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Le prime realizzazioni

Convenzionalmente la data d¹inizio della "videoarte" si fa coincidere con l'esposizione, dal titolo Exposition of music-electronic television, tenutasi alla Galerie Parnass di Wuppertal nel marzo del 196351. E¹ presente alla mostra Nam June Paik, artista coreano, con la videoinstallazione (se già si può utilizzare questo termine che avrà solo negli anni Ottanta una corretta definizione52) 13 Distorted TV-sets e cioè 13 diversi monitor sintonizzati su trasmissioni televisive e collegati a dispositivi elettronici in grado di disturbarne la ricezione dell¹immagine video variandone l¹intensità luminosa, creando interferenze, distorcendola53. Ma leggiamo cosa scrive Fagone a questo proposito: "L¹obiettivo destrutturante dell¹operazione è chiaro. L¹immagine elettronica è esaltata nella sua qualità luminosa primaria ma, alla lettera, contrastata nella sua apparenza televisiva di immagine assolutamente veridica e quindi unica"54. Mentre d¹altro canto Marco Maria Gazzano, riconoscendo la priorità delle proposizioni di Paik, lo inserisce nella scia del Modernismo55 scrivendo: "E¹ stata questa l¹intuizione di Paik, l¹atto di nascita delle arti elettroniche, nel 1962-65: la capacità di riportare le nuove tecniche audiovisive nell¹ambito della tradizione più avanzata del Moderno, quella che ha esplorato ¯ radicalizzandone le potenzialità ¯ i linguaggi espressivi, per cogliere ciò che stava dietro l¹apparenza, l¹"oltre", il di là da se stessi"56.

Sempre nello stesso anno Wolf Vostell presenta alla Smolin Gallery di New York i suoi Tv Dé-coll/age, in cui accumula sistematicamente gli effetti di disturbi e interferenze: "Egli "scolla" e registra una qualsiasi trasmissione televisiva e si propone di ripresentarla con tre minuti preliminari di disturbi"57. Mentre Paik programma il disturbo e la distorsione agendo direttamente sul dispositivo, sulla macchina, Vostell lavora sul riferimento alla normale programmazione televisiva, fondando la sua prassi di intervento sull¹alterazione-denuncia, sottraendo così al flusso continuo della televisione le immagini e la sua forza pervasiva: "L¹attitudine destrutturante è forse ancora più netta nell¹opera di Wolf Vostell, anch¹egli tra gli artisti dell¹esposizione alla Galerie Parnass [Š], che nei TV de-coll/age interviene violentemente nella decomposizione-ricomposizione di immagini estrapolate da programmi televisivi di larga diffusione"58.

La pratica del dé-coll/age59, utilizzata da Vostell per le sue operazioni di sottrazione, aveva già dalla fine degli anni Cinquanta inglobato l¹uso del televisore: "Nell¹allestimento del ciclo delle Schwarzes Zimmer (Berlino, 1958-59) i televisori trasmettevano i loro normali programmi ma incastonati tra oggetti e fotografie dei campi di sterminio di Treblinka e di Auschwitz, con l¹evocazione drammatica del fantasma irrisolto del passato nazista accostata all¹altrettanto drammatica indifferenza delle emissioni commerciali della televisione. Nel TV De-coll/age (1958) Vostell propone una grande tela incolore, lacerata in vari punti da cui si intravedono altrettanti occhieggiamenti di schermi, con le loro emissioni assurdamente decontestualizzate, ridotte a residui e metafore inquietanti"60.

Fagone, però, fa giustamente notare che anche se nelle esposizioni di Wuppertal sono presenti delle opere in cui appare l'apparecchio televisivo, o in cui appaiono delle immagini modificate elettronicamente, è solamente nell¹ottobre del 1965 che sarà usato uno strumento per la registrazione su nastro magnetico (il Portapack della Sony, uscito sul mercato statunitense a prezzo accessibile quello stesso anno) con intenzionalità estetica . E' solo con la registrazione, significativamente chiamata Café Gogo, 152 Bleeker Street, October 4 and 11, 1965, presentata da Nam June Paik al Cafè a Go Go e alla Galleria Bonino di New York, che un'artista sperimenta le potenzialità di questo nuovo medium fin dalla sua fase di costituzione. Siamo di fronte alla creazione del primo videotape d¹arte.

Come scrive Maria Grazia Tolomei: "Paik sarà il primo di una serie di artisti che faranno del reportage amatoriale un evento artistico effettuando una ripresa in esterni e mostrandola la sera stessa in una galleria privata". Paik con la realizzazione di questa semplice registrazione della realtà e con la ricontestualizzazione della stessa in un luogo deputato alla fruizione dell¹arte si ricollega alla lezione duchampiana dell¹ "objet trouvé" , ma espandendone la portata, e cioè trasferendo il concetto di ready-made dall¹oggetto all¹evento61.

Diversamente, per una parte della critica62 la videoarte comincia nel 1969 con la mostra televisiva Land Art di Gerry Schum63 e con la mostra TV as a Creative Medium, alla Howard Wise Gallery di New York, la prima rassegna di arte video alla quale partecipano molti dei nomi che già avevano sperimentato il mezzo televisivo in anni precedenti, quali Frank Gillette e Ira Schneider, Nam June Paik e Charlotte Moorman, Eric Siegel, Aldo Tambellini e altri64.

Va comunque ricordato che il problema delle date di inizio di un fenomeno come la videoarte è sempre un po¹ ostico da risolvere per i motivi già indicati nel corso di questo elaborato, e cioè le diverse radici e possibilità di utilizzo del mezzo video.

In realtà, quindi, queste date verranno assunte solo per ragioni di comodità storiografica, sapendo benissimo che ogni fenomeno artistico trae le proprie origini da una molteplicità di eventi ed avvenimenti concatenantisi, e tenendo ben presente che non ci troviamo di fronte ad un movimento artistico (con tanto di manifesto programmatico) ma ad un fenomeno che racchiude in sé una buona parte degli aspetti socio-culturali e politico-economici dei paesi in questione.

Ma continuiamo. In tutt¹altra prospettiva si muove invece il lavoro di Joseph Beuys nel suo rapporto con il video. Dal 1964 in poi moltissime delle sue azioni vengono filmate, riversate in video, registrate direttamente su nastro magnetico o realizzate appositamente per (contro) il medium televisivo.

Particolare è la posizione di Beuys sia nel contesto di Fluxus (di cui è attivo organizzatore per l¹ambiente europeo), sia per l¹uso che ne fa del mezzo televisivo65. All¹interno della pratica sperimentale e provocatoria di Fluxus, Beuys sviluppa la sua dimensione di espansione del discorso artistico, politico e ideologico con una certa attenzione all¹aspetto di allargamento comunicativo consentito dai media e in particolare dagli strumenti audiovisivi. I primi esempi di registrazioni audiovisive applicate da Beuys alle proprie azioni, sono rintracciabili nella performance fluxus Kukei, akopee-Nein!, del 1964, e sempre nello stesso anno, sfruttando l¹uso della diretta, nell¹azione Das Schweigen von Marcel Duchamp wird überwertet 66.

L¹esplorazione del video nella funzione di registrazione delle azioni e azioni per la televisione, si pone come obbiettivo non tanto l¹analisi delle caratteristiche specifiche del mezzo o la costituzione di particolari ambienti estetico-percettivi, quanto la possibilità di lasciare aperto un canale dell¹informazione e della comunicazione avviata proprio con la performance. In una tale modalità operativa Beuys non pone più alcuna differenza tra il mezzo video e quello cinematografico, essendo entrambi disponibili all¹uso da lui richiesto. Il video (così come anche il film) diventa allora uno strumento intermediario, capace di attivare uno scambio di informazioni, ma anche, per la sua natura immateriale e fluida, capace di realizzare "quella "plastica sociale" che assume il pensiero come scultura immateriale, infiltrata e circolante tra materie e situazioni catalizzati dalla presenza dell¹artista"67.

Continuando con Silvia Bordini: "Tuttavia è chiaro che Beuys è lontano dalle problematiche specifiche sia del film d¹artista sia della videoarte; Beuys adopera il film e il video per i propri scopi, semplicemente come ulteriore strumento per comunicare; per prolungare il senso del discorso. E¹ interessato a continuare non a conservare le opere registrandole e memorizzandole, (come invece fa Schum); non intende calarsi totalmente all¹interno del mezzo per sviscerare e reinventare le sue molteplici potenzialità linguistiche (come Paik); e anche la denuncia e la contestazione dell¹oggetto e del potere televisivo (così centrale in Vostell e, con un uso ancora diverso in una ampia frangia di video espressamente politici come quelli del gruppo Guerrilla Television) rimangono marginali nelle sue intenzioni"68.

Bisogna comunque riconoscere che l¹azione proposta da Beuys a Copenhagen nell¹ottobre del 1966, con il titolo Fliz TV, e riproposta in studio, nel 1970, per la video-mostra Identifications a cura di Gerry Schum, si inserisce perfettamente in quel clima di forte opposizione e denuncia dell¹apparato televisivo e dei suoi portati. In questo caso il confronto critico con la televisione diventa confronto diretto ed esplicito con l¹oggetto televisione in una sorta di rito ironico ed assurdo dalle molteplici ipotesi interpretative69.

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Note

  • 51.Vorrei sottolineare che questo evento già pone un primo problema di esattezza storico-filologica: L'esposizione di Wuppertal è stata una personale di Nam June Paik o una mostra collettiva in cui era presente anche Wolf Vostell con i suoi de-collage? Le posizioni della critica a questo riguardo sono molto disparate. Da una parte si sostiene che i due artisti abbiano esposto insieme alla Galleria Parnasse di Wuppertal nel marzo 1963, e tra questi V. Fagone (Il Novecento di Nam June Paik, L'immagine video), A. Amaducci (L'immagine scatenata, in Video imago), F. Popper (L'art à l'âge électronique), L. Taiuti (Arte e Media), D. Bloch (Video-installazioni, in Metamorfosi della visione). Dall'altra parte invece si sostiene che si sia trattata di una personale di Nam June Paik e che Vostell esponesse quasi contemporaneamente alla Smolin Gallery di New York, posizione questa di M. M. Gazzano (Il Novecento di Nam June Paik), G. Celant (Offmedia), S. Bordini (Videoarte e arte. Tracce per una storia), Anne-Marie Duguet (Vedere con tutto il corpo, in Metamorfosi della visione), M. G. Tolomeo (La coscienza luccicante) e di S. Luginbuhl e P. Cardazzo (Videotapes: arte, tecnica, storia).
  • 52.Un'esauriente classificazione dei termini e delle etichette via via comparse a definire questo nuovo mezzo di comunicazione estetica è stata operata da Vittorio Fagone in L'immagine video, op. cit., 1990.
  • 53. "Paik propone uno sfregio visivo che permette, per la prima volta, una 'risposta' del pubblico al linguaggio unidirezionale della televisione" (in Lorenzo Taiuti, Arte e media, op. cit., 1997, p. 96).
  • 54.Vittorio Fagone, Video d'Europa. Origini e tracciati, in In Video '90, a cura di Sandra Lischi e Felice Pesoli, Ergonarte, Milano, 1990, p. 104.
  • 55. "Questo segna l'apparecchiatura video come un contributore unico a quel che si può vedere non come postmodernismo, ma come il progetto non ancora completato del modernismo. Perché se una delle impetuose aspirazioni del modernismo nelle arti fu quello di creare forme artistiche capaci di rispondere ai mutamenti dinamici dell'industrializzazione, sia come celebrazione sia come critica, il video allora interiorizza profondamente questa vocazione e a un ben maggiore livello della fotografia e del film, arti che hanno anch'esse una componente modernistica nella loro struttura fondamentale". Tratto dal breve ma interessante saggio di Maureen Turim, La logica culturale del video, in Illuminating Video, Aperture Bauc, 1990, tradotto in italiano in Video imago, op. cit., 1993, pp. 171-176, che affronta in modo chiaro il rapporto dell'estetica video con il modernismo e il postmodernismo; problematica questa affrontata anche in Electra Myths: Video, Modernism, Postmodernism di K. Dieckmann, in "Art Journal", vol. 45, n. 3, 1985, pp. 195-203.
  • 56. M. M. Gazzano, A. Zaru (a cura di), Il Novecento di Nam June Paik, Carte Segrete, Roma, 1992, p. 16.
  • 57. L'implosione nel campo dei colori di Florence de Méredieu in A. Amaducci, P. Gobetti (a cura di), Video imago, "Il nuovo Spettatore", n.15, Franco Angeli, Milano 1993, p. 90.
  • 58. M. M. Gazzano, A. Zaru, Il Novecento di Nam June Paik, op. cit., 1992, p. 24.
  • 59. Il termine dé-coll/age, anche se sottolinea il riferimento alla pratica dadaista del collage, non è aggiungere, ma bensì sottrarre, e come spiega Vostell: "rinvia a un principio della negazione estetica, o a un'estetica della negazione: a forme di distruzione, volontaria o involontaria, per opera dell'uomo o del destino. [Š]Il processo del dé-coll/age, che deforma l'oggetto, è anche un evento, un avvenimento, una azione che ha la stessa importanza del risultato estetico" (catalogo della mostra Hors Limites, a cura di J. De Loisy, Centre G. Pompidou, Parigi, 1994, cit. in Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 32.
  • 60. Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 34.
  • 61. E in questo caso John Cage fa da tramite avendo per primo trasferito il concetto di ready made nel suono ready-made, e cioè dalla sfera materiale dell'oggetto a quella immateriale della musica. Cfr. Ubi fluxus, ibi motus, a cura di A. B. Oliva, op. cit., 1990.
  • 62. Mi riferisco, ad esempio, a Maurizio Calvesi che scrive: "La video-art, nata nel 1969, è figlia dei "film di artista" che avevano cominciato a circolare dalla metà degli anni Sessanta" (in La coscienza luccicante, op. cit., 1998, p. 55); oppure ad Alessandro Silj, curatore della mostra Video '79: video- the first decade, a Roma nel 1979, che nel catalogo scrive: "La prima mostra di arte video fu organizzata a New York, nel 1969, da Howard Wise".
  • 63. Il "film televisivo" di Gerry Schum sarà trasmesso dalla Sender Freies Berlin nel 1969 con il titolo Land Art; per un maggiore approfondimento rimando al paragrafo Land Art di questo stesso capitolo.
  • 64.Questa mostra sarà la prima di una serie di eventi fondamentali per il riconoscimento della videoarte all'interno del panorama artistico ufficiale, quali Vision and Television, all'inizio del 1970, al Rose Art Museum a Waltham, Massachusetts, curata da Russell Connor che più tardi dirigerà la sezione dedicata ai nuovi media del New York State Council on the Arts; nel 1971 il Finch College Museum di New York invita dieci artisti a creare dei videotape nel museo stesso dove verranno presentati il mese successivo; nello stesso anno anche il Whitney Museum con lo Special Videotape Show si interesserà alle produzioni video; e ancora nel 1971 nascerà all'Everson Museum di Syracuse, New York, la prima sezione video.
  • 65.Organizzatore del Festum Fluxorum Fluxus a Dusseldorf nel febbraio del 1963, per cui realizza una importante azione, Sibirische Symphonie, I Satz, in cui appaiono alcuni dei simboli e degli elementi che diverranno ricorrenti nel suo lavoro, Beuys si caratterizza per una sua personale pratica performativa: "Attratto dalla comune propensione interdisciplinare ed all'uso non convenzionale dei significati, Beuys dal canto proprio ha dispiegato nelle performance una cadenza ritualistica, un senso metaforico dei materiali, simboli ed iconologie complesse che lo spingono lungo la direttrice di una palingenesi culturale non precisamente omogenea all'attitudine ludica del nucleo Fluxus originario" (in Per complicare l'intreccio, di Sandro Ricaldone, op. cit.).
  • 66. Cfr. F. Hergott (a cura di), Joseph Beuys, Films et vidéos, Centre G. Pomidou, Parigi, 1994.
  • 67.Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 46.
  • 68.Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 46.
  • 69.Germano Celant interpreta la "lotta" di Beuys contro la televisione come il riscatto della degradazione personale: "Nella sua trasmissione impersonale, Beuys richiama il personale e l'emotivo, il violento ed il maldestro dell'individuo contrario all'ammorbidimento ovattato della televisione" (in Offmedia, di G. Celant, Dedalo, Bari, 1977, p. 51); per le altre ipotesi cfr. Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 48.

 

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