La logica dialettica: essere, essenza, concetto

A causa dell'occupazione francese della città di Jena, Hegel fu costretto a trasferirsi prima a Bamberga, poi a Norimberga, dove accettò l'incarico di rettore e di professore di filosofia nel locale ginnasio, e infine ad Heidelberg, chiamato presso l'Università. Questo periodo, che va dal 1808 al 1817, viene convenzionalmente chiamato «periodo sistematico» perché il filosofo attese alla sistemazione organica e definitiva della sua concezione. Negli anni tra il 1812 e il 1816 elaborò la Scienza della logica, ch'egli considerava come la prima parte del suo sistema; sistema che, poi, troverà compiuta articolazione nella Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, pubblicata nel 1817.

Della logica norimberghese, i cui termini fondamentali si ritroveranno, sintetizzati, nella Enciclopedia, non presenteremo un'esposizione dettagliata, ma solo gli aspetti piú importanti e il significato generale.

Nella Fenomenologia Hegel ha mostrato come lo spirito umano «si muove» nei suoi modi d'esistenza e nelle sue forme storiche di vita, secondo modelli che possono essere interpretati come «logici»; anzi il suo stesso «muoversi» segue le regole di una «logica dialettica» interna; sicché chi analizza il «movimento» dell'umanità, anche a livello di comportamento dei singoli uomini, deve adottare un procedimento mentale, un processo logico, anch'esso di tipo «dialettico», per comprendere nel profondo, nelle sue trame, lo sviluppo dell'uomo come spirito che conosce ed agisce.

Nella Scienza della logica Hegel intende astrarre le regole della logica dialettica dal suo contenuto reale, e studiarle in sé; ossia vuole studiare le regole del reale come regole, in sé, del pensiero che pensa e conosce il reale. La logica, pertanto, è il versante soggettivo della metafisica, che è lo studio delle leggi di sviluppo del reale oggettivo. E poiché nella Fenomenologia Hegel ha rilevato che la funzione conoscitiva dello spirito si articola nei tre momenti di coscienza, autocoscienza e ragione, e dal momento che la coscienza attinge l'essere nella sua indeterminatezza, l'autocoscienza coglie l'essenza e la ragione si eleva al concetto, nella Logica Hegel individua come strutture fondamentali del pensiero proprio le categorie: essere, essenza e concetto. Di queste il concetto viene considerato lo strumento logico della ragione perché coglie, della realtà, l'esterno e l'interno, l'apparenza e l'essenza, il reale e l'ideale; solo una ragione cosí intesa Hegel considera lo strumento proprio della «concezione idealistica» perché non implica frattura tra i termini opposti tra loro, e quindi non cade nei limiti delle concezioni «soggettivistiche» e di quelle «realistiche» o dogmatiche.

Anche la Scienza della logica dunque è fondata sull'identità di reale e razionale già indicata nella Fenomenologia. Anzi Hegel mostrerà che tale identità sarà la grande scoperta che lo spirito farà quando renderà il suo stesso pensiero oggetto della sua riflessione.

Qual è, dunque, il concetto stesso di «logica» che Hegel propone?

Il concetto che fino a qui si è avuto della logica è basato sulla separazione, presupposta una volta per sempre nella coscienza ordinaria, del contenuto della conoscenza dalla forma di essa, sulla separazione cioè della certezza e della verità. Si presuppone in primo luogo che la materia del conoscere sussista già in sé e per sé quale un mondo bell'e compiuto al di fuori del pensiero, che il pensiero sia di per sé vuoto, che sopravvenga a quella materia estrinsecamente quale una forma, si riempia di essa e solo con questo acquisti un contenuto, e cosí diventi un conoscere reale.
Questi due elementi poi... vengono ordinati l'uno di fronte all'altro per modo che l'oggetto sia un che di già per sé compiuto, un che di già pronto, che per la sua realtà possa perfettamente fare a meno del pensiero e che all'incontro il pensiero sia qualcosa di manchevole cui occorra completarsi in una materia, e cioè rendersi a questa adeguato quale una cedevole forma indeterminata. Verità è l'accordo del pensiero con l'oggetto, e al fine di produrre questo accordo (poiché esso non sussiste in sé e per sé bisogna allora che il pensiero si adatti e si acconci all'oggetto.
(Scienza della logica)

Ma questa concezione della logica, che Hegel vede ancora circolare ai suoi tempi, in realtà sacrifica quanto c'era di piú vero nella vecchia metafisica.

La vecchia metafisica aveva un concetto assai piú alto del pensiero, che non quello ch'è venuto di moda ai nostri tempi. Metteva cioè per base che quello, che per mezzo del pensiero si conoscesse delle cose, e nelle cose, fosse il solo veramente vero che le cose racchiudessero. Il vero, per quella metafisica, non erano quindi le cose nella loro immediatezza, ma soltanto le cose elevate nella forma del pensiero, le cose come pensate. Quella metafisica riteneva perciò che il pensiero e le determinazioni del pensiero non fossero un che di estraneo agli oggetti, ma anzi fossero la loro essenza, ossia che le cose e il pensare le cose coincidessero in sé e per sé, che il pensiero nelle sue determinazioni immanenti, e la vera natura delle cose, fossero un solo e medesimo contenuto.
(Scienza della logica)

La separazione del pensiero dalla realtà è il peccato commesso da quelle che Hegel chiama «filosofie della riflessione»; filosofie che si fondano non già sulla «ragione», che unifica relazionando, bensí sull'«intelletto», che separa astraendo il concetto dall'essenza. È chiaro il riferimento a Kant e Jacobi.

Ma l'intelletto riflettente s'impadroní della filosofia... Per l'intelletto riflettente o riflessivo è da intendere in generale l'intelletto astraente e con ciò separante, che persiste nelle sue separazioni. Volto contro la ragione, cotesto intelletto... fa valere la sua veduta che la verità riposi sulla realtà sensibile... e che la ragione... non dia fuori che sogni. Ora in questa rinuncia della ragione a se stessa il concetto della verità va perduto, la ragione viene ristretta a conoscere soltanto una verità soggettiva..., soltanto qualcosa cui la natura dell'oggetto stesso non corrisponda. Il sapere è tornato ad essere l'opinione.
(Scienza della logica)

Certo

l'accennata riflessione consiste nel sorpassare il concreto immediato, e nel determinarlo e dividerlo

traducendolo in concetti: e in ciò sta la sua funzione utile. Ma

la riflessione deve anche sorpassare queste sue determinazioni divisive, e metterle anzitutto in relazione tra loro. Ora in questo punto del metterle in relazione vien fuori il loro contrasto. Codesto riferire della riflessione appartiene in sé alla ragione; il sollevarsi sopra a quelle determinazioni che va fino alla visione del loro contrasto, è il gran passo «negativo» verso il vero concetto della ragione.
(Scienza della logica)

Sicché la logica per Hegel è la scienza delle relazioni tra i concetti, o meglio scienza che riporta sul piano del pensiero le relazioni tra le cose, che indica come leggi del pensiero le leggi che connettono la realtà. Poiché la realtà «si muove», la logica deve mostrare come il movimento del pensiero corrisponda a quello della realtà, come ne segua lo stesso ritmo. Poiché la realtà si evolve secondo un ritmo dialettico, per cui ogni momento «finito» è sintesi, cioè riunificazione e superamento dei due momenti opposti tra loro, la logica dev'essere anch'essa dialettica, cioè mostrare che ogni concetto nasce come sintesi, cioè riunificazione e superamento, di due concetti tra i quali sussiste relazione di opposizione. La scienza della logica è dunque la scienza della individuazione dei contrasti tra concetti e della riunificazione degli opposti logici in un concetto superiore.

Ma come avviene il passaggio dalla opposizione al superamento, cioè alla sintesi? Prendiamo ad esempio un tema che sarà sviluppato nell'Enciclopedia; ci permetterà di vedere meglio come alla trama che lega gli eventi corrisponda una trama di concetti.

La «famiglia» è, sí, una realtà in sé, è caratterizzata da una «individualità», ma nessuna famiglia vive e potrebbe vivere in sé, chiusa nella propria individualità; per poter vivere deve aprirsi al rapporto con le altre famiglie, deve entrare in un rapporto societario con esse; quindi, per esistere, le famiglie devono costituire una «società civile»; ma la società è la «negazione» della famiglia, nel senso che le famiglie, per costituire una società, devono negare la propria individualità, devono rompere esse stesse la propria particolarità. La società, che è l'opposto della famiglia, nasce dunque dalla autonegazione della stessa famiglia; sicché la famiglia, come individualità, cioè fuori dalla società, è una pura «astrazione»; anzi, sussiste come individualità (negata) solo nel rapporto societario. Tuttavia la società non è meno «astratta» della famiglia, perché un vincolo Societario non sussiste senza le famiglie, da un lato, e senza norme e istituzioni organizzative che lo favoriscano, lo garantiscano e lo tutelino, dall'altro. Quindi la società, come realtà in sé, non esiste fuori delle famiglie e fuori di un'organizzazione statale. La società deve pertanto «negare» la sua presunta realtà assoluta, cioè la sua «astrattezza», e deve recuperare la sua natura concreta di vincolo tra famiglie garantito da leggi e istituzioni. La società non esiste come punto d'arrivo; anzi, non esiste se non in uno stato. Sicché lo «stato» costituisce l'unica vera «realtà», cioè ciò che dà vita concreta alla «famiglia» e alla «società», relazionandole, comprendendole in sé, «conservandone» l'essenza e «togliendone» la particolarità, l'assolutezza, e in definitiva l'astrattezza. Se consideriamo, allora, sul piano logico, il rapporto tra il concetto di famiglia, quello di società e quello di stato, noteremo che essi si dispongono, rispettivamente, in una relazione di «tesi», «antitesi» e «sintesi», di cui i primi due elementi sono «astratti», e troveranno «concretezza» e «verità» solo nel terzo; d'altra Parte la «sintesi» è il prodotto di un processo di «doppia negazione», nel senso che la sintesi è il prodotto dell'autonegazione dell'antitesi che, a sua volta, è l'opposto nato dall'autonegazione della tesi. Cosí che (costituendo queste le leggi insieme della realtà e del pensiero) solo il rapporto al concetto di società ci permette di comprendere il concetto di famiglia, e solo il rapporto al concetto di famiglia e a quello di stato ci permette d'intendere il concetto di società. Come pure, i concetti di famiglia (tesi) e quello di società (antitesi) sono insignificanti in sé e per sé, e indeterminabili se non visti nella loro unità sintetica costituita dal concetto di stato, che, d'altra parte, non ha alcun senso se non come unità di quei due, che tra loro sono «contrari».

Come nel processo reale, cosí pure in quello logico è indispensabile dunque il momento della negazione; negazione che, come nella realtà, non distrugge, sul piano logico, non annienta; insomma tale negazione permette la relazione sul piano reale e permette la comprensione sul plano logico.

L'unico punto, per raggiungere il procedimento scientifico,... è la conoscenza di questa proposizione logica: che il negativo è insieme anche positivo, ossia che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare; vale a dire che una tale negazione non è una negazione qualunque, ma la negazione di quella cosa determinata che si risolve ed è perciò negazione determinata. Bisogna, in altre parole, saper conoscere che nel risultato è essenzialmente contenuto quello da cui esso risulta. Quel che risulta, la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto. Codesta negazione è un nuovo concetto, ma un concetto che è superiore e piú ricco che non il precedente. Essa infatti è divenuta più ricca di quel concetto. Contiene dunque il concetto precedente, ma contiene anche di piú, ed è l'unità di quel concetto e del suo opposto.
(Scienza della logica)

Una logica dunque che voglia «comprendere» la realtà, non può essere «logica dell'identità» del concetto con se stesso (che è propria del pensiero astratto, di quello, cioè, che astrae - immobilizzandolo - il concetto dal reale in continuo divenire; e definisce il concetto singolo come un'entità fissa, assoluta e autosufficiente), ma dev'essere una «logica della contraddizione» (che è il solo modo con cui il pensiero può cogliere una realtà in movimento, e può comprendere ogni singolo momento reale relazionandolo agli altri e all'intera realtà diveniente).

Del metodo logico-dialettico, come unico strumento di comprensione del reale, Hegel afferma:

So ch'esso è l'unico vero. Questo risulta già di per sé da ciò: che un tal metodo non è nulla di diverso dal suo oggetto e contenuto..., nessuna esposizione (del reale) può valere come scientifica, la quale non segua l'andamento di quel metodo e non si uniformi al suo semplice ritmo, perché è l'andamento della cosa stessa.
Ordinariamente si prende la dialettica come un procedimento estrinseco e negativo (rispetto alla realtà), che non appartenga alla cosa stessa... Il metodo assoluto, invece, non si conduce come riflessione estrinseca, rna prende il determinato dal suo oggetto stesso, poiché ne è appunto il principio immanente e l'anima.
(Scienza della logica)

La logica dialettica si fonda quindi su «universali» (concetti) non «astratti» ma «concreti», non «soggettivi» ma «oggettivi»; essi non sono frutto della separazione del pensiero dalla realtà, ma strumenti che rispecchiano sul piano del pensiero soggettivo l'oggettività del reale. Anzi, a rigor di termini, l'«oggetto» trova la sua verità solo nel «concetto» inteso «dialetticamente».

L'oggetto - com'è senza il pensare e senza il concetto - è una rappresentazione ovvero anche un nome; son le determinazioni di pensiero e di concetto quelle in cui esso è quel che è. Nel fatto è quindi da loro sole che tutto dipende. Esse sono il vero oggetto e contenuto della ragione. Non si deve pertanto attribuire a colpa di un oggetto e del conoscere se, per l'indole loro e per un collegamento esteriore, si dimostrino dialettici.
(Scienza della logica)


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