LENTINI
La città di Lentini è stata fondata, secondo la tradizione derivata da Tucidide, da coloni greci, provenienti da Calcide, che, sotto la guida di un certo Tukles (Teocle), occuparono le colline a sud della ricca piana alluvionale del Simeto. Ma molti secoli prima che il piede calcidese calpestasse la terra di Sicilia, popolazioni di varia origine avevano occupato le stesse colline. Tra queste popolazioni, una gente di origine peninsulare che gli storici hanno identificato con i Siculi.
Essi
passano nella Sicilia dall'Italia (dove abitavano) fuggendo gli Opici, su zattere
o in qualche altro modo. Giunti in Sicilia, essendo un grosso popolo, vincono in
battaglia i Sicani e li scacciano verso le parti meridionali e occidentali del
paese.
Questa popolazione, che basa la sua economia sull'agricoltura, ma anche sulla
pesca e sul commercio, esercitato attraverso lo scalo di Castelluccio, si
stanzia sul colle di Metapiccola, dando origine ad un insediamento che gli
studiosi hanno identificato con la mitica Xouthia. Contemporaneamente, sui colli
circostanti continuano a vivere popoli indigeni, che sembrano aver mantenuto con
i Siculi rapporti amichevoli e che continuano ad occupare la stessa zona anche
quando dei Siculi si perdono le tracce.
Sono queste le genti che i calcidesi trovano sul colle di San Mauro nel 729
o,come è più probabile, nel 751-750 a.C.
Dapprima i Calcidesi coabitano con gli indigeni, ma poi, con la collaborazione
dei Megaresi, con i quali hanno fatto città comune, li cacciano dal San Mauro,
costringendoli ad insediarsi sui colli circostanti, fino al definitivo
assorbimento.
L'agricoltura, in particolare la coltivazione dell'orzo, che ritroviamo nelle
rappresentazioni monetali, e l'allevamento dei cavalli sono le attività
economiche prevalenti, che determinano lo status sociale della classe dominante,
i cavalieri (ippeis). A questa classe appartiene il primo tiranno della storia
siciliana, Panezio, che, sul finire del VII secolo a.C., approfittando della
guerra per motivi di confine con Megara, prende il potere a Leontini.
La città, che è diretta per molto tempo da un regime oligarchico, ha molto
presto un grande sviluppo ed uscendo dai ristretti limiti del San Mauro, occupa
i colli circostanti e fonda nuove colonie (Euboia). La ricchezza della città,
molto florida sia dal punto di vista agricolo che da quello commerciale, suscita
ben presto gli appetiti dei vari potenti che si contendono il dominio della
Sicilia in questo periodo.
Attaccata ed occupata da Ippocrate di Gela nel 494 a.C., Leontini perde
l'indipendenza e viene costretta ad entrare in un'alleanza militare, prima sotto
il controllo di Gela (che vi insedia Enesidemo), e poi di Siracusa, che la
trasforma in una piazzaforte militare per il controllo del territorio.
Nel 476 a.C., Ierone, signore di Siracusa, deporta a Leontini gli abitanti di
Nasso e di Catania, dopo averli scacciati dalle loro città. La fine, con
Trasibulo, della dinastia dei Dinomenidi riporta a Leontini la libertà, che
viene però minacciata dall'avventura di Ducezio che nella zona dei Palici cerca
di realizzare un dominio personale sul modello degli stati tirannici greci.
Circondata da nemici da ogni parte, Leontini ricorre ad Atene, alla quale si
allea con un trattato militare negli anni intorno alla metà del V secolo a.C.
Di fronte alle azioni di Siracusa, che non nasconde le sue mire di dominio su
tutta la Sicilia, l'alleanza precedente viene rinnovata nel 433 a.C. Nel 427
a.C., un'ambasceria, guidata dal retore leontino Gorgia, viene inviata ad Atene
a perorare la causa degli alleati (le città calcidesi, Kamarina e
Reggio)
contro Siracusa. La novità del suo eloquio, che avvince gli ascoltatori, ma
anche gli interessi che Atene ha nell'isola, convincono la città greca ad
intervenire militarmente in Sicilia. Le vicende della guerra sono alterne e si
concludono con il convegno di Gela (424 a.C.), nel quale si stabilisce
l'indipendenza delle varie città siceliote, l'estromissione di Atene dalla
Sicilia, e di fatto la supremazia di Siracusa.
A Leontini la fine della guerra non porta la pace. Si riaccendono, infatti,
subito le lotte tra aristocratici, legati a Siracusa, e democratici, legati ad
Atene. Questi ultimi chiedono la ridistribuzione delle terre e l'allargamento
del diritto di voto, con la concessione dei diritti politici a molti nuovi
cittadini.
Per non essere costretti a cedere una parte del loro potere, gli aristocratici
si rivolgono a Siracusa, che interviene immediatamente. I democratici vengono
espulsi e si disperdono in varie parti della Sicilia, i nobili si trasferiscono
a Siracusa, della quale ottengono la cittadinanza. Ad impedire che in futuro ci
siano sorprese, le fortificazioni vengono distrutte. Il territorio viene
inglobato nella chora di Siracusa e Leontini resta priva di abitanti, tranne i
lavoratori servili alle dipendenze degli aristocratici.
Dopo qualche anno, però, i nobili, non contenti del trattamento che riserva
loro la nuova patria, fanno ritorno in città ed alleatisi con i democratici
fanno scorrerie contro i Siracusani dal quartiere fortificato di Foceas e dalla
fortezza di Brikinnia.
La nuova situazione, che vede i democratici alla riscossa, spinge Atene ad
intervenire in favore degli antichi alleati. Infatti, risponde positivamente alle
richieste di aiuto che vengono formulate da Segesta, nella guerra contro
Selinunte, alleata di Siracusa, e dagli esuli Leontini, che chiedono di essere
rimessi nella loro città.
Ha inizio così la seconda spedizione ateniese che finisce con la sconfitta
definitiva di Atene, la quale, battuta all'Assinaro, vede il proprio esercito
lasciato morire di fame e di stenti nelle latomie, mentre Leontini vede svanire
ancora una volta il sogno della libertà (413 a.C.).
Ad accentuare lo stato di sudditanza nei confronti di Siracusa, ecco che di lì
a poco la città viene occupata dai cittadini di Akragas, duecentomila persone
(406 a.C.), e subito dopo dagli abitanti di Gela e di Camarina, alleati di
Siracusa nella guerra contro Cartagine.
La fine della guerra, con la sconfitta di Siracusa, porta all'autonomia di
Leontini, che dopo tanto tempo si ritrova libera dalla potente vicina.
L'indipendenza dura poco. Infatti, alla partenza dei Cartaginesi dalla Sicilia,
Dionisio, da poco divenuto tiranno di Siracusa, la riconquista e deporta ancora
una volta gli abitanti a Siracusa. La città si trasforma e diventa nello schema
siracusano semplicemente una città magazzino, in cui conservare provviste per
la guerra nei depositi a tal uopo costruiti. Alla fine della guerra, non potendo
pagare i mercenari, Dionisio cede loro la città in cambio degli stipendi
arretrati.
Nelle lotte che si scatenano a Siracusa per il potere tra Dionisio II e Dione,
Leontini parteggia per quest'ultimo e viene coinvolta fino ad essere occupata
parzialmente da Filisto, generale di Dionisio.
Nel periodo successivo, che vede il dissidio tra il corinzio Timoleonte ed Iceta,
generale siracusano, Leontini prende le parti del secondo. La sconfitta di Iceta
si porta dietro per Leontini ancora una volta lo spopolamento con la
deportazione a Siracusa dei cittadini di parte popolare.
Durante il regno di Agatocle, Leontini passa da una fase di appoggio al monarca
siracusano all'alleanza con i Cartaginesi. Agatocle, al ritorno dall'Africa dove
aveva portato la guerra, per punirla del tradimento ne massacra i dirigenti
politici ed i loro seguaci.
Durante l'intervento in Italia di Pirro, Leontini assieme a Siracusa e ad
Akragas chiama il re epirota in aiuto contro Cartagine. In quella occasione, il
tiranno di Leontini, Eraclide, offre a Pirro la città con i castelli ed un
contingente di quattromila soldati e cinquecento cavalli (278 a.C.)
La partenza di Pirro dalla Sicilia lascia Leontini saldamente in mano di
Siracusa. Durante la prima guerra punica gode di un periodo di pace, inserita
com'è nell'alleanza cui l'ha costretta il signore di Siracusa, Ierone II, che
riesce a non restare coinvolto nella lotta tra Roma e Cartagine, barcamenandosi
tra l'una e l'altra potenza.
La morte di Ierone e l'ascesa al trono di Ieronimo, suo nipote, che nella
seconda guerra punica parteggia per Cartagine, rappresentano l'ultimo atto
dell'esistenza di Leontini. Ieronimo, giovane di sedici anni, si reca con
l'esercito e con il tesoro regio a Leontini, ai confini della provincia romana,
per procedere alle operazioni di guerra. Quivi giunto, però, cade vittima di
una congiura ordita dal partito filoromano. Mentre, infatti, si sta recando in
piazza per una via stretta, Ieronimo viene circondato dai congiurati e trafitto
a colpi di pugnale. Leontini, abbandonata dai congiurati, diventa poco dopo la
base delle operazioni dei filocartaginesi, espulsi da Siracusa.
Costoro attaccano e distruggono un reparto romano e Roma chiede l'allontanamento
dei Cartaginesi. La risposta sprezzante dei Leontini, che sperano nell'aiuto di
Annibale che in Italia sta portando un duro attacco alle forze romane, provoca
l'intervento armato dei Romani. Attaccata da tutte le parti, distrutte le mura,
la città soccombe(214 a.C.). Leontini entra nell'orbita di Roma e perde
definitivamente la sua autonomia.
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