La grande importanza
attribuita alla strada che, da Porta Ponti (attuale piazza Roma) conduceva
al centro cittadino, Prazza de Cittadi (oggi Piazza Eleonora), è
dimostrata dall'uso consolidato di chiamarla Ruga Maista. Tale denominazione
stava appunto ad indicare, in analogia con altre città italiane,
l'asse urbano di percorrenza principale. (Si hanno notizie documentarie
certe di questa sua funzione già a partire dal 1416 come dimostra
G. B. Pellegrini nel testo "Attraverso la toponomastica urbana").
E' per ciò comprensibile che l'edilizia urbana si concentrasse con un alta densità proprio ai margini di tale percorso. Conosciuta oggi dagli oristanesi col nome di Via Dritta, deve il suo aspetto odierno, in massima parte, alle ingenti opere di demolizione e di ricostruzione di epoca Sabauda, ad opera dei cittadini più ricchi e potenti della città. La demolizione di edifici di modesta caratura, al fine di ricavarne aree fabbricabili, era molto probabilmente conseguenza della saturazione degli spazi urbani intramurari. Essi erano congestionati dalle opere di fortificazione che ancora cingevano la città nonostante ne fosse venuta meno la funzione difensiva. Il primo palazzo signorile ad essere edificato alla fine del Settecento, in Corso Umberto I fu il Palazzo Siviero già D'Arcais, attualmente di proprietà dell'amministrazione provinciale di Oristano. Il progetto può essere attribuito all'architetto Giuseppe Viana il quale ebbe modo già di lavorare alle dipendenze del marchese D'Arcais per la costruzione del convento del Carmine con annessa chiesa. Il palazzo, restaurato di recente, si presenta di aspetto austero con ampie superfici intonacate. Le aperture modestamente incorniciate da modanature in pietra trachitica rosa sono disposte ordinatamente su tre livelli. Il piano nobile viene caratterizzato, in modo straordinariamente raffinato, dalla presenza di balconcini semicircolari ornati da lavoratissimi parapetti in ferro battuto che richiamano, per la loro foggia, analoghi elementi della tribuna del Duomo. L'ingresso, sormontato da un oculo ottagonale, si apre su un atrio dal quale parte uno scalone illuminato dall'alto da una pioggia di luce. La caratteristica forma a campana posta a coronamento dell'elegante tamburo ottagonale finestrato e l'uso di una copertura a squame maiolicate policrome, costituiscono l'episodio più importante dell'intera costruzione. In questi elementi, di influsso lombardo, si può senza dubbio riconoscere la mano del Viana che ripropone accostamenti già sperimentati nella cupola della magnifica chiesa del Carmine. |
|||