Alessandro
Manzoni
(1785-1873)
L'infanzia
Alessandro
Francesco Tommaso Antonio Manzoni, uno dei più grandi scrittori
non solo del XIX secolo, ma della letteratura europea dal
Medioevo in poi, nasce a Milano alle ore 8 del 7 marzo 1785, al n.
16 di via Visconti di Modrone, "verso il Naviglio passato S.
Damiano", dal conte Pietro Manzoni, e da Giulia Beccaria
figlia di Cesare Beccaria, il celebre illuminista autore dell'opera
Dei delitti e delle pene, contro la tortura e la pena di
morte, e viene battezzato il giorno dopo nella chiesa
parrocchiale di San Babila ed ha come padrino il marchese don
Francesco Arrigone: la cerimonia venne celebrata dal padre
Alessio Nava.
La famiglia di
Manzoni era benestante; il bisnonno Pietro Antonio era un
proprietario terriero originario di Barzio in Valsassina, da dove
con la famiglia si trasferì nel 1710 nella settecentesca villa
del Caleotto, che Manzoni sarà costretto a vendere per gravi
motivi economici. Al Caleotto visse il nonno Alessandro e il
padre Pietro che nasce nel 1736
Quando
Giulia sposa Pietro Manzoni, il 20 ottobre 1782, ha vent'anni e
lui quarantasei, due più del suocero. È un matrimonio combinato:
il contratto viene sottoscritto il 12 settembre dello stesso anno
e in esso si fa riferimento alla «mediazione di Sua Eccellenza
il Sig.r Conte Pietro Verri, attuale Consigliere di Stato, e
Presidente del regio Ducal Magistrato Camerale di Milano»,
mediazione cominciata già dall'inizio di febbraio e condotta
avanti «con lodevole destrezza», come viene affermato nello
stesso contratto; in questo modo il Verri, del quale Giulia
subiva intimamente il fascino, provando un sentimento che andava
al di là della semplice simpatia o del rispetto per l'uomo
intelligente e maturo ma non sposato, fra i più in vista di
Milano sul piano politico e culturale, illuminista intellettuale
amico di vecchia data del padre, può farla uscire
definitivamente dal collegio, nel quale più volte il conte
stesso si era recato a trovarla, per calmarne gli istinti ribelli.
Al matrimonio Giulia acconsente malvolentieri subendolo con molta
insofferenza, ma capisce che la soluzione era anche l'unica
praticabile.
Con questi
precedenti, il matrimonio di convenienza tra i coniugi Manzoni
dura poco; sin dai primi mesi, vicina ad un marito più vecchio
di lei, insieme a sette cognate nubili e a un cognato canonico,
tutti stretti nella rigorosa osservanza della tradizione e
insofferenti di qualsiasi novità, Giulia si dimostra
intollerante a un'atmosfera buia e retrograda, smaniosa di essere
accolta nei salotti alla moda e di non chiudersi fra quattro
anguste mura; comincia allora a frequentare la casa dei Verri,
dove, tramontata l'infatuazione per Pietro, si innamora di
Giovanni, il più giovane e avvenente della famiglia. Così
quando nasce Alessandro, i soliti pettegoli danno per certo che
la paternità del bambino sia da attribuirsi proprio a Giovanni,
un dubbio che ha una qualche fondatezza, se pensiamo alla strana
e forte rassomiglianza tra la foto di Giovanni e quella del
piccolo Alessandro e soprattutto al fatto che del ritratto
donatole dallo stesso Giovanni, Giulia non si era mai sbarazzata
Pietro
Manzoni, al di là dei pettegolezzi, riconosce il figlio e lo
affida a una balia, Caterina Panzeri, una brianzola dal carattere
dolce e allegramente affettuoso, moglie di un certo Carlo
Spreafico che abita alla cascina Costa, tra Malgrate e Mozzate,
nei dintorni di Lecco.
Con la
nascita del bambino la situazione in casa Manzoni diventa sempre
più fredda, tanto che nel 1791 Giulia chiede e ottiene la
separazione legale, che verrà ratificata dal tribunale nel
febbraio 1792. Alessandro secondo la legge resta con il padre.
A sei anni
il piccolo Alessandro entra nel collegio dei padri Somaschi,
prima a Merate e poi, nel 1796, a Lugano. Qui conosce padre Carlo
Felice Soave (1749-1803), autore fra l'altro di Novelle morali
per l'infanzia, un uomo rigido ma di grande prestigio e dirittura
morale, l'unico tra i suoi insegnanti che ricorderà con stima.
Due anni dopo eccolo a Milano, nel collegio dei Nobili, gestito
dai Barnabiti: dieci anni in tutto, durante i quali riceve una
buona educazione classica, a giudicare da come traduce Virgilio e
Orazio. Dalla scuola, però, esce esasperato e ribelle, forse
anche amareggiato dalla sua situazione familiare, ma gratificato
da alcune amicizie che dureranno tutta la vita, come quella di
Ermes Visconti (1784-1841).
I genitori
si interessano poco di lui; già dal 1792 Giulia Beccaria, che
nel frattempo, abbandonando casa Verri, aveva conosciuto il
nobile e ricco Carlo Imbonati, col quale si stabilisce prima a
Londra e poi a Parigi, dove viene accolta favorevolmente anche
grazie alla fama del padre, finché nel 1805 il nobile muore
improvvisamente lasciandola erede di una cospicua fortuna.
L'adolescente
Manzoni, fu in pratica abbandonato dalla madre, ed ebbe scarsi
contatti umani con il padre, che in lui vedeva l'immagine del suo
fallimento matrimoniale e di una donna che non era stato capace
di amare e conquistare, anche a causa di un carattere irresoluto
e incline a una spiritualità umana e religiosa di maniere fatta
di apparenze più che di sostanza. L'adolescenza di Alessandro
trascorse quindi senza quegli affetti familiari che sono
indispensabili per creare quel vero equilibrio tra vita interiore
e vita sociale che è alla base di una vita che può definirsi
felice: ogni altro equilibrio è destinato a spezzarsi al primo
soffio veramente impetuoso, che spazza via ogni ostacolo che non
è profondamente radicato.
Intanto nel
1798 Alessandro ritorna a Milano, che nel frattempo era diventata
la capitale della repubblica Cisalpina, dopo il Trattato di
Campoformio, col quale Venezia cade sotto l'Impero austriaco e
Napoleone consolida il suo dominio sull'Italia settentrionale,
nel collegio Longone dei Padri Barnabiti. Nel 1801 completa gli
studi e ritorna in famiglia nel palazzo di via san Damiano,
alternando i soggiorni nella villa estiva al Caleotto, presso
Lecco; ma vive praticamente isolato da padre, insieme alla servitù,
pur conoscendo ospiti abbastanza occasionali come Monti, Foscolo
e Cuoco; dello stesso anno è la sua prima opera importante, il
poemetto di stampo classicheggiante, secondo gusti montiani, Del
trionfo della libertà, frutto anche della sua insofferenza
al metodo educativo di Barnabiti e Somaschi, del suo distacco dal
cattolicesimo e dell'entusiastico avvicinamento agli ideali
illuministici e ai valori della Rivoluzione Francese, portati a
Milano dall'armata Napoleonica.
Alessandro,
nella casa del conte Manzoni, respira un'atmosfera malinconica,
accresciuta dalla tetraggine delle sette zie nubili, una delle
quali ex monaca, e dallo zio monsignore che porta la natta all'occhio.
Pure, riesce a divertirsi, come tutti i giovani. Ama il teatro,
va a giocare al Ridotto della Scala, conosce il poeta Vincenzo
Monti (1754-1828) che gli sembra un'immagine autorevole da
imitare, ammira le idee che diffonde Napoleone in tutta Europa,
anche se il personaggio lo lascia perplesso.
La
vocazione poetica del sedicenne Manzoni si manifesta con un
sonetto autobiografico, Autoritratto, in cui si presenta:
«Capel bruno; alta fronte; occhio loquace...» e poi, per quanto
riguarda il carattere, ammette di essere «Duro di modi, ma di
cor gentile», anche se confessa, alla fine, di essere un po'
confuso circa il giudizio da dare di se stesso, «Poco noto ad
altrui, poco a me stesso. / Gli uomini e gli anni mi diran chi
sono». È un adolescente in cerca della propria identità.
Il sonetto riecheggia lo stile di Vittorio Alfieri (1749-1803)
che, per i giovani del tempo, è una sorta di idolo di cui si
ammira la generosità, l'insofferenza per ogni forma di ipocrisia,
il carattere ribelle, l'incarnazione del genio incompreso, in
lotta contro ogni forma di mediocrità.
Da poco
uscito di collegio, respirando l'aria ricca di ideali
illuministici della capitale lombarda, il giovane Manzoni scrive
il suo primo poemetto in quattro canti, intitolato Del trionfo
della libertà (1801), in cui, imitando il suo "maestro"
Vincenzo Monti, e anche Dante, condanna ogni forma di tirannide.
L'esordio
poetico risale al 1802: Francesco Lomonaco (1772-1810), storico e
saggista esule da Napoli dopo la fallita rivoluzione del 1799,
inserisce il sonetto manzoniano Per la vita di Dante, in
apertura delle sue Vite degli eccellenti italiani. In
questi anni, incoraggiato dai consensi e dall'amicizia di poeti
come Ugo Foscolo (1778-1827) ed Ermes Visconti (con la sorella
del quale, l'angelica Luisina, vive l'emozione del primo
amore, ma presto la famiglia scoraggia le assidue visite del
tenero poeta), scrive l'ode Qual su le Cinzie cime (1802),
in cui si sente l'influsso della poesia del Parini e del Foscolo,
l'idillio Adda (1803), una sorta di invito al Monti perché
sia suo ospite nella villa paterna del Caleotto, sul lago di Como,
e i quattro Sermoni, in cui, alla maniera di Orazio,
elabora una satira sferzante contro il malcostume del tempo. Il
giovane comprende che il poeta deve coltivare in sé una
fortissima tensione morale per trasformare l'opera d'arte in
strumento educativo per l'umanità.
Questo è
il retaggio di un altro grande poeta che, scomparso da qualche
anno, ancora irraggia la sua personalità su tutta la cultura
milanese e dà un carattere di forte impegno all'illuminismo
lombardo: Giuseppe Parini (1729-1799).
A diciott'anni, nel 1803, Alessandro Manzoni è già noto ai più grandi intellettuali del tempo, a cui chiede giudizi e valutazioni sulla sua produzione: sottopone le poesie al Monti, che ha per lui parole lusinghiere. Diviene amico di Vincenzo Cuoco( 1770-1823), esule a Milano come il Lomonaco, e autore del Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801), col quale inorridisce il poeta raccontando le sanguinose repressioni borboniche. Da lui riceve lo stimolo a conoscere il pensiero di Giambattista Vico e si entusiasma per la ricerca storica. L'idea di storia, come analisi delle condizioni di un popolo e come insieme degli avvenimenti in cui è protagonista la massa, si insinua in questi anni nella mente dell'autore dei Promessi Sposi, il "romanzo degli umili".
Milano
è una città stimolante e affascinante per il ragazzo che ha
conosciuto, fino a sedici anni, i quieti paesaggi del lago di
Como (contemplati dalla villa paterna del Caleotto, a Lecco) e
gli austeri corridoi dei collegi. Tuttavia egli lascia la
Lombardia con entusiasmo, quando la madre lo chiama a Parigi, nel
1805.
Nel 1804 il
Monti si trova a Parigi, ospite dell'Imbonati e di Giulia e le
parla di quel figlio lontano e praticamente sconosciuto. Ecco
rifarsi viva, dopo anni di silenzio, questa figura materna così
spregiudicata e anche un po' egoista, a ben vedere. Forse è il
timore della solitudine, forse è il bisogno di liberarsi dai
sensi di colpa. Non si sa che cosa induca Giulia a richiedere la
presenza del figlio. Alessandro riceve l'invito: chiede i soldi
per il viaggio al padre, che subito glieli concede; ma mentre si
accinge a partire, viene raggiunto dalla notizia della morte
dello stesso Imbonati, lasciando erede Giulia dei suoi beni, tra
cui la villa di Brusuglio, poco fuori Milano. Il ventenne
Alessandro, nel settembre 1805 raggiunge Parigi e più che una
madre conosce una donna, afflitta per la recente perdita: si
fondono due dolori ma nasce anche lentamente e con una certa
fermezza un affetto che in qualche modo ripaga del mancato amore
degli anni trascorsi. Comincia così, per lui, uno dei momenti più
costruttivi della sua formazione intellettuale.
Parigi: la giovinezza
«Giulia
Beccaria aveva quarantatrè anni: coi capelli biondi, quasi fulvi,
gli occhi grigi, il naso aquilino, il temperamento virile,
ardimentoso, orgoglioso, imperioso, lo spirito vivace e acuto,
conservava ancora quella grazia che aveva fatto di lei la regina
dei salotti illuministi di Milano»
L'intesa è
immediata: il giovane subisce il fascino della madre e accoglie
le sue confidenze, consola il suo dolore. Per lei scrive il Carme
in morte di Carlo Imbonati (1806), in cui immagina che il
defunto gli appaia in sogno per suggerirgli il corretto
comportamento dell'uomo d'onore, che deve «conservar la mano /
pura e la mente...il santo Vero / mai non tradir: né proferir
mai verbo / che plauda al vizio, o la virtù derida». Pare una
sorta di decalogo morale al quale il Manzoni si atterrà per
tutta la vita, in cui esprime i suoi ideali umani e letterari
impregnati di coerenza etica e una analisi concreta e reale della
storia dell'uomo e della sua evoluzione.
Egli condanna anche la cultura disimpegnata o, peggio, utilizzata
per motivi economici, abbassata a merce in vendita. Impossibile
non ricordare quella sorta di commovente testamento intellettuale
e morale che è l'ode La caduta di Giuseppe Parini.
Il rigore
morale di questi affiora nel disgusto manzoniano per gli
adulatori dei potenti, che riducono la letteratura a «un
vergognoso / ... di lodi mercato e di strapazzi».
Negli anni
trascorsi a Parigi, fino al 1810, Manzoni ha la possibilità di
allargare il proprio orizzonte culturale con amicizie che
risulteranno decisive per la sua formazione artistica e
letteraria. Frequenta il salotto di Sophie Grouchy vedova del
filosofo Condorcet, morto suicida negli anni della Rivoluzione
Francese, prima ad Auteuil e poi a Meulan, in una dolce casa di
campagna detta la Maisonnette, una bella villa a quaranta
chilometri dalla capitale, da dove si gode un panorama stupendo
sulla Senna.
Alessandro
conosce quello che sarà un grande amico di tutta la vita, Claude
Fauriel (1772-1844), il filologo che insieme a Madame de Staël
promosse la cultura romantica in Francia e che nel frattempo,
troncando la sua relazione amorosa proprio con la Staël, era
diventato l'amante di Sofia, con la quale convivrà per una
ventina d'anni senza matrimonio, fino alla morte della donna.
Claude Fauriel lo introduce nel gruppo degli Ideologi,
intellettuali che si oppongono al regime napoleonico, perché ha
soffocato le libertà propugnate durante la rivoluzione del 1789.
Appartengono a questo movimento personaggi come il filosofo
Antoine Destutt de Tracy (1754-1836), il medico-fisiologo-filosofo
naturalista Pierre Jean Cabanis (1757-1808). Sotto la loro guida
Manzoni si apre a una prospettiva letteraria europea, e impara
che ogni ricerca deve essere condotta «con massimo scrupolo ed
evitando di trarne nessuna deduzione di cui non si fosse
assolutamente certi». Nasce da qui quell'atteggiamento mentale
che indurrà Manzoni a ricostruire con molto scrupolo
storiografico l'ambientazione delle opere tragiche e del romanzo.
Ma c'è
di più: gli ideologi ribadiscono l'esigenza di un profondo
rigore morale. Ciò li avvicina al pensiero del Giansenisti. Sono,
questi, seguaci del teologo olandese Cornelis Jansen (latinizzato
Giansenio). Egli, nella sua opera Augustinus (1640)
afferma che solo la Grazia divina può salvare l'uomo, la cui
natura è corrotta e inevitabilmente macchiata di colpe. Il
Giansenismo era fiorito a Parigi nel Seicento, grazie ai filosofi
e teologi dell'abbazia di Port-Royal, che, però, era stata
distrutta nel 1710 da re Luigi XIV. Il pensiero dei Giansenisti
sopravvive nell'Ottocento presso i religiosi e gli intellettuali
che insistono sulla necessità di un comportamento moralmente
irreprensibile, in piena sintonia con la ragione.
In questi
mesi Alessandro legge opere di grandi moralisti e filosofi del
Seicento, come Jacques Bossuet (1627-1704) e Blaise Pascal (1623-1662),
ma si appassiona anche alla lettura di Voltaire e, grazie a
Fauriel , comincia ad accostare le idee romantiche, attraverso il
pensiero del tedesco August Wilhelm Schlegel (1767-1845).
Nel 1807
ecco la pubblicazione di un poemetto, Urania (forse
dedicato a Sophie, che gli amici chiamavano Uranie) sulla
funzione civilizzatrice della poesia. Lo scrittore sembra
ripiegare sulle posizioni del classicismo, accettando gli schemi
fissati dal Monti e dalla tradizione letteraria, ma il
classicismo e la mitologia sono più nella forma esteriore che
nell'intimo significato; il poemetto rappresenta l'opera
civilizzatrice e consolatrice dell'arte, in cui le Muse e le
Grazie inviate in terra da Giove costituiscono un simbolo, quasi
cristiano, delle virtù che fanno corona a Dio, ma verrà ben
presto sconfessato dal Manzoni che scrive: «Non è così che
bisogna far versi; forse ne farò di peggiori, ma non ne farò
mai più come quelli». In effetti, l'operetta è piuttosto
noiosa e, a detta dell'autore medesimo, incapace di suscitare l'interesse
del lettore.
In quegli
anni accompagna la madre tre volte in Italia, a Torino nel 1806,
a Genova nel febbraio 1807 per conoscere Luigina Visconti nell'ambito
di una combinazione matrimoniale che non si realizzerà, e nel
settembre dello stesso anno a Milano, dopo il fallimento di una
nuova combinazione matrimoniale con la giovane figlia dell'amico
Destutt de Tracy. Sulle rive del lago di Como, sotto la guida
della madre, conosce Enrichetta Blondel, figlia di banchieri
ginevrini stabilitisi in Italia: anche per il carattere dolce e
sensibile della giovane Enrichetta (che aveva solo 16 anni,
contro i 22 del Manzoni): ancora una volta Giulia dimostra di ben
conoscere il cuore del figlio e di saper indovinare la donna
giusta per lui. La nuova combinazione ha successo.
Il matrimonio e la conversione
Così la
sedicenne Enrichetta Blondel entra nella vita di Manzoni per
lasciare una traccia importante. I due si sposano con rito civile
nel Municipio di Milano il 6 febbraio1808 e la sera stessa le
nozze sono benedette con rito evangelico nella casa della sposa
che pratica, infatti, la religione calvinista. Il padre di
Enrichetta, Francesco Luigi Blondel, è un ricco imprenditore
ginevrino, che possiede filande lungo l'Adda e inizia, proprio in
quegli anni, l'attività di banchiere a Milano, dove acquista
palazzo Imbonati.
Nel giugno
del 1808 la famigliola Manzoni riparte per Parigi. I tre sono
ottimamente assortiti e molto felici. A proposito di Enrichetta,
sappiamo che è «bionda, mite e graziosa, tanto discreta e
pronta a nascondersi quanto la madre di Manzoni era teatrale:
tanto ordinata e precisa, quanto la madre si abbandonava a un
geniale disordine».
Alessandro
non esita a dichiararsi «estremamente felice» di aver
accontentato Giulia e di constatare che la moglie nutre per la
suocera una tenerezza rispettosa e devota, simile a quella di una
figlia. Nella capitale francese nasce la primogenita, Giulia
Claudia, nel dicembre 1809, che nell'agosto dell'anno seguente
viene battezzata nella chiesa giansenista di Meulan con rito
cattolico, così come prevedeva il contratto matrimoniale (che
prevedeva che i figli nati dalla loro unione sarebbero stati
allevati nel culto della religione cattolica).
Il riserbo
mantenuto dallo scrittore ci impedisce di conoscere le tappe che
portano i coniugi Manzoni verso la religione cattolica.
Certamente Enrichetta si annoia durante le frequenti visite alla Maisonnette;
certamente la maternità la induce a riflettere sui suoi doveri
nei confronti della creaturina nata da lei e a lei affidata, non
solo per le cure legate alla sopravvivenza, ma anche per l'educazione
e la sua crescita morale: come rendere Giulia una buona cristiana
se lei stessa si sente confusa e incerta? Nasce così il bisogno
di conoscere più da vicino la fede cattolica a cui, per
contratto matrimoniale, come abbiamo detto, ha il dovere di
avviare la figlia; e Alessandro le è vicino. Così si affidano
all'abate giansenista Eustachio Dègola (1761-1826) le cui dotte
conversazioni la guidano progressivamente all'abiura del
calvinismo e all'adesione alla fede cattolica, il 22 maggio del
1810, nella chiesa di Saint Séverin, a Parigi. Già nel
settembre 1809 i due coniugi avevano fatto istanza al Pontefice
Pio VII affinché il loro matrimonio venisse nuovamente celebrato,
ma con rito cattolico, che avviene nel febbraio 1810.
A queste pacate riflessioni, in cui le domande di Enrichetta, testimoni di una sincera volontà di trovare il vero Dio, sono costantemente corroborate dalle sapienti risposte dell'abate (il cui rigore di giansenista ha una rispondenza profonda nell'austerità del calvinismo di Enrichetta), non è estraneo lo stesso Manzoni. Fino ad allora è stato indifferente alle questioni di fede, forse per un'intrinseca e giovanile polemica contro l'assillante educazione religiosa impartita nei collegi della sua infanzia e adolescenza. Ma ora il problema gli viene prospettato da una nuova angolatura: l'ansia della moglie di trovare un'autentica via di comunicazione con Dio poco a poco lo contagia. Risale a quel periodo la «conversione» anche del Manzoni che, a differenza di Enrichetta, non lascia una fede per abbracciarne, però un'altra, ma ritrova in sé quei valori che ha sempre trascurato.
Molti
amici e conoscenti chiederanno al Manzoni, lungo l'arco della sua
esistenza, quale sia stato il momento della "folgorazione",
l'attimo decisivo in cui ha deciso di recuperare la fede. Il
Manzoni non dà risposta, al massimo si lascia andare a frasi
sibilline: «È stata la grazia di Dio, mio caro, è stata la
grazia di Dio», confiderà molti anni più tardi a Stefano
Stampa, figlio della seconda moglie teresa Borri. Forse può
essere d'aiuto un episodio della sua vita, capitato il 2 aprile
1810, a Parigi. Con la moglie sta assistendo ai festeggiamenti
per il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d'Austria.
Separati dalla folla, i due si perdono di vista e Manzoni si
rifugia frastornato nella chiesa di san Rocco. Lo coglie il
panico e la disperazione, ma forse è proprio quello il momento
in cui, secondo le parole riportate dalla figlia Vittoria «quel
Dio che si rivelò a san Paolo sulla via di Damasco» ha avuto
pietà di lui. Infatti, appena esce dalla chiesa, ritrova
Enrichetta sana e salva.
Manzoni si riaccosta alla fede cattolica attraverso la mediazione
giansenista: questo fatto lascia un'impronta abbastanza forte
sulla sua visione dell'uomo, perché gli inocula quel pessimismo
che poi si estende alla concezione della storia, come ammasso
irrazionale di fatti, disciplinati solamente dalla Provvidenza di
Dio e guidati, in tal modo, a un fine buono. Inoltre l'influsso
giansenista rafforza il naturale rigore morale del Manzoni e
conferma l'austerità del comportamento.
Tornato a Milano con la famiglia, prosegue la propria "ricerca"
sotto la guida spirituale di monsignor Luigi Tosi, giansenista
come il Dègola, allora canonico della chiesa di Sant'Ambrogio e
poi vescovo di Pavia, che influisce in notevole misura non solo
sulla sua formazione religiosa, ma anche sui suoi programmi
letterari.
La famiglia Manzoni
Nell'inverno
del 1810 i Manzoni si stabiliscono definitivamente a Milano, ma
alternano la vita in città con frequenti soggiorni a Brusuglio:
sono gli anni più felici, vissuti all'insegna dell'accordo
perfetto.
Mentre
Alessandro si diverte a piantare platani, abeti, robinie,
cipressi, ortensie, rododendri, la Magnolia grandiflora, il cedro
del Libano, vitigni del Tirolo, di Bordeaux e della Borgogna,
nonché a sperimentare la piantagione del cotone, meditando fra sé
le idee che tradurrà poi nei versi delle sue opere, Enrichetta
genera figli, li allatta e li educa: nel 1813 nasce Pietro, nel
1815 Cristina, nel 1817 Sofia, nel 1819 Enrico. Nel 1821 viene
alla luce Clara, che muore prima ancora di compiere due anni, nel
1822 nasce Vittoria, nel 1826 Filippo, nel 1830 l'ultimogenita,
Matilde. Di questi soltanto Vittoria ed Enrico sopravviveranno al
padre.
Brusuglio,
con l'abitazione milanese di via del Morone e poi di piazza
Belgioioso, brulica di amici di Manzoni, che sono anche i più
significativi scrittori e intellettuali del tempo: Ermes Visconti,
Giovanni Berchet (1783-1851), Tommaso Grossi (1790-1853), Carlo
Porta (1775-1821), Massimo d'Azeglio (1798-1866), che diventerà
suo genero, e poi, più tardi, i fiorentini Gino Capponi (1792-1876)
e Giuseppe Giusti (1809-1850). Gli amici non sono sicuri di
conoscere Manzoni in ogni aspetto del suo carattere complesso:
qualcuno fra loro lo definisce «un enigma». Pure è capace di
farsi amare, per il suo atteggiamento pacato e mite, per il suo
rispetto profondo per il prossimo, per la conversazione un po'
incerta (talvolta balbetta) ma tanto garbata, da suscitare nell'interlocutore
una profonda simpatia. Così lo presenta Tommaso Grossi in una
lettera al toscano Giampiero Viesseux, nel 1826: «...un uomo che
dall'assenza d'ogni singolarità è reso... affatto singolare e
mirabile. Una statura comune, un volto allungato, vaiuolato,
oscuro, ma impresso di quella bontà che l'ingegno...rende più
sincera e profonda: una voce di modestia e quasi timidità, cui
lo stesso balbettare un poco, giunge come un vezzo alle parole,
che paiono essere più mature e più desiderate: un vestito
dimesso, un piglio semplice, un tuono famigliare, una mite
sapienza che irradia per riflessione tutto ciò che a lui s'avvicina».
Da Parigi
giunge in visita anche Claude Fauriel, al quale è
affezionatissima la piccola Giulia, mentre, in casa di amici
comuni, Alessandro conosce il filosofo Antonio Rosmini (1797-1855),
che sarà uno dei suoi più cari amici e influenzerà la sua
concezione religiosa e artistica. Nel settembre del 1819 i
Manzoni partono per Parigi, dove sono ospiti per più d'un mese
nella casa di Sophie de Condorcet, la Maisonnette: a
muoversi, come dice lo stesso capofamiglia, è un'«arca di Noè»
di undici persone: i genitori, cinque figli, nonna Giulia e tre
domestici.
Nella
capitale francese il Manzoni frequenta lo storico Augustin
Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor Cousin (1792-1867);
quest'ultimo tornerà con lui in Italia e sarà ospite a
Brusuglio e a Milano. Il viaggio a Parigi, che si protrae sino
all'agosto 1820, risulta proficuo per la maturazione delle idee
letterarie e l'enucleazione delle opere più significative del
poeta.
La maturità
Nel 1812,
sotto la guida spirituale di Monsignor Tosi, come abbiamo vista,
mette a punto il disegno di dodici Inni sacri che hanno per tema
le principali festività religiose dell'anno ecclesiastico; di
questi ne porta a termine solo cinque:
- La Risurrezione (aprile-giugno);
- Il nome di Maria (novembre 1812 - aprile 1813);
- Il Natale (luglio - settembre 1813);
- La Passione (marzo 1814 - ottobre 1815);
- La Pentecoste (incominciato nel giugno 1817, ripreso
nell'aprile 1819 e portato a termine tra settembre e ottobre 1822).
A questi
cinque Inni si aggiungeranno le Strofe per una prima comunione
composte a più riprese a partire dal 1832, che formeranno un
gruppo di poesie religiose approvate dall'autore.
Negli
stessi anni, di particolare rilievo sono le quattro odi civili:
- Aprile 1814, una delle opere indubbiamente meno felici,
sia poeticamente che politicamente;
- Il proclama di Rimini, che a seguito della sconfitta del
Murat a Tolentino rimane interrotta al 51° verso, ma è già
rappresentativo delle idealità patriottiche del poeta;
- Marzo 1821, che rappresenta la vera dichiarazione
politica e patriottica del Manzoni, con la sua aspirazione a un'Italia
unita e libera dallo straniero;
- Il cinque maggio, scritto in occasione della notizia
della morte di Napoleone Bonaparte.
Il 15
gennaio 1816 il Manzoni dà avvio alla composizione della prima
delle sue due tragedie, Il conte di Carmagnola, che
occuperà molto del suo lavoro, come testimoniano le lettere
scritte al Fauriel e la Prefazione alla tragedia stessa.
La salute
durante l'inverno subisce un improvviso peggioramento: lo coglie
di nuovo una malattia che lo aveva già assillato a Parigi, come
scrive da Milano il 25 marzo all'amico Fauriel a Parigi: è una
malattia di nervi che lo tormenterà fra alti e bassi per tutta
la vita, una sorta di depressione ipocondriaca che conosce
benissimo, contro la quale si sente impotente. Nel mese di marzo
1817 progetta un viaggio a Parigi, ma in maggio gli vengono
rifiutati i passaporti: dopo aver ottenuto una dichiarazione
indispensabile della delegazione di Polizia, Manzoni presenta una
attestazione del medico che confermava la necessità di un
viaggio, per motivi di salute, in un posto conosciuto dal Manzoni
e favorevole alla sua salute, come già era accaduto per il
passato: questi documenti comunque non si rivelarono sufficienti
per ottenere la concessione del passaporto, che il Governatore si
rifiutò di firmare, senza esporre le motivazioni per iscritto,
emanando una circolare alle delegationi di polizia
raccomandando loro di non concedere permessi di viaggio per
motivi di salute: in questo modo la speranza del viaggio e la
felicità di poter riabbracciare il Fauriel vengono miseramente a
cadere. Il Governatore in quel momento era Francesco di Saurau,
alto funzionario civile dell'esercito austriaco in Italia al
seguito del Bellegarde nel 1815, anno in cui ottiene il governo
della Lombardia che resse fino al 1817, quando fu chiamato alla
Cancelleria imperiale e gli subentrò il conte Giulio di
Strassoldo.
Ma ciò che non
fu possibile nel 1817 venne realizzato due anni dopo, come
leggiamo in una lettera allo stesso Fauriel:
Je suis bien souffrant de santé: ces maux de nerfs dont j'avais souffert à Paris dans les derniers mois que jy passai, et dont le voyage en Italie m'avait parfaitement guéri, m'ont repris depuis quelques mois. Ce sont des inquiétudes, des angoisses qui me causent un découragement singulier; toutes les fois que je ne peux pas avoir des secours prêts je crains des défaillances, et je me trouve dans un état d'agitation insupportable, de sorte que mon mal même me rend impraticable le seul remède efficace, les grandes promenades. Je vois fort bien que l'imagination a beaucoup de part dans mes craintes, mais cet ennemi-là il ne suffit pas de le connoitre pout l'avoir vaincu. Un voyage pourrait m'être utile; mais où aller? Rarement la société est une distraction, beauccup de personnes en vous recommandant d'oublier vos indispositions, vous y font songer dans le moment même où votre pensée se reposait sur quelque objet très éloigné: c'est une singulière consolation que de s'entendre dire dix fois par jour: soyez gai, il n'y a rien de tel pour votre maladie. Certainement le remède est excellent, mais le suggérer n'est pas l'administrer. Ils ne songent pas que soyez gai signifie: vous êtes triste et qu'il n'y a rien de moins gai que cette idée-là. J'espère quelques bons effets de l'agriculture dont les travaux vont recommencer avec le printemps: ah nous avons passé un bien triste hiver!
La mia salute è tutt'altro che buona. Quel mal di nervi di cui avevo sofferto a Parigi negli ultimi mesi che vi ho trascorso, e che il viaggio in Italia mi aveva guarito perfettamente, mi ha ripreso da qualche mese. Si tratta di inquietudini, di angosce che mi provocano un singolare scoraggiamento; ogni volta che non posso avere un pronto soccorso temo di svenire e mi trovo in uno stato insopportabile di agitazione, tanto che proprio il mio male mi impedisce di praticare il solo rimedio efficace, le lunghe passeggiate. Capisco molto bene che l'immaginazione ha molta parte nelle mie paure, ma non basta conoscere il nemico per vincerlo. Un viaggio potrebbe riuscirmi utile, ma dove andare? Di rado la società è una distrazione, molte persone raccomandandovi di dimenticare le vostre indisposizioni, vi ci fanno pensare nel momento stesso in cui il vostro pensiero si riposava su qualche cosa di molto lontano. È una singolare consolazione sentirsi dire dieci volte al giorno: siate allegro; non occorre altro per la vostra malattia. È certo un rimedio eccellente, ma il suggerirlo non è lo stesso che praticarlo. Essi non capiscono che dire: siate allegro, significa: voi siete triste, e che non c'è nulla di meno allegro di una tale idea. Spero qualche buon effetto dall'agricoltura, i cui lavori stanno per ricominciare con la primavera: ah, abbiam trascorso un inverno ben triste!
Si racconta che spesso una delle sue grandi passeggiate era quella di percorrere a piedi la strada che collegava Brusuglio a Milano, un miglio e mezzo, circa cinque chilometri tra andata e ritorno. Anzi, talvolta, come racconta lo stesso Manzoni in una lettera al Fauriel, per calmare una crisi di nervi abbastanza violenta e vincere timori angosciosi di non ben chiare origini, a questa "scarpinata" aggiunse una corsa di ben quattro ore.
Ciò che non
riuscì nel 1817 si realizzò due anni dopo. Alla fine di Luglio
del 1819, completata la stesura della tragedia Il conte di
Carmagnola, e affidato il manoscritto all'amico Ermes
Visconti perché ne curasse la stampa dopo averla sottoposta all'esame
della censura (verrà pubblicata nel gennaio dell'anno seguente),
la famiglia Manzoni partì per un viaggio durante il quale
sarebbero state percorse la Savoia, la Svizzera e l'Alsazia,
suggerito, come abbiamo visto, dalla necessità di distrazione di
cui il poeta aveva bisogno per la sua malattia di nervi; la
famiglia Manzoni giunse il 19 settembre, come apprendiamo da una
lettera di donna Giulia a Chambéry, presso l'amico Somis
Conte di Chavrie nel castello di Mongex, dove si trattenne fino
al 23, da dove ripartì per Parigi rinunciando al proseguimento
del progettato viaggio. A Parigi giunge il 1° ottobre e il
Fauriel, trattenuto a causa di motivi di salute a Meulan, scrive
a Manzoni di raggiungerlo alla Maisonnette dove si recano il 7
ottobre. Il 20 Novembre la famiglia Manzoni lascia la
Maisonnette e fa ritorno a Parigi, e trova alloggio in Fauburg St.
Germain in Rue Neuve de Seine al n. 66, in un appartamento che
era stato prenotato nei primi giorni di Ottobre
A Parigi
soggiorna fino al luglio 1820, quando riparte non senza aver
pensato di stabilirsi definitivamente in Francia dando perfino l'incarico
al Marchese Giulio Beccaria (che era stato intermediario della
vendita del Caleotto nel 1818) di sondare le possibilità di
vendere Brusuglio, senza tuttavia riuscire a trovare un
acquirente: in quell'anno la voce che Manzoni pensasse di
stabilirsi a Parigi era diffusa nell'ambiente nobiliare di Milano.
Al ritorno
a Milano comincia un'intensa stagione creativa, che parte con la
tragedia Adelchi, passa attraverso l'Inno sacro La Pentecoste e
le due Odici civili maggiori del '21 e si concluderà nel
1827 con la prima edizione dei Promessi Sposi.
L'uomo Manzoni
Abbiamo
a lungo parlato del Manzoni scrittore e intellettuale, ma come si
presenta nella vita familiare e in veste di padre? Chi si
aspettasse da lui l'atteggiamento calmo, rasserenante e sicuro
del patriarca resterebbe deluso. Alessandro rivela tutte le
caratteristiche del nevrotico. Lo studioso Pietro Citati elenca
in dettaglio tutte le sue fobie: a tavola viene preso dalle
vertigini, a passeggio teme che le case gli crollino addosso o
che una voragine lo inghiottisca. Non sopporta la folla, la terra
bagnata e il cinguettio dei passeri. Se si avvicina un temporale
si sente venir meno le forze: «Vittima di questi traumi,
trascorreva giorni e settimane senza far nulla...Con la mente
atona e vuota e lo sguardo perduto, spesso dovette temere di
precipitare anche lui nel baratro della dissociazione nervosa».
Con il
passare degli anni Alessandro Manzoni impara a difendersi da
queste assurde paure, mettendo in atto una complicata strategia
che gli consente di convivere con la sua nevrosi: conduce una
vita meticolosa, cammina venticinque minuti prima del pranzo,
pesa i suoi vestiti secondo la temperatura, va a letto sempre
alla medesima ora e mangia sempre gli stessi cibi, prende a
colazione il cioccolatte macinato in casa... Se l'angoscia lo
assale, esce di casa e cammina per ore e ore lungo le strade o
per la campagna: percorre anche trenta o quaranta chilometri al
giorno, come se fosse inseguito, fino a tornare a casa spossato,
ma calmo.
Il
giorno di Natale 1833 muore Enrichetta Blondel: è il primo di
una lunga serie di lutti che si abbattono su Alessandro Manzoni.
Scrive Pietro Citati: «Pochi anni dopo la conclusione dei Promessi
Sposi, la linea della sua vita cominciò a discendere: il
breve fervore creativo si spense, e a meno di quarantacinque anni
Manzoni diventò il puntiglioso revisore, l'interminabile editore
di sé stesso». L'anno dopo si spegne la primogenita Giulietta,
da poco andata sposa a Massimo D'Azeglio: ha solo venticinque
anni. Turbato da questi lutti il Manzoni inizia l'inno Il
Natale 1833, che rimane incompiuto.
Nel 1837
sposa Teresa Borri, vedova di Decio Stampa e madre di un ragazzo
timido, Stefano Stampa, che saprà intessere con il grande
patrigno un rapporto di stima, affetto, venerazione. Devozione è
il termine che si addice maggiormente al comportamento di Teresa,
che dedica la vita alla protezione della salute, creatività,
fama del marito: gli amici la paragonano scherzosamente a una
vestale, che custodisce qualcosa di sacro con vigile solerzia e
passione, nonostante anche lei lamenti sempre qualche acciacco,
reale o immaginario.
Nel maggio
del 1841, appena venticinquenne, muore la figlia Cristina, che
aveva sposato Cristoforo Baroggi, e due mesi dopo da Giulia
Beccaria. Nel marzo del 1845 è la volta di Sofia, di ventisette
anni, sposata a Lodovico Trotti. Lo stesso anno Vittoria sposa
Giovanbattista Giorgini, uomo politico di principi liberali e
moderati, di cui si ricordano studi giuridici e storici. Vittoria
si trasferisce a Pisa, dove, due anni dopo, la segue Matilde,
malaticcia: quest'ultima morirà nel marzo 1856.
Ai lutti si
aggiungono problemi economici: l'incendio del 1848 a Brusuglio, i
cattivi raccolti, i debiti dei figli maschi intaccano un
patrimonio oculatamente amministrato che ha consentito, fino ad
allora, di vivere in agiatezza. Dei tre figli maschi, Filippo è
già in prigione per debiti a ventisei anni, mentre Enrico
dilapida il patrimonio della ricchissima moglie, con iniziative e
speculazioni sbagliate. Un momento "eroico" della vita
di Filippo è quando combatte contro gli austriaci il 18 marzo
1848, durante le cinque giornate di Milano. Viene preso
prigioniero e trasferito a Vienna. Filippo morirà nel 1868, in
miseria, lasciando quattro figli.
L'incontro con Antonio Rosmini
L'insurrezione
di Milano non sortisce l'effetto sperato e nell'agosto del 1848
gli Austriaci ritornano in città. Il Manzoni ripara a Lesa, sul
lago Maggiore, dove Stefano Stampa lo ospita insieme con sua
madre Teresa , per due anni, nella bella villa degli Stampa.
Durante questo soggiorno si lega d'amicizia con il filosofo
Antonio Rosmini (1797-1855), che già nel 1826¶ gli ha
presentato Niccolò Tommaseo. Rosmini risiede nella vicina Stresa,
una bella cittadina sulle rive del lago Maggiore. Frutto di
questa amicizia è il dialogo Dell'invenzione (1850), in
cui Manzoni sostiene che l'opera letteraria non deve lasciare
spazio all'invenzione fantastica, ma deve farsi portavoce del vero,
soprattutto del vero storico. È indubbio che, sotto un
certo aspetto, viene sconfessata l'ispirazione da cui hanno preso
le mosse i Promessi Sposi. Il Rosmini suggerisce anche i
temi che sono enucleati nel trattato Del piacere (1851).
Segue un
decennio di riflessioni storiche e ricerche linguistiche, le
quali convergono nel saggio Sulla rivoluzione francese del
1789 e la rivoluzione del 1859, composto nel 1860 (ma
pubblicato postumo nel 1889).
Nel 1860
Manzoni accetta la nomina a senatore del Regno d'Italia. A Torino
partecipa alla seduta del Senato che conferisce a Vittorio
Emanuele II il titolo di re d'Italia, il 26 febbraio 1861. Il
disegno di legge passa alla Camera il 14 marzo e ne è relatore
il genero dello scrittore, Giovan Battista Giorgini.
Nell'agosto
del 1861 muore anche la seconda moglie, Teresa Borri, mentre nel
1856 è scomparso Claude Fauriel e, l'anno prima, nel 1855, il
Manzoni ha perso il conforto del grande amico Rosmini. Qual è l'influsso
del filosofo nel pensiero del Manzoni? Egli ha definito, aderendo
al pensiero dell'abate, il concetto di creatività come
scintilla divina che si esprime attraverso il genio dell'uomo.
Con il suo aiuto, inoltre, ha approfondito i concetti della
morale cattolica, eliminando ogni traccia dell'antico giansenismo.
La fine
Alessandro Manzoni resta lucidissimo sino alla fine della sua vita. Muore alle sei di sera del 22 maggio 1873, dopo penosa agonia, quasi un mese dopo la morte del figlio Pietro. La sua decadenza è cominciata nel gennaio precedente, quando, uscendo dalla chiesa di San Fedele, a Milano, cade battendo la testa. I suoi funerali sono un momento solenne a cui partecipa tutta Milano. Il corteo funebre, attraverso corso Vittorio Emanuele, giunge sino al Cimitero Monumentale e, l'anno dopo, nel primo anniversario della morte, Giuseppe Verdi gli dedica la sua Messa di Requiem, che personalmente dirige la mattina nella chiesa di San Marco e la sera nel teatro alla Scala.
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