NEMORES  DIANAE

Il territorio di Nemi fu celebre al tempo dei Romani per il tempio dedicato a Diana Nemorense, meta di pellegrinaggi non solo dei Romani e dei Latini ma anche di abitanti di città lontane. Il nome Nemi viene dal latino nemus. Comunemente si traduce con 'bosco sacro'. In realtà questo è solo un significato derivato. Nemus viene dal greco nemw =  'pascolare', che poi assume il significato di abitare, e quindi governare la regione in cui si vive: la legge in greco è nomos. Ora, nemos è appunto il pascolo; poi diventa per estensione 'luogo con vegetazione' (comprensibile slittamento in Grecia, posto arido e sassoso) e quindi 'bosco'. E nemesis, che in età classica è la dea della giusta punizione (se nomos è la legge, il giudice esecutore è nemesis, ovviamente), in origine era la dea dei boschi (Diana).

Ma la vera ricchezza della zona è data dall'enorme patrimonio culturale, ricco di miti, leggende e testimonianze archeologiche. Più tardi venne consacrato a Diana un nuovo tempio sulla collina di Ariccia. Esso era anche dedicato al semidio Virbio e alla ninfa Egeria. Quest’ultima era consigliera, ispiratrice e sposa del secondo re di Roma, Numa Pompilio, e si narra che alla morte di lui si sciogliesse in lacrime nel bosco di Ariccia, finché Diana, impietosita dal suo dolore, la trasformò in una fonte. La sorgente sgorgava dalle rocce per scendere con cascatelle nel lago, nel luogo oggi detto Le Mole.

Un’arcaica tradizione voleva che sacerdote della dea fosse uno schiavo fuggitivo che, una volta riuscito a strappare un ramoscello a un determinato albero del bosco, acquisiva il diritto di battersi col sacerdote in carica. Se riusciva a ucciderlo gli succedeva con il titolo di re del bosco. Si raccontava che il ramo in questione s’identificasse con il ramo d’oro che Enea colse per invito della Sibilla prima di accingersi al suo viaggio nel regno dei morti. Probabilmente era un ramoscello di vischio, simbolo di rigenerazione fisica e d’immortalità. Quanto a Virbio, si riconosceva in lui l’eroe greco Ippolito che, sprezzando Afrodite (Venere) e le sue gioie d’amore, era stato ucciso dalla dea. Ma, risuscitato da Asclepio (Esculapio per i romani), era stato nascosto da Diana nel bosco di Ariccia.                       

Il carattere sacro del territorio nemorense rimase per tutto il periodo romano permettendo la consacrazione di grandi selve impenetrabili, proibite ai profani al punto che l'imperatore Caligola, per aggiungere il divieto di costruire sulla terra, fece realizzare sul lago due navi con funzione di vere e proprie case galleggianti. 

Tutta la conca del lago, allora, diventa un immensa area sacra con il tempio di grandissime dimensioni (occuperà una superficie complessiva di almeno 8-10 ettari di terreno) di grande
bellezza e di ricchezza unica. Il lago stesso diverrà luogo di culto per la processione dedicata ad Iside che percorrerà l'intero perimetro del lago su una strada appositamente costruita con opere di ingegneria formidabili di cui sono rimaste imponenti resti, mentre una triplice, mastodontica nave scivolava lentamente e silenziosamente sulle calme acque del lago (la triplice nave era composta, secondo le ultime ipotesi, da tre navi di lunghezza pari a ml 70, 72 e, presumibilmente ancora 70 per una lunghezza complessiva di circa 212 metri
ed una larghezza massima di 30 metri).

 

Affascinanti ed ancora avvolte in un mistero che potrebbe però essere chiarito, se non svelato addirittura, sono le vicende religiose del lago.
Al culto primitivo della primigenia dea della luce o del fuoco, il culto arcaico si trasforma in quello di Diana, prima, dell'omologa Artemide, successivamente, quando gli influssi greci si faranno sempre più sentire.
Con Caligola si sovrappone a quello di Diana il culto dell'egizia Iside l'Antica che fa da anello di congiunzione con il culto che i seguaci di Cristo stanno preparando per la Madre del Salvatore.

Successivamente sul territorio nemorense si formò una comunità agricola denominata "massa nemus" che l'imperatore Costantino assegna in concessione alla Basilica di San Giovanni Battista di Albano. Una decisione di carattere politico con la quale l'Imperatore tese a potenziare la zona d'influenza di Albano, la cui comunità cristiana, uscita da poco dalla clandestinità, si contrappose agli altri paesi albani di antica e radicata tradizione pagana.

LE  NAVI  ROMANE

Queste navi, nonostante numerosi e costanti studi, sono ancora avvolte da un certo mistero. Erano piuttosto grandi per navigare in un lago come quello di Nemi, che è abbastanza piccolo. Inoltre sul ponte delle navi erano stati costruiti edifici di tipo terrestre, non si sa di che forma e neanche con quali funzioni. Ci sono solo delle ipotesi, alcune anche molto plausibili. Si sa di certo che queste navi, date le loro dimensioni, non navigavano nel lago, ma erano attraccate ad un molo, vicino al quale passavano anche i tubi di piombo che portavano l'acqua dalla terra alla nave. Solo una di esse aveva i remi, mentre l'altra doveva essere trainata. Molto probabilmente la presenza di queste navi nel lago era legata al culto di Diana che si praticava sulle sponde e nel bosco prospiciente il lago stesso. 

Le navi furono fatte costruire dall'imperatore Caligola, devoto della dea della caccia, e fortemente affascinato dal culto di Iside, che in Egitto veniva praticato sull'acqua, per mezzo di apposite barche. E' probabile che in questo modo, Caligola, abbia voluto gettare un ponte tra i due culti, che comunque avevano già diversi punti di contatto. Le navi sono state costruite tra il 39 e il 41 d.C., con una accuratezza e una precisione a dir poco impressionanti. Basti pensare che a bordo era stata ritrovata una gru, la cui base, per girare, sfruttava già la tecnica dei moderni cuscinetti a sfera. Esse furono realizzate a Capo Miseno, presso Napoli, dove venivano costruite le navi della flotta imperiale. Alla morte dell'imperatore Caligola, le  navi furono affondate nel lago, per cancellarne la memoria. Una memoria che noi, adesso, stiamo cercando di recuperare.

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