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Una nuova concezione di opera
d'arte
Il video comincia ad essere utilizzato più
largamente, in Europa come negli Stati Uniti, solo alla
fine degli anni Sessanta. La scena artistica era allora
caratterizzata da un moltiplicarsi di tendenze e denominazioni
(Minimalismo, Arte concettuale, Land Art, Performance e
Body Art) che per molti aspetti tendevano ad esigenze e
interrogativi simili, fino ad incontrarsi in un unico punto:
la ridefinizione del concetto di opera d¹arte70.
La pratica del video, come
nuova tecnica in grado di offrire possibilità nuove
di immediatezza comunicativa ed esplorazione spazio-temporale,
si è mossa all¹interno di quasi tutte queste correnti
artistiche, nutrendosi proprio dell¹abbattimento degli ambiti
disciplinari caratteristico dell¹arte di questo periodo71:
"L¹happening, la performance, l¹arte del corpo, gli
ambienti, sono tutte espressioni di un nuovo clima del mondo
dell¹arte. Alla fine degli anni sessanta la condizione della
ricerca registra un massimo di sconfinamento dai limiti
convenzionali dell¹arte e, nei processi di concettualizzazione
e di interrogativa riflessione sul fare artistico (l¹arte
concettuale), tocca insieme il massimo di concentrazione"72.
Nella propria peculiare
dimensione temporale il video raccoglie allora sia la memoria
di una performance che l¹unica manifestazione sensibile
di una proposizione concettuale, senza comunque rinunciare
all¹esplorazione delle specificità e degli aspetti
puramente formali dell¹immagine elettronica.
Meno interessata a quest¹ultima
possibilità è la posizione di Anne-Marie Duguet
che, nel testo Dispositivi, scrive: "Se parecchie
realizzazioni sembrano esplorare problemi puramente formali
a partire da principi tecnici specifici come la diretta,
è a un lavoro critico di portata più generale
che sono impegnate le opere più feconde. Queste chiamano
in causa contesto e referenze, si mettono in gioco attraverso
ibridazioni multiple e confronti che vanno ampiamente al
di là dei limiti "territoriali" di ogni
arte per mettere in causa i limiti dell¹arte stessa"73.
Quindi si comprende l¹interesse
suscitato dal video solo a partire da quello che possiamo
definire come un doppio spostamento delle problematiche
artistiche nel corso degli anni Sessanta. Dove da una parte
troviamo la ricerca sulla percezione dell¹opera, in cui
l¹esperienza del fruitore costituisce un elemento decisivo.
E in una tale posizione possiamo riconoscere come determinante
il contributo dell¹arte minimale. Dall¹altra parte invece
l¹attenzione viene posta sul concetto dell¹opera, fino a
giungere al rifiuto totale di qualsiasi produzione materiale.
Questo approccio è riscontrabile in particolare nell¹arte
concettuale.
L¹opera d¹arte dunque è,
da una parte e dall¹altra, rimessa completamente in discussione,
fino ad intaccarne i fondamenti tradizionali, quali l¹unicità,
l¹autonomia e la materialità stessa. In un tale clima
si sviluppano allora altri modi di produzione e creazione
artistica come ad esempio la già in parte affrontata
"performance" (con le sue radici in Fluxus, e
ancor prima, negli spettacoli futuristi e dadaisti), e "l¹installazione",
che saranno entrambi predominanti anche nella produzione
video.
a. Minimalismo: l¹espansione
della spazialità interna all¹opera d¹arte e l¹analisi
del suo campo di percezione
L¹elemento dell¹installazione
diventa dunque un aspetto caratteristico e fondamentale
di un certo tipo di produzione artistica riscontrabile soprattutto
nella pratica minimalista.
Mettendo in discussione
il tradizionale modo di vedere prospettico, la riduzione
minimalista si pone il problema di riorganizzare il rapporto
tra lo spazio e l¹opera-oggetto. Questa non si colloca più
semplicemente in uno spazio, ma è essa stessa che
lo determina e lo organizza.
Vediamo cosa scrive Germano
Celant in Precronistoria 1966-1969: "Il 27 aprile
1966 si apre al Jewish Museum di New York, "Primary
structures", una rassegna che decreta a livello museale
il riconoscimento della minimal art. [Š]gli artisti minimal
rifiutano le componenti illusionistiche, liriche o personali,
nonché i problemi contenutistici e compositivi per
interessarsi alle unità standard, linee, volumi,
che escludono, con la loro banalità, ogni problema
associativo e interpretativo. Sintomatici di questa posizione
sono i lavori di Andre, Judd, LeWitt, Morris, Flavin con
i loro arrangiamenti o agglomerati di elementi che la produzione
industriale ha reso "ridotti e primari" quali
mattoni, tubi fluorescenti, assi e piani metallici.
Le unità vengono
organizzate a terra o a muro, in modo che la loro "definizione"
derivi solo dalla collocazione e dalla disposizione spaziale.
Queste non possiedono alcunché di singolare, ma producono
delle quantità di vuoto e di pieno, verticali e orizzontali,
che modificano il significato topologico delle unità
standard. Gli insiemi che ne risultano sono allora "gruppi
di senso", il cui significato ha origine nel processo
costruttivo e nella collocazione ambientale"74.
L¹ "opera in situazione",
come la definisce Robert Morris75,
quindi più che tendere a influenzare il pubblico,
coinvolgendolo passivamente in uno spettacolo, cerca l¹inserimento
in una situazione. All¹evento si può assistere, semmai,
come testimoni o come elementi dell¹ambiente. Assume, allora,
un¹importanza primaria l¹aspetto della ricerca e dell¹adeguamento
del "luogo" in cui avviene l¹evento: la situazione
diventa l¹elemento condizionante e intrinseco della proposizione
artistica.
Come scrive Carl Andre:
"Il genere di luogo che ho in mente non deve essere
confuso con l¹ambiente (environment). E¹ cosa futile da
parte di un artista il tentativo di creare un ambiente,
perché si ha sempre un ambiente intorno. Ogni organismo
vivente ha un ambiente che lo circonda. Un luogo è
un¹area all¹interno di un ambiente che è stata alterata
in modo da rendere l¹ambiente generale più evidente.
Tutto è ambiente, ma un luogo è in relazione
particolare sia con le qualità generali dell¹ambiente,
sia con le qualità particolari del lavoro che è
stato fatto"76.
L¹arte minimale, quindi,
non crea l¹ambiente, ma si inserisce in esso per renderne
manifeste certe relazioni essenziali. L¹artista in un certo
senso reagisce all¹ambiente, compie determinate azioni che
ridefiniscono l¹ambiente, opera con un atteggiamento in
definitiva "comportamentista"77.
Ma tornando all¹opera in
situazione, e al suo statuto come antecedente diretto dell¹installazione,
Robert Morris, nelle sue Notes on sculpture, definisce
alcuni dati essenziali di questa nuova concezione di opera
d¹arte.
In questo scritto Morris
da una parte difende gli oggetti di grandi dimensioni, che
impegnano una partecipazione fisica dello spettatore più
attiva che nella modalità intima offerta dall¹oggetto
artistico tradizionale. Dall¹altra parte, invece, si muove
in direzione dell¹utilizzazione di forme conosciute, facilmente
identificabili, di modo che l¹attenzione non si fissi sull¹oggetto
ma sulla sua messa in situazione, rimandando il fruitore
direttamente alla propria attività percettiva: "Il
piccolo numero di elementi in gioco, il loro carattere spesso
geometrico e ripetitivo, questa "economia di mezzi"
con cui si è troppo facilmente qualificata l¹opera
minimale non provengono da un culto della sobrietà
o da un ascetismo ossessivo, ma da una concezione dell¹opera
come sistema relazionale"78.
E come scrive Robert Morris: "l¹oggetto non è
più che uno dei termini della nuova estetica. In
un certo senso essa non è più riflessiva,
perché si ha maggiore coscienza del fatto che esistiamo
nello stesso spazio dell¹opera di quanto non si avesse di
fronte a opere precedenti con le loro multiple relazioni
interne. Ci si rende conto meglio che in precedenza di essere
noi stessi impegnati a stabilire delle relazioni, mentre
concepiamo l¹oggetto a partire da posizioni diverse e sotto
certe condizioni variabili di luce e di spazio"79.
L¹opera viene così
concepita a partire da parametri elementari capaci di intrattenere
relazioni costantemente mutevoli tra spettatore, spazio
e punto di vista.
Il video aggiunge al concetto
di installazione semplicemente l¹elemento del dispositivo
elettronico. E quello che viene rimesso in discussione,
sia nelle proposizioni del minimalismo che nelle stesse
videoinstallzioni, è proprio la nozione di punto
di vista unico e privilegiato. Come nell¹opera minimalista,
anche nell¹installazione video è lo spettatore ad
agire lo spazio, spostandosi attorno, davanti e attraverso
l¹opera stessa, verificando a suo modo la teoria della relatività:
"perché è l¹osservatore a cambiare continuamente
di forma mutando la sua posizione in rapporto all¹opera"80.
L¹esplorazione fisica, quindi,
diventa il modo privilegiato della percezione nella nuova
concezione dell'opera d¹arte, e la sua esperienza "si
realizza necessariamente nel tempo"81,
come afferma ancora Morris.
E come scrive Anne-Marie
Duguet: "L¹opera non si concede più tutta d¹un
colpo e si presenta essenzialmente come un procedimento,
attraverso le modalità della sua percezione. Essa
è "opera aperta" per eccellenza, nel senso
in cui essa si presta a una infinità d¹interpretazioni,
per cui non saprebbe più essere un prodotto compiuto,
in cui ognuna delle sue attualizzazioni implica la variazione"82.
Da un punto di vista storico
una delle prime videoinstallazioni è stata realizzata
ancora da Nam June Paik. L¹opera, del 1965, si intitola
Moon is the Oldest TV e consiste nell¹aver posto
in semicerchio, sopra alti parallelepipedi neri, una serie
di televisori accesi in un ambiente buio, e creando, attraverso
la deformazione del segnale elettronico, negli schermi una
sequenza di sfere luminose che mimano le fasi di una luna
artificiale83.
Una tale configurazione
spazio-temporale di radice minimalista, connessa alla serialità
delle sequenze delle immagini e alla moltiplicazione degli
schermi (e quindi dei fuochi visivi) come unità standard,
sarà un elemento ampiamente sviluppato (e sfruttato)
nella pratica di molti videoartisti, soprattutto a partire
dagli anni Ottanta84.
Un intenso confronto tra
la dimensione dello spazio e la strutturazione del tempo,
presente in area minimalista, ma anche più in generale
in quel clima di dematerializzazione dell¹arte di cui
partecipa anche la performance, è proposto da Ira
Schneider e Frank Gillette nelle loro prime videoinstallazioni.
Nella videoinstallazione
Wipe Cycle85, struttura
di nove monitor nella forma di una "televisione murale",
il dispositivo video ridefinisce lo spazio e il tempo dell¹esperienza
reale dello spettatore tramite il ritardo dell¹immagine
in diretta e la giustapposizione di più visioni dislocate86.
Scrive Frank Gillette: "E¹ un tentativo di rimaneggiamento
della propria esperienza temporale, del proprio senso del
tempo e dello spazio"87.
Manhattan is an island,
una videoinstallazione di Ira Schneider del 1975 in cui
vengono disposti dei televisori in cerchio che consentono
di realizzare la prima panoramica completa dell¹isola di
New York, oltre ad agire sullo spazio di percezione del
dispositivo video, creando un ambiente spazialmente percorribile
e dai molteplici fuochi visivi, esplora anche la dimensione
temporale stabilendone una propria inedita misura.
Come scrive Fagone: "L¹installazione
di Ira Schneider afferma singolarmente due gesti tipici
di ogni video-installazione: 1) la formulazione di una dislocazione
spaziale paradossale e reale; 2) l¹attivazione di
un confronto col tempo come canone di messa in ordine, codice
di riconoscibilità della fluidità del visibile,
ritmo di crescita e d¹apprendimento di ogni fenomeno"88.
b. Arte concettuale: l'opera come
procedimento
Uno degli obiettivi dell¹arte
concettuale è quello di sollecitare l¹attività
mentale dello spettatore, quindi di spostare l¹attenzione
dall¹oggetto d¹arte ai suoi presupposti, ai principi che
presiedono la sua concezione.
Determinanti nella definizione
del lavoro artistico concettuale si rivelano gli scritti
di Sol LeWit e di Joseph Kosuth. Sol LeWit ha introdotto
la parola "conceptual art" nell¹articolo Paragraphs
on Conceptual Art apparso in "Artforum" nell¹estate
del 1967. In questo articolo l¹attenzione è posta
sul lavoro dell¹artista coinvolto nella situazione, in cui
l¹ "intenzione" che suscita l¹evento entra a far
parte dell¹evento stesso, e sull¹ "idea", intesa
come una "macchina per fare arte".
Scrive Sol LeWit: "Nell¹arte
concettuale l¹idea o concetto è l¹aspetto più
importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma
concettuale di arte vuol dire che tutte le programmazioni
e decisioni sono stabilite in anticipo e l¹esecuzione è
una faccenda meccanica. L¹idea diventa una macchina che
crea arte [Š]Se l¹artista vuole analizzare completamente
la sua idea, allora dovrebbe ridurre al minimo le decisioni
arbitrarie o casuali, mentre il capriccio, il gusto e altre
fantasie andrebbero eliminate dalla creazione artistica
[Š] Il programma dovrebbe progettare il lavoro [Š] Se l¹artista
porta avanti la sua idea e la trasforma in una forma visibile,
allora tutti i passaggi del processo sono importanti. L¹idea
stessa, anche se non è divenuta visiva, è
un¹opera d¹arte esattamente come qualsiasi prodotto finito
[Š] Le cose che illustrano il processo mentale dell¹artista
sono a volte più interessanti del risultato finale
[Š] Le idee si possono anche enunciare con numeri, fotografie,
parole, o in qualunque altro modo scelto dall¹artista, poiché
la forma è priva d¹importanza"89.
L¹essenziale risiede quindi
nella matrice, nell¹insieme di regole e disposizioni suscettibili
di generare l¹opera, o più semplicemente di pensarla.
In questo modo il linguaggio, la descrizione, l¹annotazione,
il documento possono sostituirsi all¹oggetto, dissolvendo
al tempo stesso la complessa e discussa nozione di "originale"90.
Non molto distante è
la posizione di Joseph Kosuth, per cui l¹arte non può
che essere concettuale, in quanto la sua vera natura sta
proprio nella sua definizione. Ciò ha portato Kosuth
all¹atteggiamento radicale dell¹eliminazione di ogni manifestazione
sensibile dell¹oggetto d¹arte a vantaggio delle sole "proposizioni".
Tale atteggiamento radicale, però, è soltanto
il culmine di un processo che tendeva alla dematerializzazione
dell¹oggetto; in altre situazioni, pur accordando un¹importanza
particolare all¹elaborazione concettuale, non si rinunciava
comunque alla realizzazione concreta. In tal caso ciò
che si proponeva era una sorta di apertura, una diversificazione
delle attualizzazioni possibili di concetti: dal testo alla
foto, al documento, alla grafica, al film, al corpo, al
video, ecc.
Scrive Joseph Kosuth in
Art after Philosophy: "Con l¹unassisted ready-made
di Duchamp, l¹arte ha cambiato il suo obiettivo dalla forma
del linguaggio a ciò che è detto. Ciò
ha significato spostare la natura dell¹arte da un problema
di morfologia a un problema di funzione. Questo cambiamento
¯ dall¹apparenza al concetto ¯ ha significato l¹inizio dell¹arte
moderna e dell¹arte concettuale [Š] Il "valore"
dei singoli artisti dopo Duchamp può essere stabilito
in base a quanto essi si interrogarono intorno alla natura
dell¹arte; il che equivale a dire "cosa essi aggiunsero
al concetto di arte", o cosa mancava prima che essi
iniziassero [Š] Qual è la funzione dell¹arte o la
natura dell¹arte? Se noi manteniamo la nostra analogia fra
le forme che l¹arte assume e il "linguaggio" si
può comprendere come un¹opera d¹arte sia una specie
di "proposizione" presentata nel contesto dell¹arte
come un commento sull¹arte"91.
Spostando l¹attenzione sulla
definizione concettuale dell¹arte anche le sue problematiche
si trasferiscono nell¹ambito del linguaggio e della comunicazione.
E¹ solo attraverso la comunicazione che si realizza l¹opera
d¹arte: l¹arte diventa arte solo nel contesto dell¹arte.
L¹opera si mostra, mette
in evidenza il proprio funzionamento, lo statuto e le poste
in gioco della rappresentazione. Offre dei procedimenti
che espongono essi stessi le loro condizioni di possibilità.
Il video si presta allora
perfettamente all¹uso concettuale per il suo essere registrazione
(riconosciuto un ruolo primario alla comunicazione) destinata
al sistema di circolazione dell¹informazione, ma anche per
il suo essere puro procedimento, senza residui né
tracce.
"[Il video] non può
che essere procedimento, pura virtualità d¹immagini.
E più che un oggetto è un sistema di rappresentazione,
che si espone e definisce uno spazio concettuale sensibile,
di riflessione e percezione al tempo stesso"92.
c. Land Art: l¹opera come documentazione
Abbiamo parlato del particolare
interesse dell¹arte minimalista per l¹interazione tra le
forme-oggetto e l¹architettura o ambiente; da ciò
si sviluppa un¹attenzione particolare da parte degli artisti
nei riguardi di strutture che si collocano direttamente
nel paesaggio come "luogo".
"La minimal aveva spostato
il discorso sulla struttura, intesa come un insieme relazionale
di oggetti, in cui sono gli oggetti stessi a imporre la
propria dimensione spaziotemporale. Ne deriva allora che
questi artisti sentono come oppressivi i limiti dettati
dalla galleria e dallo spazio urbano in cui la galleria
è inserita. Ciò ha come conseguenza una dialettica
tra dentro e fuori, in cui il tempo dilatato del paesaggio
si contrappone allo spazio quotidiano della città"93.
Tale atteggiamento prende
il nome di Land Art, e cioè l¹agire sul paesaggio
stesso, trasformarlo in opera d¹arte. L¹artista si pone
quindi come elemento modificatore e al tempo stesso modificato,
assumendo come materiale di lavoro quei luoghi solitari
e inaccessibili, in cui instaurare un ambiguo rapporto tra
naturale e artificiale.
La sua consacrazione ufficiale
(con il nome di Earth Art) avviene nel 1968 in occasione
della mostra alla Cornell University di Ithaca, ed in cui
vengono esposte per lo più foto e progetti, dunque
le tracce selezionate di un¹idea di intervento sul paesaggio
dal carattere fortemente concettuale94.
Un aspetto interessante
della Land art, proposto da Fulvio Salvadori in Gli art/tapes
dell¹ASAC, riguarda il nuovo rapporto intessuto con
il mercato dell¹arte95.
Trasferita dunque l¹opera
in luoghi inaccessibili, l¹artista si trova solo a contatto
con la propria realizzazione. Non essendoci più un
pubblico "presente" da stupire o da affascinare
in prospettiva di un eventuale acquisto, si infrange quell¹
"eterno triangolo di studio, galleria, collezionista"
riscontrato da Gerry Schum come fattore determinante tutta
l¹arte fino ad allora96.
"L¹avvento della Land
Art porta un elemento nuovo, rivoluzionario, nel sistema
della distribuzione del prodotto artistico, fondato su di
un mercato condizionato dalla ideologia borghese della tesaurizzazione,
della ricchezza e dello spettacolo. L¹opera d¹arte intesa
come bene di lusso, acquistata in una bottega (la galleria)
ed esibita come oggetto di prestigio, aveva come punto di
riferimento l¹oggettività e la mercificazione del
pezzo unico, che, una volta incamerato nella collezione
privata, o nel museo, aveva una circolazione solo attraverso
la riproduzione"97.
Quindi attraverso questo tipo di distribuzione l¹opera acquisiva
una sorta di aura di irraggiungibilità, veniva feticizzato
come merce e gli veniva assegnato un valore monetario.
Il principio della "tesaurizzazione
dell¹opera" entra, però, in contraddizione con
le pratiche Minimalista e della Land Art che considerano
l¹oggettività dello spazio e del tempo come limiti
dell¹evento: "L¹evento artistico deve sottostare a
quello che Duchamp ha chiamato l¹ "effetto istantaneo",
l¹incontro simultaneo tra l¹artista e le condizioni oggettive
del suo lavoro. Una volta superata la logica del pezzo vendibile,
ciò che rimane è il sistema della circolazione,
della informazione, a meno che non si vogliano considerare
come pezzi mercificabili i residui dell¹opera, le tracce
che essa ha lasciato"98.
Una tale interpretazione
risente certamente del clima fortemente ideologizzato degli
anni Settanta, quello stesso clima che muoveva e indirizzava
molta della pratica artistica, soprattutto italiana, verso
una sorta di apertura al sociale e al politico. Va quindi
constatato che i "residui dell¹opera", "le
sue tracce", assunti nel sistema dell¹arte sono diventati
a loro volta e inevitabilmente delle altre opere. Ciò
è comprensibile se si considera che la registrazione
di un evento, e quindi il trasferimento di un¹opera per
sua natura transitoria ed effimera su un nuovo supporto,
non si limita alla pura e semplice documentazione, ma proietta
questo in una dimensione di estensione sia visiva che temporale.
In questa direzione si muove
l¹importante ed isolata esperienza di Gerry Schum, e della
sua Videogalerie attiva a Dusseldorf tra il 1971 ed il 197399.
Gerry Schum realizza la
prima mostra televisiva nel 1969 con il film-opera-documentario
Land Art, in cui sono presentati gli interventi ambientali
di Marinus Boezem, Walter De Maria, Jan Dibbets, Barry Flanagan,
Richard Long, Dennis Oppenheim, Robert Smithson e Michel
Heizer100. Questa iniziativa,
oltre ad introdurre il termine Land Art per indicare la
pratica artistica sopra descritta, ridefinisce lo statuto
della produzione e della distribuzione dell¹arte, proponendo
una percezione diversa sia per le opere che per i video
ad esse connessi, i quali vengono istituzionalizzati ed
assunti nel mondo dell¹arte101.
Nel filmato Land Art, che
come ho detto può essere considerato di per se stesso
un¹opera d¹arte, gli artisti svolgono la funzione della
regia mentre Schum è l¹operatore. La macchina da
presa è usata con una certa moderazione, le inquadrature
o sono fisse, o dettate da esigenze strettamente connesse
all¹opera102.
In definitiva Land Art
si presenta come la registrazione di azioni e trasformazioni
ambientali nel loro farsi, caratterizzata, secondo Silvia
Bordini, da una componente artificiale dovuta al fatto che
queste opere erano state pensate e realizzate più
che per essere viste per esistere concettualmente in una
dimensione remota, quindi "pensabili come totalità
ma percepibili come frammento, come parzialità, o
come registrazione; che ne perpetua il processo, ne raffredda
la simbolicità, li trasforma in altro tipo di opera,
restituendo la visibilità espunta dalla loro natura
concettuale"103.
Ma vediamo cosa scrive lo
stesso Schum: "Gli artisti di Land Art cercano
possibilità espressive che vanno ben oltre i limiti
tradizionali della pittura. Non è più il punto
di vista del paesaggio ma il paesaggio stesso, per esempio
il paesaggio contrassegnato dall¹artista stesso, che diventa
l¹oggetto d¹arte [Š] Tutte le opere che sono esibite sono
state ideate e realizzate dagli artisti appositamente per
la trasmissione tramite la televisione"104.
L¹anno seguente fu realizzata
un¹altra mostra televisiva, dal titolo Identifications,
finanziata dalla Kunstverein di Hannover e trasmessa dalla
Sudwestfunk di Baden-Baden il 30 novembre 1970.
Identifications è
composta da un programma di registrazioni di azioni comportamentali
e concettuali di diversi artisti105,
e sebbene l¹idea di fondo della mostra televisiva può
essere nel complesso simile a quella della precedente
Land Art, la realizzazione e il campo d¹azione degli
interventi cambiano in direzione di una maggiore fusione
e correlazione tra artista e opera d¹arte.
Il soggetto dei video è
ora l¹autore-artista e, come scrive Germano Celant in Offmedia,
"La telecamera serve allora a produrre centinaia di
copie dell¹io, che tendono a penetrare nell¹universo
del telespettatore. Prima il visore entrava nello schermo
e si immedesimava nell¹universo creativo e fantastico dell¹immagine,
senza autore, ora l¹artista muta questo ruolo e si rivolge,
guarda e parla allo spettatore. Lo aggredisce e tende a
entrare nel suo mondo, si estende dal privato al pubblico
attraverso l¹oggetto tv"106.
Il film Identifications
ha come obiettivo la neutra "visualizzazione"
delle opere, senza alcun commento e riducendo al minimo
l¹azione della macchina da presa (quasi sempre fissa): "Il
film mostra, registra nel tempo, fissa un modello di chiaro
scuro su una superficie bidimensionale, in modo da soddisfare
certe esigenze del processo artistico e dell¹arte concettuale,
di garantire l¹aspetto processuale e immateriale [Š] Land
Art, questo primo confronto fra autore materiale del
film e artista visivo (che convenivano sul fatto che non
avrebbero prodotto un documentario sull¹arte, ma un¹opera
d¹arte per la televisione) risultò una combinazione
unica di idea, materiale, e mezzo. In Identifications
la tensione di quel confronto era subordinata alla pura
visualizzazione di un concetto"107.
Apparentemente, dunque,
il ruolo di Schum, nel lavoro di produzione, sembra essere
semplicemente quello del tecnico che gestisce le attrezzature,
ma ciò non è del tutto vero. La sua posizione
è particolare e come scrive Dorine Mignot: "Da
un lato si ritiene che Schum sia stato un tramite, un¹estensione
delle possibilità tecnologiche, qualcuno che ha contribuito
a realizzare le idee dell¹artista [Š] Dall¹altro si ritiene
che Schum sia un artista, come è dimostrato dalla
dichiarazione per es. di Merz, che ha affermato: "Non
si può dire che Lumaca fosse di Merz e neanche
di Schum, bensì l¹opera di due artisti, una cooproduzione""108.
Quindi la posizione di Schum
nei confronti dell¹operazione artistica risulta ambigua
proprio per la forte attenzione rivolta all¹elemento concettuale
del fare arte, che in qualche modo allontana dall¹idea della
pratica dello strumento e dal suo carattere manuale, consentendo
così la separazione del momento di elaborazione (appannaggio
dell¹artista) dalla sua esecuzione effettiva (realizzabile
da qualsiasi esperto operaio). Una tale concezione dell¹arte
non è facilmente applicabile però al mezzo
video che si presenta come un mondo nuovo, poco conosciuto,
e quindi poco concettualizzabile. Per quanto neutrale quindi
possa essere stato il momento delle riprese, è inevitabile
che l¹operatore (unico esperto e conoscitore del mezzo)
diventi anche un "co-elaboratore" dell¹opera stessa.
L¹elaborazione estetica dell¹opera procede allora di pari
passo con l¹esplorazione e la sperimentazione del mezzo
televisivo spingendo così gli artisti all¹uso del
video in prima persona.
Nell¹introduzione alla mostra
televisiva Identifications Schum chiarisce la sua
idea di arte e lo sviluppo che ha portato a questa nuova
dimensione dell¹opera come processo: "C¹è stato
uno sviluppo che ha portato lontano dall¹autonomo Œoggetto
di grandi dimensioni¹, in cui l¹idea e il concetto sono
utili per azzerare le dimensioni o l¹estetica. Il film è
stato ridotto in favore dell¹essenza dell¹oggetto, l¹idea.
L¹opera d¹arte perde la sua autonomia e non può più
essere separata da colui che la produce, per esempio l¹artista
[Š] Identifications indica la correlazione nel processo
artistico fra l¹opera d¹arte e l¹artista nel tentativo di
superare ciò che li separa. Questa separazione essenziale
è radicata nella domanda del tradizionale mercato
dell¹arte. L¹artista è un artigiano: si deve a questo
soltanto il fatto che l¹arte possa essere comprata e venduta.
Il film e specialmente la televisione offrono in un certo
senso all¹artista la possibilità di evitare la materializzazione
delle sue idee; la trasmissione televisiva e la videoregistrazione
creano un diretto contatto fra l¹artista e un potenziale
pubblico [Š] Gli artisti in questa mostra vogliono provocare,
scatenare dei processi"109.
Da un punto di vista teorico
si rivelano interessanti le riflessioni di Gerry Schum sul
suo rapporto con il mercato dell¹arte, le quali cercheranno
di essere messe in pratica dall¹autore stesso nella costituzione
di una videogalleria, attivata a Dusseldorf dal 1971 al
1973 con il nome di Fernsehgalerie Gerry Schum110.
Inevitabilmente le idee
di Schum si scontrarono con la chiusura dei circuiti televisivi,
che lo costrinsero spesso a ridimensionare i propri progetti,
e con le regole del mercato dell¹arte. Come ci fa notare
Ursula Wevers in La Galleria Televisiva: l¹idea e come
è fallita: "Le idee sull¹arte di Gerry Schum
erano in diretta opposizione alle leggi che regolavano il
mercato e il commercio dell¹arte, ma da allora in poi egli
dovette sottomettersi a quelle regole. La concessione che
fece alla nuova situazione consisteva nel produrre opere
su video in edizioni limitate, a volte accompagnate da certificati
a sé stanti rispetto ai lavori veri e propri. L¹unica
possibilità di distribuire i progetti su scala più
vasta era la collaborazione con istituti d¹arte e musei.
Dato che pochi istituti avevano la necessaria apparecchiatura,
la distribuzione continuava a porre dei problemi [Š] erano
il contenuto avanguardistico, lo stile e la concezione del
suo lavoro a sbarrargli più spesso le porte degli
studi televisivi, impedendo di conseguenza la distribuzione
fra le masse"111.
Nel complesso l¹attività
della galleria-laboratorio di Schum, e la sua idea di una
circolazione di videotape d¹arte, apre comunque una linea
operativa che verrà seguita in diversi paesi, e troverà
nella realizzazione di centri di produzione e distribuzione
di video d¹artista, anche se a volte per breve tempo, un
ideale compimento112.
d. Body Art: il corpo come linguaggio
e il video come estetica del narcisismo
Con la mostra televisiva
Identifications avviene il passaggio dall¹environment,
l¹analisi dell¹ambiente, alla "performance", azione
in cui l¹artista stesso è situazione e elemento primario
dell¹opera, e in cui si procede all¹esplorazione del corpo-luogo
dell¹artista stesso: "In molti lavori il corpo di Oppenheim
è usato come luogo. Generalmente il corpo come luogo
è adoperato come un terreno inciso in una maniera
del tutto simile a quella delle earthworks"113.
Abbiamo esplorato quindi
la possibilità di trasferire sullo schermo un evento
o un¹azione. Queste presentate nell¹immaterialità
dell¹immagine riprodotta, costituite di impulsi elettronici,
assumono a loro volta lo statuto di opere d¹arte. La registrazione
allora fissa in una nuova dimensione spazio-temporale, modificandole,
opere dalla durata limitata nello spazio e nel tempo, proprio
al di là della presunta oggettività della
camera.
Questo particolare procedimento
è ancora più evidente nella pratica della
Body Art, dove il video oltre a porsi come documentazione,
secondo il modello di Schum, spesso assume la funzione di
tramite diretto tra artista e pubblico. Ciò proprio
per il carattere coinvolgente di queste opere, le quali
si basano sulla immediata ed istintiva risposta che provoca
nello spettatore la loro visione114.
La dimensione del coinvolgimento
era stata già esplorata nelle azioni Fluxus e negli
happening degli anni Sessanta che tendevano ad impostare
un rapporto più diretto con il pubblico, come afferma
Rauschemberg in una dichiarazione del 1968: "Ritengo
che a teatro il pubblico dovrebbe assumere le stesse responsabilità
degli attori. Vorrei che la gente tornasse a casa dal lavoro,
si lavasse e andasse a teatro con l¹intenzione di correre
dei rischi"115.
Ma a differenza di queste, più teatrali, espanse
e aperte ad una dimensione sociale, le opere della Body
Art rimangono per lo più circoscritte nell¹ambito
delle gallerie.
L¹uso della registrazione
nella Body Art ha inizio alla fine degli anni Sessanta,
prima attraverso il medium del film e presto direttamente
con il mezzo video. Saranno documentate le performance di
Dennis Oppenheim, Vito Acconci, Gina Pane, Marina Abramovic,
Bruce Nauman, Gilbert e George, Gino De Dominicis, Arnulf
Rainer, Hermann Nitsch, Joan Jonas ed altri.
Calzante, per certi aspetti,
appare la definizione, proposta da Rosalind Krauss116
nel 1976 per il particolare uso del mezzo elettronico nella
Body Art, di video come estetica del narcisismo, in cui
il dispositivo assume sovente la funzione di specchio del
corpo dell¹artista e della sua identità. Infatti
scrive la Krauss: "Cosa significa dire ŒIl medium del
video è il narcisismo¹? [Š] Due sono gli aspetti
del quotidiano uso del medium utili per una discussione
sul video: la ricezione e la proiezione simultanea di un
immagine; e la psiche umana usata come conduttore. Perché
gran parte delle opere prodotte nel breve arco dell¹esistenza
della videoarte hanno usato il corpo umano come strumento
centrale. Nel caso dei nastri è stato per lo più
il corpo dell¹artista. Nel caso delle videoinstallazioni
è stato di solito il corpo dell¹osservatore [Š] Diversamente
dalle altre arti visuali, il video è capace di registrare
e trasmettere nello stesso tempo, producendo un feedback
istantaneo. Dunque è come se il corpo fosse posto
in mezzo a due macchine che sono l¹apertura e la chiusura
di una parentesi. La prima è la telecamera; la seconda
è il monitor, che proietta l¹immagine del performer
con l¹immediatezza di uno specchio"117.
Usato allora dagli artisti
in esperienze "comportamentali" e nella performance
il sistema camera-monitor offre la possibilità di
un rispecchiamento del sé come esperienza psichica,
proponendo un dialogo serrato con l¹identità e il
corpo, proprio in virtù della particolare capacità
del mezzo di riprendere e ritrasmettere simultaneamente
l¹immagine: "il soggetto si mediatizza in un altro
se stesso"118.
Quindi se da un lato le
azioni vengono concepite espressamente per essere registrate,
dall¹altro la loro ripresa innesca un processo di modificazione
delle relazioni abituali tra osservatore (non necessariamente
spettatore) ed osservato (non necessariamente attore), fino
ad esplorare le possibilità di uno sguardo autonomo
del video.
Questa peculiarità
dello specchio-video consente un processo di identificazione
più profondo e analitico con se stesso e con "l¹altro",
ma anche un diverso rapporto con l¹osservatore che nella
ricerca di una comunicazione diretta e primaria porta ad
infrangere il tradizionale rapporto artista/pubblico, stabilendo
così un approccio che avviene a livello personale,
individuale, e a volte confidenziale.
E¹ il caso di Vito Acconci
che scrive: "Sto seduto qui guardando in uno specchio,
non per guardarmi ma per vedere me stesso in relazione a
quella persona specifica con cui sono stato coinvolto per
un lungo tempo: guardo nello specchio come se fosse qui
con me, come se guardassi proprio lei, come se le parlassi
attraverso la folla: ricreo avvenimenti che abbiamo vissuto
insieme: io vedo me stesso come mi ha visto lei, mi ascolto
come mi ha ascoltato lei. Tu, il passante, devi stare là,
fuori, in modo da certificare la mia posizione: una volta
che tu hai visto come sono stato con lei, non sarò
capace di negarlo, dovrò abituarmici"119.
Nel caso di Acconci, dunque,
la telecamera assume il ruolo di un vero e proprio partner/complice,
mentre lo spettatore diventa spesso una sorta di voyeur,
attratto dall¹artista in un mondo rappresentato, simulato,
ma caratterizzato da una particolare intensità psicologica120.
Le caratteristiche del video,
dell¹immagine televisiva, quali appunto l¹immediatezza,
la confidenzialità, l¹intimità, vengono quindi
usate da Acconci per fini estetici (che poi sono anche politici),
e cioè per esprimere il desiderio di cambiamento
e ridefinizione sia del rapporto artista/spettatore che
del mondo dell¹arte in generale. Le scelte estetiche di
Acconci allora non sono determinate dall¹uso della telecamera,
ma trovano nelle proprietà tecnologiche di questo
mezzo un modo, una possibilità di realizzazione.
Germano Celant in Offmedia
parla di "realismo ossessivo" a proposito dei
lavori di Acconci e scrive: "Ossessionato dall¹essere
fedele al suo corpo e al territorio emotivo e umano che
esso determina, Acconci usa il mezzo televisivo come complemento
al suo io interiore ed esteriore. E¹ la sua maschera pubblica
e attraverso di essa egli può esprimere e mettere
a nudo tutti i suoi segreti, corporali e mentali"121.
Diversamente, ma sempre
sulla stessa linea analitica, si muove il lavoro di Bruce
Nauman che usa la telecamera come uno strumento di autoanalisi,
per indagare la propria immagine, la sua evidenza corporale
e gestuale, giungendo fino a far coincidere la stessa immagine
dell¹artista e l¹opera video: "Entrambi Nauman e video-tape
recorder non rappresentano altro che sé stessi, trovano
la loro concretezza e la loro fisicità, determinate
dal singolo fare, e giungono ad espellere ogni Œassorbimento¹
mentale e culturale"122.
Dunque lo spettatore si
trova di fronte all¹esecuzione di un¹azione in cui i movimenti
ossessivi e reiterati dell¹artista vengono chiusi nello
spazio dell¹inquadratura, analizzati e riproposti dallo
schermo video senza alcuno effetto spettacolare. Come scrive
ancora Celant: "Con lo stabilire una sequenza meccanicamente
controllata e ripetuta, Nauman attesta una volta di più
che il suo lavoro, lungi dal risolversi nel banale proseguimento
di un¹espressione individuale, si articola in un procedimento
razionale tendente a rendere intelleggibile il fenomeno
del soggetto-artista-corpo. La comunicazione corporale non
sarà allora lasciata semplicemente accadere, ma verrà
assunta e (tele)trasmessa volontariamente, in maniera tale
che il padroneggiamento del funzionamento del corpo si unisca
alla consapevolezza del corpo quale emittente informazionale"123.
Come si sottolinea in Per
una classificazione del video d¹artista124,
nella casistica riguardante il "videotape personale
e autoanalitico", che ha avuto una grande diffusione
proprio nell¹ambito della Body Art e della performance,
tra i temi dominanti si ritrovano l¹esplorazione corporea,
come "ingrandimento=geografia immaginaria", il
gioco d¹identità, quale raddoppiamento, deformazione
o sparizione del sé, e il monologo per immagini.
Tutti questi temi sono ravvisabili negli autori sopra descritti,
ma anche in autori quali ad esempio Joan Jonas, soprattutto
per l¹analisi della propria immagine, o Antonio Muntadas,
nell¹esplorazione della geografia corporea, a quest¹ultima
accostabile anche il lavoro più estremo di Arnulf
Rainer o quello più geometrizzante di Frederike Pezold125.
Si fa strada così
l¹esigenza di trovare, ed esplorare, un mezzo che per le
sue caratteristiche specifiche si presti al fissaggio della
forma artistica del linguaggio corporeo e della performance.
Il video si pone allora come strumento ideale, in grado,
fino a un certo punto, di eliminare quello scarto presente
nella fotografia, la quale "contiene sempre una separazione
temporale e una variazione materiale che equivalgono a una
variazione del grado di realtà"126.
Inizialmente connotato da
un¹aura di presunta oggettività, il video si è
comunque progressivamente slegato dal suo statuto di "pura
documentazione", anche in virtù di una maggiore
esplorazione delle caratteristiche linguistiche del mezzo,
per diventare un elemento costitutivo delle opere stesse.
Come afferma Daniela Palazzoli
in un saggio del 1977: "Molti artisti hanno usato la
telecamera per "fare un ritratto" della loro arte,
soprattutto quei protagonisti delle nuove tendenze ¯ landartisti,
bodyartisti, artisti sociologici ed ecologici ¯ la cui opera
sfugge a una concretizzazione oggettuale. Tuttavia ciò
che si è verificato nel corso degli ultimi anni è
che, mentre inizialmente le loro opere nascevano indipendentemente
dal video e da esso venivano semplicemente fissate, poco
per volta il video è divenuto costitutivo di queste
opere"127.
E sempre a proposito dell¹autonomia
delle opere video, più recentemente, Silvia Bordini
scrive: "Trasferendosi immediatamente sul nastro magnetico
e scavalcando la dimensione emotiva della performance le
azioni si oggettificano e si trasformano, acquisendo un
nuovo tipo di visibilità, e i videotapes tendono
a diventare opere autonome, in virtù del loro agire
sul piano del linguaggio più ancora che sull¹evento
riprodotto"128.
In un clima in cui non è
più l¹oggetto artistico ad essere centrale ma lo
svolgersi di un evento esistenziale, mediante la messa in
gioco del processo dell¹opera con la sua caratterizzante
dimensione effimera e transitoria, le tracce visibili di
questi eventi saranno memorizzate necessariamente attraverso
la documentazione fotografica, cinematografica e infine
video. In questo clima il video, grazie alle proprie caratteristiche
specifiche, verrà dunque assunto come mezzo preferenziale
per la documentazione "oggettiva" di tali eventi,
fino a delinearsi come elemento in grado di determinare
o suggerire esso stesso azioni appositamente pensate per
la registrazione con la videocamera, e giungendo infine
a configurarsi sempre più come opera d¹arte autonoma
che utilizza quindi le potenzialità proprie della
sua natura elettronica129.
Di qui all¹elaborazione,
quindi, di un linguaggio autonomo del video, operando anche
in modo spettacolare sulle immagini, modificate, alterate
e ricostruite secondo una sensibilità ancora pittorica,
il passo è breve130.

Note
- 70. A questo proposito
gioca un ruolo importante anche la modificazione del campo
sociale in cui opera l'artista e la convinzione che l'arte
non possa sottrarsi ai processi di mutamento critico richiesti
dalla società. Come scrive Fagone: "I grandi movimenti
delle masse studentesche e della cultura radicale europea
del 1968 trovano equivalenti ben precisi in molte sperimentazioni
artistiche che cercano di aprire un campo sociale attivo
per la operatività artistica. Nota Frank Popper "l'enfasi
non è più nell'oggetto, ma nel drammatico confronto sulla
condizione percettiva in cui lo spettatore ritrova se
stesso"" (in L'immagine video, op. cit., 1990, p. 35).
- 71. In questo contesto cominciano a delinearsi
anche i primi sintomi di un approccio modernista al video
tendente a provare la specificità di questo mezzo e, contemporaneamente,
a procedere alla propria autodefinizione.
- 72. L'immagine video, op. cit., 1990,
p. 36.
- 73. Dispositivi di Anne-Marie Duguet
in Video imago, op. cit., 1993, p. 188.
- 74. Germano Celant, Precronistoria 1966-1969,
Centro Di, Firenze, 1970.
- 75. Cfr. R. Morris, Notes on Sculpture,
in Regards sur l'art américain des années soixante, a
cura di C. Gintz, Ed. Territoires, Paris, 1979.
- 76.Six Years: The dematerialization of
the art object from 1966 to 1972, a cura di Lucy Lippard,
Praeger Publisher, Washington, in M. G. Bicocchi, F. Salvadori
(a cura di), Gli art/tapes dell'ASAC, catalogo della rassegna,
Venezia, 1977, p. 6.
- 77.Nella fattispecie è il "gesto" dell'autore
sull'ambiente che viene ad assumere un'importanza primaria,
allontanando così l'attenzione dall'oggetto come prodotto
per riversarla sull'opera come processo. Quindi l'artista
non impone più allo spettatore un tema prefissato, ma
lo pone nella condizione di crearselo da sé, attraverso
la sua fantasia e gli impulsi che riceve. Come tra l'altro
anticipava Fontana già nel 1950 nello scritto Proposta
di un regolamento del movimento spaziale, in Enrico Crispolti,
Lucio Fontana. Catalogo generale, Electa, Milano, 1986.
- 78.Dispositivi di Anne-Marie Duguet in
Video imago, op. cit., 1993, p. 190.
- 79. R. Morris, Notes on Sculpture, in
Regards sur l'art américain des années soixante, a cura
di C. Gintz, Ed. Territoires, Paris, 1979, p. 89, in Dispositivi,
op. cit., 1993, p. 190.
- 80.R. Morris, Notes on Sculpture, in
Regards sur l'art américain des années soixante, a cura
di C. Gintz, op. cit., 1979, p. 89, in Dispositivi, op.
cit., 1993, p. 190.
- 81. R. Morris, Notes on Sculpture, in
Regards sur l'art américain des années soixante, a cura
di C. Gintz, op. cit., 1979, p. 89, in Dispositivi, op.
cit., 1993, p. 190.
- 82.Dispositivi di Anne-Marie Duguet in
Video imago, op. cit., 1993, p. 191.
- 83. Cfr. C. Van Assche (a cura di), Vidéo
et après. La collection vidéo du Musée National d'art
moderne, Centre G. Pompidou, Parigi, 1992.
- 84.Per quanto riguarda la videoinstallazione
e i suoi sviluppi rimando agli studi approfonditi svolti
da Vittorio Fagone in L'immagine video, op. cit., 1990,
nel capitolo Tempo, materia, luce. Tra videosculture e
videoinstallazioni; oppure, per uno studio della situazione
degli anni Ottanta e seguente, alla sezione III dello
stesso libro, Il fuoco e il neon. Arti visuali e ricerca
video nella prospettiva degli anni novanta. Studi, cronache,
note. Rimando inoltre al testo Video-installazioni di
Dany Bloch, in Metamorfosi della visione, a cura di R.
Albertini e S. Lischi, Ets, Pisa, 1988, p. 64.
- 85.Opera realizzata
da Frank Gillette e Ira Schneider per la mostra "TV as
a creative medium" alla Howard Wise Gallery di New York
nel 1969. Scrive F. Gillette in un'intervista del 1969:
"Il progetto iniziale era di distribuire dei sistemi di
videotape ritardati (delay) lungo la galleria, ma siccome
ciò avrebbe interferito con altre mostre, il progetto
fu messo da parte e fu introdotta la concezione murale
con i meccanismi di ritardo su una sola parete"; e, sempre
nella solita intervista, I. Schneider scrive: "Un sistema
di feedback in diretta che permette ad uno spettatore
che si trova nel suo ambiente di vedersi non solo ora
nel tempo e nello spazio, ma anche 8 e 16 secondi fa,
e questi sono in giustapposizione e in flusso. Inoltre
egli vede immagini di trasmissioni standard che periodicamente
si alternano alla sua immagine in diretta, ed anche due
spettacoli programmati tipo collage, che vanno da una
ripresa della terra dallo spazio, a mucche che pascolano,
alla 57a Strada. In un certo senso, c'è una giustapposizione
fra l'adesso della persona, l'individuo e altri elementi
di informazione sull'Universo e sull'America [Š]" (in
Radical Software, n. 1, 1970, p. 9, in AA. VV., L'altro
video (incontro sul videotape), Quaderno informativo n.
44 della IX Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro,
1973, p. 16).
- 86. Per quanto riguarda la nozione di
dispositivo, elemento centrale nella pratica e nella sperimentazione
video a partire dalla fine degli anni sessanta, e le sua
possibili applicazioni da parte di alcuni pionieri in
questo campo, quali Bruce Nauman, Dan Graham, Peter Campus,
Bill Viola, Michael Snow o Keith Sonnier, rimando al saggio
di Anne-Marie Duguet, Dispositivi, in Video imago, op.
cit., 1993, pp. 192-210.
- 87. Radical Software, n. 1, 1970, p.
9, in L'altro video (incontro sul videotape),op. cit.,
1973, p. 16.
- 88. V. Fagone, Ascoltare le immagini,
in "Immagine e pubblico", anno IX, n. 1, genn.-marz.,
1991, p. 22.
- 89.Sol LeWit, Paragraphs on Conceptual
Art, in Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, p. 11.
- 90. A questo proposito è inevitabile
il rinvio al saggio di Walter Benjamin, L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (Einaudi,
Torino, 1966), in cui le problematiche connesse alle nozioni
di unicità, copia ed originale nell'opera d'arte contemporanea
vengono anticipate ed affrontate con vivace spirito critico.
Inoltre non si può fare a meno di ricordare ancora una
volta l'apporto di Duchamp, del suo ready-made, e dei
suoi propositi che tendevano a respingere la "retinalità"
e la "fisicalità" della pittura.
- 91.Joseph Kosuth, Art after Philosophy,
in Studio International, ott., 1968.
- 92.Dispositivi di Anne-Marie Duguet in
Video imago, op. cit., 1993, p. 192.
- 93.Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit.,
1977, p. 9.
- 94.Cfr. Videoarte e arte. Tracce per
una storia, op. cit., 1995, p. 50.
- 95.Cfr.Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit.,
1977, pp. 8-11.
- 96. Cfr. Gerry Schum, Introduzione alla
mostra televisiva Land Art, in Cominciamenti, a cura di
V. Valentini, De Luca, 1988, pp. 45-48.
- 97.Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit.,
1977, p. 10.
- 98.Gli art/tapes dell'ASAC,
op. cit., 1977, p. 11.
- 99.Cfr. Fernsehgalerie Gerry Schum in
Cominciamenti, op. cit., 1988, pp. 31-60.
- 100. Il film, trasferito in video, è
trasmesso pubblicamente dalla rete Sender Freies Berlin
(SFB) il 15 aprile 1969.
- 101.E' interessante notare come questo
avvenimento è stato accolto nell'ambiente artistico, ed
un esempio ci è offerto da Calvesi che in un articolo
dal titolo Complicità tra mezzo e messaggio, pubblicato
sul "Corriere della Sera" del 23 marzo 1975, scrive: "Non
a caso l'impiego del video da parte di artisti è coinciso
con la comparsa della cosiddetta "Land Art"; e Land Art
è il titolo del film che Gerry Schum trasmise alla televisione
tedesca nel 1969 [Š] Travasato in video-nastri e trasmesso
a ripetizione in settembre alla mostra "Prospect 69" di
Düsseldorf, ne conservo ancora viva l'impressione di novità
e l'intensità, che è probabilmente rimasta insuperata".
- 102. Come afferma Walter De Maria in
una conversazione telefonica con Dorine Mignot: "Ho usato
la macchina da presa come uso la scultura, come una struttura,
come un concetto minimale. Alla base, questo film è una
scultura minimale" (in Cominciamenti, op. cit., 1988,
p. 36).
- 103.Videoarte e arte. Tracce per una
storia, op. cit., 1995, p. 51.
- 104. Introduzione alla mostra televisiva
"Land Art" di Gerry Schum, in Cominciamenti, op. cit.,
1988, pp. 45-46.
- 105. La mostra comprende i lavori di
Giovanni Anselmo, Joseph Beuys, Alighiero Boetti, Stanley
Brouwn, Daniel Buren, Pierpaolo Calzolari, Gino De Dominicis,
Gervan Elk, Hamish Fulton, Gilbert & George, Gary Kuehn,
Mario Merz, Klaus Rinke, Ulrich Ruckriem, Reiner Ruthenbeck,
Richard Serra, Keith Sonnier, Franz Erhard Walther, Lawrence
Weiner, Gilberto Zorio.
- 106. Offmedia, op. cit., 1977, p. 51.
- 107.Dorine Mignot, Gerry Schum, un pioniere,
in Cominciamenti, op. cit., 1988, p. 39.
- 108.Dorine Mignot, Gerry Schum, un pioniere,
in Cominciamenti, op. cit., 1988, p. 37.
- 109.Gerry Schum, Introduzione alla mostra
televisiva Identifications, in Cominciamenti, op. cit.,
1988, p. 50.
- 110.Schum in una lettera a Youngblood
del 1969 spiega di cosa si tratta e scrive: "La prima
cosa che desidero spiegare è il fatto che la galleria
non è un vero spazio fisico. La galleria televisiva esiste
solo in una serie di trasmissioni televisive; ciò significa
che essa è più o meno un'istituzione mentale che esiste
realmente solo nel momento della trasmissione televisiva.
Non è il posto per mostrare oggetti artistici reali che
si possono comprare e portare a casa. Una delle nostre
idee è la comunicazione dell'arte invece del possesso
dell'oggetto artistico [Š] In generale considero le mostre
televisive della Fernesehgalerie come un genere specifico
di evento artistico e non come una sua documentazione.
Vi sono veramente pochi artisti oggi che a parer mio sono
coscienti delle possibilità che potrebbero scaturire dalla
cooperazione fra l'arte e il medium televisivo" (in Gerry
Schum, La galleria, un'istituzione mentale, in Cominciamenti,
op. cit., 1988, p. 54).
- 111.Ursula Wevers, La Galleria Televisiva:
l'idea e come è fallita, in Cominciamenti, op. cit., 1988,
pp. 43-44.
- 112.Mi riferisco in particolare alla
galleria Art/tapes/22 di Firenze, attiva dal '74 al '76,
o alle più fortunate e durature esperienze del Centro
Video Arte di Ferrara o della Videoteca Giaccari a Varese,
attiva ancora oggi con il nome di Museo Elettronico; tali
esperienze, assieme all'attività sporadica di alcune gallerie,
verranno trattate specificamente nel II capitolo di questo
elaborato.
- 113.Willoughby Sharp,
Body works, in Gli Art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977,
p. 18.
- 114.La pratica della Body Art o "comportamento"
si propone di assumere direttamente il corpo dell'artista
come mezzo d'espressione, come luogo di comunicazione
con il pubblico, come confine e limite del privato, agendo
spesso sugli elementi della complicità o della repulsione.
Per un maggiore approfondimento rimando al saggio di Lea
Vergine Il Corpo Come Linguaggio, Gianpaolo Prearo Ed.,
Milano, 1974; oppure U. Kultermann, Vita e arte. La funzione
degli intermedia, Görlich, Milano, 1972, in cui le esperienze
"comportamentali" sono inserite in una contestualità propriamente
"multimediale".
- 115.Citato in Gli Art/tapes dell'ASAC,
op. cit., 1977, p. 19.
- 116.Cfr. R. Krauss, Video: The Aesthetics
of Narcissism, in Video Culture. A Critical Investigation,
a cura di J. Hanhardt, Visual Studies Workshop Press,
New York, 1997.
- 117R. Krauss, Video: The Aesthetics of
Narcissism, "October", 1976, in Videoarte e arte. Tracce
per una storia, op. cit., 1995, p. 73. Una tale interpretazione
può comunque risultare limitante se applicata a tutta
la produzione video dei primi anni '70 come sottolinea
giustamente anche Marita Sturken: "La tendenza degli artisti
a sistemare la camera e a recitare nello spazio davanti
ad essa e a usare il monitor come uno specchio ha portato
il critico d'arte Rosalind Krauss a etichettare il video
come essenzialmente narcisistico. Osservò: "L'auto-incapsulamento
- il corpo o la psiche come proprio ambiente - si può
trovare da ogni parte nel corpus della videoarte". Tuttavia
dire che un medium è categoricamente più intimo di un
altro o che l'intimità è inerente al medium vuol dire
privilegiare la concezione per cui la tecnologia si impone
sull'estetica [Š] "L'intimità" evidenziata da vecchi lavori
di artisti come Vito Acconci può anche essere letta nel
contesto delle strategie usate a quel tempo per mutare
il rapporto spettatore/artista, per sgretolare le nozioni
di personale e privato, per ridefinire il ruolo dell'arte
nella società" (Marita Sturken, Paradossi nell'evoluzione
di un'arte: grandi speranze e come nasce una storia, in
Video imago, op. cit., 1993, p. 161); critica nei confronti
dell'interpretazione della Krauss è anche la posizione
di Maureen Turim in La logica culturale del video, sempre
in Video imago, op. cit., 1993, pp. 178-179.
- 118.Videoarte e arte. Tracce per una
storia, op. cit., 1995, p. 54.
- 119.Vito Acconci, Air Time, in Il Corpo
Come Linguaggio, op. cit., 1974, p. 40.
- 120. Per un approfondimento della poetica
di Vito Acconci e del suo rapporto con i mezzi audiovisivi
rimando a Dissensi tra film video televisione, a cura
di V. Valentini, Sellerio, Palermo, 1991, pp. 10-84, dove
sono presenti anche una completa bibliografia e videografia.
- 121.Offmedia, op. cit., 1977, p. 61.
- 122.Offmedia, op. cit., 1977, p. 35.
- 123.Offmedia, op. cit., 1977, p. 39.
- 124. In Patalogo, n. 5-6, Ubulibri, Milano,
1983, pp. 301-306.
- 125. Per quanto riguarda le nuove possibilità
di autoritratto offerte dal video rimando al testo di
Helmut Friedel, Video-Narciso: il nuovo autoritratto,
in Metamorfosi della Visione, op. cit., 1988, pp. 158-164.
- 126. Helmut Friedel,
Video-Narciso: il nuovo autoritratto, in Metamorfosi della
visione, op. cit., 1988, p. 161.
- 127. D. Palazzoli, Fotografia, cinema
e videotape: L'arte nell'età dei media, in L'arte moderna,
Fabbri Ed., Milano, 1977, vol. XV, p. 224.
- 128Videoarte e arte. Tracce per una storia,
op. cit., 1995, p. 54.
- 129.Va comunque sottolineato che esiste
anche una motivazione economico-istituzionale che ha in
parte determinato lo sviluppo della produzione propriamente
videoartistica. La maggiore attenzione alle caratteristiche
linguistiche del mezzo, e quindi alla sua progressiva
definizione come forma d'arte, appunto nel suo carattere
di manipolabilità dell'immmagine, è stata determinata,
almeno in America, anche dalla politica dei finanziamenti
della fondazione Rockefeller e del Nysca (New York State
Council on the Arts) che a partire dalla metà degli anni
Settanta saranno stanziati quasi esclusivamente per quei
prodotti video tesi a sondare le potenzialità del mezzo
in una direzione propriamente artistica.
- 130. Naturalmente la realtà degli avvenimenti
in gioco non è così perfettamente consequenziale (soprattutto
in senso cronologico), e quindi al di là di una forzatura
inevitabilmente storiografica e di comodo l'uso del video
da parte degli artisti continuerà a muoversi illogicamente
tra la documentazione di azioni, la ricerca percettiva,
l'elaborazione di temi concettuali intorno alla dimensione
dello spazio e del tempo, e l'esplorazione propriamente
linguistica del mezzo.

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