IL CASTELLO (
Il castello rappresenta la vera testimonianza dei passato del nostro paese, ormai trascorso per sempre, anche se poco ci resta di quello che fu; esso conserva intatto il suo fascino e gran parte dei suoi misteri. Le guerre, le pestilenze, le invasioni, la decadenza dei signorotti ne avevano già decretato la fine, che arrivò dopo il terremoto del '62. Il suo ruolo non è perfettamente definibile, ma ci sono motivi ed elementi che lasciano immaginare la non secondaria funzione di questo bastione, che sorge a cavaliere di una roccia, in una posizione strategica della valle circondato da mura quadrate costellate da feritoie lunghe e strette.
A 50 m circa da esso, ci sono le antiche porte e ancora visibili, oggi, sono grosse buche ove venivano fissate le barre di legno usate per sbarrarle. Il nostro castello sicuramente non può rievocare corti d'amore e di poesia, tornei, feste, ozi ducali, né‚ languide canzoni di trovatorie menestrelli in quanto ai tempi della sua edificazione regnava la violenza, la forza ed anche nei secoli successivi, sotto altre denominazioni non si hanno che ricordi militari, di torbidi giorni di guerra, di sentinelle tra le merlature di ronde o di balestre con le frecce pronte a scoccare.
Per quanto riguarda le sue caratteristiche architettoniche, osservando la costruzione, si può dire che per la sua forma romboidale deve trattarsi di una costruzione longobarda, giacché ci sono tre torri, due circolari ed una quadrata e nell'interno tutti i vani sono intercomunicanti, oltre la prigione situata, tetra e oscura dietro il corpo di guardia.
Conforta la nostra tesi che il Castello sia stato fabbricato dai Longobardi la certezza, storicamente provata, che questo popolo, rozzo e brutale affacciatosi in Italia, nell'anno 568, una volta consolidato il suo potere, consapevole del pericolo delle invasioni delle sue terre da parte dei Greci, stanziati in Puglia, ritenute utile ed opportuno fortificare i punti strategici del suo territorio, creando una catena di rocche e castelli, edificati nei punti più vitali dal punto di vista militare.
Sorse così, con queste motivazioni, il castello di Melito, in quanto aveva una posizione formidabile per la difesa longobarda nella valle dell'Ufita.
Purtroppo a causa della scarsezza di fonti storiche non si può risalire all'anno di nascita di questo maniero, ma è certo che al tempo della conquista normanna era già in piedi. Infatti ai primi del 1000 i signori di Melito ed il suo castello erano i De Forgia.
La difesa del castello era costituita oltre che dalla sua posizione a cavaliere di una roccia anche da un fossato, un pezzo dei quale fino a pochi anni fa era ancora visibile. Inoltre poiché‚ intorno al castello cominciarono a sorgere dimore che dettero vita al borgo, nel quale si addensavano coloro che erano soggetti al padrone e da lui protetti, tale borgo fu cinto da mura e il castello fu rinforzato da un avancapo, detto il barbacane.
La zona intorno al castello infatti ancora oggi viene ricordata in dialetto con il nome di "Varvacale".
Il primo riferimento storico dei castello risale all'anno 1062, nel corso del quale accadde che il duca Roberto il Guiscardo venne a contesa presso Melito con il conte Ruggiero. Fattolo prigioniero, lo tenne nel castello di Melito. Altro personaggio illustre ospite del castello, fu il milanese Guglielmo Mora, guelfo lombardo catturato nella battaglia di Cortenova nel 1237.
L'imperatore Federico Il di Svevia, sconfisse i lombardi dopo averli fatti cadere in un tranello, e distribuì i numerosi ostaggi, parte dei suoi fortilizi, parte lì affidò ai suoi fedeli feudatari. A Landolfo d'Aquino, signore di Melito fu affidato il Mora perché‚ venisse custodito nelle tetre prigioni del castello. Esso subì due incendi, uno quando il signore De Forgia fu sconfitto dal padre Ruggiero d'Aquino, l'altro nel 1799 ad opera delle bande del cardinale Ruffo, piombate nelle nostre terre alla testa di ferocissime bande armate composte da briganti. Una leggenda popolare vuole che a espugnare, saccheggiare e quindi bruciare il castello fu Michele Pezza, più famoso come "FRA DIAVOLO", così soprannominato per l'estrosità delle sue imprese travestito da prete.
Pare che egli, così travestito, abbia soggiornato per tre o quattro giorni nell'abitazione attigua alla chiesa di S. Maria Incoronata, comportandosi con molta generosità con la popolazione, e per questo è ricordato con molto rispetto e simpatia.
Era allora feudatario il Marchese Andrea Pagano. L'amministratore di costui riuscì a salvare dal tremendo sacco tutte le stoviglie, l'argenteria e 800 ducati. Il feudatario che era convinto di aver perduto tutto, con il denaro recuperato fece gli accomodi necessari, ma il castello perdette la caratteristica primaria. E così bruciato rimase abbandonato fino al 1912, quando il Principe Stefano Colonna di Paliano lo ristrutturò in una versione molto libera ed approssimativa di quello che fu il castello prima del 1799.
Durante il lavoro di restauro fu trovato nelle cantine, uno scheletro di un uomo di 2 m. e 10 cm. Il teschio fuori della misura normale, fu preso dal dottor Fulvio Miletti medico condotto del paese, per studi sulla struttura del cranio; egli in seguito affermava che quello era lo scheletro di un gigante.
Nel 1962, in conseguenza del terremoto subì altri numerosi e gravissimi danni. A salvaguardia della pubblica e privata incolumità ne fu abbattuta la parte più antica e furono diroccate alcune torri. Malgrado questo suo miserevole stato di degrado, però il castello di Melito per i melitesi, rimarrà sempre un monumento di riflessione e di ammirazione. Noi ci auguriamo che prima che sia troppo tardi, prima dei suo totale sfacelo questo millenario monumento possa suscitare un maggior interesse culturale e possa essere oggetto quanto prima, da parte di chi è preposto alla tutela dei patrimonio artistico della nostra terra d'Irpinia, di una corretta ed indispensabile opera di restauro che valga al suo recupero ed alla sua conservazione nei secoli a venire.