PERTINACE    

(28 marzo 193 d.c.) Dopo soli ottantatrè giorni come imperatore, Publio Elvio Pertinace muore assassinato dalle guardie pretoriane. Pertinace, successore di Commodo, aveva tutte le premesse per diventare uno dei 'grandi' imperatori. Fin dai primi giorni del suo regno tagliò le spese inutili del governo, onorò i debiti accumulati dai suoi predecessori, e mise all'asta gli inutili e costosissimi oggetti di lusso collezionati da Commodo. Inoltre costrinse coloro che si erano ingiustamente arricchiti durante il regno di quest'ultimo a riconsegnare i beni ottenuti. Queste azioni, che lo resero molto popolare al senato e al popolo, furono alla fine la causa della sua rovina. I pretoriani, infatti, da anni abituati a fare ciò che volevano, e ormai privi di disciplina, temevano (a ragione) che Pertinace avrebbe risistemato a dovere anche il loro ordine, reinstaurando la vecchia rigida disciplina ormai in disuso. Quindi, il 28 marzo 193, qualche centinaio di pretoriani assaltarono il palazzo imperiale e si sbarazzarono di questo scomodo Imperatore.

Sorse dunque un problema: chi sarebbe divenuto il nuovo Imperatore? Visto che, alla fin fine, erano i pretoriani i padroni della città, e quindi dell'Impero, essi decisero di metterlo all'asta. Colui che avrebbe offerto il più alto donativo ai pretoriani sarebbe stato eletto Imperatore. Due i contendenti: Flavio Sulpiciano, suocero di Pertinace e prefetto di Roma, e Didio Giuliano, senatore. Vinse quest'ultimo, con una offerta di 6250 dracme per pretoriano contro le 5000 offerte da Sulpiciano.

Ed ecco che Giuliano si ritrova Imperatore di un regno che ha, a tutti gli effetti, comprato. La situazione è insostenibile. Il senato, il popolo, e le legioni sono indignati. Paradossalmente, i pretoriani stessi si vergognano della loro azione e certo non amano questo nuovo Imperatore. Giuliano si accorge ben presto che le cose buttano male, ed infatti dalla frontiera sta arrivando gridando giustizia il generale Settimio Severo, implacabile ed inarrestabile, scortato da un gruppo scelto di soldati delle sue legioni. Giuliano tenta disperatamente una difesa: fa trincerare la città e rafforza le fortificazioni. Nel frattempo manda ambasciatori per placare Severo, e contemporaneamente sicari per ucciderlo. Neppure una processione di vestali e sacerdoti in abiti da cerimonia riesce a smuovere l'avanzata. I male organizzati pretoriani tremano all'idea di dover affrontare i legionari, soldati di gran lunga superiori a loro. Infine, di fronte alla offerta di amnistia in cambio di Giuliano e degli assassini di Pertinace, saranno ancora una volta i pretoriani a decidere la sorte di un Imperatore. Soddisfano le richieste di Severo, e dopo soli sessantasei giorni di regno, Giuliano viene condannato a morte dal Senato e decapitato in una sala dei bagni del palazzo imperiale. A Pertinace verranno resi tutti gli onori, mentre i pretoriani verranno sciolti e condannati all'esilio. Seguirà poi una sanguinosa guerra civile per il controllo dell'Impero, dalla quale Severo uscirà vittorioso.

 

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