dopo sempre
da Crispolti nel libro Extra media: esperienze attuali
di comunicazione estetica, op. cit., 1978.
- 173. Tutti presenti nel libro Extra media:
esperienze attuali di comunicazione estetica, op. cit.,
1978, tranne Patella, la quale metodologia operativa verrà
riconosciuta, comunque, come propriamente "extramediale"
dallo stesso Crispolti in "Gli anni dello smarginamento
e della partecipazione", in La Pittura in Italia. Il Novecento/3,
op. cit., 1994, p. 134.
- 174. "Dal 1970 al 1974 ho lavorato su
un'immagine fissa (Lenin), utilizzando le mie mani, la
mia testa, il mio corpo (anche nella sua immagine esteriore)
come mezzo di riproduzione per una sorta di azzeramento,
nel tentativo di trovare chiavi e codici primari diretti.
Il processo di sostituzione è parte di un rituale che
trova la ragione d'essere nella consapevolezza di vivere
su un'immagine impropria. Sostituzione che si esemplifica
come momento essenziale del vivere quotidiano. Essa si
presenta come un episodio ed un tempo del processo generale
di sostituzione, costruito attraverso i differenti mezzi
della comunicazione visiva. Ho avviato un processo di
appropriazione di un'immagine caratteriale nel tentativo
di superare il possesso della sola immagine esteriore,
in altri termini far scorrere il pensiero pensato e non
naturalistico, con l'avanzamento dell'elaborazione tecnica,
nel tentativo di misurare lo spazio mentale intercorrente
tra l'appropriazione dell'immagine e la sua riduzione
attraverso il rito e il "tempo" della frequentazione"
(dichiarazione di F. De Filippi, in La coscienza luccicante,
op. cit., 1998, p. 91).
- 175. Cfr. Cap. II, pp. 144-145.
- 176. Per esempio Il
videocomunicatore, del 1971, "Lo strumento consisteva
in una cabina, nella quale a turno era possibile collocarsi
e azionare una telecamera che registrava l'immagine e
i messaggi di chi si trovava nell'abitacolo, quindi, azionare
il registratore che, collegato al video interno alla cabina,
rimandava una serie di messaggi (di tutti coloro cioè
che avevano precedentemente utilizzato lo strumento).
In questo senso, si innesca un processo di "informazione"
tramite il rapporto "individuo-individuo" secondo una
progressione (teoricamente) illimitata. Lo strumento così
tendeva a esprimere il concetto di "interferenza" nel
sistema delle informazioni per un allargamento e moltiplicazione
degli scambi tra individui. Le cabine dei videocomunicatori
erano collocate anche nella città" (in Extra media: esperienze
attuali di comunicazione estetica, op. cit., 1978, p.
182).
- 177. Per quanto ci riguarda molto interessante
si rivela Esposizione in tempo reale n. 6, Il mendicante
elettronico, del 1973, di cui lo stesso autore scrive:
"In una piazza, vicino a una fermata dei tram, ho fatto
una registrazione televisiva di un mendicante mentre chiedeva
l'elemosina, poi, al posto di questo, ho lasciato un televisore
che trasmetteva la registrazione appena fatta; sullo schermo
appariva: "Il cieco torna subito". L'uso privato di questo
mezzo, di solito gestito da grossi gruppi di potere, determinava
un effetto di "mitizzazione istantanea" del mendicante
e un conseguente scivolamento nella scala sociale degli
spettatori, per cui, parafrasando Mc Luhan, si potrebbe
dire che "il medium è il potere". L'insieme di questi
processi comporta un'oscillazione nella valutazione della
propria identità sociale e determina un coinvolgimento
più ampio di quello che si verifica con un mendicante
in carne e ossa; l'effetto di intercomunicazione è, in
questo caso, maggiore con lo strumento che con la persona"
(autopresentazione di Franco Vaccari, in Extra media:
esperienze attuali di comunicazione estetica, op. cit.,
1978, p. 275).
- 178. Boriani continua ad operare secondo
una consapevolezza materialistica del proprio procedere
progettuale sperimentale, per cui può affermare: "Proprio
allo scopo di non costringere tale scelta nei limiti di
un repertorio prefissato e "personale" di "media", che
potrebbero risultare angusti nei confronti della ricchezza
e della molteplicità dei problemi emergenti dal reale,
preferisco utilizzare di volta in volta, i diversi mezzi
sperimentati o sperimentali che il repertorio tradizionale
delle arti, i mezzi di comunicazione e la società tecnologica
possono offrire" (in Extra media: esperienze attuali di
comunicazione estetica, op. cit., 1978, p. 45). De Vecchi
invece prosegue in direzione di un diretto impegno politico
e militante, per cui diviene più che mai marginale il
discorso di un uso specifico e specialistico di qualunque
medium, video compreso.
- 179. Per esempio Video tape recording
e Monitor che trasmette l'immagine di sé stesso, del 1971,
o Linea luminosa e ultrasuono ottenuti dalla manomissione
di un apparecchio televisivo, sempre del 1971, oppure
ancora Action painting Action, del 1972.
- 180. Da cui prenderanno "corpo" videotape
quali Il Punto, Il sogno di Coleridge e Sillando, del
1972, oppure Una cita, del 1973.
- 181. Cfr. Extra media: esperienze attuali
di comunicazione estetica, op. cit., 1978, p. 23. Un interessante
lavoro è il video L'immaginazione, il potere, del 1979,
prodotto, stranamente, dalla RAI e trasmesso nella rubrica
"Spazio Libero - I programmi dell'accesso" il 17 ottobre
1979.
- 182. Dichiarazione di Patella estratta
da una sua opera dal titolo Cinéma Cochon. Caution: Cinema!,
del 1999.
- 183. Manifesto del movimento spaziale
per la televisione, 1952, in Lucio Fontana. Catalogo generale,
op. cit., 1986, p. 37.
- 184. B. Di Marino, Costretti a (non)
scomparire, in Baruchello, op. cit., 1997, p. 80.
- 185. T. Trini, Di
videotape in videotappa, in "Domus", n. 495, febbraio
1971, p. 50.
- 186. E. L. Francalanci, V.T. is not T.
V., in Videotapes, 809° Mostra del Cavallino, Venezia,
1975.
- 187. Il caso del gruppo Videobase di
Anna Lajolo, Alfredo Leonardi e Guido Lombardi, è solo
l'esempio più noto, al quale si potrebbe aggiungere il
lavoro di diversi collettivi di cinema militante, da quello
di Milano a quello di Bologna a quello di Torino, ma anche
il lavoro di artisti già riconosciuti quali l'Ufficio
per l'Immaginazione Preventiva (Benveduti, Falasca, Catalano),
o le operazioni di Ugo La Pietra, Fernando De Filippi,
e Fabio Mauri.
- 188. G. Lombardi, A. Lajolo, Il video
di parte, in Dissensi tra film video e televisione, a
cura di V. Valentini, Sellerio, Palermo, 1991, p. 269.
- 189. Cfr. Cap. II, p. 121.
- 190. Sull'uso sociale e politico del
video cfr. anche AA.VV., L'altro video (incontro sul videotape),
Quaderno informativo n. 44 della IX Mostra Internazionale
del Nuovo Cinema, Pesaro, 1973.
- 191. G. Lombardi, A. Lajolo, Il video
di parte, in Dissensi tra film video e televisione, op.
cit., 1991, p. 269.
- 192. Per esempio scrive Fagone: "Nella
ricerca dei primi materiali della ricerca video in Italia
solo alcuni nastri si rivelano interessanti e significativi.
L'uso del nuovo mezzo è in genere duro, la soggezione
ai modelli delle arti visuali esplicita, l'esplorazione
del tempo ricondotta a un prolungamento dei momenti di
ripresa oggi insostenibili" (in L'immagine video, op.
cit., 1990, p. 166).
- 193. "Il senso estetico e l'arte sono
caratteristiche antropologiche, per cui ogni cambiamento
del vivere e del comunicare comporta inevitabilmente un
mutamento psicologico e di conseguenza estetico" (in Dall'oggetto
artistico all'arte immateriale, di G. Beringheli, in Giuliano
Sturli, catalogo mostra, Studio Leonardi, Genova, 1989,
p. 34).
- 194. Cfr. AA.VV., Video '79: dieci anni
di videotape, op. cit., 1979.
- 195. A. Silj, Perché Video '79, in Video
'79: dieci anni di videotape, op. cit., 1979, p. 11.
- 196. Molto chiare a questo proposito
risultano le parole di Nam June Paik che afferma: "Insomma
se si parla di tecnologia e arte occorre parlare di soldi.
In questo campo è un po' come nell'industria cinematografica.
Si deve iniziare con i soldi. Del resto noi utilizziamo
degli studi di post-produzione che costano migliaia di
dollari al giorno e non possiamo permetterceli. Occorre
trovare dei sostenitori che ci consentano di utilizzare
tecnologie, che ci affidino gli strumenti per portare
avanti il nostro lavoro. Del resto è anche vero che le
grandi aziende hanno bisogno di noi. Ci affidano le nuove
tecnologie per sperimentarle, per verificarne i limiti.
Quindi spesso siamo noi, gli artisti, a sperimentare nuove
tecnologie" (in Il Novecento di Nam June Paik, op. cit.,
1992, p. 28); cfr. anche la situazione delle sovvenzioni
alla ricerca videoartistica in Canada, Cap. II, p. 125.
- 197. A. Silj, Perché Video '79, in Video
'79: dieci anni di videotape, op. cit., 1979, p. 12.
- 198. Cfr. A. M. Montaldo,
P. Atzori (a cura di), Artel, Media elettronici nell'arte
visuale in Italia, Ilisso, Nuoro, 1995, p. 113.
- 199. Cfr. M. Meneguzzo, L. Giaccari (a
cura di), Memoria del video. 1. La distanza della storia,
Nuova Prearo, Milano, 1987; e V. Fagone, L'immagine video,
op. cit., 1990, pp. 167-172.
- 200. Cfr. Lorenzo Magri (a cura di),
Centro Video Arte 1974-1994, op. cit., 1995. Il CVA di
Ferrara ha dovuto purtroppo lasciare la Galleria del Palazzo
dei Diamanti nel marzo 1997, trasformandosi così in associazione
culturale e riducendo quindi drasticamente le proprie
attività.
- 201. Cfr. Art/Tapes/22 (a cura di), Americans
in Florence: Europeans in Florence, catalogo della mostra
itinerante, Centro Di, Firenze, 1974; e V. Valentini (a
cura di), Cominciamenti, op. cit., 1988, pp. 61-87. L'Art/Tapes/22
chiude per difficoltà economiche nel 1976; tutto il materiale
video e cartaceo viene ceduto all'ASAC di Venezia, il
quale lo ha conservato fino a oggi, ma che attualmente
richiede un intervento di recupero prima che diventi totalmente
inutilizzabile a causa di un inevitabile deterioramento
o peggio ancora del loro smarrimento.
- 202. Dichiarazione dell'artista, Incontro
con Fabrizio Plessi, 20 gennaio 1999, Certosa di Pontignano,
Università di Siena.

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