I VIAGGI DI ADRIANO
I viaggi di Adriano non furono promossi da irrequietezza
di spirito o da desiderio di vedere o godere, ma dalla necessità che
l'imperatore sentiva di osservare le condizioni delle province e di provvedere
ai loro bisogni e al loro sviluppo. Per la prima volta con Adriano le province
non sono considerate come terre di sfruttamento né sono guardate inferiori come
importanza rispetto all'Italia, ma richiamano l'attenzione del governo e da
questo ricevono attentissime cure. Adriano trascorse nelle province circa tre
lustri del suo impero, in qualcuna di esse fece lungo soggiorno, in tutte ne
fece oggetto della sua attenzione, arricchendole di città e di monumenti,
munendole di difese alle frontiere, promovendovi l'industria e il commercio,
migliorandone la viabilità e regolandone l'amministrazione.
È ancora incerta, malgrado le molte e pazienti ricerche degli eruditi, la
cronologia dei viaggi d'Adriano e le date che noi riferiamo sono approssimative,
ma più che le date hanno importanza i risultati del lungo peregrinare dell'
imperatore. I suoi viaggi hanno forse inizio un anno dopo del suo ritorno a Roma
dall'Oriente. Egli cominciò col visitare la Gallia, dove fu, come pare, nel
119. La romanizzazione delle tre province galliche era molto avanzata, il druidismo
era stato quasi debellato, vi era diffuso il paganesimo e vi faceva la comparsa
anche il Cristianesimo; estesa era la rete stradale, di molta sicurezza godevano
le campagne, grandi città ricche di templi, di teatri, di biblioteche, di
bagni, di scuole, vi sorgevano, vi fiorivano industrie ed attivi erano i
commerci. La Gallia si sentiva oramai strettamente legata alla vita dell'
impero, cui forniva ottimi soldati, eccellenti generali e un patriziato
sollecito della prosperità dello Stato. Essa era inoltre sicura dalle
incursioni barbariche per gli imponenti lavori di difesa ch'erano stati compiuti
tra il Reno e il Danubio (limes agrorum decumatum).
La gratitudine per quanto Adriano aveva fatto per le tre province, la espressero
all' imperatore i rappresentanti di esse convenuti a Lugdunum
e venne coniata una medaglia dedicata al restauratore della Gallia (Restitutori
Galliae), che doveva esser la prima di una serie di medaglie in onore
dell'imperatore fatte dalle altre province con lo stesso motto. Dalla Gallia
Adriano si recò nella Germania superiore e nell' inferiore, dove diede impulso
alle fortificazioni di frontiera e provvide alla disciplina delle legioni e all'
ingrandimento e alla sicurezza dei campi militari; poi passò nella Britannia,
nella quale, dopo Claudio, forse nessun imperatore romano era stato. La
provincia cominciava a romanizzarsi e con lo sfruttamento delle miniere di
stagno, rame ed argento e l'esportazione di parecchi prodotti locali prometteva
di non essere ancor per lungo tempo passiva, ma nella parte settentrionale
continuava ad essere esposta alle incursioni dei Caledoni che vi avevano
sterminata una legione (la IX). Adriano, seguendo la sua politica di difesa,
ordinò una linea di sbarramento munita di trincee e fortini e dotata di strade
che dalla foce del Tyne doveva andare alla baia di Soiway. I lavori dell'
importante linea, di cui ancora oggi rimangono notevoli avanzi, e che si ebbe a
nome di Vallum Hadriani, furono cominciati nel 122 e terminati nel 124.
Dalla Britannia l'imperatore, attraversando la Gallia, passò nella Spagna, la
quale delle province romane di Occidente era forse la più fiorente. Molte città
belle e grandi vi sorgevano e i costumi degli antichi popoli iberici
avevano ceduto il posto alle costumanze romane; la lingua di Roma vi era
perfettamente parlata, scuole importanti vi erano state istituite, strade ampie
e sicure mettevano in comunicazione le vane città della penisola e questa con
la Gallia; sviluppata era l'agricoltura e l'olio, il vino e i cerali venivano
esportati nelle altre regioni dell' impero; oltremodo redditizia era l'industria
mineraria. In Spagna Adriano non riusci fermarsi a lungo. Si trovava a Tarracona,
forse nell'inverno del 123, quando un' insurrezione scoppiata nella Mauritama lo
costrinse a passare in Africa. La sua presenza valse a quietare questa regione
occidentale africana, la quale resisteva ancora tenacemente alla penetrazione
delle armi e della civiltà romana. Anche qui l'imperatore dovette prendere
provvedimenti per la difesa militare e dopo un'offensiva verso l'Atlante iniziò
la costruzione di un vallum. Inoltre trasferì i quartieri della Legione III
Augusta a Lambese, dove più tardi troveremo l'infaticabile Adriano.
Dalla Mauritania, forse per mare e facendo delle soste nelle città della costa,
si recò in Egitto donde passò in Oriente. Ve lo chiamava il contegno di Cosroe
che faceva preparativi di guerra. Adriano ebbe un convegno con il re dei Parti,
gli restituì la figlia e, allontanato il pericolo di un conflitto, fu in grado
di andare nelle altre province asiatiche che, per avervi a lungo soggiornato,
conosceva molto bene, e dove, malgrado il numero non indifferente dei coloni e
dei mercanti italici, la civiltà manteneva sempre il suo aspetto orientale.
Più che altrove, in questo suo primo viaggio in Oriente, Adriano si trattenne
nell'Asia Minore.
"" Pochi paesi potevano competere con l'Asia minore per
ricchezza. Nell'interno splendide foreste, fertili campi di biade, immensi
armenti; mentre il legname e le lane, frigie e galate, erano oggetto di un largo
commercio di esportazione.
Sulla costa meridionale e occidentale, dalla Cilicia all'Ellesponto, numerose e
prosperose le città e le industrie, in primo luogo le tessiture: che nel vasto
impero ormai tutto aperto al commercio queste industrie avevano trovato nuovi e
ricchi clienti, cosicché si erano sviluppate anche in alcuni paesi
dell'interno, ad esempio nella Cappadocia, per opera dell'elemento
semitico.
Strano paese insomma, in cui l'ellenismo si era incrostato sulla varietà delle
tradizioni e dei costumi nazionali, e ove il romanesimo veniva ad aggiungersi
all'ellenismo. Nell' insieme però l'Asia Minore, sotto la vernice della grecità,
era rimasta orientale. La sua letteratura era improntata alla fantasiosità,
alla mollezza, alla verbosità, alla leggerezza asiatica; la religione era una
caotica mescolanza di mitologia ellenica, di culti egizio-fenici, giudaici,
cristiani, nonché di culti prettamente asiatici, come quello di Mitra, di
Cibele, di Attis. In queste province Adriano soggiornò parecchi mesi, ma vi
sarebbe tornato altre volte per un più lungo soggiorno; ed ogni luogo avrebbe
serbato la traccia del suo paesaggio: città demolite dai terremoti, resuscitate
dalle rovine; città bisognose o modeste, soccorse o abbellite; grandi porti,
strade, monumenti di pubblica utilità costruiti con il suo aiuto o per suo
consiglio e incitamento "" (Ferrero e Barbagallo).
Dall'Asia l'imperatore ritornò in Grecia, la provincia che tanto amore e tanta
venerazione gli ispirava, ma che dall'antica grandezza era miseramente decaduta.
Visitata la Tracia, la Macedonia, Epiro e la Tessaglia, nell'estate del 126 si
recò ad Atene, centro ancora fiorentissimo di studi. Dopo Roma forse la Grecia
ebbe da lui le maggiori cure.
Corinto, rapidamente rifiorita sulla vecchia città distrutta, divenne la
principale città greca; sì arricchì di bagni, di una magnifica via militare
che attraversava l'istmo e di un acquedotto che trasportava l'acqua del lago
Stymphalos. Nomea fu dotata di un ippodromo, Mantinea di un superbo tempio a
Nettuno. Ad Argo offrì un pavone d'oro che venne collocato nel tempio di
Giunone e rimise in vigore le corse equestri dei giuochi Nemei. Ma ad Atene,
dove visse più a lungo e dove forse più di una volta si recò, ad Atene che lo
nominò cittadino ed arconte e lo vide per le sue vie in abito greco discorrere
coi filosofi e con gli artisti, Adriano dedicò le cure più grandi e più
amorose. Condusse a termine il tempio di Giove Olimpico cominciato più di sei
secoli prima, e sul piano dell'Ilisso fece costruire un nuovo, grande quartiere,
diviso dalla vecchia città da un superbo arco trionfale che da un lato portava
nell'architrave la scritta : «Questa è Atene, l'antica città di Teseo» e
dall'altro: «Questa è la città di Adriano». Questo quartiere fu dotato di
pregevoli monumenti dovuti all'ingegno di Erode Attico, fra cui degni di
menzione il tempio della Fortuna con portici e biblioteca, un ginnasio sorretto
da cento colonne e un tempio magnifico - il Panthellenion - presso cui dovevano
celebrarsi le feste nazionali dei Greci. Un'altra città, che presto prese
grande sviluppo, fu fondata nella Tracia che dall'imperatore prese il nome di
Adrianopoli.
Tornato a Roma verso la fine del 126, vi si trattenne fino all'estate del 128.
In questo soggiorno nella metropoli dell' impero egli abbellì Roma di grandiosi
monumenti: costruì il tempio di Venere e Roma al quale abbiamo accennato,
presso l'anfiteatro Plavio, arricchì di edifici il Foro Traiano; oltre il
Tevere, di là dal ponte Elio, innalzò il suo Mausoleo (Mole Adriana),
rivestita di marmo pario e coronata di statue, giunta fino a noi col nome di
Castel S. Angelo; sul Campidoglio fondò l'Ateneo dove pubblicamente dovevano
essere insegnate la filosofia, la retorica e la giurisprudenza, e presso Tivoli
edificò una villa grandiosa, dentro la quale fece riprodurre i più bei
monumenti ammirati nei suoi viaggi, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo e il
Pecile di Atene, e raccolse le migliori opere d'arte della Grecia e
dell'Oriente.
Nell'estate del 128 Adriano si rimise in viaggio. Nel luglio di quest'anno lo
ritroviamo in Mauritania ad arringare i soldati di Lambese, poi in Grecia e
infine in Asia. Visitando la Siria, si spinse fino a Palmira, la città del
deserto, che dotò di importanti edifici ed elevò al grado di colonia, poi
scese nella provincia d'Arabia fino a Petra che
in onore dell'imperatore prese il suo nome. In quella estrema provincia fece
costruire strade che l'allacciarono meglio con la Siria, la Palestina e
l'Egitto.
L' Egitto fu visitato dopo l'Arabia: vi entrò da Pelusio e, dopo avere risalito
il Nilo, si diresse ad Alessandria (131). Conduceva con sé un giovane di
Claudiopoli, nella Bitinta, di nome Antinoo, bellissimo di viso e di forme di
cui l'imperatore si era invaghito. Antinoo, durante quel viaggio, per
caso o volontariamente, durante un bagno perì nelle acque del Nilo, e
l'imperatore in memoria di lui fece ricostruire il villaggio di Bese cui pose il
nome di Antinoopoli, gli eresse una magnifico tempio e istituì un nuovo
culto in onore dell'amico.
Negli ultimi mesi del 131 Adriano fece ritorno a Roma, dove consacrò il tempio
di Venere e Roma e fece approvare dal Senato 1'Editto perpetuo. L'anno seguente
una nuova ribellione scoppiò in Palestina. Questa già covava da tempo, fin
dalla morte di Trajano. Nei primi anni dell' impero di Adriano un moto
insurrezionale, di cui abbiamo fatto cenno, aveva avuto luogo: era stato presto
soffocato, ma gli Ebrei non si erano rassegnati alla perdita dell'indipendenza e
le scuole rabbiniche, sorte nelle minori città della Giudea, tenevano desti gli
spiriti. Per mettere termine alle agitazioni Adriano istituì a Gerusalemme una
«colonia militare cui diede il nome di Elia Capitolina e la distrutta città la
fece risorgere con edifici di stile greco-romano e con templi pagani; sul luogo
dove sorgeva il famoso tempio di Jehova fece innalzare un tempio a Giove
Capitolino.
Questa costruzione che offendeva il sentimento nazionale e religioso degli Ebrei
fece divampare la rivolta in tutta la Giudea nell'anno 132. Il gran rabbino
Akiba mise alla testa della rivolta un giovane audace e fanatico, Bar Kokeba,
(figlio della stellaa) che venne considerato come l'atteso Messia. In breve
tutta la Giudea fu in fiamme: il legato Q. Tìneo Rufo tentò di domare
la rivolta, ma venne sconfitto; la stessa sorte ebbero altri due generali
romani. Adriano corse in Palestina e mise a capo dell'esercito il più valoroso
generale del tempo, Sesto Giulio Severo, che si era distinto nelle guerre di
Britannia. Ma quello di Severo non fu compito facile; i ribelli, che si erano
resi padroni della Samaria e dell' Idumea, resistettero accanitamente e fu
necessario ai Romani prolungare la lotta fino al 136 per avere ragione della
rivolta. Fu in quest'anno che essa venne finalmente domata. La fortezza di
Bethar cadde per ultima e con le armi nel pugno vi trovò la morte Bar Kokeba.
Questa guerra costò perdite enormi ai ribelli: cinquanta fortezze furono
espugnate e novecentottantacinque paesi distrutti; oltre seicentomila
combattenti vennero uccisi; i superstiti vennero venduti come schiavi e i capi
della ribellione, specie i rabbini, furono mandati al supplizio. Gli Ebrei non,
ebbero più la loro patria e la città santa della loro religione.
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