Cneo Magno POMPEO 

Generale e uomo politico romano (106 a.C. - Pelusio, Egitto, 11 48 a.C.). Discendente di una famiglia di ricchi proprietari terrieri del Piceno di nobiltà recente, partecipò, agli ordini del padre Pompeo Strabone, all'assedio e alla conquista di Ascoli durante la guerra sociale (89 a.C.).

Preoccupato di far dimenticare di esser stato tra i seguaci di Cinna, nell'83 a.C., all'annuncio del ritorno di Silla vittorioso dall'Oriente, arruolò di sua iniziativa tra le fide genti del Piceno tre legioni e, abbracciata apertamente a Osimo la causa degli ottimati, le offrì a Silla, favorendo con fortunate azioni belliche la riconquista delI'Italia.

Fu ricompensato da Silla con il titolo di imperator con molti onori, la figliastra Emilia in sposa (con il conseguente divorzio dalla prima moglie Antistia) e il comando con imperium delle sei legioni inviate in Sicilia e in Africa per stroncare la resistenza dei democratici mariani. Il successo riportato con la rapida vittoria prima su Papirio Carbone, poi su Domizio Enobarbo e Iarba, re di Numidia (81 a.C.), gli procurò il titolo di Magno (Grande), attribuitogli dai soldati sul campo di battaglia e riconosciuto, in seguito, da Silla, che gli concesse anche il trionfo.

Nella guerra civile, riaccesasi subito dopo la morte del dittatore (78 a.C.), egli sostenne l'aristocrazia e il senato nel soffocare i tentativi di parte democratica di impadronirsi del potere. In collaborazione con Lutazio Catulo sconfisse il mariano Emilio Lepido, costringendolo a lasciare l'Italia e, fattosi legalizzare con la concessione dell' imperium proconsolare il comando del suo esercito, minacciosamente mantenuto in armi alle porte di Roma, in aiuto a Metello Pio assunse la direzione della guerra in Spagna contro Sertorio e con una tattica di logoramento ne causò la rovina, battendo poi il suo successore Perpenna (71 a.C.).

Al ritorno trionfale in Italia inflisse l'ultimo colpo alla rivolta di Spartaco, distruggendo un reparto di 5.000 schiavi ribelli rifugiatisi in Etruria Forte dei successi di Spagna e convinto di essere il pacificatore della patria, come giunse a Roma contemporaneamente a Marco Licinio Crasso, al quale contendeva il merito di aver represso l'insurrezione servile, con spregiudicato opportunismo si riappacificò e coalizzò con lui contro il senato, in modo che entrambi, con l'appoggio del popolo e dei cavalieri e con la presenza intimidatrice degli eserciti in armi, ottennero il consolato in aperto dispregio delle norme vigenti sul cursus honorum.

Dall'alleanza del ceto popolare ed equestre con i due generali vittoriosi scaturì un'azione politica che mirava a riformare la costituzione sillana in senso democratico (restituzione ai tribuni, ai comizi e ai censori delle loro prerogative; limitazione a un terzo per i senatori nelle giurie dei tribunali; sistema tributario privilegiato per i cavalieri nelle province asiatiche).

Pompeo ne fu il maggior promotore e, rinunciando al normale proconsolato, rimase in città come privato in attesa che la rinascita del partito mariano, con le sue tendenze di rinnovamento sociale all'interno e di espansione alI'esterno, gli procurasse la possibilità di soddisfare le proprie ambizioni di potere. L'occasione gli venne dalla necessità urgente di liberare il Mediterraneo dai pirati che, paralizzando la navigazione, affamavano Roma e di por fine per sempre alla costosa guerra d'Oriente.

Al principio del 67 a.C., grazie alla Lex Gabinia, nonostante l'opposizione del senato, ebbe un comando illimitato (imperium infinitum) della durata di tre anni su tutto il Mediterraneo, per eliminare la pirateria. L'impresa, condotta con 500 navi e 20 legioni, gli riuscì felicemente in tre mesi e gli valse, sempre per iniziativa tribunizia (Lex Manilia), il comando della guerra contro Mitridate Vl, in sostituzione di Licinio Lucullo. Passando da un successo all'altro sia con la perizia bellica sia con l'abilità diplomatica, sconfisse Mitridate presso le rive del Lico, dove poi fondò Nicopoli (66 a.C.), fece di Tigrame, re d'Armenia, un alleato, si accaparrò l'utile amicizia dei Parti, s'impadronì della Siria, impose la sua autorità in Palestina.

La morte di Mitridate (63 a.C.) coronò la sua impresa e gli permise di attendere a una complessa e solida organizzazione dell'Asia Minore con la fondazione di città, l'apertura di vie commerciali per l'India e il Mar Rosso, un efficace ordinamento amministrativo e la creazione, ai confini delle terre conquistate, di regni semindipendenti, posti sotto il protettorato di Roma (Galazia, Cappadocia, Colchide, ecc.).

Carico di gloria e di ingente bottino, nel dicembre del 62 sbarcò a Brindisi e, congedato l'esercito, si diresse verso la capitale con pochi amici fidando nel suo grande prestigio per cogliere nel campo politico la ricompensa adeguata alle sue vittorie: ma trovò una situazione ben diversa da quella che si aspettava.

Mentre il senato manteneva una diffidenza ancor più viva nei suoi riguardi e rifiutava di approvare il suo operato in Asia Minore e la concessione di terre ai suoi veterani, Crasso aveva accresciuto di molto il suo credito grazie alla sua potenza economica e Cesare, con la sua forte personalità e con un audace programma di rinnovamento sociale, appariva ormai il nuovo capopopolo. Pompeo, accortosi di aver commesso un grosso errore con lo scioglimento dell'esercito e che la sua posizione nella lotta per il potere si era molto indebolita, accolse l'invito dr Cesare di costituire privatamente con lui e con Crasso un'associazione che si assumesse la direzione dello Stato.

Effetto immediato di quello che impropriamente viene chiamato primo triumvirato (60 a.C.) fu la formazione di un partito che raccoglieva in una comunanza di interessi il popolo, i cavalieri e gli eserciti. Pompeo poté cosi, con l'aiuto di Cesare console, di cui aveva sposato la figlia Giulia (dopo aver divorziato dalla terza moglie Mucia Terza), ottenere la ratifica dei provvedimenti adottati in Oriente e la contrastata concessione di terre ai veterani. Mantenere, però, un posto di preminenza in quell'instabile equilibrio di forze gli riusciva assai difficile.

Le notizie poi degli strepitosi successi di Cesare nelle Gallie suscitavano in lui gelosia e timore, Inclinò allora verso il senato e il partito conservatore, che aveva ripreso animo favorendo anche il ritorno di Cicerone dall'esilio.

Con il convegno di Lucca (56 a.C.), voluto da Cesare preoccupato che l'oligarchia riprendesse il potere, la sua posizione politica risultò rafforzata. Nella ripartizione degli incarichi egli ebbe l' imperium proconsolare per le due Spagne per un quinquennio e, insieme con Crasso, il consolato per l'anno seguente.

Ma l'accordo fra i triumviri sussisteva solo per quanto serviva ai particolari interessi. La gelosia di Pompeo per Cesare si tramutò in aperta ostilità dopo la morte di Giulia, che li teneva legati con il suo affetto; d'altra parte la miseranda fine di Crasso li lasciò l'uno di fronte all'altro nel conflitto per la supremazia.

Già durante il consolato e l'anno seguente, in cui, affidate le province a legati, era rimasto a Roma a sovrintendere all'annona, il suo atteggiamento si era fatto apertamente favorevole al senato, ma nei torbidi violenti del 53 e del 52 a.C., culminati con l'uccisione del demagogo Clodio da parte di Milone, egli apparve addirittura l'uomo di fiducia dell'oligarchia senatoria e l'unico in grado di ristabilire la legalità e l'ordine.

Nella generale impotenza e paura venne nominato console senza collega, una specie di dittatura, perché provvedesse alla salvezza dello Stato Era l'agognato comando unico, che, in dispregio al principio della collegialità, lo faceva signore di Roma e preludeva ad un futuro principato.

Per salvare le apparenze dopo qualche mese si associò nel consolato Metello Pio Scipione, di cui aveva sposato la figlia Cornelia, continuando però a governare da solo e facendosi prorogare di altri tre anni il proconsolato nelle due Spagna. Frattanto i suoi rapporti con Cesare peggiorarono fino a giungere alla rottura. Considerandolo ormai nemico, cercò in ogni modo di contrastarne il prestigio conseguito con la conquista delle Gallie e di combatterne i fautori, sempre più numerosi e audaci in Italia e in Roma, nella convinzione di possedere forze bastevoli per imporre il proprio primato.

Per questo, quando Cesare, preoccupato di mantenere la sua posizione, chiese a lui e al senato la proroga del comando nelle Gallie e il diritto di presentarsi candidato alle elezioni al consolato senza recarsi a Roma, la risposta fu una sorta di ultimatum, che gli imponeva l'abbandono del governo delle Gallie e del comando delle legioni entro un termine stabilito, All'inevitabile guerra che ne seguì, fulmineamente iniziata da Cesare con il passaggio in armi del Rubicone (notte del 10 gennaio 49 a.C.), Pompeo non era preparato fu costretto pertanto, tralasciando ogni resistenza in Italia, a trasferirsi con le forze disponibili in Grecia dove contava di potersi valere dell'aiuto delle molte clientele e dei principi vassalli d'Oriente.

Raggiunto da Cesare a Durazzo, non seppe sfruttare alcuni notevoli successi per mare e per terra e si lasciò attirare nelle pianure di Farsalo in Tessaglia, dove, nonostante la superiorità numerica, venne definitivamente sconfitto (48 a.C.). Cercò allora scampo in Egitto, di cui aveva sempre sostenuto l'indipendenza, ma invece dell'ospitalità vi trovò la morte, ucciso sotto gli occhi della moglie e del figlio Sesto dai sicari di Tolomeo XIV, che, nel conflitto dinastico con la sorella Cleopatra VII, sperava d'ingraziarsi il vincitore.

Personaggio di primo piano della storia romana nel complesso periodo di transizione dalla repubblica al principato, Pompeo Magno è stato oggetto sia tra gli antichi sia tra i moderni di giudizi disparati.

Grande per gli uni, mediocre per gli altri, soprattutto per il Mommsen, il quale apertamente lo ritiene privo di qualità che non fossero comuni, di fatto egli ebbe eccellenti doti di generale come appare evidente specialmente dalle campagne contro i pirati e contro Mitridate; d'altro canto in politica si mostrò essenzialmente uomo d'ordine, ma mancò di quella chiara visione dei fatti e delle forze in gioco che fissa la linea d'azione e che impedisce alI'ambizione personale oscillamenti condannabili e pericolosi.


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