La celeberrima bifora
della Cattredrale di Oristano può essere assunta a pieno merito
a simbolo del disinteresse, delle trasformazioni e delle offese patite
dal patrimonio artistico e architettonico della città. Il titolo
del libro di Paolo Gaviano 'La bifora in dispensa', diventa così
occasione per una riflessione sulle tumultuose trasformazioni che hanno
fatto si che un frammento di architettura dai ricchissimi contenuti artistici
divenisse "la parete della dispensa del Palazzo arcivescovile". La bifora fa parte di una delle tre cappelle risalenti alla parziale ricostruzione della Cattedrale, operata nel primo trentennio del 1200 sotto il regno di Mariano II e scampata alla ricostruzione quasi totale, avvenuta fra il 1729 ed il 1745. Si inserisce in una parete il cui paramento è composto da blocchi di arenaria di media pezzatura. In essa sono ancora visibili degli archetti semicircolari la cui modanatura è connessa tramite capitelli fitomorfi ai fasci di semicolonne che si allungano fino a raggiungere il basamento. Queste da una parte scompartiscono la superficie in specchi dall'accentuato verticalismo, al centro, in corrispondenza della finestra, si contraggono divenendo semplici peducci a mensola, dall'altra infine giungono ad incorniciare le possenti paraste angolari. L'arco acuto leggermente compresso dell'apertura risulta essere sopracigliato da un cappuccio la cui imposta raffigura un volto umano. Una leggera colonnina il cui rilievo è mediato dalla presenza di due venature laterali a cui è connessa in orizzontale solo dal disegno dei capitelli e del basamento, incornicia delicatamente la bifora. La luce viene ad essere scompartita da due archetti ogivali trilobati, impostati su colonnine la cui fattura richiama quelle della cornice. Il traforo è completato in alto dalla presenza di un doppio oculo quadrilobato. |
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