TESTI SACRI

 

 

 

INTRODUZIONE

 

 

TESTI  della  RIVELAZIONE

SAMHITA - VEDA

SRAHMANA

ARANYAKA

UPANISHAD

 

 

TESTI  della  TRADIZIONE

BRAHMANA

SUTRA

DHARMASHASTRA

TANTRA

LETTERATURA EPICA  e MITOLOGICA

 


 

INTRODUZIONE

I testi dell'Induismo formano un complesso eccezionalmente ampio e importante, anche se, secondo la tradizione, si è conservata solo una minima parte di tutto il materiale originario. Queste scritture ci sono state trasmesse come suddivise in scuole, chiamate tradizionalmente "rami", inizialmente quattro di numero in corrispondenza con la quadruplice funzione degli officianti incaricati delle cerimonie, e poi scisse in "rami" ulteriori in relazione agli insegnamenti particolari attraverso i quali si sono avuti lo sviluppo progressivo della pratica religiosa e la sua diffusione in tutta l'India. 

Un fatto certo è che non ci sono giunte né tutte le scuole primitive, né tutti i rami secondari (così come neppure la totalità o l'integrità dei testi di uno stesso ramo), che sicuramente dovevano essere molti.

 


 

SAMHITA - VEDA

I testi più importanti, e quindi più antichi, sono le quattro "raccolte" (Samhita) che costituiscono ciò che vengono chiamati i quattro Veda. La parola veda, che significa "sapere", si usa anche, in un senso più esteso, per indicare tutta o parte della letteratura successiva, fondata sull'uno o sull'altro delle quattro Samhita. 

Queste sono:

il più antico documento della letteratura indiana. È una raccolta di 1.028 inni alle divinità, una specie di antologia ottenuta raccogliendo frammenti vari conservati dalle vecchie famiglie sacerdotali. La maggior parte di questi inni si riferiscono, più o meno direttamente, al sacrificio del soma, anche se alcuni hanno un legame molto vago o del tutto assente con il culto.

ci è pervenuto in diverse recensioni: lo Yajur Veda Nero, composto dalle "formule" che accompagnano la liturgia e da elementi di un commentario in prosa, e lo Yajur Veda Bianco che comprende le sole formule.

è una raccolta di versi come il Rig Veda, da cui del resto proviene la maggior parte dei canti, arrangiati qui in vista dell'esecuzione del canto sacro e chiosati da annotazioni musicali.

una raccolta analoga a quella del Rig Veda, ma di carattere in parte magico e in parte speculativo. La tradizione spesso parla dei "tre Veda" o della "triplice scienza", dato che implicitamente considera l'Atharva come estranea all'alta dignità propria dei "tre Veda".

 

Esistono dunque quattro Veda: Rg, Yajur, Sama e Atharva. I primi tre concordano non soltanto nel nome, nella forma e nella lingua, ma anche nel contenuto. Di tutti, il più importante è il Rg-Veda. I canti ispirati che gli Ariani portarono con s‚ dalla loro patria originaria in India, come il bene più prezioso, si ritiene siano stati raccolti in risposta all'esigenza di preservarne l'integralità quando, nel loro nuovo paese, essi vennero in contatto con un gran numero di adoratori di altri dèi. Il Rg-Veda è appunto questa raccolta. 

Il Sama-Veda è una raccolta puramente liturgica. La maggior parte di essa si trova già nel Rg-Veda e anche quegli inni che gli sono peculiari non contengono una loro propria lezione indipendente: essi sono stati adattati per essere cantati durante i sacrifici. Anche lo Yajur-Veda, come il Sama-Veda, assolve ad una funzione liturgica. Questa raccolta fu fatta per rispondere alle necessità di una religione cerimoniale. 

Il Whitney scrive: "Nei primi tempi vedici il sacrificio era ancora, in genere, un libero atto di devozione, non affidato alle cure di un corpo privilegiato di sacerdoti n‚ regolato nei piccoli dettagli, ma lasciato al libero impulso di chi lo offriva, accompagnato da inni e canti del Rg e del Sama-Veda, in modo che la bocca dell'offerente non tacesse mentre le sue mani presentavano alla divinità il dono che il suo cuore dettava... Tuttavia, poichè‚ col passar del tempo il rituale andava assumendo un carattere sempre più formale divenendo alla fine una serie strettamente e minuziosamente regolare di singoli atti, non soltanto vennero stabiliti i versi che dovevano essere citati durante la cerimonia, ma vi si introdusse anche un corpo di espressioni, di formule verbali intese ad accompagnare ogni singolo atto dell'intera funzione per spiegarla, giustificarla, benedirla, darle un significato simbolico... Queste formule sacrificali ricevettero il nome di Yajus, dalla radice yaj sacrificare... Lo Yajur-Veda è composto da queste formule parte in prosa e parte in versi, sistemate nell'ordine in cui ci si doveva servire di esse durante il sacrificio". 

Le raccolte del Sama-Veda e dello Yajur-Veda devono essere state compilate nell'intervallo di tempo tra la composizione del Rg-Veda e il periodo brahmanico, epoca in cui la religione ritualistica era ormai ben affermata. Per lungo tempo, l'Atharva-Veda non godette del prestigio di un vero Veda, sebbene per i nostri scopi sia secondo per importanza solo al Rg-Veda poich‚, come quest'ultimo, è una raccolta storica di contenuti indipendenti. Uno spirito diverso pervade questo Veda, che è il prodotto di una più tarda età di pensiero, e mostra il risultato dello spirito di compromesso adottato dagli Ariani vedici di fronte ai nuovi dŠi e spiriti di natura adorati dai popoli originari del paese che essi stavano lentamente sottomettendo.

Ciascun Veda consiste di tre parti denominate Mantra, Brahmana e Upanisad. La raccolta dei Mantra, o inni, è chiamata Samhita. I Brahmana contengono i precetti e i doveri religiosi. Le Upanisad e gli Aranyaka, che discutono problemi filosofici, sono le parti conclusive dei Brahmana. Le Upanisad contengono la base spirituale di tutto il successivo pensiero del Paese. Delle prime Upanisad, l'Aitareya e la Kausitaki appartengono al Rg-Veda, la Kena e la Chandogya al Sama-Veda, la Isa, la Taittiriya e la Brhadaranyaka allo Yajur-Veda, e la Prasna e la Mundaka all'Atharva-Veda. 

Gli Aranyaka si collocano tra i Brahmana e le Upanisad e, come suggerisce il loro nome, costituiscono oggetto di meditazione per coloro che vivono nelle foreste. I Brahmana trattano il rituale che deve essere osservato dal capo famiglia, ma quando questi nella sua vecchiaia si ritira nella foresta è necessario qualcosa che sostituisca il rituale, e a ciò provvedono gli Aranyaka. Gli aspetti simbolici e spirituali del culto sacrificale sono oggetto di meditazione, e questa meditazione prende il posto dell'esecuzione del sacrificio. Gli Aranyaka rappresentano l'anello di congiunzione tra il rituale dei Brahmana e la filosofia delle Upanisad. Mentre gli inni sono la creazione dei poeti, i Brahmana sono l'opera dei sacerdoti, e le Upanisad le meditazioni dei filosofi. 

La religione naturalistica degli inni, la religione ritualistica dei Brahmana e la religione spirituale delle Upanisad corrispondono molto da vicino alle tre grandi divisioni dello sviluppo religioso secondo la concezione hegeliana. Sebbene in un'epoca posteriore queste tre divisioni siano coesistite, non c'è dubbio che originariamente si svilupparono nel corso di epoche successive. Le Upanisad, se in un certo senso rappresentano la continuazione del culto vedico, in un altro senso costituiscono una risposta alla religione dei Brahmana.

 


 

SRAHMANA

I Srahmana , commenti liturgici in prosa, talvolta assai vasti, raccolti in manuali speciali. Essi si ricollegano alle diverse Samhíta e si suddividono secondo le scuole.

Composti sicuramente nel territorio compreso fra i fiumì  Gange e Yamuna essi riflettono la nuova condizione sociale nella quale i sacerdoti (brahmani/bramini), unici autorizzati a celebrare le cerimonie consolidano il proprio potere. Essi assurgono a un grado sovrumano e l'evento principale della vita religiosa: il benessere dell'uomo e la stessa esistenza del mondo dipendono dalla esecuzione precisa delle complesse cerimonie e dalla corretta recitazione delle formule prescritte. Oltre alle indicazioni per lo svolgimento dei riti, vi si trovano spiegazioni delle loro origini e cause, interpretazioni mitologiche o leggendarie delle cerimonie. La composizione dei Brahmana è di solito collocata all'inizio del 1° millennio a.C.

 


 

ARANYAKA

Gli Aranyaka sono i libri «della foresta». Dettati dalla divinità agli asceti nelle selve, essi dovevano essere recitati lontano dai centri abitati. Racchiudono delle spiegazioni sui simboli del sacrificio e anticipano alcuni dei motivi che verranno sviluppati dalle Upanishad. 

Risalgono alla stessa epoca dei precedenti.

 


 

UPANISHAD

Le Upanisad sono trattati di estensione variabile, appartenenti ad epoche diverse, in prosa e in versi, alcune miste, dedite a indirizzare l'aspirante alla verità trascendente il piano di realtà del grossolano attraverso la contemplazione o la stimolazione della buddhi (ragion pura) attraverso l'ascolto delle verità supreme che vertono quali siano l'origine e il destino dell'uomo, quale ragione regga le varie vicende dell'esistenza, quale sia il fondamento ultimo dell'universo e della vita.

Le Upanishad costituiscono la parte conclusiva dei Veda. In origine diverse migliaia, ne rimangono più di 200, benché‚ per tradizione, quelle più considerate  siano 108. La loro datazione è incerta: le più antiche dovrebbero risalire all'VIII e al VII secolo a.C., antecedenti all'era buddista; le più recenti al V o al IV secolo a.C. 

Ma le Upanisad veramente importanti e tipiche sono poco più d'una dozzina, sono denominate Upanisad antiche e medie oppure vediche, appartengono alle varie scuole che si rifanno alle Samhita vediche e quindi fanno parte della rivelazione, e risalgono a un periodo compreso, con tutta probabilità, tra il 700 e il 300 a. C.

Le Upanishad sono state composte da autori ispirati, ed appartengono alla letteratura rilevata o sruti (lett.: "ciò che è stato udito" ) al pari dei Veda, esse hanno un carattere religioso - culturale; tuttavia, a differenza di quelli, presentano tratti altamente speculativi. In effetti, tutta la filosofia indiana non è altro che una glossa e un commento alle Upanishad. 

Il termine, nell'interpretazione che per lungo tempo ha goduto maggior fortuna e che s'attiene al significato più evidente (upa-nisad = sedersi vicino) sembra alludere al carattere esoterico dell'insegnamento, trasmesso dal maestro al discepolo che, avendone le qualificazioni, gli sedeva  vicino.

Chi consideri tuttavia la dottrina monistico-idealistica in cui sembra culminare il pensiero upanishadico, chi osservi il rivolgimento portato nella concezione della vita dal dogma del ciclo delle esistenze, che proprio nelle Upanisad s'afferma per non più abbandonare il suolo dell'India, chi valuti nella giusta misura la difficoltà di staccarsi dalla concezione mitica dell'universo e dal dominio più o meno esclusivo del rito e della magia per guardare con occhio spassionatamente limpido ai fatti della vita e della morte, dovrà riconoscere che nelle Upanisad, al di là degli innegabili apriorismi e delle sopravvivenze del passato, lo spirito umano ha lasciato una documentazione notevolissima d'un travaglio spirituale che cerca, propone e ancor dubita delle soluzioni proposte, che accetta e combina spregiudicatamente elementi e nozioni di varia origine, che per rappresentare la complessità dell'inconoscibile non esita ad ammettere contraddizioni e contrasti. E la validità non già delle risposte date, ma dell'atteggiamento assunto, è dimostrata dal fatto che la storia del pensiero indiano è incomprensibile ove si trascuri il periodo delle Upanisad antiche e medie.

Esaminando le tematiche delle Upanishad più importanti, ne emergerà la continuità di fondo, benché‚ non una visione unitaria o omogenea. 

Nella Brihadaranyaka Upanishad è formulata una cosmologia primitiva. All'inizio c'era soltanto il nulla, il non - essere, dal quale si produsse l'universo. In ogni uomo alberga una scintilla del Brahman, l'energia cosmica: si tratta dell'atman, il principio dell'individualità o il sè personale ( di solito, erroneamente tradotto con "anima"; per quanto concerne la possibilità di definire "personale" l'atman). Viene postulata una corrispondenza intima tra il micro e il macrocosmo, sulla base di vari spunti vedici. Ogni creatura riceve qualcosa dal Brahman: l'incarnazione più completa di quest'energia è il brahmano, il sacerdote. In questa Upanishad si torna sulla questione delle caste. Tuttavia, nonostante l'evidente enfasi sulla casta brahmanica, nella Upanishad è un guerriero a istruire un sacerdote. Evidentemente alla classe dei Brahmani non era ancora stato assegnato il ruolo di primo piano che avrebbe avuto in seguito. Si dichiara che del Brahman non si può parlare. Nessuna determinazione verbale riuscirebbe a renderne la natura: "non così, non così" (neti neti): è l'unica espressione applicabile all'energia cosmica. Viene poi indicata l'identità tra il Brahman e l'atman, tra l'energia impersonale e l'identità personale (4, 4, 5)." tutto il mondo non è altro che l'atman. "L'atman è indistruttibile ed eterno. Questa cosmologia ha importanti risvolti etici. L'uomo dovrà prendere coscienza della propria identità autentica, per capire che il suo atman, la propria natura intima, contiene un principio universale. Egli rifuggirà dalle passioni, votandosi all'ascetismo. Ad un certo punto della propria evoluzione, infine, si lascerà dietro qualsiasi massima o norma etica: sarà libero sia dal male che dal bene. In questo stato d'animo non traccerà più alcuna distinzione tra sè e gli altri, rendendosi conto della perfetta identità tra il Brahman e l'atman. E non potrà più temere nulla: la sua vita sarà immortale, ormai, come quella del cosmo. 

Anche nella Chandogya Upanishad, un membro della casta guerriera , cioè un principe, si rivedrà più perspicace dei suoi interlocutori brahmani. Il protagonista della Upanishad è il brahmano Uddalaka Aruni. Anche qui viene postulata una perfetta corrispondenza tra il micro e il macrocosmo: uno stesso fenomeno, il respiro pervade ogni ambito dell'universo, e continua a sussistere in ogni istante, persino nel sonno profondo. Con alcune varianti, ci si riallaccia alla cosmologia della Briahadaranyaka Upanishad: dal non - essere deriva l'essere; in questo caso, si passa poi alla produzione di un uovo cosmico, le cui metà compongono l'universo. Tuttavia, in altre sezioni della Upanishad questa dottrina viennegata: "com'è possibile che dal non - essere sia sorto l'essere?". Ciò attesta la presenza di alcune incrostazioni, quindi l'apporto di vari autori alla redazione dell'opera. Sul piano etico, si ammette la rinascita. In base alle azioni compiute, si tornerà in altre spoglie sulla terra: nelle tre caste ariane, nei casi di buona condotta; come animali spregevoli o come intoccabili ( " fuori casta " o candala, nei casi di malvagità (5, 10, 7). 

Al punto culminante della Upanishad, Uddalaka si rivolge al figlio, ammonendolo: " Quello sei tu, Cvetaketu ". " Quello " è l'atman, il principio individuale che corrisponde al Brahman, e si cela in ogni entità. In questo modo, il figlio apprende la propria perfezione. E` l'atman che permette ad un seme di produrre un grande albero. Esso è un'essenza sottile, una forza invisibile che consente ad ogni essere di realizzare la propria natura. E` il respiro vitale, che infonde energia alle creature. in ultima analisi, è il Brahman: il mio Sè è il Sè del cosmo. Bisogna cercare dentro di sè la propria matrice, una scintilla energetica che ospitiamo in un piccolo spazio vuoto del cuore. Se vi si riesce, aiutandosi con la meditazione, i sacrifici e lo studio dei Veda, non ci si ammalerà più, nè si soffrirà o si morirà. Si entrerà nel mondo del Brahman, per non far più ritorno sulla terra . Il ciclo delle rinascite viene interrotto . Un'esistenza eterna attende l'atman, nel suo amplesso con il Brahman, che è la sua stessa fonte. 

Nella Taittiriya Upanishad viene ripreso l'assunto dell'identità Brahman/atman. Si è inoltre convinti che nella sillaba om si celi l'essenza del Brahman. 

Nella Kena Upanishad si dichiara che il Brahman non può essere insegnato, nè pensato: nè chi crede di conoscerlo, nè chi crede di non conoscerlo coglie nel segno. 

Nella Isà Upanishad si coltivano tendenze teistiche, accennando ad un " Signore " (Ica). Si raccomanda di abolire la mentalità dualistica: solo così, ad un certo punto, si capirà che nell'alto dei cieli c'è soltanto il proprio Io. La distinzione tra noi e gli altri viene invalidata. A quel punto, abbandonando la conoscenza e l'ignoranza, si attingerà l'immortalità. 

Nella Katha Upanishad si narra dell'incontro tra Naciketas, il primo uomo che morì, e Yama, il Dio dei morti. "Dopo la morte, l'uomo esiste ancora o no?" E` questa la domanda angosciante che Naciketas pone al Dio della morte. Ma non non otterrà una vera risposta: Yama si limita a dirgli che l'atman è immortale ed eterna (2, 5, 13). 

Nella Mundaka Upanishad vengono ammessi due ambiti della conoscenza. Da un lato, c'è il campo delle scienze inferiori: lo studio dei Veda, l'astronomia, la fonetica, la ritualistica, la grammatica, la metrica e l'etimologia. Dall'altro l'c'è la scienza superiore, il cui oggetto è la conoscenza del Brahman(1, 1, 5). 

Nella Mandukga Upanishad si parla di quattro stati di coscienza o piani di realtà: vaicvanara, stato di veglia; Taijasa, stato onirico; prajnà, stato del sonno profondo; turiya, stato indefinibile. Nel primo la conoscenza dell'adepto si fonda sul pensiero dualistico e sulle distinzioni, richiamandosi agli oggetti sensibili. Nel secondo si volge invece all'interiorità, cioè agli oggetti del sogno. Nel terzo l'adepto non vede più alcuna immagine, quindi può rinunciare ad effettuare la distinzione tra soggetto ed oggetto. Nel quarto, infine, egli non dipende più da alcunché, all'infuori di sè stesso: ha realizzato la perfetta coincidenza tra il Brahmane l'atman. Ormai coltiva una consapevolezza non - duale, evitando di riferirsi alle cose esteriori e a quelle interiori . 

La Cvetacvatara Upanishad, infine, è tra le più recenti delle composizioni antiche. Nel Brahman è insita una trinità: Dio, atman e " natura " (prakriti o cakti). Dio è il Signore del mondo, Colui che lo crea e lo distrugge. A volte è chiamato Rudra; a volte, Civà. La natura è illusoria: nient'altro che il prodotto di un gioco di prestigio del mago divino. Essa appare in un certo modo, ma non è in quel modo. L'atman è il sè individuale: da un lato, un elemento personale; dall'altro, una componente eterna del Brahman imperituro. Colui che, attraverso le opportune pratiche yogiche, scoprirà che Dio abita nel suo stesso cuore, otterrà la liberazione. Il suo atman sarà riassorbito nel Brahman. Anzich‚ sulla conoscenza, qui si insiste sulla devozione (bhati) nei confronti del Signore. Questa Upanishad si discosta, per grandi linee dalle altre: influenzerà molto la religiosità della massa. E non soltanto la speculazione filosofica. Nelle varie Upanishad s'insiste sull'autorealizzazione, per rifiutare, o perlomeno ridimensionare, l'importanza dei sacrifici vedici. Si tende alla liberazione (moksha), un obiettivo che è possibile raggiungere soltanto uscendo dal samsara, il siclo delle nascite e delle morti. Ogni azione produce un frutto: è il principio basilare della legge del karma , che determina le modalità delle future reincarnazioni. Attraverso la condotta ottimale, si deve cercare di spezzare il ciclo: a quel punto, l'atman sussisterà in eterno , inglobato nel Brahman. E` una liberazione, in positivo, dunque, ben diversa da quella di un certo buddhismo, per il quale l'uscita dal samsara comporterebbe l'estinzione eterna.

 


 

BRAHMANA

Brahmana, o "Interpretazioni sul Bramhan", commentari in prosa che spiegano sia i riti che le formule che li accompagnano: ve ne è uno unito a ciascun Veda, e due o più per i Veda nel loro complesso, a eccezione dell'Atharva.

Questi due primi segmenti della letteratura vedica formano la cosiddetta sruti, o "rivelazione", il che significa che sono considerati di origine divina, risultati di una comunicazione "veggente", fatta a certi umani privilegiati. La sruti comprende anche dei brevi testi, complementari ai Brahmana, chiamati Aranyaka o "Trattati delle foreste", fatti per essere recitati lontano dagli agglomerati umani, e le Upanishad, o "Vicinanze", impegnate in speculazioni filosofiche.

 


 

SUTRA

Sentenze morali per lo svolgimento dei riti specialmente quelli domestici

 


 

DHARMASHASTRA

Raccolta di leggi religiose e sociali

 


 

TANTRA

 Sono dei trattati analoghi ai Purana riconducibili a sette o a gruppi di sette, catalogati a volte sotto il generico nome di Tantra, "Libri". All'interno di questi Libri si distinguono i trattati vishnuiti, detti Samhita, o "Raccolte", i trattati shivaiti o Agama, "Tradizioni", infine i Tantra veri e propri che si riferiscono a un aspetto della religione denominata di conseguenza tantrismo, non priva di affinità con le sette shakta. 

Vi è stata una continua produzione di Tantra fino ai nostri giorni. Difatti, se presi nel senso più vasto del termine, sono le vere basi letterarie dell'induismo come è praticato ancor oggi. Vi si trovano delle descrizioni minuziose di rituali (rituali simbolici e di adorazione), elementi di dottrina e di etica, infine metodi per riplasmare l'individualità psichica (yoga).

 


 

LETTERATURA EPICA e MITOLOGICA

 

MAHABHARATA

BHAGAVAD GITA

RAMAYANA

PURANA

 


 

MAHABHARATA

La « Grande Bharateide » è la colossale opera epica dell' India. Si tratta di quasi centomila strofe di due versi (distici), divise in 18 grandi libri. La sua stesura si prolunga forse per vari secoli, a cavallo dell'inizio dell'era cristiana (111 sec. a.C. - 111 sec. d.C.). Questo testo colossale rappresenta in sé la sintesi dell'induismo.

La narrazione centrale riguarda la lotta che si svolge tra i cugini Pandava e Kaurava per il possesso dell' India dei nord, dei «paese di mezzo» (la zona attorno all' attuale capitale dell' India, New Delhi). Nel sesto libro si trova la celebre Bhagavad-gita, il «Canto dei Signore», la sintesi più nota dell'induismo. Essa è costituita dall'insegnamento che il dio auriga Krishna (una delle incarnazioni di Vishnu) impartisce all'esitante guerriero Arjuna, nell'imminenza della battaglia. 

Ogni maestro si è sentito in dovere di meditarla, insegnarla e commentarla. Krishna esorta Arjuna ad agire, perché tale è il dovere della sua casta. Soltanto le azioni che non siano mosse dalla passione e dall'interesse hanno valore. L' auriga espone al guerriero le varie vie per giungere a Dio e gli dimostra l'eccellenza della devozione.

 


 

BHAGAVAD GITA

È una delle opere più significative dell'intera letteratura filosofica indiana e non solo dell'India. Contenuta nel Mahabharata - VI secolo a. C -  registra il conflitto tra due pretendenti al trono.  Un misto di mitologia, politica, filosofia e religione, il poema accetta la concezione delle caste e la quadruplice suddivisione degli "stadi della "vita

            La Bhagavad Gita, attribuita a Vyasa,  è  la sezione filosoficamente più rilevante dell'opera. Si narra l'incontro di Arjuna, valoroso condottiero e prototipo dell'eroe, con Krshna, un'incarnazione (avatara) del Divino in forma umana. Vengono recepiti vari spunti dalle scuole brahmaniche e dal teismo della religiosità  popolare.  


 

RAMAYANA

Un'altra incarnazione di Vishnu, Rama, è protagonista delle «Gesta di Rama», l'altro grande poema epico. Il Ramayana è costituito da ventiquattromila distici, ripartiti in sette libri. Anche questo poema, come il precedente, è un' esaltazione dei valore dei dharma, specialmente di quello proprio alla casta dei guerrieri.

 


 

PURANA

I Purana, o "Antichità", sono vicini a ciò che noi chiameremmo trattati religiosi, dato che contengono, in maniera prolissa, insegnamenti sulla pratica e il rituale, dati sulle festività e i pellegrinaggi, elementi di mitologia. Si assiste così alle lotte della grande Dea contro i demoni, alle avventure guerriere, galanti o ascetiche di Shiva, nonché alla biografia di Krishna. Il loro tema caratteristico, originariamente, era molto diverso. Si trattava infatti di testi con pretese storiche, che cercavano di rintracciare la storia delle dinastie o quanto meno delle genealogie reali sostenendone le basi mediante una cosmogonia e una teogonia che s'inabissava nel cuore di ere mitiche. A poco a poco questi testi, densi di interpolazioni, si sono fatti carico di materiali di qualsiasi provenienza. Alcuni sembra siano stati concepiti dai bisogni di una setta particolare, e infatti i diciotto Purana maggiori vennero classificati dalla tradizione come vishnuiti, shivaiti e brahmanici (dedicati cioè a Vishnu, Shiva, Brahman). Il più celebre di questi testi, anche se non il più antico, è il Bhagavata Purana che descrive la vita dell'eroe divino Krishna, insistendo su quei motivi che potevano sollecitarne la devozione. Questo sarà il testo comune delle sette krishnaite.

La letteratura dei Purana si diffuse grosso modo intorno ai primi secoli della nostra era fino al dodicesimo secolo e forse oltre. Gli autori dei Purana secondari o minori raccolsero inoltre inni litanie, "glorificazioni", di luoghi santi, e altro. A questo genere letterario si possono associare lo Yoga vasishtha, grandioso poema leggendario e filosofico (decimo  secolo?), e il Caturvarga cintamani di Hemadri (tredicesimo secolo), vasta e composita raccolta tra il genere puranico e la Smriti.

        


 

 

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