MECCANICA
QUANTISTICA
Si deve a BOHR il primo tentativo di formulare nuove leggi della meccanica valide nel campo dei fenomeni atomici dopo che PLANCK ed EINSTEIN avevano introdotto il concetto di “QUANTO”. Esso è un corpuscolo elementare puramente energetico e non ulteriormente divisibile ed affianca altre unità fondamentali della fisica come gli elettroni, gli ioni ed infine i nuclei. Planck prima ed Einstein poi, posero dunque le basi di questa vera e propria rivoluzione, iniziata con lo studio di due fenomeni: il PROBLEMA DEL CORPO NERO e l’EFFETTO FOTOELETTRICO che contribuirono ad associare al campo elettromagnetico una struttura a quanti.
· PROBLEMA DELLO SPETTRO DEL CORPO NERO: uno dei fenomeni che misero in crisi le teorie della meccanica classica e che indicò come corrette le teorie che si stavano diffondendo all’epoca riguardanti lo studio dei quanti di energia, fu quello del corpo nero, cioè un sistema capace di assorbire tutte le radiazioni che lo colpiscono qualunque sia la loro frequenza, e rispetto al quale, fissata una data frequenza e una data temperatura, il rapporto fra il potere emissivo quello assorbente di qualsiasi corpo corrisponde al potere emissivo del corpo nero stesso. Esso, se riscaldato ad una temperatura sufficientemente elevata, emette delle radiazioni la cui curva di distribuzione spettrale non dipende più dalla sua forma, dalla sua natura, né da altre proprietà specifiche del corpo, ma solo dalla sua temperatura assoluta.
Come si può notare dal grafico sperimentale la radianza spettrale inizialmente aumenta con l’aumentare della frequenza, poi, un massimo di valore v, comincia a decrescere a causa delle alte frequenze presenti nello spettro.
Interpretando l’esperienza secondo le leggi dell’elettromagnetismo classico, come hanno fatto i due fisici inglesi RAYLEIGH e JEANS, si ottiene un grafico come quello della figura, che è caratterizzato da una infinita crescita dell’intensità della radiazione all’aumentare della frequenza.
Max Planck, per spiegare questo strano fenomeno, suppose che gli atomi riscaldato si comprtino come tanti oscillatori che irradiano energia non con continuità, ma a piccoli pacchetti, che egli chiamò QUANTI,
e che sono la più piccola quantità di energia che un oscillatore di data frequenza può scambiare con l’ambiente che lo circonda. Fu così introdotta la formula E=h·n, dove n è la frequenza dell’oscillatore, e h è una costante che prende il nome di COSTANTE DI PLANCK, il cui valore è 6,626 · 10^-34 Js.
· EFFETTO FOTOELETTRICO: Einstein scoprì che attraverso i quanti si riusciva non solo a spiegare l’energia associata alle radiazioni uscenti dal corpo nero, ma la loro discontinuità divenne un concetto fondamentale generalizzato a qualsiasi tipo di radiazione esistente.
Nel 1887 HERTZ aveva casualmente scoperto che illuminando una placca di zinco con delle radiazioni ultraviolette il metallo si caricava elettricamente. Generalizzando si può dire che quando una superficie metallica viene colpita da radiazioni di frequenza abbastanza alta essa libera degli elettroni.
La spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che l’energia incidente delle radiazioni si trasforma in energia cinetica degli elettroni colpiti, che in conseguenza si muovono. Non sempre però essi si staccano dalle proprie orbite, in quanto l’energia cinetica deve essere superiore alla forza che tiene legati gli elettroni all’atomo. Questo valore energetico prende il valore di SOGLIA FOTOELETTRICA, e dipende dal tipo di metallo che è stato preso in esame.
L’effetto fotoelettrico è un fenomeno che non si verifica soltanto nei metalli, ma in essi è più evidente: si verifica ogniqualvolta che un sistema materiale elementare, atomo o molecola o cristallo, è investito da radiazione elettromagnetica, di energia sufficientemente elevata.
Dallo studio di questo fenomeno si sono ottenuti importanti risultati che si possono schematizzare in tre fondamentali punti:
1. Si ha emissione fotoelettrica solo se la frequenza della radiazione incidente è superiore al valore della soglia fotoelettrica;
2. L’energia cinetica degli elettroni emessi dipende dalla frequenza della radiazione incidente e non dalla sua intensità;
3. Il numero di elettroni emessi per unità di tempo aumenta all’aumentare dell’intensità della radiazione elettromagnetica incidente.
Einstein riuscì a spiegare questo fenomeno supponendo che l’energia dell’onda fosse concentrata in pacchetti discreti chiamati FOTONI. Egli considerò che l’energia cinetica acquistata dagli elettroni doveva essere equivalente all’energia posseduta dai fotoni.
CONTINUO CLASSICO E DISCRETO QUANTISTICO
Per riassumere le differenze tra la teoria classica e quella quantistica si può ricorrere al confronto fra le grandezze che in ognuna delle due categorie si considerano, cioè quelle continue nella teoria classica, e quelle discrete in quella quantistica.
Si definisce CONTINUA una grandezza che non può essere espressa da un numero intero, ma solo da un numero reale. Per esempio è una grandezza continua la distanza tra due punti, infatti fra due punti presi indefinitamente vicini ci sono sempre infiniti punti e non si può definire un “livello minimo” sotto il quale questa legge perda significato.
Una grandezza DISCRETA invece può essere espressa per mezzo di un numero intero naturale positivo o negativo, come ad esempio il numero degli abitanti di una città che in un giorno nascono o muoiono.
Secondo la fisica classica alcune grandezze come ad esempio l’emissione o l’assorbimento di radiazioni da parte della materia appartenevano al gruppo di quelle continue, mentre, secondo le nuove teorie di Planck, queste grandezze sono caratterizzate da salti a determinati valori, ossia i multipli de quanto elementare di energia; quindi si può dire che con le nuove teorie si è passati da un mondo interpretato solo in modo continuo ad uno interpretato anche in modo discreto.
L’UNIVERSO QUANTISTICO
Secondo alcuni studiosi di meccanica quantistica, la nostra stessa realtà si sdoppia ogniqualvolta una particella ha la possibilità di comportarsi in modi diversi, dando vita a due universi paralleli: in uno la particella si comporta in un modo, nell’altro nel modo opposto. Di sdoppiamento in sdoppiamento si formano tutte le possibili varianti. Sembra insomma che dopo esserci abituati all’idea che né la Terra né la nostra galassia sono al centro del creato, dovremo presto accettare anche quella di non appartenere all’unico Universo esistente.
Agli scienziati il dubbio era sorto dalla constatazione che le costanti naturali fissate al tempo del BIG BANG, come la carica dell’elettrone o la velocità della luce, sembrano straordinariamente calibrate per favorire la nascita dell’Universo in cui si possa sviluppare l’attuale società. Se la gravità fosse stata leggermente più forte, le stelle avrebbero bruciato il loro combustibile nucleare in meno di un anno. Se invece la forza che tiene uniti gli atomi fosse stata più debole, gli astri non sarebbero neanche esistiti. Insomma, la vita sulla Terra è il risultato di circostanze così specifiche e di condizioni così restrittive da essere considerato di per sé un evento altamente improbabile.
C’è però un modo per spiegare una serie tanto impressionante di coincidenze: ammettere che si formino di continuo interi universi, ognuno con caratteristiche del tutto casuali. Ciò aumenterebbe la probabilità statistica che, tra i tanti, possa nascere un Universo con le condizioni giuste per generare l’uomo così com’è. Questa è l’idea del MULTIVERSO, che tanto successo sta riscuotendo tra i cosmologi.
LEE SMOLIN addirittura ha azzardato una teoria sull’origine e l’evoluzione degli universi in termini di selezione naturale. Secondo la sua teoria, ogniqualvolta che da un universo ne nasce un altro, le leggi fisiche si modificano un po’, come avviene per gli esseri viventi. Così ci sono universi che nascono con leggi ostili e finiscono per estinguersi.
Questa idea originale è basata su una constatazione della meccanica quantistica che ci sono fenomeni microscopici in cui una particella si come se interferisse con una “controparte”, invisibile, ma reale. Se queste piccole particelle hanno tutte una controparte, ne deriva che anche gli oggetti più grossi hanno a loro volta una controparte. E per i sostenitori di questa teoria queste due realtà non sono alternative, ma si verificano entrambe. Essi affermano che anche il minimo cambiamento nello stato di una particella subatomica crei una biforcazione nella storia dell’Universo, generando una rete pressoché infinita di mondi, tutti dotati di una propria concretezza. Può darsi che esistano infiniti altri universi, e che fra gli altri mondi e il nostro avvengano scambi, separazioni ed intersezioni che forse un giorno si riusciranno a rivelare. Ma per ora è solo una suggestiva ipotesi.