MONGOLI  

I Mongoli sono un gruppo di popolazioni nomadi dell’Asia centrale, di lingua uralo-altaica e religione lamaista, sparse in una vasta area che va dalla regione del lago Bajkal sino alla Manciuria (verso nord-est) e al Tibet (nord-ovest). Vivono in tende coniche e hanno alla base della loro organizzazione sociale la famiglia e la tribù. Nelle abitudini di vita e nella cultura hanno subito profondamente l’influenza cinese. I Mongoli hanno dato il nome a uno dei principali raggruppamenti delle razze umane (mongoloide).

Anche quando si dedicavano a qualche tipo di coltivazione, i mongoli erano principalmente nomadi. Il trasferimento del bestiame e degli accampamenti era determinato dal cambio dei pascoli durante l’anno. Gli animali erano di proprietà individuale, mentre i campi erano dominio collettivo della tribù.
I clan più potenti tendevano a controllare le attività della tribù. Le famiglie più deboli conservavano l’autorità e il possesso dei propri animali, ma dovevano pagare un tributo al clan dominante e si spostavano, accampavano, pascolavano il bestiame e guerreggiavano sotto i suoi ordini.
L’organizzazione politica e militare era adattata alla composizione del clan e della tribù. Un uomo in grado di maneggiare un’erma era capo o soldato, secondo le necessità del momento. La cattura di bestiame, donne e prigionieri di altre tribù era un metodo comune di arricchimento.

Più volte nella Storia i Mongoli intrapresero grandiose migrazioni spingendosi fino all’Europa, come accadde nel V sec. con l’invasione degli Avari e degli Unni e nel XIII sec. con le conquiste di Gengis Khan. Nello spazio di pochi decenni dopo il 1206 i Mongoli occuparono infatti la Cina settentrionale (1215), gli Stati dell’Asia anteriore, la Russia meridionale e parte della Polonia.
Quando una tribù era molto potente, come quella di Gengis Khan nel XIII secolo, si organizzava in maniera decimale, in gruppi di 10, 100, 1.000 e 10.000 soldati. Ai capi delle grandi unità veniva assegnato un territorio all’interno del quale riscuotevano tributi e reclutavano guerrieri per il capo supremo.
La storia dei mongoli oscilla tra periodi di concentrazione e di dispersione tribale. Gli hsiung-nu o unni furono i primi abitanti delle valli del Selenga, che uniscono la Siberia al cuore dell’Asia. Si calcola che giunsero nella regione almeno quattro secoli prima di Cristo.
 
Il nome mongolo apparve per la prima volta in un registro delle diverse tribù redatto durante la dinastia cinese T’ang e poi scomparve fino all’XI secolo, quando i kidan cominciarono a regnare in Manciuria e nel nord della Cina, controllando così quasi tutto il territorio dell’attuale Mongolia.
I kidan stabilirono la dinastia cinese di Liao (907-1125) e governarono la Mongolia mantenendo le tribù divise tra loro. I registri storici parlano dell’esistenza in questo periodo di una nazione che comprendeva tutti i mongoli, tuttavia essa non comprendeva la totalità dei popoli che parlavano quella lingua.
I successori dei kidan furono gli yuchen prima e i tartari poi, prima dell’era di Gengis Khan. Nato nel 1162, all’interno di un clan tradizionalmente potente, nipote di Qabul (Kublai Khan), capo maggiore dei mongoli fino a quel momento, Temujin ereditò vari feudi che erano stati tolti alla sua famiglia.
Nel 1206, grazie alle sue capacità politiche e militari, Temujin fu riconosciuto capo di tutti i mongoli con il titolo di Gengis Khan. Da allora in poi, i suoi eserciti invasero il nord della Cina e giunsero a Pechino. Nel 1215, l’impero mongolo si estendeva fino al Tibet e al Turkestan.
Nel 1227, alla morte di Gengis Khan, l’impero mongolo si disintegrò a causa delle dispute tra i suoi successori, fino a quando il trono cinese cadde nelle mani della dinastia Ming, nel 1368. La Cina invase la Mongolia e incendiò Karakorum, la precedente capitale imperiale, ma non riuscì a controllare il territorio.

Uno dei successori di Gengis, il Khan Hulagu, diede inizio, in Persia, a una dinastia mongolica che si islamizzò e conobbe periodi di grande splendore, mentre il fratello Qubilay portava a termine la conquista della Cina; i Mongoli stanziati nella Russia meridionale furono invece assorbiti nel granducato di Mosca. Nel XIV sec. Tamerlano riuscì a riunificare una parte dei territori già appartenenti all’impero di Gengis, fondando il nuovo impero dei Timuridi, che ebbe come centro Samarcanda. Un nipote di Tamerlano, Babur, fondò invece in India la dinastia dei Moghul.

Nei secoli XV e XVI, la possibilità di mantenere il controllo al di fuori della Grande Muraglia Cinese richiedeva la mobilità militare dei nomadi e, talvolta, l’occupazione di città che servivano ad attirare il commercio e per l’approvvigionamento dei prodotti alimentari coltivati dai contadini mongoli.
Dal lontano ovest della Mongolia, gli oyrat cominciarono a dominare il territorio. Conquistarono alcune oasi in Sinkian e nella regione del Tibet, dove l’impero cinese era più debole, e apportarono all’organizzazione tribale dei mongoli la propria esperienza mercantile e amministrativa.
In questa tappa ebbe inizio la separazione tra gli oyrat e i khalkha, il cui corpo principale avrebbe in seguito formato la Mongolia Esterna. I khalkha nel nord e i sajari nel sud mantennero una lega tribale, mentre la successione passò agli ordo, sotto il regno di Altan Khan (1543-83).
Per conservare il potere, i principi mongoli compresero il vantaggio di poter contare su un’ideologia religiosa, tuttavia, siccome l’uso del cinese nascondeva il pericolo che l’impero cinese li assorbisse, adottarono il sistema buddhista tibetano, con il quale non esisteva alcun rischio e la cui scrittura era più accessibile.
Allora Altan Khan invitò un religioso del Tibet, che i mongoli chiamarono Dalai Lama. L’unificazione degli interessi religiosi con lo stato venne realizzata attraverso la nomina di un erede dei clan dei khalkha come prima reincarnazione del Buddha Vivente di Urga.
Nel 1664, dopo aver consolidato il proprio potere sulla Manciuria, i Manciù conquistarono il trono cinese, alleati con tribù mongole del lontano est. Prima di occupare Pechino, i Manciù avevano il controllo della regione sud della Mongolia, che da allora fu conosciuta come Mongolia Interna.
La conquista della Mongolia Esterna richiese alla Cina quasi un secolo. Per questo motivo, le due regioni ebbero uno sviluppo diverso: quella Interna s’integrò con la Cina e l’interesse dei khalkha nella conservazione del proprio potere nel sud fece fallire il tentativo degli oyrat di riunificare la Mongolia.
Questo fu il periodo conclusivo delle grandi guerre tra i mongoli e culminò in una dispersione generale. Molti gruppi khalkha rimasero nel sud, alcuni chahari si stabilirono a Sinkiang, gli oyrat si dispersero in varie direzioni, compresi i territori della Russia zarista.

ORGANIZZAZIONE SOCIALE

Le classi dei servi e dei nobili rimasero abbastanza stabili, mentre quella degli uomini liberi (nokud e arat) subì con Gengis Khan una profonda trasformazione, diventando sempre più asservita all'aristocrazia.
Tale cambiamento, si era già delineato nel XI secolo, quando i principi mongoli presero l'abitudine di cedere ai propri vassalli (nokes amici) insieme alle terre da pascolo, anche le famiglie contadine che le rendevano produttive.
Gengis Khan, proibendo agli (arat) sotto pena di morte, di trasferirsi da un noyan all'altro, abolì praticamente la classe dei liberi e consegnò agli aristocratici le leve del potere economico.
In tal modo i nobili, un tempo custodi della ricchezza pubblica (gli armenti erano di proprietà comune di tutto il clan tribale), divennero dei grandi proprietari terrieri, dominatori assoluti d'una economia primitiva, in cui il bestiame era l'unica vera fonte di reddito, e servì per lungo tempo da moneta legale.

L'economia mongola, grazie agli intensi traffici dei mercanti cinesi e musulmani, si sviluppò verso forme più evolute, si giunse all'adozione come mezzo di scambio, di carta moneta, garantita nel suo valore reale dal tesoro del Gran khan.
La carta impiegata era prodotta, trattando gli strati più interni della corteccia del gelso, le banconote erano nere e portavano come prova della loro autenticità, il sigillo dell'imperatore.
Se una banconota si rovinava, il possessore poteva cambiarla presso la zecca imperiale, pagando per il servizio il tre per cento del suo valore nominale.
Alberghi, mercati, posti di frontiera e strade erano sottoposti ad un particolare controllo, onde evitare l'infiltrazione di elementi sovversivi capaci di turbare la pace e l'ordine pubblico.

RELIGIONE

Non sembra che Gengis Khan fosse particolarmente religioso, non attribuì mai le proprie vittorie ad elementi soprannaturali. Diceva di se: " Come vi è un unico sole nel firmamento, e un'unica potenza nel cielo, così io solo devo regnare sulla terra".
Dio poteva esistere ma non doveva interferire nei suoi piani di conquista.
I sudditi, invece oltre a venerare le forze celesti, tributavano un culto speciale ai propri defunti, ai quattro elementi naturali, aria, terra, acqua, fuoco, al sole e alla luna. Un saluto rituale e caratteristico imponeva il saluto ai punti cardinali.
Custodi e sacerdoti di questo naturalismo religioso erano i "Beki" o come oggi si definirebbero (sciamani), questi aiutati da narcotici e dal ritmo dei tamburi, durante le cerimonie sacre cadevano in "trance", e in questo stato comunicavano ai presenti le sensazioni provate prima di perdere completamente i sensi.

La religione professata dai mongoli prevedeva riti e forme di culto curiosi e superstiziosi: il sacro rispetto per l'acqua era tale da vietarne praticamente l'uso, salvo soddisfare la sete.
L'unico mezzo consentito ed usato per fare il bagno, era quello di raccogliere l'acqua con la bocca e quindi spruzzarsela addosso.
Nella casa di ogni principe, un focolare sacro era custodito in continuazione da un apposito funzionario, in segno di rispetto al fuoco, era proibito vibrare colpi di scure vicino alla fiamma, spingervi dentro il combustibile con i piedi, mescolare la cenere con l'immondizia.
La religiosità delle tribù mongole, si completava con il culto dei morti, considerati come (dèi) domestici, protettori di ciascuna famiglia.

Sulle tombe si pregava, e si offrivano numerose offerte: pupazzi in feltro rivestiti di stoffe preziose, raffiguranti defunti segnalatisi in vita per la loro bontà o per la loro malvagità, ad essi offrivano cibo per ricevere in cambio, protezione o quanto meno non avere nessun danno.
Quando avviene un decesso, lo piangono urlando con veemenza, e non pagano più tasse per un anno, se qualcuno assiste alla morte di un adulto, per un anno non potrà entrare nella dimora del sovrano. Se il morto è un fanciullo, non potrà entrarvi sino alla fine della lunazione.
Quando un grande è malato, si mettono guardiani tutt'intorno alla sua dimora, i quali non consentono a nessuno di passare oltre. Temono, infatti, che un cattivo spirito o il vento maligno, penetri con i visitatori.

IL MONDO DEI SOGNI

La morte per i mongoli, era come un viaggio, l'ultimo della loro vita di eterni viandanti, e come annota Giovanni da Pian del Carpine, anche per questa partenza preparavano tutto con scrupolo e precisione:
Dinanzi al morto si dispone la mensa con un vaso di carne e una coppa di latte di giumenta, con lui vengono sepolte una giumenta con un puledro, e un cavallo bardato con la sella e il freno, mentre un altro è macellato e mangiato.
Riempiono un cesto con strame e lo pongono in alto, perché il defunto abbia nell'altro mondo una casa dove abitare e una giumenta che gli fornisca del latte e metta al mondo altri cavalli, sui quali poter cavalcare.
Con il morto seppelliscono anche oro e argento, ed il carro sul quale egli é condotto è infranto, e nessuno osi più pronunciare il suo nome fino alla terza generazione.
La tomba è poi ricoperta con zolle, così che non sia più possibile ritrovarne la posizione.
 

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