I fondamenti
della concezione sociale
La Chiesa
comunità di credenti
I.1. La Chiesa è la
comunità dei credenti in Cristo, nella quale Egli chiama tutti ad entrare. In essa
«tutte le cose del cielo e della terra» devono essere ricapitolate in Cristo,
poiché egli è il capo «della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di
colui che si realizza interamente in tutte le cose» (Ef 1,22-23). Nella Chiesa,
per l'azione dello Spirito Santo, si attua la divinizzazione della creazione e
si compie il progetto che dall'eternità Dio ha sul mondo e sull'uomo.
La Chiesa manifesta il risultato
dell'opera redentrice del Figlio, mandato dal Padre, e dell'azione santificante
dello Spirito Santo, disceso nel grande giorno di Pentecoste. Secondo
l'espressione di s. Ireneo di Lione, Cristo si pose alla testa dell'umanità e
divenne il capo dell’umanità rinnovata nella quale, come suo corpo, si trova
l'accesso alla sorgente dello Spirito Santo. La Chiesa è l'unità «dell'uomo
nuovo in Cristo», «la comunione della grazia di Dio, che vive nella moltitudine
delle creature razionali che si assoggettano alla grazia» (A.S. Chomjakov).
«Uomini, donne, bambini, profondamente divisi riguardo alla razza, al popolo,
alla lingua, al modo di vivere, al lavoro, alla scienza, al ceto sociale, alla
ricchezza... : tutti vengono rinnovati nello spirito dalla Chiesa... Tutti
ricevono da essa un'unica natura, non soggetta alla corruzione, una natura
sulla quale non influiscono le numerose e profonde diversità per le quali gli
uomini si differenziano l'uno dall'altro...
In essa nessuno è in alcun modo separato dalla totalità, tutti sono come
«dissolti» l'uno nell'altro dalla semplice e indivisibile forza della fede» (s.
Massimo il Confessore).
I.2. La Chiesa è un
organismo divinoumano. Essendo il corpo di Cristo, essa unisce in sé due nature
– divina e umana – con le azioni e le volontà che sono loro proprie. La Chiesa
si rapporta al mondo secondo la propria natura umana e creaturale. E tuttavia
essa interagisce con il mondo non come un organismo propriamente terreno, ma in
tutta la sua comunione mistica e sacramentale. Proprio la natura divinoumana
della Chiesa rende possibile la divinizzazione e la purificazione del mondo,
che si attua nella storia attraverso la collaborazione creativa – la «sinergia»
– fra le membra e il capo del corpo della Chiesa.
La Chiesa non è di questo mondo,
allo stesso modo in cui il suo Signore, Cristo, non è di questo mondo. Ma egli
è venuto in questo mondo, avendo «umiliato» se stesso fino ad adeguarsi alla
condizione del mondo, il mondo che egli doveva salvare e reintegrare. La Chiesa
deve passare attraverso un processo di kenosi
storica, realizzando così la propria missione redentrice. Il suo fine è non
solo la salvezza degli uomini in questo mondo, ma anche la salvezza e il
rinnovamento del mondo stesso. La Chiesa è chiamata a operare nel mondo secondo
il modello di Cristo, a rendere testimonianza a lui e al suo regno. I membri
della Chiesa sono chiamati a diventare partecipi della missione di Cristo, del
suo servizio al mondo, che per la Chiesa è possibile solo come servizio
comunitario, «perché il mondo creda» (Gv 17,21). La Chiesa è chiamata a essere
al servizio della salvezza del mondo, perché anche il Figlio dell'uomo stesso
«non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in
riscatto per molti» (Mc 10,45).
Il Salvatore di sé dice: «Io sto in
mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Il servizio per la salvezza del
mondo e dell'uomo non può essere ridotto a un ambito nazionale o religioso,
come afferma con chiarezza il Signore stesso nella parabola del Buon
samaritano. I membri della Chiesa poi, quando accolgono gli affamati, i miseri,
gli ammalati, i carcerati, incontrano Cristo come colui che si è caricato dei
peccati e delle sofferenze del mondo. L'aiuto dato a coloro che soffrono è
pienamente un aiuto offerto a Cristo stesso, e all'adempimento di questo
comandamento è legato il destino eterno di ogni uomo (Mt 25,31-46). Cristo
esorta i suoi discepoli a non disprezzare il mondo, ma a essere «il sale della
terra» e «la luce del mondo».
La Chiesa, essendo il corpo di
Cristo Dio-uomo, è divinoumana. Ma se Cristo è il Dio-uomo perfetto, la Chiesa
invece non è ancora una divinoumanità perfetta, perché sulla terra combatte col
peccato, e la sua umanità, anche se intrinsecamente unita a Dio, è ben lontana
dall'essere sua piena espressione, a lui conforme in tutto.
La Chiesa servizio a Dio
e agli uomini
I.3. La
vita nella Chiesa, alla quale è chiamato ogni uomo, è un servizio incessante a
Dio e agli uomini. A questo servizio è chiamato tutto il popolo di Dio. Le
membra del corpo di Cristo, partecipando al servizio comune, adempiono le
proprie particolari funzioni. A ciascuno è dato un particolare carisma al
servizio di tutti. «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a
servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di
Dio» (1Pt 4,10). «A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della
sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di
scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di
far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un
altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a
un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle
lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole
a ciascuno come vuole» (1Cor 12,8-11). I doni della multiforme grazia di Dio
sono dati a ciascuno singolarmente, ma a servizio di tutto il popolo di Dio (e
a servizio del mondo). E questo è il comune ministero della Chiesa, compiuto
sulla base non di uno solo, ma di diversi doni. La diversità dei doni crea
anche la diversità dei ministeri, tuttavia «vi sono diversità di ministeri, ma
uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che
opera tutto in tutti» (1Cor 12,5-6).
La Chiesa chiama i suoi figli fedeli
a partecipare alla vita sociale, partecipazione che deve fondarsi sui principi
della morale cristiana. Nella solenne preghiera sacerdotale, Cristo chiese al
Padre celeste per i suoi seguaci: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che
li custodisca dal maligno... Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho
mandati nel mondo» (Gv 17,15.18). È inammissibile il disprezzo manicheo per il
mondo. La partecipazione del cristiano deve fondarsi sulla consapevolezza che il
mondo, la società umana e lo stato sono oggetto dell'amore di Dio, in quanto
sono destinati alla trasfigurazione e alla purificazione sulla base dell'amore
voluto e comandato da Dio. Il cristiano deve considerare il mondo e la società
alla luce del suo destino ultimo, nella luce escatologica del regno di Dio.
La diversità dei carismi nella
Chiesa si manifesta in modo particolare nel suo ministero sociale. L'indiviso
organismo ecclesiale partecipa pienamente alla vita del mondo, benché il clero,
i monaci e i laici possano attuare tale partecipazione in modi e gradi diversi.
I.4. La
Chiesa adempie la sua missione di salvezza del genere umano non solo attraverso
la predicazione diretta, ma anche attraverso le opere buone, volte al
miglioramento della condizione spirituale, morale e materiale del mondo. Per
questo essa collabora con lo stato, anche se non cristiano, e con diverse
associazioni pubbliche e con singoli individui, anche se essi non si
riconoscono nella fede cristiana. Senza porsi direttamente l’obiettivo di
chiedere la conversione all’ortodossia come condizione per la collaborazione,
la Chiesa spera che le comuni attività caritative possano condurre i suoi
collaboratori e le persone che li circondano alla conoscenza della Verità,
siano di aiuto nel conservare o ritrovare la fedeltà ai principi morali dati da
Dio, e di ispirazione a ricercare la pace, la concordia e la prosperità,
condizioni in cui la Chiesa può realizzare nel migliore dei modi la propria
azione salvifica.
II.1. Il popolo di
Israele dell'Antico Testamento è stato il prototipo del popolo di Dio, della
Chiesa di Cristo nel Nuovo Testamento. L'opera redentrice di Gesù Cristo ha
dato inizio all'esistenza della Chiesa come umanità nuova, discendenza
spirituale del patriarca Abramo. Con il suo sangue, Cristo ha riscattato per
Dio «uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9). La Chiesa per
sua stessa natura ha un carattere universale e, di conseguenza, sovranazionale.
Nella Chiesa «non c'è distinzione fra Giudeo e Greco» (Rm 10,12). Come Dio non
è il Dio solo dei giudei, ma anche di coloro che provengono dai popoli pagani
(Rm 3,29), così anche la Chiesa non opera divisioni di nazionalità o di classe
sociale fra gli uomini : in essa «non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o
incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti»
(Col 3,11).
Nel mondo contemporaneo il concetto
di «nazione» viene utilizzato in due accezioni: come comunità etnica e come
insieme di cittadini di un determinato stato. I rapporti tra Chiesa e nazione
devono essere considerati nel contesto sia del primo che del secondo
significato di questo termine.
Per indicare il concetto di «popolo»
l’Antico Testamento si serve dei termini 'am
e goy. La Bibbia ebraica attribuisce
a questi due termini un significato del tutto concreto: con il primo si
designava il popolo di Israele, eletto da Dio; con il secondo, al plurale (goyim), si indicavano i popoli pagani.
Nella Bibbia greca (Settanta) il primo termine era tradotto con le parole laos (popolo) o demos (popolo come formazione politica), il secondo con il vocabolo
ethnos (nazione; pl. ethne, i pagani).
La contrapposizione tra il popolo eletto
d'Israele e gli altri popoli si ripropone in tutti i libri dell'Antico
Testamento che in un modo o nell'altro raccontano la storia di Israele. Il
popolo di Israele era eletto da Dio non perché fosse superiore agli altri
popoli per numero o per qualche altra prerogativa , ma perché Dio l'aveva
scelto e lo amava (Dt 7, 6-8). Il concetto di popolo eletto da Dio nell'Antico
Testamento era un concetto religioso. Il sentimento di comunità nazionale,
peculiare dei figli di Israele, era radicato nella coscienza della loro
appartenenza a Dio mediante l'alleanza conclusa da Dio con i loro padri. Il
popolo di Israele divenne il popolo di Dio, la cui vocazione era conservare la
fede nell'unico vero Dio e testimoniare questa fede davanti agli altri popoli,
affinché per mezzo di esso fosse rivelato al mondo il Salvatore di tutti gli
uomini, il Dio-uomo Gesù Cristo.
L'unità del popolo di Dio era
garantita, oltre che dall'appartenenza di tutti i suoi membri a una sola
religione, anche dalla comunanza di razza e lingua e dal radicamento in una
determinata terra, la propria patria.
L'identità razziale degli israeliti
era fondata nell’origine da un unico patriarca, Abramo. «Abbiamo Abramo per
padre» (Mt 3,9; Lc 3,8), affermavano gli antichi ebrei, sottolineando la propria
appartenenza alla stirpe di colui che Dio aveva predestinato a diventare «padre
di una moltitudine di popoli» (Gen 17,5). Un grande significato era attribuito
alla preservazione della purezza del sangue: i matrimoni con persone di razza
diversa non erano approvati, perché con tali matrimoni «la stirpe santa» si
mescolava «con le popolazioni locali» (Esd 9,2).
Al popolo d'Israele era stata data
da Dio in sorte la terra promessa. Uscendo dall'Egitto, questo popolo andò in
Canaan, la terra dei suoi avi e, per ordine di Dio, la conquistò. Da questo
momento la terra di Canaan divenne la terra d'Israele, e la sua capitale –
Gerusalemme – divenne il principale centro spirituale e politico del popolo
eletto. Il popolo di Israele parlava una sola lingua, che era la lingua non
solo della vita quotidiana, ma anche della preghiera. L’ebraico era inoltre la
lingua della Rivelazione, poiché in essa Dio stesso parlava con il popolo
d'Israele. Nell'epoca precedente l'avvento di Cristo, quando gli abitanti della
Giudea parlavano in aramaico, e il greco fu elevato al rango di lingua
ufficiale, l'ebraico continuò a essere considerato la lingua sacra, nella quale
si celebravano i riti religiosi nel tempio.
Essendo per sua natura universale,
la Chiesa nello stesso tempo è un organismo unitario, un corpo (1Cor 12,12).
Essa è la comunità dei figli di Dio, «la stirpe eletta, il sacerdozio regale,
la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato... un tempo non-popolo, ora
invece il popolo di Dio» (1Pt 2,9-10). L'unità di questo nuovo popolo è data
non dall'unità nazionale, culturale o linguistica, ma dalla fede in Cristo e
nel Battesimo. Il nuovo popolo di Dio «non ha quaggiù una città stabile, ma
cerca quella futura» (Eb 13,14). La patria spirituale di tutti i cristiani non
è la Gerusalemme terrena, ma quella «di lassù» (Gal 4,26). Il vangelo di Cristo
viene predicato non in una lingua sacra, comprensibile a un solo popolo, ma in
tutte le lingue (At 2,3-11). Il vangelo viene proclamato perché non il solo
popolo eletto custodisca la vera fede, ma perché «nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua
proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,10-11).
II.2. Il
carattere universale della Chiesa, tuttavia, non significa che i cristiani non
abbiano il diritto a una propria identità nazionale e a una lingua nazionale.
Anzi, la Chiesa riunisce in sé il principio universale con quello nazionale.
Così, la Chiesa ortodossa, pur essendo universale, è costituita da una
molteplicità di chiese locali autocefale. I cristiani ortodossi, pur avendo
coscienza di essere cittadini della patria celeste, non devono dimenticare la
propria patria terrena. Lo stesso divino Fondatore della Chiesa, il Signore
Gesù Cristo, non aveva un rifugio terreno (Mt 8,20) e affermava che il suo
insegnamento non aveva carattere né locale né nazionale: «È giunto il momento
in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21).
Egli, d'altra parte, identificava se stesso con il popolo al quale apparteneva
per generazione umana. Parlando con la donna samaritana, egli sottolinea la
propria appartenenza alla nazione giudaica: «Voi adorate quel che non
conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai
Giudei» (Gv 4,22). Gesù era un suddito leale dell'Impero romano e pagava i
tributi dovuti a Cesare (Mt 22,16-21). L'apostolo Paolo, pur avendo
sottolineato nelle sue lettere la natura sovranazionale della Chiesa di Cristo,
non dimentica che egli è per nascita «ebreo da Ebrei» (Fil 3,5), ma per
cittadinanza romano (At 22,25-29).
Le differenze culturali fra i
singoli popoli trovano espressione nelle forme liturgiche ed ecclesiali e nelle
peculiarità dello stile di vita cristiano. Tutto questo dà vita alla cultura
cristiana nazionale.
Tra i santi venerati dalla Chiesa
ortodossa, molti sono stati celebrati per l'amore verso la propria patria
terrena e per la loro dedizione a essa. Le fonti agiografiche russe esaltano il
santo principe Michail di Tver', che «diede la sua anima per la patria»,
paragonando la sua impresa con il martirio del protomartire Demetrio di
Tessalonica, «fervido amante della patria... così pregò per la patria sua, la
città di Tessalonica: o Signore, qualora dovesse perire questa città, allora
anch'io morirò con essa, qualora dovessi salvarla, allora anch'io sarò salvo».
In tutti i tempi la Chiesa ha
esortato i suoi figli ad amare la patria terrena e a non risparmiare la vita
per difenderla, qualora fosse minacciata da un pericolo. La Chiesa russa più
volte ha benedetto il popolo che si impegnava in una guerra di liberazione.
Così, nel 1380, il beato Sergio, igumeno e taumaturgo di Radonez, benedisse
l'esercito russo guidato dal santo principe Dimitrij Donskoj che andava in
battaglia contro i conquistatori tartaro-mongoli. Nel 1612 il santo Germogen,
Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, benedisse le milizie irregolari in
lotta contro gli invasori polacchi. Nel 1813, al tempo della guerra contro gli
invasori francesi, il santo Filarete di Mosca disse ai suoi fedeli: «Cercando
di sfuggire alla morte per onore della fede e per la libertà della Patria, tu
morirai come un criminale o uno schiavo; se morirai per la fede e per la
Patria, riceverai la vita e una corona in cielo».
S. Giovanni di Kronstad così
scriveva dell'amore verso la patria terrena: «Ama la patria terrena... essa ti
ha allevato, formato, onorato, ti ha soddisfatto in tutto; ma soprattutto ama
la patria celeste... questa patria è incomparabilmente più cara di quella,
perché è santa e giusta, eterna. Questa patria è stata meritata per te dal
preziosissimo sangue del Figlio di Dio. Ma per essere membro di questa patria,
osserva e ama le sue leggi, come sei tenuto a osservare e osservi le leggi
della patria terrena».
II.3. Il
patriottismo cristiano si manifesta contemporaneamente nei confronti della
nazione sia come comunità etica che come comunità di cittadini dello stato. Il
cristiano ortodosso è chiamato ad amare la propria patria, che ha una
dimensione territoriale, e i propri fratelli di sangue che vivono in tutto il
mondo. Tale amore è uno dei modi di attuare il comando di Dio dell'amore del
prossimo, che comprende l'amore per la propria famiglia, i connazionali e i
concittadini.
Il
patriottismo del cristiano ortodosso deve essere efficace. Esso si manifesta
nella difesa della patria dal nemico, nel lavoro per il bene della patria,
nella sollecitudine per l'organizzazione della vita del popolo, anche mediante
la partecipazione al governo dello stato. Il cristiano è chiamato a custodire e
a sviluppare la cultura nazionale e l'autocoscienza del popolo.
La nazione, civile o etnica, quando
è del tutto o per la maggior parte una comunità ortodossa monoconfessionale,
può essere in un certo senso considerata un'unica comunità di fede: una nazione
ortodossa.
II.4. Nello
stesso tempo i sentimenti nazionali possono indurre a convinzioni e fenomeni
peccaminosi, quali il nazionalismo aggressivo, la xenofobia, la pretesa
supremazia nazionale, l'ostilità interetnica. Nella loro espressione estrema
questi fenomeni spesso portano alla restrizione dei diritti di individui e di
popoli, alle guerre e ad altre manifestazioni di violenza.
È
contrario all'etica ortodossa operare distinzioni di carattere morale fra le
nazioni e umiliare una qualsiasi nazione, etica o civile. A maggior ragione
sono in contrasto con l'ortodossia gli insegnamenti che mettono la nazione al
posto di Dio o degradano la fede a uno degli aspetti dell'autocoscienza
nazionale.
Opponendosi a
tali distorsioni peccaminose, la Chiesa
ortodossa attua la missione di riconciliazione tra le nazioni ostili e i loro
rappresentanti. Così, nel corso dei conflitti interetnici essa non si schiera
con questa o quella parte, a eccezione dei casi in cui una delle parti abbia
perpetrato un’evidente aggressione o una palese ingiustizia.
III.1. La Chiesa, in quanto organismo divinoumano,
ha non solo una natura sacramentale, non soggetta alle forze del mondo, ma
anche una natura storica che entra in contatto e in rapporto con il mondo
esterno, e quindi anche con lo stato. Lo stato, che esiste per l'organizzazione
della vita del mondo, entra in contatto con la Chiesa. I rapporti tra lo stato
e i seguaci della vera religione hanno evidenziato un costante cambiamento nel
corso della storia.
La cellula primaria della società
umana fu la famiglia. La storia sacra dell'Antico Testamento testimonia che lo
stato non si formò immediatamente. Fino al passaggio in Egitto dei fratelli di
Giuseppe, il popolo veterotestamentario non ebbe uno stato, ma esisteva una
società patriarcale legata da vincoli di sangue. Lo stato a poco a poco si forma
nell'epoca dei Giudici. In seguito a una complessa evoluzione storica, guidata
dalla Provvidenza di Dio, i rapporti sociali si fanno via via più articolati e
si arriva alla nascita degli stati.
Nell'antico Israele fino all'epoca
dei Re è esistita una vera teocrazia unica nella storia, cioè un governo di
Dio. Tuttavia, man mano che la società si allontanava dall'obbedienza a Dio
come criterio guida nelle vicende del mondo, gli uomini cominciarono a
riflettere sulla necessità di avere un sovrano terreno. Il Signore, approvando
la scelta degli uomini e ratificando la nuova forma di governo, nello stesso
tempo si rammarica del fatto che essi hanno abbandonato la guida di Dio: «Il
Signore rispose a Samuele: «Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto,
perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non
regni più su di essi... Ascolta pure la loro richiesta, però annunzia loro
chiaramente le pretese del re che regnerà su di loro» (1Sam 8,7.9).
In tal modo, data l'origine dello
stato laico, esso deve essere inteso non come una realtà stabilita da Dio da
sempre, ma come la possibilità concessa da Dio agli uomini di organizzare la
propria vita sociale fondandosi sulla libera espressione della loro volontà,
affinché tale organizzazione, essendo la risposta alla realtà terrena deturpata
dal peccato, li aiutasse a evitare un peccato ancor più grande attraverso
l'opposizione a esso con i mezzi del potere temporale. Con ciò il Signore per
bocca di Samuele dice chiaramente che si aspetta da questa autorità la fedeltà
ai suoi comandamenti e l'attuazione di buone opere. «Ora eccovi il re che avete
scelto e che avevate chiesto. Vedete che il Signore ha costituito un re sopra
di voi. Dunque se temerete il Signore, se lo servirete e ascolterete la sua
voce e non sarete ribelli alla parola del Signore, voi e il re che regna su di
voi vivrete con il Signore vostro Dio. Se invece non ascolterete la voce del
Signore e sarete ribelli alla sua parola, la mano del Signore peserà su di voi,
come pesò sui vostri padri» (1Sam 12,13-15). Quando Saul trasgredì ai
comandamenti del Signore, Dio lo rigettò (1Sam 16,1), avendo ordinato a Samuele
di ungere re un altro suo eletto, Davide, figlio del pastore Iesse.
Il Figlio di Dio, che domina sul
cielo e sulla terra (Mt 28,18), attraverso l'incarnazione, si sottomise
all'ordine terreno; volle obbedire anche ai detentori del potere statale. Al
suo crocifissore Pilato, procuratore romano a Gerusalemme, il Signore disse:
«Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto»
(Gv 19,11). In risposta alla provocatoria domanda di un fariseo se fosse lecito
dare il tributo all'imperatore romano, il Salvatore disse: «Rendete a Cesare
quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21).
Spiegando l'insegnamento di Cristo
sul giusto atteggiamento da tenere verso il potere dello stato, l'apostolo
Paolo scriveva: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non
c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi
chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che
si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono
da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da
temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di
Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa
porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi
opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della
punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i
tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio.
Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le
tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto» (Rm
13,1-7).
La stessa idea espresse anche
l'apostolo Pietro: «State sottomessi a ogni istituzione umana per amore del
Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per
punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che,
operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti.
Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo
per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (1 Pt 2,13-16). Gli apostoli
insegnavano ai cristiani a obbedire alle autorità statali indipendentemente dal
rapporto di queste con la Chiesa. Nei tempi apostolici la Chiesa di Cristo era
perseguitata sia dalle autorità giudaiche locali sia da quelle romane. Questo
però non impedì ai martiri e agli altri cristiani di quel tempo di pregare per
i loro persecutori e di riconoscerne l’autorità.
La necessità dello stato
per arginare il male
III.2. La
caduta di Adamo portò nel mondo peccati e vizi, che richiedevano un’opposizione
da parte della collettività: il primo fu l'uccisione di Abele da parte di Caino
(Gen 4,1-16). Gli uomini, divenuti consapevoli di questa disposizione al male,
in tutte le società che conosciamo cominciarono a stabilire delle leggi che
arginassero il male e sostenessero il bene. Per il popolo dell'Antico
Testamento il legislatore fu Dio stesso, che aveva dato i precetti che
regolamentavano non solo la vita religiosa individuale, ma anche quella sociale
(Es 20-23).
Dio benedice lo stato in quanto
elemento necessario per vivere in un mondo corrotto dal peccato, dalle cui
pericolose manifestazioni l'individuo e la società hanno bisogno di essere
difesi. Nello stesso tempo l'indispensabilità dello stato scaturisce non
immediatamente dalla volontà di Dio sul progenitore Adamo, ma dalle conseguenze
del peccato originale e dal fatto che le azioni volte ad arginare la supremazia
del peccato nel mondo erano conformi alla volontà di Dio. La Sacra Scrittura ammonisce coloro che detengono il potere a usare
l'autorità dello stato solo per arginare il male e per sostenere il bene, e in
questo sta il significato morale dell'esistenza dello stato (Rm 13,3-4). Da
ciò discende che , l'anarchia è l'assenza della necessaria organizzazione dello
stato e della società – e parimenti gli appelli all'anarchia e il tentativo di
una sua instaurazione contraddicono la concezione cristiana del mondo (Rm
13,2).
La
Chiesa non solo impone ai propri figli di obbedire all'autorità statale,
indipendentemente dalle idee e dalla religione di chi la detiene, ma anche di
pregare per essa, «perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla
con tutta pietà e dignità» (1 Tm 2,2). Nello
stesso tempo i cristiani devono evitare di assolutizzare il potere e devono
guardarsi dal non riconoscere i limiti del suo valore puramente terreno,
temporaneo e transitorio, condizionato dalla presenza nel mondo del peccato e
dalla necessità di arginarlo. Secondo la dottrina della Chiesa, neppure il
potere ha il diritto di assolutizzare se stesso, estendendo i propri limiti
fino alla totale autonomia da Dio e dall'ordine da lui stabilito, cosa che può
portare ad abusi di potere e addirittura alla divinizzazione dei governanti.
Lo stato, così come le altre istituzioni umane, anche se dirette al bene, può
tendere a trasformarsi in un'istituzione autosufficiente. Numerosi esempi
storici di una simile trasformazione dimostrano che in questo caso lo stato
perde la sua destinazione autentica.
Chiesa e
stato, finalità diverse
III.3. Nei
rapporti tra la Chiesa e lo stato si deve tener conto della diversità delle
loro nature. La Chiesa è stata fondata direttamente da Dio stesso, il Signore
nostro Gesù Cristo, mentre l'origine dell'istituzione – voluta da Dio – del
potere statale appare nel processo storico in maniera mediata. La finalità
della Chiesa è la salvezza eterna degli uomini, la finalità dello stato
consiste nel loro benessere terreno.
«Il mio regno non è di questo
mondo», dice il Salvatore (Gv 18,36). «Questo mondo» solo in parte obbedisce a
Dio, ma soprattutto cerca di rendersi autonomo dal proprio Creatore e Signore.
Il mondo, nella misura in cui disobbedisce a Dio, obbedisce al «padre della
menzogna» e «giace sotto il potere del maligno» (Gv 8,44; 1 Gv 5,19). La Chiesa
invece è «corpo di Cristo» (1 Cor 12,27), «colonna e sostegno della verità» (1
Tm 3,15): nella sua essenza mistica e sacramentale non può avere in sé alcun
male, né ombra di tenebra. Lo stato, poiché fa parte «di questo mondo», non
partecipa al regno di Dio, dato che dove Cristo «è tutto in tutti» (Col 3,11)
non c'è posto per la coercizione, non c'è contrapposizione tra l'uomo e Dio e,
di conseguenza, non c'è neppure lo stato.
Nel
mondo contemporaneo lo stato solitamente è laico e non è vincolato da alcun
tipo di obblighi religiosi. La sua collaborazione con la Chiesa è limitata a
certi settori e si basa su un principio di non ingerenza reciproca.
Tuttavia, di norma, lo stato riconosce che il benessere terreno è inconcepibile
senza l'osservanza di determinate norme morali, di quelle stesse che sono
indispensabili anche per la salvezza eterna dell'uomo. Per questo gli obiettivi
e l'attività della Chiesa e dello stato possono coincidere non solo per quanto
riguarda la ricerca di una prosperità puramente terrena, ma anche per la
realizzazione della missione salvifica della Chiesa.
Non si può intendere il principio
della laicità dello stato nel senso di una radicale esclusione della religione
da tutti gli ambiti della vita del popolo, di un’estromissione delle
associazioni religiose dalle decisioni su importanti problemi sociali e della
negazione del loro diritto di giudicare le azioni dell’autorità statale. Questo
principio presuppone solo una separazione ben precisa degli ambiti che sono di
competenza della Chiesa da quelli che sono invece di competenza dello stato, e
la non ingerenza reciproca.
La
Chiesa non deve assumersi funzioni di pertinenza dello stato: l'opposizione
al peccato mediante la violenza, l'uso dei pieni poteri proprio delle autorità
laiche, l'assunzione di funzioni del potere statale, che comportano misure
coercitive o restrittive. Nello stesso
tempo la Chiesa può rivolgersi all'autorità statale con la richiesta o l'invito
pressante a esercitare il potere in questo o quel caso, ma la decisione
compete comunque allo stato.
Lo
stato non deve intromettersi nella vita della Chiesa o nel suo governo, nella
sua dottrina, nella vita liturgica e nella pratica religiosa ecc., come pure in
generale nell'attività delle istituzioni ecclesiastiche canoniche, a eccezione
di quegli ambiti nei quali la Chiesa deve operare come persona giuridica
instaurando inevitabilmente determinati rapporti con lo stato, con i suoi organi
legislativi e di governo. La Chiesa si aspetta dallo stato il rispetto delle
sue leggi canoniche e delle altre disposizioni interne.
La forma ideale del rapporto Chiesa-stato
nella tradizione ortodossa
III.4. Il rapporto fra la
Chiesa ortodossa e lo stato ha assunto, nel corso della storia, diverse forme.
Nella tradizione ortodossa si è
venuta creando una precisa concezione della forma ideale che dovrebbero avere
le relazioni tra Chiesa e stato. Poiché le relazioni tra stato e Chiesa hanno
carattere bilaterale, questa forma ideale storicamente ha potuto essere
elaborata solo in uno stato che riconosceva nella Chiesa ortodossa la massima
«realtà sacra» popolare – in altre parole, in uno stato ortodosso.
I tentativi di attuare tale forma
furono intrapresi a Bisanzio, dove i princìpi dei rapporti tra stato e Chiesa
trovarono espressione nei canoni e nelle leggi statali dell'impero, e si
rifletterono negli scritti patristici. Nel loro insieme questi principi vennero
definiti «una sinfonia di Chiesa e stato», che essenzialmente consiste nella
reciproca collaborazione, nel sostegno reciproco e nella reciproca
responsabilità, senza alcuna ingerenza di una parte nella sfera di competenza
esclusiva dell'altra. Il vescovo si sottomette al potere statale in quanto
suddito, e non perché la sua autorità episcopale provenga dal rappresentante
del potere statale. Proprio nello stesso modo anche il rappresentante del
potere statale obbedisce al vescovo in quanto membro della Chiesa, che cerca in
essa la salvezza, e non perché il suo potere abbia origine dall'autorità del
vescovo. Lo stato, in virtù dei suoi rapporti «sinfonici» con la Chiesa, cerca
in essa il sostegno spirituale, richiede preghiere per sé e la benedizione
divina sulla sua attività volta al raggiungimento del benessere dei cittadini,
mentre la Chiesa riceve dallo stato aiuto per la creazione delle condizioni
favorevoli per la predicazione e per il nutrimento spirituale dei suoi figli,
che sono nello stesso tempo cittadini dello stato.
Nella VI Novella di Giustiniano viene formulato il principio che sta alla
base della «sinfonia» di Chiesa e stato: «I beni più grandi che siano stati
elargiti agli uomini dalla grazia di Dio sono il clero e il sovrano, dei quali
il primo (il clero, l'autorità ecclesiastica) provvede alle cose divine, e il
secondo (il sovrano, il potere statale) guida e provvede alle cose umane, ed
entrambi, derivando da una sola e medesima sorgente, costituiscono la
caratteristica più nobile dell'esistenza umana. Per questo nulla sta tanto a
cuore dei sovrani quanto l'onore dei ministri del culto, i quali da parte loro
li servono, pregando incessantemente Dio per loro. E se il clero sarà in tutto
ben regolato e gradito a Dio, e l'autorità statale amministrerà secondo verità
lo stato affidatole, allora ci sarà il pieno accordo tra di essi in tutto ciò
che serve all'utilità e al bene del genere umano. Perciò facciamo il massimo
sforzo la tutela dei veri dogmi divini e per l'onore del clero, sperando
mediante ciò di ricevere grandi benedizioni da Dio e di conservare saldamente
quelle che abbiamo». Attenendosi a questo principio, l'imperatore Giustiniano
nelle sue «Novelle» riconosceva alle leggi canoniche la forza di leggi statali.
La formula bizantina classica dei
rapporti tra l'autorità statale e l'autorità ecclesiastica è racchiusa nell'Epanagoge (seconda metà del IX secolo):
«Il potere temporale e il clero stanno tra loro come il corpo e l'anima, e sono
necessari per l'organizzazione dello stato proprio come il corpo e l'anima nell'uomo
vivente. Nel loro rapporto e nella loro armonia sta il benessere dello stato».
Tuttavia, questa «sinfonia» a
Bisanzio non si realizzò in una forma assolutamente pura. Nella pratica essa
subì violazioni e distorsioni. La Chiesa fu non di rado oggetto di pretese
cesaropapiste da parte del potere statale. In sostanza il capo dello stato,
l'imperatore, rivendicava per sé il diritto di avere la parola decisiva
nell'organizzazione degli affari ecclesiastici. Queste rivendicazioni
derivavano, oltre che da un'ambizione umana peccaminosa, da una ragione
storica. Gli imperatori cristiani di Bisanzio erano i diretti successori degli
imperatori romani pagani, che tra i molti altri titoli si fregiavano anche di
quello di pontifex maximus, cioè:
«sommo sacerdote supremo «. La tendenza cesaropapista si manifestò, nella sua
forma più patente e pericolosa per la Chiesa, nella politica degli imperatori
eretici, in particolare nel periodo iconoclastico. I principi russi, a
differenza degli imperatori bizantini, avevano alle spalle una tradizione
diversa. Per questa e per altre ragioni storiche, in Russia i rapporti tra
l'autorità ecclesiastica e quella statale nell'antichità furono più armonici.
D'altra parte, si verificarono anche casi di inosservanza delle leggi canoniche
(sotto il governo di Ivan il Terribile e nella contrapposizione fra lo zar
Alessio Michajlovic e il patriarca Nikon).
Per quanto riguarda il periodo
sinodale, un'indubbia deformazione del principio «sinfonico» nel corso di due
secoli di storia ecclesiastica è connessa con la chiara influenza della
dottrina protestante della territorialità e del credo religioso di stato (vedi
più sotto) sulla concezione russa del diritto e della vita politica. Il
Concilio locale del 1917-18 intraprese il tentativo di affermare l'ideale della
«sinfonia» nella nuova situazione venutasi a creare con la caduta dell’impero.
Nella dichiarazione che precedette la Risoluzione sui rapporti tra Chiesa e
stato, l'esigenza della separazione fra Chiesa e stato è paragonata all’auspicio
che «il sole non splenda, e il fuoco non riscaldi. La Chiesa per la legge
interna della sua stessa essenza non può rifiutarsi di illuminare, di
trasfigurare tutta la vita dell'uomo, di penetrarla con i suoi raggi». Nella
Risoluzione del Concilio sulla posizione giuridica della Chiesa ortodossa
russa, lo stato, in particolare, è invitato ad accogliere le seguenti
proposizioni: «La Chiesa ortodossa russa, facendo parte dell'unica Chiesa di
Cristo universale, dovrà avere uno status giuridico e pubblico superiore a
quello delle altre confessioni religiose dello stato russo. Tale sovreminenza
le è propria in quanto essa è la «realtà sacra suprema» per la stragrande
maggioranza della popolazione oltre che una forza storica significativa nella
creazione dello stato russo. (...) Le deliberazioni e le norme legittime
ufficiali pubblicate per sé dalla Chiesa ortodossa nell'ordine da essa
stabilito, come pure le decisioni degli organi direttivi e dei tribunali
ecclesiastici, sono riconosciute dallo stato come aventi vigore e portata
giuridica dal momento della loro promulgazione da parte dell’autorità
ecclesiastica, purché non violino le leggi statali... Le leggi dello stato
riguardanti la Chiesa ortodossa sono emanate non altrimenti che in accordo con
l'autorità ecclesiastica». I successivi Concili locali si sono svolti in
condizioni storiche tali da rendere impossibile il ritorno ai princìpi
pre-rivoluzionari dei rapporti tra Chiesa e stato. Nondimeno la Chiesa ha
ribadito il proprio ruolo tradizionale nella vita della società e ha espresso
la volontà di operare nella sfera del sociale. Così, il Concilio locale del
1990 ha constatato: «Nel corso della sua storia millenaria, la Chiesa ortodossa
russa ha educato i credenti nello spirito del patriottismo e dell'amore della
pace. Il patriottismo si manifesta nell'atteggiamento di rispetto per l'eredità
storica della Patria, in uno spirito civile operoso e attivo, che partecipa
alle gioie e alle sofferenze del proprio popolo, nel lavoro zelante e
coscienzioso, nella sollecitudine per lo stato morale della società e per la
preservazione dell'ambiente naturale» (dal Messaggio del Concilio).
In Occidente, nel Medioevo, si venne
a formulare, non senza l'influenza dell'opera di s. Agostino «La città di Dio»,
la dottrina delle «due spade», secondo la quale entrambi i poteri –
ecclesiastico e statale – l'uno in maniera diretta, l'altro in maniera
indiretta, discendono dal vescovo di Roma. I papi furono monarchi con potere
assoluto su una parte dell'Italia, lo Stato pontificio, il cui residuo è
l'attuale Vaticano; molti vescovi, soprattutto nella Germania feudale, erano
principi che esercitavano una giurisdizione di tipo statale sul loro
territorio, avevano un proprio governo e un esercito.
La Riforma rese impossibile il
mantenimento del potere temporale del papa e dei vescovi cattolici sul
territorio delle nazioni che erano diventate protestanti. Nei secoli XVII-XIX,
le condizioni giuridiche mutarono a tal punto nei paesi cattolici che in
pratica la Chiesa cattolica venne esclusa dalle funzioni di governo. Tuttavia,
oltre alla presenza dello Stato del Vaticano, la dottrina delle «due spade» ha
contribuito a conservare la consuetudine di stipulare trattati sotto forma di
concordati fra la curia romana e gli stati nel cui territorio si trovano
comunità cattoliche. A causa di ciò lo stato giuridico di queste comunità era
definito in molti paesi non già dalle sole leggi interne, ma anche dal diritto
che regolava le relazioni internazionali, al quale era soggetto lo stato del
Vaticano.
Nei paesi in cui ha trionfato la
Riforma e più tardi in alcuni paesi cattolici, le relazioni fra Chiesa e stato
si sono andate configurando all’insegna del principio di territorialità, che
attribuiva allo stato la piena sovranità su un territorio e sulle comunità
religiose che in esso si trovavano. Questo sistema di relazioni si esprimeva
nella formula cujus est regio, illius est
religio (la religione del popolo è quella del sovrano). La coerente
attuazione di tale sistema comportava l'espulsione dallo stato dei seguaci di
una religione diversa da quella dei detentori del potere statale supremo
(questo è accaduto più volte in pratica). Tuttavia in realtà si è andata
affermando una forma meno rigida di questo principio, la cosiddetta «religione
di stato», in base alla quale si attribuiscono privilegi di Chiesa di stato
alla comunità religiosa predominante, alla quale appartiene il sovrano, che ne
è ufficialmente il capo. La combinazione fra questo sistema di rapporti
Chiesa-stato e le tracce della «sinfonia» tradizionale, ereditata da Bisanzio,
ha determinato l'originalità dello stato giuridico della Chiesa ortodossa nella
Russia del periodo sinodale.
Negli Stati Uniti d'America, che sin
dall'inizio sono apparsi come una nazione pluriconfessionale, si è consolidato
il principio della radicale separazione fra Chiesa e stato, che presupponeva la
neutralità del sistema di potere rispetto a tutte le confessioni religiose. La
neutralità assoluta tuttavia non è mai raggiungibile. Ogni stato si trova a
dover fare i conti con la reale composizione religiosa della popolazione.
Nessuna denominazione cristiana singolarmente costituisce la maggioranza negli
Stati Uniti, tuttavia la gran parte dei cittadini statunitensi è appunto
cristiana. Questa realtà si riflette, in particolare, nella cerimonia del
giuramento del presidente sulla Bibbia, nell’ufficializzazione della domenica
come giorno festivo e così via.
Il principio della separazione fra
Chiesa e stato ha, tuttavia, anche un'altra origine. Nel continente europeo
esso è stato l'esito della lotta anticlericale o apertamente antiecclesiastica,
ben nota, in particolare, dalla storia della rivoluzione francese. In questi
casi la Chiesa è separata dallo stato non a causa della multiconfessionalità
della popolazione del paese, ma perché lo stato appoggia questa o quella
ideologia anticristiana o in generale antireligiosa. A questo punto non ha più
senso parlare di neutralità dello stato riguardo alla religione e neppure della
sua natura puramente laica. Per la Chiesa questo solitamente comporta
difficoltà, restrizioni nei diritti, discriminazione o aperte persecuzioni. La
storia del XX secolo ha mostrato in diversi paesi del mondo molti esempi di un
simile atteggiamento dello stato verso la religione e la Chiesa.
Esiste anche una forma di relazione
tra Chiesa e stato intermedia tra la separazione radicale della Chiesa dallo
stato, quando la Chiesa gode di uno status di associazione privata, e la
«Chiesa di stato». Ci riferiamo allo status della Chiesa come associazione di
diritto pubblico. In questo caso la Chiesa può avere una serie di privilegi e
di doveri, che le vengono delegati dallo stato, senza essere Chiesa di stato
nel senso proprio del termine.
Una serie di nazioni moderne – per
esempio la Gran Bretagna, la Finlandia, la Norvegia, la Danimarca e la Grecia –
conserva una Chiesa di stato. Altri stati, che con il tempo diventeranno sempre
più numerosi (USA, Francia), fondano i propri rapporti con le comunità
religiose sul principio della totale separazione. In Germania, la Chiesa
cattolica, quella evangelica e alcune altre chiese hanno lo status di
associazioni di diritto pubblico, mentre altre comunità religiose sono del
tutto separate dallo stato e sono considerate associazioni private. In pratica,
tuttavia, la reale posizione delle comunità religiose nella maggior parte di
questi stati dipende minimamente dall’essere o meno separate dallo stato. In
alcune nazioni dove le chiese conservano lo status di associazioni pubbliche,
esso si riduce alla riscossione di tasse per il loro mantenimento attraverso
enti tributari statali e al riconoscimento della validità giuridica delle
registrazioni ecclesiastiche di battesimi e matrimoni al pari dei certificati
di stato civile registrati dagli organi amministrativi dello stato.
Oggi la Chiesa ortodossa svolge il
suo servizio a Dio e agli uomini in diversi paesi. In alcuni essa rappresenta
la religione nazionale (Grecia, Romania, Bulgaria), in altri, plurinazionali,
costituisce la religione della maggioranza della popolazione (Russia), in altri
ancora, i membri della Chiesa ortodossa rappresentano una minoranza religiosa
che convive con cristiani non ortodossi (USA, Polonia, Finlandia) oppure con
credenti di altre religioni (Siria, Turchia, Giappone). In alcuni piccoli stati
la Chiesa ortodossa ha la prerogativa di religione di stato (Grecia, Finlandia,
Cipro), mentre in altri è separata dallo stato. Sono inoltre diverse le
condizioni politiche e giuridiche concrete nelle quali vivono le chiese
ortodosse locali. Tutte comunque si fondano, sia nell’organizzazione interna
sia nei rapporti con l'autorità statale, sui precetti di Cristo, sulla dottrina
degli apostoli, sui sacri canoni, su un'esperienza storica bimillenaria, e in
qualsiasi condizione trovano la possibilità di adempiere alla missione che Dio
ha loro affidato, manifestando con ciò la propria natura soprannaturale, la
propria origine celeste e divina.
III.5. Avendo nature diverse, Chiesa e stato usano
mezzi diversi per raggiungere le proprie finalità. Lo stato si basa
fondamentalmente sulla forza materiale, inclusa la forza della coercizione, e
sui rispettivi sistemi ideologici laici. La Chiesa invece dispone di mezzi
religioso-morali per offrire una guida spirituale ai suoi fedeli e per attirare
nuovi figli.
La
Chiesa infallibilmente predica la verità di Cristo e insegna agli
uomini i precetti morali che provengono da Dio stesso, e per questo non ha il
potere di cambiare alcunché nella sua dottrina. Non ha il potere neppure di tacere, di interrompere la predicazione
della verità, quali che siano gli insegnamenti imposti o diffusi dalle autorità
statali. A questo riguardo la Chiesa è assolutamente libera dallo stato. A
motivo della predicazione della verità senza remore e limitazioni, la Chiesa più
volte nella storia ha subito persecuzioni per mano dei nemici di Cristo. Ma,
anche se perseguitata, la Chiesa è chiamata a sopportare con pazienza le
persecuzioni, senza rifiutare la propria lealtà allo stato che la perseguita.
La sovranità giuridica sul
territorio dello stato appartiene alle sue autorità. Di conseguenza, esse
stabiliscono anche lo stato giuridico della Chiesa locale o di una sua parte,
concedendole la possibilità di compiere senza ostacoli la missione ecclesiale o
limitando tale possibilità. L'autorità statale con il suo stesso atteggiamento
di fronte alla verità eterna si giudica da sé e in definitiva si prepara il
proprio destino. La Chiesa mantiene la
propria lealtà allo stato, ma al di sopra dell'esigenza della lealtà sta il
comando divino di perseguire la salvezza degli uomini in qualsiasi condizione e
in qualsiasi circostanza.
Se il
potere costringe i credenti ortodossi ad abbandonare Cristo e la sua Chiesa, come pure a commettere azioni
peccaminose e dannose per l'anima, la Chiesa ha il dovere di rifiutare
l’obbedienza allo stato. Il cristiano, seguendo il dettame della coscienza,
può non eseguire gli ordini dell'autorità statale, ove questi lo inducessero a
un peccato grave. La Chiesa e le sue autorità, qualora ravvisassero l’impossibilità
di obbedire alle leggi e agli ordinamenti dello stato, dopo aver debitamente
esaminato la questione, possono intraprendere le seguenti azioni: iniziare un
dialogo diretto con l'autorità sul problema sorto; invitare il popolo a
impiegare meccanismi democratici per cambiare le leggi o rivedere le
deliberazioni dell'autorità statale; appellarsi agli organi internazionali e
all'opinione pubblica mondiale; invitare i propri fedeli alla disobbedienza
civile pacifica.
III.6. Il
principio della libertà di coscienza, che nasce come concezione giuridica nei
secc. XVIII-XIX, si trasforma in uno dei principi fondamentali dei rapporti tra
gli individui solo dopo la prima guerra mondiale. Oggi esso viene affermato
dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e rientra nelle
costituzioni della maggior parte degli stati. La comparsa del principio della
libertà di coscienza è la testimonianza di come, nel mondo contemporaneo, la
religione da «fatto pubblico» si trasformi in «fatto privato» dell'individuo.
Preso a sé, questo processo testimonia la disgregazione del sistema dei valori
spirituali e lo smarrimento dell'aspirazione alla salvezza nella maggior parte
delle persone che affermano il principio della libertà di coscienza. Se
inizialmente lo stato è sorto come strumento di ratifica della legge divina
nella società, la libertà di coscienza trasforma definitivamente lo stato in
un'istituzione esclusivamente terrena, che non ha obblighi religiosi di alcun
tipo.
L'affermazione del principio
giuridico della libertà di coscienza testimonia la perdita da parte della
società delle finalità e dei valori religiosi, l'apostasia di massa e
l'indifferenza reale verso l'opera della Chiesa e la vittoria sul peccato. Ma
questo principio si rivela uno dei mezzi di esistenza della Chiesa in un mondo
areligioso, in quanto le permette di avere uno status legale in uno stato laico
e di essere indipendente dai cittadini di religione diversa o dai non credenti.
La
neutralità dello stato dal punto di vista religioso e ideologico non
contraddice la vocazione della Chiesa a operare nella società. Tuttavia la
Chiesa deve testimoniare allo stato come sia inammissibile la diffusione di
idee e di azioni che portano a un controllo totale sulla vita dell'individuo,
sulle sue opinioni e sui rapporti con gli altri, alla disgregazione della
moralità personale, familiare o sociale, all'offesa dei sentimenti religiosi,
alla compromissione dell'originalità culturale e spirituale del popolo o alla
minaccia nei confronti del sacro dono della vita. Nell'attuazione dei suoi
programmi sociali, assistenziali, educativi e di altri programmi socialmente
significativi, la Chiesa può fare affidamento sull'aiuto e sul contributo dello
stato. Essa ha anche il diritto di aspettarsi che lo stato, nell'instaurazione
dei suoi rapporti con le associazioni religiose, tenga in considerazione la
consistenza numerica dei loro componenti, il loro ruolo nella formazione della
fisionomia storica, culturale e spirituale del popolo e la loro posizione
civile.
«Religiosità»
delle forme di governo
III.7. La forma e i metodi del governo per
molti aspetti sono subordinati allo stato spirituale e morale della società.
Consapevole di ciò, la Chiesa accetta la scelta operata dal popolo o per lo meno non le si oppone.
Al tempo dei Giudici – l'ordinamento sociale descritto nel libro dei Giudici –
il potere agiva non attraverso la coercizione, ma con la forza dell'autorità;
nello stesso tempo questa autorità era legittimata dall'approvazione divina.
Perché tale autorità si esprima con efficacia, nella società la fede deve
essere assai forte. Al tempo della monarchia
il potere rimane di origine divina, ma non viene ormai più esercitato facendo
leva sull'autorità spirituale, quanto piuttosto sulla coercizione. Il passaggio
dai Giudici alla monarchia fu la testimonianza di un rilassamento della fede,
da cui scaturì anche la necessità di sostituire il Re invisibile con un re
visibile. Le democrazie contemporanee, tra cui anche quelle di forma monarchica,
non cercano un'approvazione divina della propria autorità. Nella società laica
esse rappresentano la forma di governo che presuppone il diritto di ogni
cittadino dotato di capacità giuridica di esprimere la propria volontà per
mezzo di elezioni.
Ogni
cambiamento della forma di governo che tenda a un maggior radicamento nella
religione, senza essere accompagnato da un’elevazione spirituale della società,
degenera inevitabilmente nella menzogna e nell’ipocrisia, indebolisce questa
forma di governo e la svilisce agli occhi della gente. Tuttavia, non si può del
tutto escludere la possibilità di una rinascita spirituale della società, tale
da rendere naturale una forma di ordinamento statale più accentuatamente
religiosa. In condizioni di asservimento, invece, in conformità con il
consiglio dell'apostolo Paolo, «anche se puoi diventare libero, profitta
piuttosto della tua condizione!» (1Cor 7,21). Nel contempo, la Chiesa deve
prestare la massima attenzione non al sistema dell'organizzazione esterna dello
stato, ma alla condizione interiore dei cuori dei suoi figli. Perciò la Chiesa
non ritiene possibile diventare promotrice di un cambiamento della forma di
governo. Sulla stessa linea, il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa
del 1994 sottolineava la giustezza della posizione della «non preferenza da
parte della Chiesa di un qualsivoglia ordinamento statale o di una qualsivoglia
dottrina politica tra quelle esistenti».
La
cooperazione tra Chiesa e stato
III.8. Lo
stato, compreso quello laico, di regola ha coscienza della propria vocazione a
organizzare la vita del popolo sulla base dei principi del bene e della verità,
preoccupandosi del benessere materiale e spirituale della società. Per questo
la Chiesa può cooperare con lo stato in opere che servono al bene della stessa
Chiesa, dell'individuo e della società. Per la Chiesa tale cooperazione deve
essere un riconoscimento della sua missione salvifica, che comprende una
sollecitudine per la vita dell'uomo in tutti i suoi aspetti. La Chiesa è chiamata
a partecipare all'organizzazione della vita umana ovunque sia possibile e a
operare in sintonia con i rappresentanti del potere laico.
La cooperazione tra Chiesa e stato
deve attuarsi alle seguenti condizioni: la partecipazione della Chiesa alle attività
del governo dovrà corrispondere alla sua natura e alla sua vocazione; il
governo non dovrà imporre diktat all'attività sociale della Chiesa; la Chiesa
non dovrà interessarsi di quelle sfere dell'attività pubblica in cui la sua
opera sia inammissibile per motivi canonici o per altre ragioni.
Gli
ambiti di collaborazione tra Chiesa e stato nell'attuale periodo storico sono:
a) la
pacificazione a livello internazionale, interetnico e civile, il contributo
alla comprensione reciproca e alla cooperazione tra gli uomini, i popoli e gli
stati;
b) la
sollecitudine per la difesa della moralità nella società;
c) l'educazione
e la formazione spirituale, culturale, morale e patriottica;
d) le
opere di misericordia e di beneficenza, lo sviluppo di programmi sociali
comuni;
e) la
tutela, la ricostituzione e lo sviluppo del patrimonio storico e culturale,
compresa la difesa dei monumenti di valore storico e culturale;
f) il
dialogo con gli organi del potere statale di qualsiasi settore e livello su
questioni importanti per la Chiesa e per la società, fra cui l'elaborazione di
idonee leggi, di atti giuridici, di disposizioni e deliberazioni;
g) la
cura dei militari e delle forze dell'ordine e la loro formazione spirituale e
morale;
h) attività
per la prevenzione dei reati e la cura di coloro che si trovano nei luoghi di
detenzione;
i) la
scienza e la ricerca;
j) la
sanità pubblica;
k) la
cultura e l'attività artistica;
l) l'attività
dei mass media ecclesiastici e laici;
m) l'attività
per la conservazione dell'ambiente;
n) l'attività
economica a vantaggio della Chiesa, dello stato e della società;
o) il
sostegno all'istituto della famiglia, alla maternità e all'infanzia;
p) l'opposizione
all’opera di strutture pseudoreligiose che rappresentano un pericolo per
l'individuo e la società.
La
collaborazione tra Chiesa e stato appare possibile anche in una serie di altri
ambiti qualora essa serva alla realizzazione degli obiettivi sopraelencati.
Nello
stesso tempo esistono settori nei quali ministri del culto e strutture
ecclesiastiche canoniche non possono dare aiuto allo stato e cooperare con
esso. Sono:
a) la
lotta politica, la propaganda elettorale, le campagne a sostegno di questo o
quel partito politico, di questo o quel leader in campo sociale e politico;
b) la
conduzione di una guerra civile o di una guerra di aggressione esterna;
c) la
partecipazione diretta ad attività di indagine o a qualsiasi altra attività che
richieda, in conformità con la legge dello stato, il mantenimento di un segreto
anche in confessione o nel riferire all'autorità ecclesiastica.
L'ambito
tradizionale delle attività sociali della Chiesa ortodossa russa è la
sollecitazione dell’attenzione dell'autorità statale verso i bisogni del
popolo, i diritti e le preoccupazioni di singoli cittadini o di gruppi sociali.
Tale cura, che è un dovere della Chiesa, si esprime mediante appelli orali o
scritti indirizzati agli organi dell'autorità statale di diversi settori e
livelli da parte degli organi ecclesiastici competenti.
III.9. Nello stato moderno, di norma, vige la
separazione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario e la distinzione
dell’autorità a livello nazionale, regionale e locale. Questo determina la
specificità dei rapporti tra la Chiesa e le autorità dei diversi settori e
livelli.
I
rapporti con il potere legislativo consistono nel dialogo fra la Chiesa e i
legislatori sulle possibilità di migliorare le leggi nazionali e locali
attinenti la vita della Chiesa, la collaborazione tra Chiesa e stato e gli
ambiti oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa. Questo dialogo
riguarda anche le deliberazioni e le decisioni del potere legislativo che non
hanno conseguenze dirette sul processo di estensione delle leggi.
Nei
contatti con il potere esecutivo la Chiesa deve dialogare sulle decisioni che
riguardano la vita della Chiesa, la cooperazione tra Chiesa e stato e gli
ambiti oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa. A tale scopo la Chiesa
tiene vivi i contatti, ai rispettivi livelli, con gli organi centrali e locali
del potere esecutivo, compresi quelli a cui compete la soluzione delle
questioni pratiche della vita e dell'attività delle associazioni religiose e il
controllo sul rispetto delle leggi (organismi giudiziari, procure, organi degli
affari interni e simili).
Le
relazioni tra la Chiesa e il potere giudiziario ai diversi livelli devono
limitarsi alla tutela degli interessi della Chiesa, ove necessario, dinanzi ai
tribunali. La Chiesa non interferisce con l’esercizio delle funzioni e dei
mandati del potere giudiziario. Gli
interessi della Chiesa in una procedura giudiziaria, tranne che in caso di
estrema necessità, sono tutelati da laici, delegati dall'autorità ecclesiastica
ai rispettivi livelli (Calced. 9). Le
vertenze interne alla Chiesa non devono essere sottoposte a un giudizio
secolare (Antioc. 12). I conflitti
interconfessionali, come pure i conflitti con gli scismatici, che non toccano
questioni dottrinali, possono essere sottoposti a un tribunale laico (Cart.
59).
III.10. Il
diritto canonico vieta al clero di rivolgersi all'autorità statale senza
l'autorizzazione del superiore ecclesiastico. Così, l'11° canone del Concilio
di Sardica recita: «Qualora un vescovo o un presbitero o in generale qualsiasi
appartenente al clero abbia l'ardire di rivolgersi al sovrano senza il consenso
o le istruzioni del vescovo della regione, e soprattutto del vescovo della metropolia:
costui sarà destituito, e privato non solo della comunione, ma anche del titolo
che aveva... Qualora invece una necessità inderogabile costringa qualcuno a
rivolgersi al sovrano: costui lo faccia con l'esame previo e il consenso del
vescovo della metropolia e degli altri vescovi di quella regione, e sia inviato
con istruzioni da loro fornite e gli auguri di un buon esito».
I
contatti e la cooperazione fra la Chiesa e i massimi organi dell'autorità
statale competono al Patriarca e al santo Sinodo in maniera diretta o
attraverso rappresentanti che hanno un mandato confermato per iscritto.
Contatti e cooperazione con gli organi regionali del potere competono ai
vescovi diocesani (eparchiali) in maniera diretta o attraverso rappresentanti,
che hanno pure un mandato confermato per iscritto. Contatti e cooperazione con
gli organi locali del potere e dell'autogoverno competono a funzionari
ecclesiastici e a persone incaricate con il benestare dei vescovi diocesani
(eparchiali). I rappresentanti della suprema autorità ecclesiastica incaricati
di tenere i contatti con gli organi del potere possono essere designati sia in
maniera permanente sia in vista di una specifica consulenza su singoli
problemi.
Qualora
una questione, già esaminata a livello locale o regionale, venisse deferita ai
massimi organi del potere statale, il vescovo diocesano (eparchiale) ne darà
notifica al Patriarca e al santo Sinodo e chiederà loro di tenere i contatti
con lo stato proseguendo l’esame della questione. Qualora un’azione giudiziaria
venisse trasferita dal livello locale o regionale al massimo livello, il
vescovo diocesano (eparchiale) dovrà informare per iscritto il Patriarca e il
santo Sinodo dei risultati delle precedenti udienze giudiziarie. I delegati dei
distretti ecclesiastici di autogoverno e coloro che sono stati nominati dalle
eparchie nei singoli stati hanno un'autorizzazione speciale del Patriarca e del
santo Sinodo a tenere contatti permanenti con i governanti di questi stati.
III.11. Onde evitare qualsiasi commistione tra
affari ecclesiastici e statali e affinché l'autorità ecclesiastica non venga ad
acquisire un carattere secolare, le leggi
canoniche vietano agli ecclesiastici di partecipare agli affari
dell'amministrazione statale. L'81a Costituzione apostolica recita:
«Non si addice a un vescovo o a un presbitero occuparsi dell'amministrazione
del popolo, ma essere sollecito per le cose della Chiesa». Lo stesso argomento
è oggetto della 6a Costituzione apostolica e del 10° canone del VII Concilio
ecumenico. Nel contesto moderno queste regole riguardano non solo l'adempimento
dei mandati delle autorità amministrative, ma anche la partecipazione agli
organi rappresentativi del potere (v. V.2.).
IV.1. Dio è
perfezione, e per questo è perfetto e armonico il mondo da lui creato. La vita
è l’osservanza delle leggi divine, così come Dio stesso è vita eterna e
perfetta. Attraverso il peccato originale dei progenitori il male e il peccato
sono entrati nel mondo. Nel contempo, l'uomo decaduto ha però conservato la
libertà di scegliere con l'aiuto di Dio il giusto cammino. In questo cammino,
l'osservanza dei comandamenti divini rafforza la vita, mentre il loro rifiuto
conduce inevitabilmente alla rovina e alla morte, giacché tale deviazione non è
altro che l'allontanamento da Dio, e di conseguenza dall'essere e dalla vita,
che possono essere solo in lui: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il
bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo
Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e
le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi... Ma se il tuo cuore si volge
indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare..., io vi dichiaro oggi che
certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese» (Dt 30,15-18). Nell'ordine
terreno il peccato e il castigo spesso non si succedono immediatamente l'uno
dopo l'altro, ma sono separati da molti anni e persino da generazioni: «Io il
Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli
fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa
misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i
miei comandamenti» (Dt 5,9-10). Tale distanza tra il delitto e il castigo, da
un lato, conserva all'uomo la libertà, ma dall'altro costringe gli uomini
ragionevoli e fedeli a osservare con grande attenzione le leggi divine, per
imparare a distinguere il giusto dall'ingiusto, il lecito dall'illecito.
Numerose raccolte di insegnamenti e
di leggi rappresentano le più antiche testimonianze storiche scritte. Senza
dubbio esse risalgono a una fase ancora più antica della vita dell'umanità,
quando ancora non era stata inventata la scrittura, poiché «la legge» è scritta
da Dio nei cuori degli uomini (Rm 2,15). Il diritto esiste nella società umana
da sempre. Le prime leggi vengono date all'uomo quando ancora è nel paradiso
terrestre (Gen 2,16-17). Dopo il peccato originale, che è la violazione da
parte dell'uomo della legge divina, il diritto diventa un limite, il cui
superamento è una minaccia di distruzione sia dell'uomo come individuo che
della convivenza umana.
IV.2. Il
diritto è chiamato a essere la manifestazione dell'unica legge divina
dell'universo nella sfera sociale e politica. Nel contempo ogni sistema
giuridico creato dalla comunità umana, essendo il prodotto dell'evoluzione
storica, porta in sé il marchio della limitatezza e dell'imperfezione. Il
diritto è un ambito particolare, differente dall'ambito etico a esso correlato:
esso non stabilisce le condizioni interiori del cuore umano, perché colui che
conosce il cuore dell'uomo è Dio solo.
Oggetto della regolamentazione giuridica,
che è l’essenza del processo legislativo, sono piuttosto la condotta e le
azioni degli uomini. Diverse misure coercitive sono previste per imporre
l’osservanza delle leggi. Le sanzioni previste dal legislatore per il
ripristino dell'ordinamento giuridico violato fanno della legge un affidabile
correttivo per la vita sociale fino a che, come è accaduto più volte nella
storia, non si arriva al crollo dell'intero sistema giuridico in vigore. Del
resto, dal momento che nessuna comunità umana può esistere senza diritto , al
posto dell’ordinamento giuridico demolito sorge sempre un sistema legislativo
nuovo.
Il
diritto ha un contenuto minimo di norme morali vincolanti per tutti i membri
della società. L'obiettivo della legge laica non è quello di trasformare nel
regno di Dio il mondo immerso nel male, ma di far sì che esso non si trasformi
in un inferno. Il principio fondamentale del diritto è: «non fare agli
altri quello che non vuoi sia fatto a te». Se
un uomo ha commesso un'azione ingiusta nei confronti di un altro, il danno
recato all'integrità dell'ordine divino del mondo può essere riparato
attraverso la punizione del criminale o attraverso il perdono, nel qual caso
colui che concede il perdono (il governante, il confessore, la comunità,
ecc.) assume su di sé le conseguenze
morali dell'atto peccaminoso. La sofferenza guarisce l'anima ferita dal
peccato, mentre la sofferenza volontaria degli innocenti per i peccati dei
criminali rappresenta la forma più sublime di espiazione, culminante nell'immolazione
del Signore Gesù, che ha assunto su di sé il peccato del mondo (Gv 1,29).
IV.3. La
valutazione del «limite dell'offesa», che allontana l'uomo dall'uomo, si è
differenziata nelle diverse società e nelle diverse epoche. Quanto più una
comunità umana è religiosa, tanto maggiore è in essa la coscienza dell'unità e
dell'integrità del mondo. In una società fondamentalmente religiosa le persone
vengono considerate su due piani, sia come individui unici, che stanno in piedi
o cadono dinanzi a Dio (Rm 14,4) e non sono pertanto giudicabili dagli altri
uomini, sia come membri dell'unico corpo pubblico, nel quale la malattia di un
membro provoca la malattia e persino la morte dell'intero organismo. In
quest'ultimo caso, ogni uomo può e deve essere giudicato dalla comunità, dal
mondo, dato che le azioni di uno solo influiscono su molti. La ricerca di uno
spirito di pace a opera di un solo giusto, secondo le parole di s. Serafino di
Sarov, porta alla salvezza di migliaia di persone intorno a lui, e il peccato
di un solo empio può comportare la rovina di molti.
Tale atteggiamento verso le
manifestazioni del peccato e del crimine ha un saldo fondamento nella Sacra
Scrittura e nella tradizione della Chiesa: «Con la benedizione degli uomini
retti si innalza una città, la bocca degli empi la demolisce» (Pr 11,11). San
Basilio Magno ammoniva gli abitanti di Cesarea di Cappadocia, che soffrivano la
fame e la sete: «A causa di pochi giungono calamità su tutto il popolo, e a
causa dei misfatti di uno solo, molti devono assaporarne i frutti. Acab commise
un sacrilegio e fu sconfitto l'intero esercito; e ancora Zimri commise un
peccato di lussuria con una madianita, e Israele cominciò a subire il castigo».
Lo stesso scrive s. Cipriano di Mosca: «Non sapete che il peccato del popolo
ricade sul principe e il peccato del principe ricade sul popolo?».
Per questo le antiche raccolte di
leggi regolamentavano anche quegli aspetti della vita, che attualmente stanno
al di fuori del sistema giuridico. Per esempio, secondo le norme giuridiche del
Pentateuco l'adulterio era punito con la pena di morte (Lv 20,10), mentre nella
maggior parte degli stati al giorno d'oggi esso non è più considerato reato.
Una volta smarrita la concezione del mondo nella sua integrità, il campo della
regolamentazione giuridica si riduce solo ai casi di danno palese, e gli ambiti
del diritto si restringono con il deteriorarsi della moralità sociale e con la
secolarizzazione della coscienza. Per esempio, la magia, che costituiva un
grave reato nelle società antiche, oggi è considerata dalla legge come un
qualcosa di immaginario, che pertiene alla fantasia, e per questo non viene
punita.
L’uomo, a causa della sua natura
corrotta che ne ha deformato la coscienza, non è in grado di accogliere la
legge di Dio in tutta la sua pienezza. Nelle diverse epoche si è preso
coscienza solo in parte di questa legge. Questo è dimostrato molto bene nel
discorso del Salvatore sul divorzio. Mosè aveva permesso agli israeliti di
sciogliere il matrimonio «per la durezza del loro cuore», ma «da principio» non
fu così, perché nel matrimonio l'uomo diventa «una sola carne» con sua moglie,
e per questo il matrimonio è indissolubile (Mt 19,3-6).
Tuttavia nei casi in cui la legge degli uomini respinge in maniera
totale il precetto divino assoluto, sostituendolo con uno opposto, essa cessa
di essere una legge, e diventa atto illecito, qualunque sia la veste
giuridica con cui si camuffa. Per esempio, nel decalogo è detto chiaramente:
«Onora tuo padre e tua madre» (Es 20,12). Qualsiasi legge laica che contrasta
con questo comandamento rende criminale non tanto colui che lo vìola, ma lo
stesso legislatore. In altri termini, la legge degli uomini non contiene mai la
perfezione della legge divina, ma perché possa restare legge, essa è tenuta a
essere conforme ai principi stabiliti da Dio, e non a sopprimerli.
IV.4. La
legge religiosa e quella laica storicamente provengono da una sola origine e
per lungo tempo sono apparse solo come due aspetti dell'unico ambito giuridico.
Tale concezione del diritto è peculiare anche dell'Antico Testamento.
Il Signore Gesù Cristo, quando
chiama coloro che gli sono fedeli al Regno che non è di questo mondo, separa
(Lc 12,51-52) la Chiesa come suo corpo dal mondo immerso nel male. Nel
cristianesimo la legge interna della Chiesa è libera dalla condizione
spiritualmente decaduta del mondo e persino contrapposta a esso (Mt 5,21-47).
Tuttavia questa contrapposizione non è una violazione, ma il pieno adempimento
della legge della verità divina, da cui l'umanità deviò nel peccato originale.
Confrontando i precetti veterotestamentari con la legge della buona novella, il
Signore nel discorso della montagna invita a conformare pienamente la vita con
la legge divina assoluta, cioè a «divinizzarla»: «Siate dunque perfetti, così
come è perfetto il Padre vostro che è in cielo» (Mt 5,48).
IV.5.
Nella Chiesa, creata dal Signore Gesù, vige una legge particolare, il cui
fondamento è costituito dalla Rivelazione divina. Questa legge è il diritto
canonico. Se le altre leggi religiose sono state date all'umanità decaduta e
allontanatasi da Dio, e per propria natura possono far parte della legislazione
civile, la legge cristiana per principio appartiene a una sfera superiore. Essa
non può fare direttamente parte della legislazione civile, anche se nelle
società cristiane esercita su di essa un benefico influsso, come suo fondamento
etico.
Gli stati cristiani di solito hanno
utilizzato il diritto modificato del tempo pagano (per esempio, il diritto
romano nel «Corpus» di Giustiniano), perché in esso erano contenute norme
compatibili con la verità divina. Tuttavia il tentativo di creare un diritto
pubblico, penale o civile fondato esclusivamente sul vangelo non può avere
consistenza, perché senza la piena santificazione della vita, cioè senza la
completa vittoria sul peccato, la legge della Chiesa non può diventare la legge
del mondo. Ma questa vittoria è possibile solo in una prospettiva escatologica.
Il tentativo intrapreso al tempo
dell'imperatore Giustiniano di cristianizzare il sistema giuridico ereditato
dalla Roma pagana si rivelò comunque del tutto felice, non da ultimo appunto
perché il legislatore, creando il «Corpus», si era reso pienamente conto del
limite che separa l'ordine di questo mondo, che anche in epoca cristiana porta
su di sé il segno della caduta e del guasto prodotto dal peccato, dalle leggi
del mistico corpo di Cristo – la Chiesa – anche nel caso in cui le membra di
questo corpo e i cittadini dello stato cristiano siano le stesse e medesime
persone. Il «Corpus» giustinianeo per secoli fissò l'ordinamento giuridico di
Bisanzio ed esercitò un importante influsso sullo sviluppo del diritto in
Russia e in alcuni paesi dell'Europa occidentale in epoca medioevale e moderna.
IV.6. L'idea dei diritti inalienabili della
persona è uno dei principi dominanti nella coscienza giuridica laica
contemporanea. La concezione di tali diritti si fonda sulla dottrina biblica
dell'uomo come immagine e somiglianza di Dio, come creatura ontologicamente
libera. «Considera quanto ti circonda», scrive s. Antonio d'Egitto, «e sappi
che signori e padroni hanno potere solo sul tuo corpo, ma non sulla tua anima,
e serba sempre questo nella tua mente. Poiché, quando essi ti ordineranno, per
esempio, di uccidere, o di compiere qualche altra azione disdicevole, o
immorale o dannosa per l'anima, non bisogna ascoltarli, anche se essi dovessero
straziarti il corpo. Dio ha creato l'anima libera e padrona di sé, ed essa è
libera e capace di agire come vuole, bene o male».
L'etica sociale cristiana esigeva
che l'individuo mantenesse un qualche spazio di autonomia, dove la sua
coscienza fosse il signore «autocratico», perché dalla libertà in ultima
analisi dipende la salvezza o la rovina, la via che conduce a Cristo o la via
che allontana da Cristo. I diritti alla fede, alla vita, alla famiglia sono ciò
che salvaguarda i reconditi fondamenti della libertà dell'uomo dal dominio
arbitrario di forze estranee. Questi principi interiori sono integrati e
garantiti dagli altri diritti esterni – per esempio, dal diritto alla libertà
di movimento, al ricevere informazioni, alla creazione di un patrimonio, al suo
possesso e alla sua cessione.
Dio
rispetta la libertà dell'uomo, senza mai forzare la sua volontà. Al
contrario, Satana tenta di impadronirsi della volontà dell'uomo, di
soggiogarla. Se il diritto si conforma con la verità divina, rivelata dal
Signore Gesù Cristo, allora anch'esso si pone a tutela della libertà dell'uomo:
«dove c'è lo Spirito c'è la libertà» (2Cor 3,17). Di conseguenza, tutela i
diritti inalienabili della persona. Quelle tradizioni, invece, alle quali non è
noto il principio della libertà cristiana, a volte cercano di assoggettare la
coscienza dell'uomo alla volontà esterna di un dominatore o della collettività.
IV.7. Con il procedere della
secolarizzazione, gli alti principi dei diritti inalienabili dell'uomo si sono
andati trasformando in una concezione dei diritti dell'individuo al di fuori
del suo rapporto con Dio. Con questo la salvaguardia della libertà della
persona si è trasformata nella difesa del libero arbitrio individuale (fino
al limite in cui esso non danneggi gli altri individui) e nella richiesta che
lo stato garantisca un determinato tenore di vita materiale della persona e
della famiglia. Nella concezione sistematica contemporanea dei diritti civili,
l'uomo è visto non come immagine di Dio, ma come un soggetto autosufficiente e
avente valore in sé, assoluto. Tuttavia, al di fuori di Dio esiste solo l'uomo
decaduto, lontanissimo dall'ideale di perfezione perseguito dai cristiani e
rivelato in Cristo («Ecce Homo!»).
Inoltre per la coscienza giuridica cristiana l'idea della libertà e dei diritti
dell'uomo è indissolubilmente legata all'idea del servizio. I diritti sono
necessari al cristiano prima di tutto perché, esercitandoli, egli possa
rispondere nel modo migliore alla sua nobile vocazione di essere «immagine di
Dio» e compiere il suo dovere davanti a Dio e alla Chiesa, davanti agli altri
uomini, alla famiglia, allo stato, al popolo e alle altre comunità umane.
In seguito alla secolarizzazione
dell’età moderna, prevale la teoria del diritto naturale, che nei suoi principi
non considera la corruzione della natura umana. Questa teoria però non perde il
legame con la tradizione cristiana, poiché nasce dalla convinzione che le
nozioni del bene e del male siano innate nella natura umana, e per questo il
diritto scaturisce dalla vita stessa, fondandosi nella coscienza («l'imperativo
morale categorico»). Fino al XIX secolo tale teoria ha predominato nella
società europea. Le sue conseguenze pratiche sono state, in primo luogo, il
principio della continuità storica della sfera giuridica (il diritto non si può
abolire, come non si può abolire la coscienza; lo si può solo migliorare e
adattare con un procedimento legale alle nuove circostanze e alle nuove
situazioni) e, in secondo luogo, il principio del precedente (un tribunale,
conformandosi alla coscienza e alla consuetudine giuridica, può emettere una
sentenza giudiziaria giusta, cioè conforme alla verità divina).
Nella concezione contemporanea del
diritto prevalgono idee apologetiche riguardo al diritto positivo in vigore.
Secondo tali idee, il diritto è un'invenzione dell'uomo, una costruzione che la
società crea per la propria utilità, per la soluzione di problemi da lei stessa
provocati. Di conseguenza, qualsiasi cambiamento della legge, se è deciso dalla
società, è lecito. La legge scritta non ha nessun fondamento giuridico
assoluto. In questa prospettiva è lecita la rivoluzione, che con la violenza
respinge le leggi del «vecchio mondo», come è lecita la totale negazione del
principio etico, se tale negazione viene approvata dalla società. Così, se la
comunità contemporanea non considera l'aborto un omicidio, esso non è un
omicidio neppure sotto il profilo giuridico. Gli apologeti del diritto positivo
ritengono che la società possa introdurre le leggi più diverse, e d'altro canto,
considerano legittima qualunque legge in vigore già in forza della sua stessa
esistenza.
IV.8. L'ordinamento
giuridico di un singolo paese è la variante particolare della legge che regola i
rapporti umani in generale, propria di un determinato popolo. La legge
nazionale esprime i principi fondamentali dei rapporti fra gli uomini, fra
l'autorità e la società e fra le istituzioni in riferimento alle particolari
caratteristiche di una nazione concreta che cammina nella storia. Il diritto
nazionale è imperfetto perché imperfetto e peccatore è ogni popolo. Tuttavia
esso crea l'ossatura della vita del popolo, se traduce le verità assolute di
Dio adeguandole alla vita nazionale e storica concreta. Così, nel corso di un
millennio, l'ordinamento giuridico in Russia si è andato gradualmente evolvendo
e si è fatto più complesso mano a mano che la società stessa andava
organizzandosi in forme sempre più articolate. Al diritto slavo
consuetudinario, che aveva in parte conservato fino al X secolo le antiche
forme ariane generali, furono aggiunti, con la cristianizzazione, vari elementi
della legislazione bizantina attraverso il «Corpus» di Giustiniano, il quale
risaliva al diritto romano classico e al diritto ecclesiastico, che allora era
unito al diritto civile. A partire dal XVII secolo il diritto russo recepì
attivamente i principi e la logica giuridica della legislazione dell'Europa
occidentale, e nello stesso tempo questo avviene in maniera piuttosto limitata
Si trattò di un processo organico, perché fin dai secc. X e XI la Rus’ mutuò da
Costantinopoli, insieme al cristianesimo, elementi della tradizione giuridica
romana, fondamentale per l'Europa. L'antica Russkaja
Pravda ["Verità russa"], gli statuti e le istruzioni statutarie
dei prìncipi, le istruzioni giudiziarie e le raccolte di sentenze giudiziarie,
lo Stoglàv [Libro dei Cento capitoli – Protocollo del Consiglio provinciale
della Chiesa russa – 1551] e il Codice conciliare del 1649, gli articoli e gli
ukazy [decreti] di Pietro I, gli atti legislativi di Caterina la Grande e di
Alessandro I, le riforme di Alessandro II e le Leggi statali fondamentali del
1906 hanno rappresentato un unico tessuto giuridico per il popolo. Alcune leggi
sono diventate obsolete e sono scomparse, altre invece sono state sostituite.
Alcune innovazioni giuridiche si sono rivelate fallimentari, non rispondenti al
carattere della vita del popolo, e non sono più state applicate. Lo sviluppo
dell'ordinamento giuridico nazionale russo, le cui origini si perdono nella
storia remota, venne interrotto nel 1917. Il 22 novembre di quell'anno il
Soviet dei commissari del popolo, in linea con lo spirito del diritto positivo,
abrogò l'intera legislazione russa. Dopo il crollo, all'inizio degli anni
novanta, dell'organizzazione statale sovietica, il sistema giuridico nella CSI
e nei paesi baltici è ancora in fase di sviluppo. A fondamento di tale sistema
vi sono le idee predominanti nella concezione giuridica secolarizzata
contemporanea.
Il cristiano e
la legge dello stato
IV.9. La Chiesa di Cristo, conservando il
suo diritto autonomo, fondato sui sacri canoni, e mantenendosi entro i limiti
propri della vita ecclesiale, può sussistere all’interno dei sistemi giuridici
più diversi, che essa tratta con il dovuto rispetto. La Chiesa invariabilmente
esorta i suoi fedeli a essere cittadini rispettosi della legge della loro
patria terrena. Nello stesso tempo essa ribadisce sempre i limiti
invalicabili che caratterizzano l’obbedienza alla legge da parte dei suoi
fedeli.
In tutto quello che riguarda
l'ordine esclusivamente terreno, il cristiano ortodosso è tenuto a obbedire
alle leggi, indipendentemente dal loro carattere imperfetto ed erroneo. Quando invece l'adempimento della legge
minaccia la salvezza eterna e presuppone un atto di apostasia o un altro
peccato certo verso Dio e il prossimo, il cristiano è chiamato a un atto di
professione di fede per amore della verità divina e per la salvezza della
propria anima per la vita eterna. Egli deve apertamente intervenire, nei modi
previsti dalla legge, contro ogni indiscutibile violazione dei precetti e dei
comandamenti di Dio da parte della società e dello stato, e se tale intervento
legale non è possibile o è inefficace, deve assumere una posizione di
disobbedienza civile (v. III.5.).
La
competizione democratica
V.1. Nello stato
contemporaneo i cittadini partecipano al governo del paese mediante il voto.
Una parte notevole di essi appartiene a partiti politici, a movimenti e associazioni,
a raggruppamenti politici e ad altre organizzazioni simili basati su diverse
dottrine e idee politiche. Queste organizzazioni, aspirando a organizzare la
vita della società secondo le convinzioni politiche dei propri membri, hanno
tra le loro finalità quella di raggiungere, mantenere o riformare il potere
nello stato. Nell'attuazione del mandato ricevuto in virtù del voto popolare
nelle elezioni, le organizzazioni politiche possono partecipare all'attività
delle strutture del potere legislativo ed esecutivo.
L'esistenza nella società di
convinzioni politiche diverse, e talvolta contrastanti e di interessi
antitetici genera una lotta politica, che viene condotta sia con metodi legali
e moralmente giustificati, sia a volte con metodi che contrastano con i
principi del diritto pubblico e dell'etica cristiana e naturale.
V.2. La
Chiesa, per comando divino, ha come suo compito quello di essere sollecita per
l'unità dei suoi figli, la pace e la concordia nella società, e la
partecipazione di tutti i suoi membri al lavoro comune di edificazione della
società. La Chiesa è chiamata a predicare e a costruire la pace con tutta la
società: «Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti»
(Rm 12,18); «cercate di essere in pace con tutti» (Eb 12,14). Ma ancora più
importante per essa è l'unità interna nella fede e nell'amore: «fratelli, in
nome di Gesù Cristo nostro Signore, vi chiedo che... non vi siano contrasti e
divisioni tra voi, ma siate uniti: abbiate gli stessi pensieri e le stesse
convinzioni» (1Cor 1,10). Per la Chiesa il valore supremo è la sua unità come
corpo mistico di Cristo (Ef 1,23), dalla cui vita incorrotta dipende la
salvezza eterna dell'uomo. S. Ignazio Teoforo, rivolgendosi ai membri della
Chiesa di Cristo, scrive: «Tutti voi formate di voi stessi l'unico tempio di
Dio, l'unico altare, l'unico Gesù».
Di
fronte alle divergenze, ai contrasti e alle lotte della vita politica, la
Chiesa predica la pace e la cooperazione fra gli uomini che seguono opinioni
politiche diverse. Essa inoltre ammette l'esistenza di convinzioni politiche
diverse tra l’episcopato, il clero e i laici, a eccezione di quelle che portino
chiaramente ad azioni contrastanti con la dottrina religiosa ortodossa e con i
principi morali della tradizione della Chiesa.
È
inammissibile la partecipazione della suprema autorità della Chiesa e dei
ministri del culto, e di conseguenza di tutta la gerarchia ecclesiastica, ad
attività di carattere politico ed elettorale, quali il sostegno pubblico alle
organizzazioni politiche in lizza oppure a singoli candidati, le campagne
elettorali ecc. e così via. Non è ammessa la presentazione di candidature di
ministri del culto alle elezioni di qualsiasi organo del potere rappresentativo
a ogni livello. Nello stesso tempo nulla deve impedire la partecipazione delle
autorità ecclesiastiche, dei ministri del culto e dei laici, alla pari degli
altri cittadini, all'espressione della volontà popolare mediante il voto.
Nella storia della Chiesa si
ricordano non pochi casi in cui tutta quanta la Chiesa ha offerto il proprio
sostegno a diverse dottrine, idee, organizzazioni e personalità politiche. In
parecchi tra questi casi tale sostegno era legato alla necessità di difendere
gli interessi vitali della Chiesa nelle condizioni estreme delle persecuzioni
antireligiose e delle azioni distruttive o restrittive perpetrate dalle
autorità non cristiane e non ortodosse. In altri casi un simile sostegno era la
conseguenza della pressione del governo o delle strutture politiche, e di
solito provocava separazioni e contrasti all'interno della Chiesa e
l'allontanamento da essa di alcuni dei fedeli non saldi nella fede.
Nel XX secolo i ministri del culto e
le autorità della Chiesa ortodossa russa sono entrati a far parte di diversi
organi elettivi del potere, in particolare della Duma di stato dell'impero
russo, dei soviet supremi dell'URSS e della Federazione russa, e di una serie
di consigli locali e di assemblee legislative. In alcuni casi la partecipazione
dei ministri del culto all'attività degli organi del potere ha recato un
vantaggio alla Chiesa e alla società, tuttavia non di rado tale partecipazione
ha provocato confusione e divisioni. Ciò si è verificato in particolare quando
fu consentita l'adesione dei ministri del culto solamente a determinati gruppi
parlamentari, e quando alcuni sacerdoti presentarono la propria candidatura ad
alcune cariche elettive senza il consenso della Chiesa. In complesso questa
partecipazione ha dimostrato che in pratica una tal cosa era impossibile senza
che ci si assumesse la responsabilità di adottare decisioni che rispondevano
agli interessi di una sola parte della popolazione ma contrastavano con gli
interessi di un'altra parte. Questa situazione complica seriamente l'attività
pastorale e missionaria del ministro del culto, chiamato, secondo le parole
dell'apostolo Paolo, a essere «per tutti... per portare a Cristo il più gran
numero possibile di persone» (1 Cor 9,19). Nello stesso tempo la storia insegna
che la decisione dei ministri del culto di partecipare o meno all'attività
politica è stata e deve essere assunta sulla base delle necessità di ciascuna
epoca, tenendo conto della condizione interna dell'organismo ecclesiale e della
sua posizione nello stato. Tuttavia, dal punto di vista canonico, la questione
se il ministro del culto che occupa un posto di governo debba lavorare a
livello professionale viene risolta inequivocabilmente in senso negativo.
L'8 ottobre 1919, s. Tichon si
rivolse al clero della Chiesa russa con un messaggio, nel quale invitava i
sacerdoti a non interferire con la lotta politica e, in particolare, affermava
che i servi della Chiesa «secondo la propria dignità devono stare al di sopra e
al di fuori di ogni interesse politico, devono tenere a mente le norme
canoniche della santa Chiesa, con le quali essa proibisce ai suoi servi di
intromettersi nella vita politica del paese, di appartenere a qualsivoglia
partito politico, e a maggior ragione di trasformare riti religiosi e
celebrazioni liturgiche in uno strumento di dimostrazioni politiche».
Alla vigilia delle elezioni dei
deputati del popolo dell'URSS, il santo Sinodo, il 27 dicembre 1988, stabilì
«di benedire i rappresentanti della nostra Chiesa, nel caso della loro
affermazione e della loro elezione come deputati del popolo, per questa
attività, esprimendo con questo la nostra fiducia che essa servirà al bene dei
credenti e di tutta la nostra società». Oltre a essere eletti come deputati del
popolo dell'URSS, una serie di alti prelati e di sacerdoti occuparono posti di
deputato nei soviet repubblicani, regionali e locali.
Le nuove condizioni della vita
politica stimolarono il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa
nell'ottobre 1989 a rivolgere una grande attenzione all'esame di due problemi:
«in primo luogo, fino a che punto la Chiesa possa assumersi responsabilità in
ordine alle decisioni politiche senza compromettere la sua autorità pastorale,
e, in secondo luogo, se sia lecito alla Chiesa rinunciare a partecipare alla
creazione delle leggi e alla possibilità di esercitare la sua influenza morale
sul processo politico, quando dall'assunzione di una decisione dipende la sorte
del paese». In seguito a questa riflessione, il Sinodo dei vescovi riconobbe
che la definizione del santo Sinodo del 27 dicembre 1988 riguardava solo le
elezioni del passato. Per il futuro invece fu assunto un regolamento, secondo
il quale il problema dell'opportunità della partecipazione di rappresentanti
del clero alle campagne elettorali deve essere decisa preliminarmente caso per
caso dalle autorità supreme della Chiesa (il santo Sinodo per l'episcopato, i
vescovi per il clero subordinato).
Alcuni rappresentanti del clero,
senza aver ricevuto la debita autorizzazione, parteciparono tuttavia alle
elezioni. Il santo Sinodo del 20 marzo 1990 con rammarico dichiarò che «la
Chiesa ortodossa russa respinge la responsabilità morale e religiosa della
partecipazione di queste persone agli organi elettivi del potere». Per ragioni
di oikonomia il Sinodo si astenne dall'applicare
ai trasgressori della disciplina le sanzioni dovute «constatando che tale
comportamento ricade sulla loro coscienza».
L'8 ottobre 1993, in vista della
creazione in Russia di un parlamento di politici di professione, durante la
sessione allargata del santo Sinodo fu presa la decisione di ordinare ai
ministri del culto di astenersi dal partecipare alle elezioni parlamentari
russe in qualità di candidati deputati. Dalla corrispondente ordinanza sinodale
fu stabilito che i ministri del culto che l'avessero violata sarebbero stati
destituiti dalla dignità ecclesiastica. Il Sinodo dei vescovi della Chiesa
ortodossa russa del 1994 approvò questa ordinanza del santo Sinodo «come
tempestiva a saggia», ed estese la sua validità «alla partecipazione anche in
futuro dei ministri del culto della Chiesa ortodossa russa alle elezioni di
tutti gli organi del potere elettivo dei paesi della CSI e del Baltico a
livello sia nazionale che locale».
Lo stesso Sinodo dei vescovi, in fedeltà
ai santi canoni, rispondendo alle sfide della realtà contemporanea, stabilì una
serie di norme importantissime, riguardanti il tema in esame. Così, in una
delle deliberazioni del Sinodo dei vescovi si dice: «Si conferma
l'inammissibilità per tutta la gerarchia ecclesiastica di appoggiare un
qualsivoglia partito politico, movimento, coalizione, associazione e
organizzazione politica analoga, e anche loro singoli attivisti, in primo luogo
durante le campagne elettorali... Si ritiene pure estremamente disdicevole
l'appartenenza dei ministri del culto a partiti politici, movimenti,
associazioni, coalizioni politiche e organizzazioni simili che conducono in
primo luogo a una battaglia elettorale».
Il Sinodo dei vescovi che si tenne
nel 1997 sviluppò i principi dei rapporti tra la Chiesa e le organizzazioni
politiche e ribadì una delle deliberazioni del precedente Sinodo che non aveva
acconsentito a che i ministri del culto entrassero a far parte di associazioni
politiche. Nella definizione del Sinodo «Sulle relazioni con lo stato e la
società laica», in particolare, si dice: «Si incoraggiano il dialogo e i
rapporti della Chiesa con le organizzazioni politiche nel caso in cui tali
rapporti non abbiano carattere di sostegno politico. Si ritiene ammissibile la
collaborazione con tali organizzazioni per scopi utili alla Chiesa e al popolo,
escludendo di interpretare tale collaborazione come sostegno politico... Si
ritiene inammissibile la partecipazione dei dignitari ecclesiastici e dei
ministri del culto a qualsivoglia campagna elettorale così come la loro
appartenenza ad associazioni politiche, i cui statuti prevedano la designazione
dei propri candidati a posti pubblici elettivi di tutti i livelli».
Il
fatto che tutta la gerarchia ecclesiastica si astenga dal partecipare alla
lotta politica, all'attività dei partiti politici e alle procedure elettorali
non significa la sua rinuncia a esprimere pubblicamente le sue posizioni su
questioni socialmente rilevanti e a presentare queste posizioni agli organi di
potere di qualsiasi paese a qualunque livello. Tali posizioni sono espresse
esclusivamente dai Sinodi della Chiesa, dalle supreme autorità ecclesiastiche e
da coloro che ne hanno ricevuto l'autorizzazione. In ogni caso il loro diritto
di espressione non può essere delegato a istituzioni dello stato, alle
organizzazioni politiche o ad altre associazioni laiche.
La partecipazione dei laici ortodossi
alla politica
V.3. Nulla
impedisce la partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del
potere legislativo, esecutivo e giudiziario e delle organizzazioni politiche. Anzi, tale
partecipazione, se si compie in conformità con la dottrina della Chiesa, con i
suoi principi morali e con la sua posizione ufficiale sulle questioni sociali,
è una delle forme della missione della Chiesa nella società. I laici possono
anche essere chiamati, compiendo il proprio dovere civile, a partecipare ai
processi connessi con le elezioni delle autorità di tutti i livelli, e a dare
il proprio contributo per ogni iniziativa moralmente giusta dello stato.
La
storia della Chiesa ortodossa ha conservato una grande quantità di esempi della
più attiva partecipazione di laici alla gestione dello stato, all'attività
delle associazioni politiche o di altre associazioni civili. Tale partecipazione
è avvenuta nel contesto di diversi sistemi di ordinamento statale: autocrazia,
monarchia costituzionale e varie forme del sistema repubblicano. La
partecipazione dei laici ortodossi alle attività civili e politiche è stata
ostacolata solo sotto il dominio delle ideologie non cristiane e sotto il
regime dell'ateismo di stato.
Partecipando
al governo dello stato e ai processi politici, il laico ortodosso è chiamato a
fondare la propria attività sui principi della morale evangelica, sull'unità di
giustizia e carità (Sal 85,11), sulla sollecitudine per il bene spirituale e
materiale delle persone, sull'amore per la patria e sull'aspirazione a
trasfigurare il mondo secondo la parola di Cristo.
Nello stesso
tempo, il cristiano – politico o uomo di stato – deve avere chiara coscienza
che nella realtà storica, e tanto più nel contesto della società odierna divisa
e piena di contraddizioni, la maggior parte delle decisioni prese e delle
azioni politiche compiute tende a giovare a una sola parte della società e
nello stesso tempo limita o danneggia gli interessi e i desideri di altri. Molte delle menzionate decisioni e azioni
sono inevitabilmente connesse col peccato o con la connivenza col peccato.
Proprio per questo da un politico o un uomo di stato ortodossi si richiede la
massima sensibilità spirituale e morale.
Il
cristiano che lavora nel campo dell'edificazione della vita pubblica e politica
è chiamato ad acquisire il dono di un particolare spirito di sacrificio e
di una particolare abnegazione. A lui è assolutamente indispensabile essere
attento alla propria condizione spirituale, per non consentire che la sua attività pubblica o politica si trasformi, da
servizio qual è, in un'attività fine a se stessa, che alimenta la superbia,
l'avidità e altri vizi. È opportuno ricordare che «Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in
vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col
1,16-17). S. Gregorio il Teologo (Nazianzeno), rivolgendosi ai governanti,
scriveva: «Con Cristo tu comandi, con Cristo governi: da lui infatti hai
ricevuto la spada». S. Giovanni Crisostomo dice: «Vero sovrano è colui che
vince l'ira e l'invidia e la sensualità, sottomette tutto alle leggi di Dio,
mantiene libera la sua mente e non permette che la passione per i piaceri abbia
il sopravvento sulla sua anima. Un tale uomo desidererei vederlo governare sui
popoli, sulla terra e sul mare, e sulle città e sulle regioni, e sugli
eserciti; perché colui che ha sottomesso le passioni dell'anima alla ragione,
costui governerebbe facilmente anche gli uomini secondo le leggi di Dio... Colui invece che in apparenza governa gli
uomini, ma è schiavo dell'ira e dell'ambizione e dei piaceri, costui... non
saprà come gestire il potere».
La posizione distinta
di laici e gerarchia
V.4. La
partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere e ai
processi politici può essere sia individuale che inserita nel contesto di
particolari organizzazioni politiche cristiane (ortodosse) o di settori
cristiani (ortodossi) di associazioni politiche più ampie. In entrambi i casi i
figli della Chiesa hanno la libertà di scegliere e di esprimere le proprie
opinioni politiche, di prendere decisioni e di collaborare per attuarle. Nello
stesso tempo, i laici che partecipano
all'attività pubblica o politica individualmente o nel contesto di diverse
organizzazioni, lo fanno in maniera autonoma, senza identificare la propria
attività politica con la posizione di tutta la gerarchia ecclesiastica o di una
qualsivoglia istituzione ecclesiastica canonica, e senza esprimersi
pubblicamente a loro nome. Con questo, la suprema autorità della Chiesa non
concede alcuna speciale autorizzazione per l'attività politica dei laici.
Il Sinodo dei
vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 deliberò di considerare
ammissibile l'appartenenza a organizzazioni politiche «dei laici e la creazione
da parte loro di tali organizzazioni, che, qualora si definiscano cristiane e
ortodosse, sono chiamate a una stretta cooperazione con la suprema autorità
ecclesiastica. È inoltre ammesso che i ministri del culto, compresi coloro che
rappresentano strutture ecclesiastiche canoniche e la suprema autorità della
Chiesa, partecipino a singole iniziative di organizzazioni politiche e che
cooperino con esse in attività utili per la Chiesa e per la società, nel caso
in cui questa partecipazione e questa collaborazione non abbiano il carattere
di un sostegno a organizzazioni politiche e servano all'edificazione della pace
e della concordia nel popolo e nella comunità ecclesiale».
In un’analoga risoluzione del Sinodo
dei vescovi del 1997, in particolare, si dice: «Si ritiene ammissibile la
partecipazione dei laici ad attività di organizzazioni politiche e la creazione
da parte loro di tali organizzazioni nel caso in cui queste ultime non abbiano
tra i propri componenti dei ministri del culto e tengano un collegamento di
tipo consultivo con la suprema autorità della Chiesa. Si delibera che simili
organizzazioni, come quelle che partecipano al processo politico, non possono
avere l'autorizzazione della suprema autorità della Chiesa né possono parlare a
nome della Chiesa. Non possono ricevere l'autorizzazione ecclesiastica, ma, ove
concessa, la perdono, quelle organizzazioni di natura socio-ecclesiale
interessate alla lotta politica e alla propaganda elettorale che spacciano la
propria opinione per il giudizio della Chiesa, giudizio che invece viene
espresso di fronte allo stato e alla società esclusivamente dai Concili ecclesiastici,
da sua santità il Patriarca e dal santo Sinodo. Le medesime considerazioni
valgono per i mass media ecclesiali ufficiali e per gli organi di informazione
di carattere socio-ecclesiale».
L'esistenza
di organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), e di settori cristiani
(ortodossi) all'interno di più ampie associazioni politiche, è accolta dalla
Chiesa come un fatto positivo, che aiuta i laici a realizzare in armonia e
concordia un'attività politica e pubblica sulla base dei principi spirituali e
morali cristiani. Le menzionate organizzazioni, essendo libere nella propria
attività, nello stesso tempo sono invitate a consigliarsi con la suprema
autorità della Chiesa e a coordinare le azioni nell’attuare le direttive della
Chiesa sulle questioni sociali.
Nelle
relazioni tra la gerarchia ecclesiastica e le organizzazioni politiche
cristiane (ortodosse), alla cui attività partecipano laici ortodossi, e
particolarmente politici e uomini di stato ortodossi, possono nascere
situazioni in cui le dichiarazioni o le azioni di queste organizzazioni e di
queste persone divergono sostanzialmente dalla posizione di tutta la Chiesa sui
problemi sociali o impediscono la realizzazione pratica di tale posizione. In
casi simili la suprema autorità della Chiesa accerta la divergenza delle
posizioni e la dichiara pubblicamente per evitare turbamento e malintesi tra i
credenti e nella società nel suo complesso. La
dichiarazione della Chiesa riguardo a tale divergenza deve indurre il laico
ortodosso, che partecipa all'attività politica, a riflettere sull’opportunità
di continuare ad appartenere all’organizzazione politica in questione.
Le organizzazioni dei cristiani
ortodossi non devono avere il carattere di società segrete, che presuppongono
l'esclusiva subordinazione ai propri leader e il rifiuto consapevole e
accettato di rivelare la sostanza dell'attività dell'organizzazione nel corso
di consultazioni con le autorità della Chiesa e persino in confessione. La
Chiesa non può approvare la partecipazione di laici ortodossi, e a maggior
ragione di ministri del culto, a società non ortodosse di tale genere, in
quanto esse, per loro stessa natura, allontanano l'uomo dalla fedeltà totale
alla Chiesa di Dio e al suo ordinamento canonico.
VI.1. Il lavoro è un elemento strutturale
della vita dell'uomo. Nel libro della Genesi si dice che in principio «nessuno
lavorava il suolo» (Gen 2,5); dopo aver creato il paradiso terrestre, Dio vi
pose l'uomo «perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). Il lavoro è un
atto creativo dell'uomo, al quale, in virtù della sua originaria somiglianza
con Dio, è concesso di essere co-creatore e collaboratore del Signore.
Tuttavia, dopo la caduta dell'uomo nel peccato, il Creatore mutò la natura del
lavoro umano: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai
alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere
tornerai» (Gen 3,19). La componente creativa del lavoro si attenuò; per l'uomo
decaduto esso divenne prevalentemente un mezzo per procacciarsi i mezzi di
sostentamento.
VI.2. La
parola di Dio non solo orienta l'attenzione degli uomini sulla necessità del
lavoro quotidiano, ma stabilisce anche il suo ritmo particolare. Il quarto comandamento
recita: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai
e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore,
tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il
tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora
presso di te» (Es 20,8-10). Con questo comando del Creatore il processo del
lavoro umano viene paragonato all'opera creatrice di Dio, che ha dato inizio
all'universo. Anzi il comandamento di santificare il sabato è giustificato dal
fatto che nella creazione del mondo «Dio benedisse il settimo giorno e lo
consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva
fatto» (Gn 2,3). Questo giorno deve essere dedicato al Signore, perché le
preoccupazioni quotidiane non possano distogliere l'uomo dal Creatore. Nel
contempo, le espressioni attive di misericordia e di aiuto disinteressato al
prossimo non costituiscono una violazione del comandamento: «Il sabato è stato
fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Nella tradizione
cristiana sin dai tempi apostolici il primo giorno della settimana, il giorno
della Risurrezione di Cristo, la domenica, è il giorno di riposo.
VI.3. Il perfezionamento degli strumenti e
dei metodi di lavoro, la differenziazione professionale e il passaggio da forme
semplici a forme più complesse contribuiscono al miglioramento delle condizioni
materiali della vita dell'uomo. Tuttavia, le seduzioni costituite dalle
conquiste della civiltà allontanano gli uomini dal Creatore, conducono a
un’illusoria creatività umana, che tenta di organizzare la vita terrena senza
Dio. L'attuazione di simili tentativi nella storia dell'umanità si è sempre
conclusa in maniera tragica.
Nella Sacra
Scrittura si dice che i primi edificatori della civiltà terrena furono i
discendenti di Caino: Lamech e i suoi figli inventarono e fabbricarono i primi
strumenti di rame e di ferro, le tende portatili e diversi strumenti musicali e
furono i fondatori di molti mestieri e arti (Gen 4,20-22). Tuttavia essi
insieme ad altri uomini non sfuggirono alle tentazioni: «ogni uomo aveva
pervertito la sua condotta sulla terra» (Gen 6,12). Così, per volontà del
Creatore, la civiltà dei cainiti viene cancellata dal diluvio. L'immagine
biblica più icastica dell'infruttuoso tentativo dell'umanità decaduta di «farsi
un nome» è la costruzione della torre di Babele la cui cima avrebbe dovuto
«toccare il cielo». La confusione delle lingue appare come il simbolo della
fusione degli sforzi degli uomini di raggiungere il loro scopo in
contrapposizione a Dio. Il Signore punisce i superbi: confondendone le lingue,
egli li priva della possibilità di comprendersi l'un l'altro e li disperde per
tutta la terra.
VI.4. Da un punto di vista cristiano il lavoro in
sé non è un valore assoluto. Esso è benedetto quando si manifesta come una
collaborazione con il Signore e contribuisce alla realizzazione del suo
progetto sul mondo e sull'uomo. Il lavoro non è invece cosa buona se è
diretto al servizio degli interessi egoistici dell'individuo o di singole
comunità , come pure al soddisfacimento dei desideri peccaminosi dello spirito
e della carne.
La
sacra Scrittura indica due finalità morali del lavoro: mantenere se stessi,
senza gravare su nessuno, e sostentare il bisognoso. L'Apostolo scrive: «Ci
si dia da fare, lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a
chi si trova in necessità» (Ef 4,28). Tale lavoro educa l'anima e rafforza il
corpo dell'uomo, offre al cristiano la possibilità di manifestare la propria
fede in buone azioni di misericordia e di amore per il prossimo (Mt 5,16; Gc
2,17) gradite a Dio. Tutti devono ricordare le parole dell'apostolo Paolo: «chi
non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10).
Il significato etico del lavoro è
stato costantemente sottolineato dai padri e dai dottori della Chiesa. Così,
Clemente Alessandrino definisce il lavoro «scuola di giustizia sociale». San
Basilio Magno affermava che «il motivo della devozione non deve servire da
pretesto per la pigrizia e la fuga dal lavoro, ma da stimolo per un lavoro
ancora maggiore». E san Giovanni Crisostomo esortava a considerare
«disonorevole non il lavoro, bensì l'ozio». Un esempio di ascetismo del lavoro
l'hanno offerto i monaci di molti monasteri. La loro attività economica per
molti aspetti fu un modello da imitare, e i fondatori delle più importanti
comunità monastiche ebbero, oltre a un'altissima autorevolezza spirituale,
anche la fama di grandi lavoratori. Sono molto celebri gli esempi del lavoro
zelante dei santi Teodosio Pecerskij, Sergio di Radonez, Kirill Belozerskij,
Iosif Volockij, Nil Sorskij e altri asceti russi.
VI.5. La Chiesa benedice ogni lavoro teso
al bene delle persone; con questo non viene privilegiato nessuno degli
aspetti dell'attività umana, se tale attività è conforme ai principi morali
cristiani. Nelle parabole il signore nostro Gesù Cristo menziona continuamente
diversi mestieri, senza metterne in rilievo nessuno in particolare. egli parla
del lavoro del seminatore (Mc 4,3-9), dei servi e dell'amministratore (Lc
12,42-48), del mercante e dei pescatori (Mt 13,45-48), di colui che assume i
lavoratori e degli operai nella vigna (Mt 20,1-16). Tuttavia i tempi moderni hanno
dato sviluppo a un'intera industria, diretta espressamente alla propaganda del
vizio e del peccato, al soddisfacimento di perniciose passioni e abitudini
quali l'abuso di alcol, di sostanze stupefacenti, la lussuria e l'adulterio. La
Chiesa conferma la peccaminosità della partecipazione a tale attività, poiché
essa rende depravato non solo il singolo individuo che ne è implicato, ma tutta
la società nel suo insieme.
VI.6. Coloro
che lavorano hanno il diritto di godere dei frutti del proprio lavoro: «Chi
pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza
cibarsi del latte del gregge?... Poiché colui che ara deve arare nella speranza
di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza»
(1Cor 9,7.10). La Chiesa insegna che negare la retribuzione del lavoro onesto è
non solo un crimine contro l'uomo, ma anche un peccato di fronte a Dio.
La sacra Scrittura dice: «Non
defrauderai il salariato... gli darai il suo salario il giorno stesso... perché
non gridi contro di te al Signore e tu non sia in peccato» (Dt 24,14-15); «Guai
a chi... fa lavorare il suo prossimo per nulla, senza dargli la paga» (Ger
22,13); «Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le
vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del
Signore degli eserciti» (Gc 5,4).
Nel contempo il comando di Dio impone a coloro che lavorano di provvedere a coloro
che per diverse ragioni non possono guadagnarsi da vivere: i deboli, gli
ammalati, i forestieri (i profughi), gli orfani e le vedove, e di spartire con
essi i frutti del lavoro, «perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro
delle tue mani» (Dt 24,19-22).
Continuando sulla terra il servizio
di Cristo, il quale identificò se stesso proprio con i diseredati, la Chiesa leva la sua voce in difesa di
coloro che non hanno voce né forza. Per questo essa chiama la società a un’equa
distribuzione dei frutti del lavoro, con cui il ricco sostiene il povero,
il sano il malato, colui che è in grado di lavorare l'anziano. La prosperità
spirituale e la sopravvivenza della società sono possibili solo se la sicurezza
delle condizioni di vita, della salute e del benessere minimo di tutti i
cittadini venga considerata una priorità assoluta nella distribuzione dei mezzi
materiali.
VII.1. Con il termine
«proprietà» si intende la forma socialmente riconosciuta del rapporto degli
uomini con i frutti del lavoro e con le risorse naturali. Fra i diritti
riconosciuti a chi è proprietario vi sono il diritto di possesso e di uso, il
diritto di amministrare e di ricevere un profitto, il diritto di alienare,
sfruttare o eliminare oggetti di proprietà.
La
Chiesa non definisce i diritti delle persone alla proprietà. Tuttavia il lato
materiale della vita dell'uomo non rimane al di fuori della sua visuale.
Esortando a cercare prima di tutto il «regno di Dio e la sua giustizia» (Mt
6,33), la Chiesa ricorda anche la necessità del «pane quotidiano» (Mt 6,11),
ritenendo che ogni persona debba avere
mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa. Nel contempo la Chiesa mette in
guardia contro l'attaccamento eccessivo ai beni materiali, condannando coloro
che si lasciano sopraffare «dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri
della vita» (Lc 8,14). Nella posizione della Chiesa ortodossa riguardo alla
proprietà non c'è né un atteggiamento di scarsa considerazione dei bisogni
materiali, né l'estremo opposto che enfatizza l'inclinazione degli uomini al conseguimento dei beni
materiali come scopo e valore supremo dell'esistenza. La condizione
patrimoniale dell'uomo di per sé non può essere considerata una prova di quanto
egli sia gradito o meno a Dio.
Il rapporto del cristiano ortodosso
con la proprietà deve fondarsi sul principio evangelico dell'amore verso il
prossimo, espresso con le parole del Salvatore: «Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questo comandamento è la base
della condotta morale dei cristiani. Per loro e, dal punto di vista della
Chiesa, anche per gli altri uomini, questo comandamento deve essere un
imperativo nelle relazioni interpersonali, comprese quelle di natura
patrimoniale.
Secondo
l'insegnamento della Chiesa, gli uomini ricevono tutti i beni terreni da Dio,
al quale appartiene il diritto assoluto di possederli. La relatività del
diritto di proprietà per l'uomo è indicata più volte dal Salvatore nelle
parabole: si tratta o di una vigna, data in uso (Mc 12,1-9), o di talenti
distribuiti tra gli uomini (Mt 25,14-30), o di un podere affidato in
amministrazione temporanea (Lc 16,1-13). Esprimendo il pensiero proprio della
Chiesa sulla sovranità assoluta di Dio, san Basilio Magno chiede: «Dimmi: quali
cose ti appartengono? Da dove le hai tratte per immetterle nella vita?». Il
rapporto peccaminoso con la proprietà, che si manifesta nella trascuratezza o
nel rifiuto consapevole di questo principio spirituale, provoca divisione e
alienazione tra gli uomini.
VII.2. I beni materiali non possono rendere l'uomo
felice. Il Signore Gesù Cristo ammonisce: «Guardatevi e tenetevi lontano da
ogni cupidigia, perché la vita dell'uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).
La corsa alla ricchezza si riflette in maniera perniciosa sullo stato
spirituale dell'uomo ed è capace di portare a una totale degradazione della
persona. L'apostolo Paolo testimonia che «coloro che vogliono arricchire,
cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste,
che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro
infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno
deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori. Ma tu,
uomo di Dio, fuggi queste cose» (1Tm 6,9-11). Nel dialogo con il giovane ricco
il Signore disse: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi,
dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21).
Quindi Cristo spiegò queste parole ai discepoli: «Difficilmente un ricco
entrerà nel regno dei cieli... è più facile che un cammello passi per la cruna
di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,23-24). L'evangelista
Marco precisa che nel regno di Dio è difficile entrare proprio per colui che
ripone la sua fiducia non in Dio, ma nei beni materiali: «quanto difficilmente
coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio» (Mc 10,23). Solo «chi
confida nel Signore è come il monte Sion: non vacilla, è stabile per sempre»
(Sal 125,1).
Eppure, anche un ricco si può
salvare, perché «ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc
18,27). Nella Sacra Scrittura non è contenuta la condanna della ricchezza come
tale. Uomini agiati furono Abramo e i patriarchi veterotestamentari, il pio
Giobbe, Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea. Chi possiede un considerevole
patrimonio non commette peccato se lo usa in conformità con la volontà di Dio,
al quale appartiene tutto ciò che esiste, e secondo la legge dell'amore, poiché
la gioia e la pienezza di vita non stanno nell'acquistare e nel possedere, ma
nel donare e nel rinunciare. L'apostolo Paolo esorta a ricordarsi «delle parole
del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» (At
20,35). San Basilio Magno considera ladro colui che non dona una parte dei suoi
beni in elemosina per aiutare il prossimo. Questa stessa idea sottolinea san
Giovanni Crisostomo: «Non dare ai poveri una parte delle proprie ricchezze
equivale a un furto». La Chiesa esorta il
cristiano a considerare i beni come un dono di Dio, dato per essere usato per
il bene proprio e del prossimo.
Nello stesso tempo la Sacra Scrittura riconosce il diritto
dell'uomo alla proprietà e condanna l'attentato ad appropriarsene
illecitamente. In due dei dieci comandamenti del decalogo si parla in maniera
diretta di questo: «Non rubare... Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non
desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né
il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es
20,15.17). Nel Nuovo Testamento tale atteggiamento verso la proprietà è stato
mantenuto e ha assunto una giustificazione morale più profonda. Nel vangelo a
questo proposito si dice che: «Il precetto... non rubare, non desiderare
e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso»
(Rm 13,9).
VII.3. La Chiesa riconosce l'esistenza di
molteplici forme di proprietà. Le forme di proprietà pubblica, societaria,
privata e mista si sono variamente radicate in diversi paesi nel corso della
storia. La Chiesa non dà preferenza ad alcuna di queste forme. Con ciascuna di
esse sono possibili sia atti peccaminosi – furto, bramosia di denaro, ingiusta
ripartizione dei frutti del lavoro – sia un uso giusto e moralmente
giustificato dei beni materiali.
Un'importanza sempre maggiore
acquista la proprietà intellettuale, che ha per oggetto le attività
scientifiche e le invenzioni, le tecnologie informatiche, le opere d'arte e
altre acquisizioni del pensiero creativo. La
Chiesa approva il lavoro creativo volto al bene della società e condanna la
violazione dei diritti d'autore contro la proprietà intellettuale.
In generale l'esproprio e la spartizione della proprietà con la violazione dei
diritti dei suoi legittimi proprietari non possono essere approvati dalla
Chiesa. Un'eccezione può essere l'esproprio della proprietà a norma di
legge, determinato dagli interessi della maggior parte delle persone e
accompagnato da un equo indennizzo. L'esperienza
della storia nazionale dimostra che la violazione di questi principi provoca
inevitabilmente sconvolgimenti sociali e sofferenze fra la popolazione.
Nella storia del cristianesimo la
comunione dei beni e la rinuncia alla proprietà privata furono caratteristiche
di molte comunità. Tale carattere dei rapporti patrimoniali facilitò il
consolidamento dell'unità spirituale dei credenti e in molti casi fu
economicamente efficace, come nel caso dei monasteri ortodossi. Tuttavia la rinuncia alla proprietà privata
nella comunità dei primi apostoli (At 4,32) e più tardi nei monasteri
cenobitici ebbe un carattere esclusivamente volontario e fu connessa con una
scelta spirituale personale.
VII.4. Una
forma particolare di proprietà è rappresentata dal patrimonio delle
organizzazioni religiose. Essa viene acquisita attraverso modalità diverse,
tuttavia la componente fondamentale della sua formazione è l'offerta spontanea
da parte dei credenti. Secondo la sacra Scrittura, l'offerta è santa, cioè
appartiene direttamente al Signore; colui che fa un'offerta, la offre a Dio, e
non al sacerdote (Lv 27,30; Esd 8,28). L'offerta è un atto volontario, compiuto
da credenti per scopi religiosi (Ne 10,32). L'offerta è destinata a sostentare
non solo i servi della Chiesa, ma anche tutto il popolo di Dio (Fil 4,14-18).
L'offerta, in quanto dedicata a Dio, è inviolabile, e chiunque la sottragga
deve restituire più di quello che ha rubato (Lv 5,14-15). La donazione è annoverata tra i precetti fondamentali, dati all'uomo da
Dio (Sir 7,30-34). In tal modo le
donazioni sono un caso particolare di rapporti economico-sociali, e per questo
non devono automaticamente essere assoggettate alle leggi che regolano le
finanze e l'economia dello stato, e in particolare l'imposizione fiscale. La
Chiesa dichiara che i redditi derivanti da un’attività di carattere
imprenditoriale possono essere soggetti a tassazione, ma qualsiasi attentato
alle donazioni dei credenti è un delitto di fronte agli uomini e di fronte a
Dio.
VIII.1. La guerra è
una manifestazione fisica di un male spirituale occulto dell'umanità, l'odio
fratricida (Gen 4,3-12). Le guerre hanno accompagnato tutta la storia
dell'umanità dopo il peccato originale e, secondo le parole del vangelo, la
accompagneranno ancora: «E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi;
bisogna infatti che ciò avvenga» (Mc 13,7). Di questo rende testimonianza anche
l'Apocalisse, narrando dell'ultima battaglia fra le forze del bene e quelle del
male presso la montagna di Armaghedon (Ap 16,16). Le guerre terrene sono il
riflesso delle battaglie celesti, essendo prodotte dalla superbia e dalla
disobbedienza alla volontà di Dio. L'uomo corrotto dal peccato fu come
afferrato e trascinato nelle forze di queste battaglie cosmiche. La guerra è male. Essa è causata, come il
male nell'uomo in generale, dall'abuso peccaminoso della libertà data da Dio;
«dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri,
le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» (Mt 15,19).
L'omicidio, che nelle guerre è
inevitabile, venne considerato un grave delitto davanti a Dio già all'alba
della storia sacra: «Non uccidere», recita la legge di Mosè (Es 20,13).
Nell'Antico Testamento, come in tutte le religioni antiche, il sangue ha
carattere sacro, perché il sangue è la vita (Lv 17,11-14). «Il sangue contamina
la terra», dice la Sacra Scrittura. Ma lo stesso testo biblico ammonisce coloro
che usano la violenza: «Non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del
sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di chi l'avrà
sparso» (Nm 35,33).
VIII.2. Recando
agli uomini il lieto annuncio della riconciliazione (Rm 10,15), ma trovandosi
«in questo mondo», che è sotto il potere del maligno (1 Gv 5,19) e pieno di
violenza, i cristiani si scontrano senza volerlo con la necessità reale di
partecipare a diverse battaglie. Pur riconoscendo
la guerra come un male, la Chiesa tuttavia non proibisce ai suoi figli di
partecipare ad azioni belliche, se si tratta della difesa del prossimo e del
ristabilimento della giustizia calpestata. La guerra è allora considerata come
un mezzo obbligato, anche se odioso. L'ortodossia in tutti i tempi ha avuto
un atteggiamento di profondissimo rispetto per i soldati che hanno sacrificato
la propria vita per difendere la vita e la sicurezza del prossimo. La santa
Chiesa ha canonizzato numerosi soldati, tenendo in considerazione le loro virtù
cristiane e applicando a loro le parole di Cristo: «Nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
Quando san Cirillo fu inviato dal
patriarca di Costantinopoli a predicare il vangelo e giunse nella capitale dei
saraceni, si misero a discutere con lui sulla fede alcuni grandi maestri di
teologia, seguaci di Maometto. Tra le altre domande gli posero questa: «Cristo
è il vostro Dio. egli vi ha comandato di pregare per i vostri nemici, di fare
del bene a coloro che vi odiano e vi perseguitano, e a chi vi percuote su una
guancia, di porgere anche l'altra, e voi cosa fate? Se qualcuno vi offende,
affilate le armi, andate in battaglia e uccidete. Perché non ascoltate il
vostro Cristo?». Dopo aver sentito ciò, san Cirillo chiese ai suoi
interlocutori: «Se in qualche legge saranno scritti due comandi, quale uomo
sarà il perfetto esecutore di quella legge: colui che obbedisce a un comando, o
colui che esegue entrambi i comandi?». Quando i discendenti di Agar risposero
che obbedisce alla legge in maniera più perfetta quello che osserva entrambi i
comandi, allora il santo predicatore continuò: «Cristo Dio nostro, che ci ha
comandato di pregare per coloro che ci offendono e di far loro del bene, ha
detto anche che nessuno di noi in questa vita può dimostrare un amore più
grande di colui che dà la sua anima – la sua vita – per i suoi amici (Gv
15,13). Ecco perché noi sopportiamo con magnanimità le offese causateci come
persone singole, ma nella comunità ci difendiamo l'un l'altro e siamo disposti
a dare la nostra vita in battaglia per il nostro prossimo, affinché voi, dopo
aver fatto prigionieri i nostri concittadini, insieme con i corpi non facciate
prigioniere anche le loro anime, costringendoli a rinnegare la loro fede e a
compiere atti contro Dio. I nostri soldati cristiani con le armi in pugno
proteggono la santa Chiesa, proteggono il sovrano, nella cui santa persona
venerano l'immagine del potere del Re del cielo, proteggono la patria, con la
cui distruzione inevitabilmente cadrà l'autorità nazionale e vacillerà la fede
evangelica. Ecco i preziosi doveri per i quali fino all'ultima goccia di sangue
i soldati devono combattere, e se essi moriranno sul campo di battaglia, la
Chiesa li canonizzerà tra i santi martiri e i loro nomi saranno ricordati e
invocati nelle preghiere davanti a Dio».
VIII.3. «Tutti
quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (Mt 26,52): in queste
parole del Salvatore trova fondamento l'idea della guerra giusta. Da un punto
di vista cristiano, il concetto della
giustizia morale nei rapporti internazionali deve basarsi sui seguenti principi
fondamentali: l'amore per il prossimo, per il proprio popolo e per la patria;
la comprensione dei bisogni delle altre nazioni; la consapevolezza che il bene
del proprio popolo non può essere perseguito con mezzi immorali. Questi tre
principi hanno fissato i limiti morali della guerra, espressi dal mondo
cristiano nel Medioevo, quando, adattandosi alla realtà, gli uomini cercarono
di mettere un freno alle forze della violenza bellica. Già allora era nata la
convinzione che la guerra deve essere condotta secondo determinate regole e che
colui che combatte non deve perdere la sua fisionomia morale, dimenticando che
il suo avversario è un uomo come lui.
L'elaborazione di alti principi
giuridici nei rapporti internazionali non sarebbe stata possibile senza
l'influsso morale che esercitò il cristianesimo sulla mente e sul cuore degli
uomini. Le esigenze della giustizia nella guerra in pratica ben di rado furono
rispettate, ma il fatto stesso di porre tale problema a volte trattenne i
belligeranti da eccessive crudeltà.
Nella tradizione cristiana
occidentale, che risale a sant'Agostino, per stabilire quando una guerra è
giusta di solito si considera una serie di fattori che giustificano
l'ammissibilità di una guerra nel proprio o altrui territorio. Tra essi si
possono annoverare i seguenti:
– è opportuno dichiarare guerra
per ristabilire condizioni di giustizia;
– ha il diritto di dichiarare
guerra solo l'autorità legittima;
– il diritto di usare la
violenza appartiene non a singoli individui o a singoli gruppi, ma ai
rappresentanti delle autorità civili costituite;
– una guerra può essere
dichiarata solo dopo che si siano esauriti tutti i mezzi pacifici per condurre negoziati
con la parte avversaria e per ristabilire la situazione iniziale;
– è opportuno dichiarare guerra
solo nel caso in cui vi siano speranze del tutto fondate di raggiungere gli
scopi prefissati;
– le perdite umane e le
distruzioni previste devono corrispondere alla situazione e alle finalità della
guerra (principio della proporzionalità dei mezzi);
– durante la guerra è
necessario assicurare la protezione della popolazione civile dalle azioni
belliche dirette;
– la guerra può essere
giustificata solo dall'aspirazione a ristabilire la pace e l'ordine.
Nel sistema attuale delle relazioni
internazionali a volte risulta difficile
distinguere una guerra di aggressione da una guerra di difesa. Il confine
tra la prima e la seconda è particolarmente sottile nei casi in cui uno o più
stati oppure la comunità internazionale intraprendano azioni belliche,
motivandole con la necessità di difendere il popolo che è vittima di
un'aggressione (v. XV.1). A questo proposito, il problema del sostegno o della condanna da parte della Chiesa
delle azioni belliche richiede un attento
esame caso per caso ogni volta che tali azioni hanno inizio o che si profila un
tale pericolo.
Uno dei criteri evidenti, secondo
cui si può valutare la giustizia o l'ingiustizia dei belligeranti, è costituito
dai metodi con cui la guerra viene
condotta e dall'atteggiamento verso chi viene fatto prigioniero e verso la
popolazione civile della parte avversaria, specialmente verso i bambini, le
donne e gli anziani. Anche difendendosi da un'aggressione, si può nello stesso
tempo commettere ogni genere di male, così da rendere la propria condizione
spirituale e morale non migliore di quella dell’aggressore. La guerra deve essere condotta con «giusta
indignazione», ma non con astio, avidità e concupiscenza (1Gv 2,16) e con altri
frutti dell'inferno. Il giudizio sulla guerra – se cioè sia da considerare
impresa eroica o atto di brigantaggio – si può esprimere solo dopo un'analisi
della condizione morale dei combattenti: «Non gioire per la morte di qualcuno
[anche se fosse il tuo peggior nemico]; ricordati che tutti moriremo», dice la
Sacra Scrittura (Sir 8,8). Per i cristiani l’atteggiamento umano verso i feriti
e i prigionieri si fonda sulle parole dell'apostolo Paolo: «Se il tuo nemico ha
fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti,
ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male,
ma vinci con il bene il male» (Rm 12,20-21).
VIII.4. Nell'iconografia
di san Giorgio, un serpente nero viene schiacciato dagli zoccoli del cavallo,
che è sempre raffigurato di colore bianco luminoso. Con questo si vuole
mostrare in maniera evidente che il male e la lotta contro di esso devono
essere assolutamente distinti e separati perché, lottando contro il peccato, è
importante non diventarne partecipi. In tutte le situazioni della vita, in cui
si presenta la necessità di usare la forza, il cuore dell'uomo non deve cadere
sotto il potere di sentimenti malvagi, che lo accomunano agli spiriti immondi e
lo rendono simile a essi. Solo la vittoria sul male nella sua anima dischiude
all'uomo la possibilità di usare la forza in maniera giusta e corretta. Tale
prospettiva, affermando nei rapporti tra gli uomini la supremazia dell'amore, respinge
recisamente l'idea dell'ammissibilità della forza per contrastare il male. La
legge morale cristiana condanna non la lotta contro il male, non l'uso della
forza verso chi è portatore del male, e neppure addirittura l'omicidio quando
questo appaia una misura estrema, bensì la malvagità del cuore umano, il
desiderio di umiliare e di uccidere.
Sotto questo aspetto, la Chiesa ha una cura particolare per
l'esercito, che cerca di educare in uno spirito di fedeltà agli alti ideali
morali. Gli accordi di cooperazione conclusi dalla Chiesa ortodossa russa
con le forze armate e con le forze dell'ordine aprono grandi possibilità in
vista del superamento di barriere
artificiosamente create, affinché
l'esercito torni alle tradizioni ortodosse di servizio della patria, ratificate
dai secoli. Il clero ortodosso – sia quello che svolge il suo particolare
ministero nell'esercito, sia quello che opera nei monasteri o nelle parrocchie
– è chiamato ad assistere con zelo i militari, preoccupandosi della loro condizione
morale.
VIII.5. Alla
base della visione cristiana della pace stanno le promesse di Dio, attestate
nella sacra Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Queste promesse, che
rivelano il senso autentico della storia, hanno cominciato a realizzarsi in
Gesù Cristo. Per i suoi discepoli, la pace è un dono della misericordia di Dio,
per il quale preghiamo e che chiediamo al Signore per noi stessi e per tutti
gli uomini. La visione biblica della pace è molto più ampia di quella politica.
Il santo apostolo Paolo afferma che «la pace di Dio... sorpassa ogni
intelligenza» (Fil 4,7). Essa è incomparabilmente più elevata di quella pace
che gli uomini sono capaci di creare con i propri sforzi. La pace dell'uomo con
Dio, la pace con se stesso e la pace con gli altri uomini sono inscindibili
l'una dall'altra.
Nei profeti veterotestamentari la
pace è rappresentata come una condizione che conclude e perfeziona la storia:
«Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al
capretto... Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio
santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque
ricoprono il mare» (Is 11,6-9). Questo ideale escatologico è connesso con la
rivelazione del Messia, il cui nome è «Principe della pace» (Is 9,5). La guerra
e la violenza spariranno dalla terra: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le
loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell'arte della guerra» (Is 2,4). D'altra parte, la
pace è non solo un dono del Signore, ma anche un compito dell'umanità. La
Bibbia ci dà la speranza della realizzazione della pace con l'aiuto di Dio già
entro i confini di questa esistenza terrena.
Secondo la testimonianza del santo
profeta Isaia, la pace è frutto della giustizia (Is 32,17). La Sacra Scrittura
parla anche della giustizia di Dio e della giustizia umana. Entrambe hanno un
nesso vitale con l'alleanza che Dio ha concluso con il popolo eletto (Ger
31,35). In questo contesto la giustizia viene prevalentemente intesa come
fedeltà ai rapporti di alleanza. In quanto gli uomini infrangono l'alleanza con
Dio, cioè in quanto essi non sono «giusti» – sono immorali – in tanto essi
restano privi del frutto della giustizia, la pace. Nello stesso tempo uno degli
elementi fondamentali delle leggi sinaitiche fu l'esigenza di un atteggiamento
giusto – morale – verso il prossimo. I precetti della legge avevano lo scopo
non di limitare in maniera gravosa la libertà dell'individuo, ma di edificare
la vita della società sul principio della giustizia per acquisire una
condizione relativa di pace, ordine e tranquillità. Per Israele questo
significava che la pace nella vita sociale non si attua da sé, in virtù di una
qualche legge naturale, ma che essa è possibile, in primo luogo, come dono
della giustizia divina, e, in secondo luogo, come frutto degli sforzi religiosi
dell'uomo, cioè della sua fedeltà a Dio. Laddove gli uomini rispondono con
gratitudine e fedeltà alla giustizia di Dio, là «misericordia e verità
s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11). D'altro canto, la
storia dell'Antico Testamento offre una moltitudine di esempi di infedeltà e di
peccaminosa ingratitudine del popolo eletto. Questo dà motivo al profeta
Geremia di indicare la causa della mancanza della pace in Israele, dove
continuamente si ode il grido: «Pace! Pace! ma pace non c'è» (Ger 6,14). Il
monito del profeta alla penitenza e alla conversione risuona come un canto di
fedeltà alla giustizia di Dio. Nonostante i peccati del popolo, Dio promette di
concludere con esso «un'alleanza nuova» (Ger 31,31).
La pace nel Nuovo Testamento, così
come nell'Antico, è considerata un dono dell'amore di Dio. Essa si identifica
con la salvezza escatologica. La natura sovratemporale della pace, annunciata
dai profeti, risulta in maniera particolarmente chiara nel vangelo di Giovanni.
Nella storia continua a dominare il dolore, ma in Cristo i credenti trovano la
pace (Gv 14,27; 16,33). La pace nel Nuovo Testamento è una condizione di grazia
dell'anima umana, liberata dalla schiavitù del peccato. Proprio questo
esprimono gli auguri di «grazia e pace» con cui il santo apostolo Paolo inizia
le sue lettere. Questa pace è dono dello Spirito Santo (Rm 15,13; Gal 5,22). Lo
stato di riconciliazione con Dio è lo stato positivo della creatura, «perché
Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14,33). Da un punto di vista
psicologico questa condizione si esprime nell'armonia interiore dell'anima,
quando gioia e pace nella fede (Rm 15,13) diventano quasi sinonimi.
La pace, per la grazia di Dio,
caratterizza la vita della Chiesa sia nell'aspetto interiore che in quello
esteriore. Ma, s'intende, il dono divino della pace dipende anche dagli sforzi
umani. I doni dello Spirito Santo si manifestano solo là dove c'è il movimento
dinamico del cuore umano che va incontro a Dio e con atteggiamento di umiltà e
di pentimento aspira alla giustizia di Dio. Il dono della pace si manifesta
quando i cristiani anelano a perseguirlo, «continuamente memori... del [loro]
impegno nella fede, della [loro] operosità nella carità e della [loro] costante
speranza nel signore nostro Gesù Cristo « (1 Ts 1,3). Le aspirazioni alla pace
di ogni singolo membro del corpo di Cristo devono essere indipendenti dal tempo
e dalle condizioni di vita. Graditi al Signore (Mt 5,9), tali sforzi porteranno
i loro frutti dovunque e in qualsiasi tempo saranno compiuti. La pace, in quanto dono di Dio che
trasfigura radicalmente l'uomo interiore, deve manifestarsi anche
esteriormente. Esso va custodito e ravvivato (2 Tm 1,6), e per questo
l'edificazione della pace diventa uno dei compiti della Chiesa di Cristo: «Se
possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18);
cercate «di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace»
(Ef 4,3). L'invito neotestamentario a costruire la pace si fonda sull'esempio
personale del Salvatore e sul suo insegnamento. E se i comandamenti della non
resistenza al male (Mt 5,39), dell'amore verso i nemici (Mt 5,44) e del perdono
(Mt 6,14-15) sono rivolti prima di tutto al singolo individuo, il comandamento
sull'edificazione della pace – «Beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio» (Mt 5,9) – ha un rapporto diretto con la morale sociale.
La
Chiesa ortodossa russa aspira a realizzare il suo servizio di edificazione
della pace sia a livello nazionale che a livello internazionale, cercando di
comporre le diverse contraddizioni e di indurre alla concordia popoli, gruppi
etnici, governi e forze politiche. Per questo essa rivolge la sua parola a coloro che detengono il potere e agli
altri strati influenti della società, e compie ogni sforzo per organizzare
negoziati tra le parti avversarie e per portare aiuto a coloro che soffrono. La
Chiesa inoltre si oppone alla propaganda della guerra e della violenza, come
pure alle varie manifestazioni di odio, capaci di provocare conflitti
fratricidi.
I concetti di
peccato e di reato
IX.1. I cristiani
sono chiamati a essere cittadini rispettosi delle leggi della patria terrena,
secondo il principio per cui ciascuno deve essere «sottomesso alle autorità
costituite» (Rm 13,1), e ricordando nello stesso tempo il comando di Cristo di
rendere «a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc 20,25). Ma
l'inclinazione al peccato insita nell'uomo genera il delitto, ovvero la
violazione dei limiti posti dalla legge. Nel contempo, la nozione di peccato,
definita dai principi morali ortodossi, è di gran lunga più ampia del concetto
di reato nel diritto laico.
La
causa principale del delitto è lo stato di ottenebramento dell'anima dell'uomo:
«Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri,
le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» (Mt 15,19). È
necessario anche riconoscere che a volte la criminalità è favorita dalle
circostanze sociali ed economiche, dalla debolezza dell'autorità pubblica e
dall'assenza di un ordine legittimo. Le organizzazioni criminali possono
penetrare nelle istituzioni dello stato e servirsene per i propri scopi.
Infine, il potere stesso, compiendo azioni illegali, può rendersi responsabile
di un crimine. Particolarmente pericoloso è il crimine coperto da ragioni
politiche e pseudoreligiose, come il terrorismo e manifestazioni simili.
Per tenere sotto controllo i
fenomeni di illegalità lo stato crea corpi di pubblica sicurezza, il cui scopo
è la prevenzione del crimine, lo svolgimento delle indagini nonché la punizione
e la rieducazione delle persone che li hanno commessi. Tuttavia lo sradicamento
della criminalità e la correzione di coloro che hanno sbagliato sono compiti
non solo delle istituzioni, e nemmeno solo dello stato, ma di tutto il popolo,
il che significa anche della Chiesa.
IX.2. La prevenzione della criminalità è possibile
prima di tutto attraverso l'educazione e l'istruzione, dirette all'affermazione
dei valori spirituali e morali autentici nella società. In questo compito la
Chiesa ortodossa è chiamata a una cooperazione attiva con la scuola, con i
mezzi di comunicazione di massa e con i corpi di pubblica sicurezza. Qualora
nel popolo manchi un ideale morale positivo, nessuna misura di coercizione, di
intimidazione o di punizione potrà fermare la cattiva volontà. Proprio per
questo la forma migliore di prevenzione del crimine è l'educazione a uno stile
di vita onesto e retto, specialmente nel mondo dei bambini e dei giovani.
Grande attenzione a questo proposito
bisogna rivolgere a quelle persone che appartengono ai cosiddetti gruppi «a
rischio» o che hanno già commesso i primi reati. A tali persone deve essere
rivolta una particolare cura pastorale ed educativa. I ministri del culto e i
laici ortodossi sono chiamati a cooperare sia per eliminare le cause sociali
della criminalità, mostrandosi solleciti per l’attuazione di un giusto ordine
nella società e nell'economia e perché ogni membro della società si possa
realizzare nella sua vita personale e professionale.
Nel contempo, la Chiesa insiste sulla necessità di mantenere un atteggiamento umano
verso coloro che sono sospettati, che si trovano sotto inchiesta e dei quali si
è scoperta l'intenzione di violare la legge. Un trattamento crudele e
degradante di queste persone può anche confermarle sulla strada sbagliata o
spingervele. Ecco perché coloro che non sono stati condannati con una sentenza
legale, trovandosi anche agli arresti, non devono essere privati dei loro
diritti fondamentali. È necessario assicurare loro la difesa e un processo equo
e imparziale. La Chiesa condanna la
tortura e le diverse forme di umiliazione inflitte alle persone inquisite.
Neppure allo scopo di aiutare le forze dell'ordine, un ministro del culto può
violare il segreto della confessione o un altro segreto mantenuto per legge (per
esempio, il segreto di adozione). Nella
cura spirituale di coloro che hanno smarrito la retta via e sono stati
condannati, i pastori che fossero venuti a conoscenza in confessione di quanto
tenuto nascosto nell'istruttoria e all'organo giudiziario, si atterranno al
segreto della confessione.
La norma che
prevede la difesa del segreto della confessione è contenuta nella legislazione
di molti stati, compresa la Costituzione della Federazione russa e la legge
russa «Sulla libertà di coscienza e sulle associazioni religiose».
Il
ministro del culto è chiamato a manifestare una particolare attenzione
pastorale nei casi in cui in confessione gli vengano resi noti progetti di
natura criminosa. Mantenendo senza eccezione e in qualsiasi circostanza il
segreto della confessione, il pastore nello stesso tempo è tenuto a
intraprendere tutti gli sforzi possibili perché quell’intento criminoso non si
realizzi. In primo luogo questo riguarda il pericolo di un omicidio,
specialmente le potenziali vittime di una strage, nel caso in cui venga
compiuta un'azione terroristica o venga eseguito un ordine criminoso in tempo
di guerra. Tenendo presente che l'anima di un potenziale criminale e quella
della vittima designata hanno identico valore, il ministro del culto deve richiamare colui che si confessa a un
sincero pentimento, cioè a rinunciare al suo proposito malvagio. Se questo
richiamo non raggiungerà il suo scopo, il pastore, preoccupandosi di mantenere
segreto il nome di colui che si è confessato e altre circostanze che possono
rivelare la sua identità, può avvertire coloro la cui vita è in pericolo. Nei
casi difficili il ministro del culto dovrà rivolgersi ai suoi superiori
eparchiali.
IX.3. Il reato commesso e condannato secondo
la legge presuppone una giusta punizione, il cui significato è quello di
correggere la persona che ha violato la legge, proteggere la società dal
criminale e reprimerne le attività illegali. La Chiesa, pur senza ergersi a giudice di colui che ha violato la
legge, è chiamata a preoccuparsi della cura della sua anima. Proprio per questo
essa intende la pena non come una vendetta, ma come un mezzo di purificazione
interiore di colui che ha peccato.
Il Creatore,
stabilendo una punizione per i rei, dice a Israele: «Estirperai da te il male»
(Dt 21,21). La punizione di colui che ha infranto la legge serve da
insegnamento agli uomini. Così, infliggendo una punizione per la falsa
profezia, Dio dice a Mosè: «Tutto Israele lo verrà a sapere, ne avrà timore e
non commetterà in mezzo a te una tale azione malvagia» (Dt 13,12). Nel libro
dei Proverbi di Salomone leggiamo: «Percuoti il beffardo e l'ingenuo diventerà
accorto, rimprovera l'intelligente e imparerà la lezione» (Pr 19,25). La
tradizione veterotestamentaria conosce alcune forme di punizione: la pena di
morte, l'esilio, la limitazione della libertà, le pene corporali, la pena
pecuniaria o la prescrizione di portare un'offerta a scopo religioso.
La detenzione, l'esilio (il
confino), il lavoro correzionale e le sanzioni pecuniarie si conservano come
punizione anche nel mondo contemporaneo. Tutti questi tipi di punizione
giudiziaria non solo hanno senso dal punto di vista della difesa della società
dalla volontà malvagia del reo, ma sono anche finalizzati alla sua rieducazione.
Così, la privazione o la restrizione della libertà offre all'uomo che si è
posto al di fuori della società la possibilità di trasformare la propria vita,
per ritornare in libertà interiormente purificato. Il lavoro rende possibile
l'educazione della persona in uno spirito costruttivo e permette di acquisire
esperienze utili. Nel processo del lavoro correzionale le forze peccaminose
negli abissi dell'anima devono lasciare il posto all’edificazione creativa,
all'ordine, alla pace dell'anima. Nel contempo, è importante che quanti si
trovano nei luoghi di detenzione non sperimentino un trattamento disumano,
perché le condizioni di vita siano tali da non compromettere la loro vita e la
loro salute, e sulla loro condizione morale non influisca l'esempio pernicioso
di altri detenuti. Per questo lo stato ha il dovere di preoccuparsi dei
carcerati, e in questa cura lo devono aiutare la società e la Chiesa.
Nel cristianesimo l’atteggiamento
benevolo verso i detenuti finalizzato alla loro rieducazione ha radici profonde.
Il Signore Gesù paragona il bene fatto ai carcerati a un servizio prestato a
lui stesso: «ero carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36). La storia ha
conservato moltissimi esempi di aiuto portato da santi a persone che si
trovavano in carcere. La tradizione ortodossa russa ha sempre raccomandato la
misericordia verso i traviati. Sant'Innokentij, arcivescovo di Cherson, nella
cappella della prigione di Vologda si rivolgeva ai prigionieri con queste
parole: «Siamo venuti qui non per accusarvi, ma per darvi conforto e
consolazione. Vedete voi stessi come la santa Chiesa con tutti i suoi
sacramenti si sia avvicinata a voi, ora non allontanatevi voi da lei,
avvicinatevi a lei con fede, con pentimento e con desiderio di conversione...
Il Salvatore anche in questo momento tende dalla croce le braccia verso tutti
quelli che si pentono; pentitevi anche voi, e passerete dalla morte alla
vita!».
Compiendo
il suo ministero nei penitenziari, la Chiesa deve predisporvi templi e sale di
preghiera, celebrare i sacramenti e gli uffici divini, condurre colloqui
pastorali con i detenuti e diffondere la letteratura religiosa. Per questo è
particolarmente importante il contatto personale con i detenuti, compresa la
visita a essi nelle loro celle. Merita ogni incoraggiamento la corrispondenza
con i condannati, la raccolta e l'invio di abiti, medicinali e di altri beni
necessari. Tale attività deve essere diretta non solo al sollievo della penosa
sorte dei detenuti, ma anche alla guarigione spirituale dell’anima di chi ha
sbagliato. La loro malattia è il male di tutta la madre Chiesa, che gioisce
della gioia celeste anche «per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,10).
La rinnovata attenzione alla cura spirituale dei detenuti è un importante
orientamento dell'opera pastorale e missionaria, che ha bisogno di sostegno e
di sviluppo.
Quale
speciale misura punitiva, la pena di morte era ammessa nell'Antico
Testamento. Indicazioni sulla necessità
della sua abrogazione non si trovano né nella Sacra Scrittura del Nuovo Testamento,
né nella tradizione né nell'eredità storica della Chiesa ortodossa. Nel
contempo, la Chiesa si è spesso assunta il dovere di intercedere presso
l'autorità civile a favore dei condannati a morte, chiedendo per essi clemenza
e una commutazione della pena. Inoltre, l'influenza morale cristiana ha
coltivato nella coscienza delle persone un atteggiamento negativo verso la pena
capitale. Così, in Russia, dalla metà del XVIII secolo alla rivoluzione del
1905, essa è stata applicata molto raramente. Per la coscienza ortodossa la
vita umana non finisce con la morte del corpo – proprio per questo la Chiesa
continua a occuparsi di quanti sono stati condannati alla pena capitale.
L'abolizione
della pena di morte offrirebbe maggiori opportunità per il lavoro pastorale con
colui che ha sbagliato e per la sua conversione personale. Per giunta è
evidente che la pena di morte non può avere valore rieducativo, rende altresì
irrimediabile l'errore giudiziario e risveglia sentimenti eterogenei e confusi
nel popolo. Oggi molti stati hanno abolito la pena capitale per legge o non la
applicano nella pratica. Ricordando che la misericordia verso colui che ha
smarrito la retta via è sempre da preferire alla vendetta, la Chiesa incoraggia
simili passi compiuti dai poteri dello stato. Nel contempo essa riconosce che
la questione dell'abolizione o dell'inapplicabilità della pena di morte deve
essere risolta dalla società in maniera libera, tenendo conto del tasso di
criminalità, dell’organizzazione delle forze dell’ordine e del sistema
giudiziario, ma prima di tutto della necessità di salvaguardare la vita dei
membri di buona volontà della società.
IX.4. Desiderando
contribuire all’eliminazione della criminalità, la Chiesa coopera con le forze dell’ordine. Nel rispetto della loro
opera volta alla difesa dei cittadini e della patria dai progetti criminosi
e alla rieducazione di coloro che hanno sbagliato, la Chiesa tende loro una mano per aiutarle. Tale aiuto può
realizzarsi in molteplici opere educative e correttive comuni per la
prevenzione e la riduzione della criminalità, in un'attività scientifica e
culturale e nella cura pastorale degli stessi operatori della pubblica
sicurezza. La cooperazione tra la Chiesa e le forze dell’ordine si basa sul
diritto ecclesiastico e su particolari intese con i responsabili dei ministeri
competenti.
Tuttavia, il ministero pastorale della Chiesa,
specialmente offerto nel sacramento della riconciliazione, è chiamato a essere
il mezzo più efficace per eliminare la criminalità. A chiunque confessa un
reato commesso e si pente il sacerdote
deve assolutamente imporre, quale condizione indispensabile di assoluzione
dal peccato, la rinuncia, dinanzi a Dio,
a continuare l'attività criminosa. Solo in questo modo la persona sarà indotta
ad abbandonare la via dell'illegalità e a ritornare a una vita virtuosa.
X. Problemi
di morale individuale, familiare e sociale
I rapporti
matrimoniali
X.1. La differenza tra i sessi è
un dono speciale del Creatore, da lui dato agli esseri umani. «Dio creò l'uomo
a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen
1,27). Essendo in pari grado portatori dell'immagine di Dio e della dignità
umana, l'uomo e la donna sono creati per un’a unione
totale e
reciproca nell'amore: «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si
unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Attuando la
volontà primordiale del Signore sulla creazione, l'unione coniugale da lui
benedetta diventa un mezzo per continuare a moltiplicare il genere umano: «E
Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la
terra; soggiogatela”» (Gen 1,28). Le peculiarità dei sessi non si riducono alle
diversità della struttura corporea. L'uomo e la donna sonocome due
modalitài
diversie dell'esistenza nell'unica umanità. Essi
hanno bisogno del
i
un dialogo e deli un
reciproco completamento. Tuttavia nel mondo corrotto dal peccato i rapporti tra
i sessi possono pervertirsi, cessando di essere un'espressione dell'amore
divino e degenerando nella manifestazione di una peccaminosa e insana passione
dell'uomo decaduto per il proprio «io».
Pur attribuendo un grande
valore alla scelta del celibato e d ealla castità volontari,
assunti per amore di Cristo e del Vangelo, e pur riconoscendo il ruolo particolare del
monachesimo nella propria storia e nella vita contemporanea, la Chiesa non ha
mai avuto verso il matrimonio un atteggiamento di disprezzo e ha anzi biasimato
coloro che per un’a aspirazione erroneamente intesa alla purezza hanno umiliato i rapporti
matrimoniali.
L'apostolo Paolo, pur avendo
scelto per sé personalmente la verginità e pur avendo esortato altri a imitarlo
in questo (1Cor 7,8), nondimeno condanna «l'ipocrisia di impostori, già bollati
a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio» (1Tm 4,2-3). La
51a Costituzione apostolica recita: «Se qualcuno... rinuncia al
matrimonio... non per amore della continenza religiosa, ma per un motivo di
disprezzo, avendo dimenticato... che Dio, creando l'uomo, li ha fatti maschio e
femmina, e così facendo disprezza la creazione, o si correggerà, oppure sarà
destituito dalla dignità sacerdotale ed escluso dalla Chiesa». Questo principio
viene sviluppato dai canoni 1°, 9° e 10° del Concilio di Gangra: «Se qualcuno
condannerà il matrimonio e disprezzerà la moglie fedele e devota, che desidera
congiungersi con il proprio marito, o la biasimerà affermando che lei non potrà
entrare nel Regno [di Dio], su costui sarà anatema. Se qualcuno rimarrà vergine
o si asterrà dai rapporti sessuali, rinunciando al matrimonio, perché lo
disprezza, e non per amore della bellezza e della santità della verginità
stessa, su costui sarà anatema. Se qualcuno di coloro che hanno scelto la
verginità per amore del Signore si insuperbirà nei confronti di coloro che si
sono uniti in matrimonio, su costui sarà anatema». Il santo Sinodo della Chiesa
ortodossa russa nella deliberazione del 28 dicembre 1998, richiamandosi a
questi canoni, ha indicato la «inammissibilità dell'atteggiamento negativo o
sprezzante verso il matrimonio».
Il matrimonio
nella storia
e nella tradizione
X.2. Secondo il diritto romano,
che ha costituito il fondamento dei codici civili della maggior parte degli
stati modernicontemporanei, il matrimonio è un contratto
tra due parti libere nella propria scelta. La Chiesa ha fatto propria questa
definizione del matrimonio, interpretandola sulla base delle testimonianze
della sacra Scrittura.
Il giurista
romano Modestino (III sec.) ha dato la seguente definizione del matrimonio: «Il
matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna, la comunanza di tutta la vita,
la compartecipazione alla legge divina e umana». In maniera praticamente
invariata qQuesta definizione è entrata praticamente invariata nei
codici canonici della Chiesa ortodossa, in particolare nel «Nomocanon» del
patriarca Fozio (IX sec.), nel «Syntagma» di Matteo Vlastar (XIV sec.) e nel
«Procheron» di Basilio il Macedone (IX sec.), inserito nella slava «Kormchaja
Kniga». Anche i padri e i maestri della Chiesa del cristianesimo primitivo si
basarono sullae
concezionie romanea del matrimonio.
Così, Atenagora nella sua «Supplica intorno ai cristiani» indirizzata
all'imperatore Marco Aurelio (II sec.), scrive: «Ciascuno di noi considera sua
moglie quella che ha sposato secondo le leggi». Gli «Insegnamenti degli
Apostoli», un testo del IV secolo, esortano i cristiani a «contrarre matrimonio
secondo la legge».
Il
cristianesimo integra le concezioni pagane e veterotestamentarie sudel matrimonio
con l'immagine sublime dell'unità di Cristo e delcon la
Chiesa. «Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti
è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il
salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche
le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre
mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla
santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla
parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza
macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i
mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama
la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la
propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,
poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua
madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero
è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi,
ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia
rispettosa verso il marito» (Ef 5,22-33).
Per i cristiani
il matrimonio è diventato non semplicemente un contratto giuridico, un mezzo
per continuare il genere umano e per soddisfare bisogni naturali temporanei,
ma, secondo le parole di sans. Giovanni Crisostomo, è l'«amore
mistico», l'unione eterna dei coniugi in Cristo. Da sempre i cristiani hanno
impresso sul matrimonio il sigillo della benedizione della Chiesa e della
partecipazione comune all'eucaristia, che è la forma più antica della
celebrazione del sacramento del matrimonio.
«È dovere degli
sposi e delle spose di stringere la loro unione con l'approvazione del vescovo,
affinché il matrimonio sia secondo il Signore e non secondo la concupiscenza», - scriveva
il santo martire Ignazio Teoforo (di Antiochia). Secondo Tertulliano, il
matrimonio deve essere «celebrato davanti alla Chiesa, confermato dal
sacrificio eucaristico [eucaristia] e sigillato dalla benedizione, e a esso
assistono gli angeli nei cieli». «È necessario invitare i sacerdoti e con
preghiere e benedizioni confermare i coniugi nella vita in comune, affinché...
i coniugi trascorrano la loro vita nella gioia, uniti con l'aiuto di Dio»,
diceva sans. Giovanni Crisostomo. Sant’S. Ambrogio di
Milano prescriveva che «il matrimonio deve essere consacrato dall'intercessione
e dalla benedizione del sacerdote».
Nel periodo
della cristianizzazione dell'Impero romano la legittimità del matrimonio era
riconosciuta, come prima, da una registrazione pubblica ufficiale. Consacrando
le unioni matrimoniali con la preghiera e la benedizione, la Chiesa riconosceva
nondimeno la validità del matrimonio civile, limitato nell'ordine
civile, nei casi in cui il matrimonio religioso non era possibile,
e non sottoponeva i coniugi ai precetti canonici. La Chiesa ortodossa russa
attualmente si attiene alla stessa prassi. Con questo essa non può approvare e
benedire le unioni coniugali che sono concluse sia pure in
conformità con la legislazione civile in vigore, ma incon
violazione delle prescrizioni canoniche (per esempio, il quarto e successivi matrimoni,
matrimoni illeciti a causa di vincoli di sangue o di parentela spirituale).
Secondo la 74a
Novella di Giustiniano (538), il matrimonio legittimo è concluso sia da un ecdicus (notaio ecclesiastico) che da un
sacerdote. Tale norma fu inclusa nell'ecloga dell'imperatore Leone III e di suo
figlio Costantino V (740), come puree anche
nella legislazione di Basilio I (879). La condizione essenziale del matrimonio
rimase il consenso reciproco dell'uomo e della donna, dichiarato davanti a
testimoni. La Chiesa non espresse nessuna protesta contro questa pratica. Solo
a partire dall'893, secondo l'89a Novella dell'imperatore Leone VI, alle
persone libere fu fatto obbligo di celebrare il matrimonio con un rito
religioso, e nel 1095 l'imperatore Alessio Comneno estese questa legge anche ai
serviagli
schiavi. L'introduzione del matrimonio religioso obbligatorio con un rito religioso (IX-XI
secc.) significava che per deliberazione dell'autorità civile tutta la
regolamentazione giuridica dei rapporti matrimoniali era demandata
esclusivamente alla giurisdizione della Chiesa. Inoltre, l'introduzione
universale di questa pratica non deve essere intesa come l'istituzione del
sacramento del matrimonio, che da sempre è esistevaita
nella Chiesa.
L'ordinamento,
stabilito da Bisanzio, fu adottato anche in Russia nei
riguardi dei cittadini di religione ortodossa. Tuttavia, con l'adozione del
decreto sulla separazione della Chiesa dallo stato (1918), il matrimonio
celebrato con il rito ecclesiastico perse la sua validità
giuridica; formalmente ai credenti fu concesso il diritto di ricevere la
benedizione della Chiesa dopo la registrazione del matrimonio presso negli
organi statali. Tuttavia, nel corso del lungo periodo della persecuzione della
Chiesa da parte dello stato, la celebrazione di un matrimonio solenne in chiesa
di fatto rimase estremamente difficoltosa e rischiosa.
Il santo Sinodo
della Chiesa ortodossa russa del 28 dicembre 1998 notava con rammarico che
«alcuni confessori dichiarano illegale il matrimonio civile o richiedono lo
scioglimento del matrimonio tra coniugi che hanno convissutoconvivono daper
molti anni senza essere sposati con rito
religioso, per una qualche ragione , ma che a causa di
questa o quella circostanza, non hanno celebrato il matrimonio in chiesa...
Alcuni confessori non ammettono alla comunione le persone che vivono in una
unione matrimoniale “non benedetta”, identificando tale matrimonio con la
fornicazione». Nella decisione adottata dal Sinodo è spiegato: «Pur insistendo
sulla necessità del matrimonio religioso, si ricorda ai pastori che la Chiesa
ortodossa considera con rispetto il matrimonio civile».
La comunanza della fede frade i coniugi che sono membri
del corpo di Cristo, costituisce una
condizione essenziale del matrimonio religioso e autenticamente cristiano.
Solo una famiglia unita nella fede può diventare una «Chiesa domestica» (Rm
16,5; Fml
1,2), nella quale il marito e la moglie insieme con i figli crescono nella
perfezione spirituale e nella conoscenza di Dio. L'assenza di unità di vedute
rappresenta una seria minaccia all'integrità dell'unione coniugale. Proprio per
questo la Chiesa considera suo dovere richiamare i credenti a sposarsi «solo
nel Signore» (1Cor 7,39), cioè con colui o colei che condivide le proprie convinzioni
cristiane.
La risoluzione
sopra ricordata del santo Sinodo parla anche del rispetto che la Chiesa ha «per
quel matrimonio nel quale una sola delle parti appartiene alla fede ortodossa,
in conformità con le parole del santo apostolo Paolo: “il marito non credente
viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa
santa dal marito credente” (1 Cor 7,14)». A questo testo della Sacra Scrittura
si sono riferiti anche i padri del Concilio trullano, che riconobbero come autentica
valida
l'unione tra due persone che «pur essendo ancora non credenti e senza
appartenere al popolo ortodosso, si sono uniti tra loro con un matrimonio
civile», se in seguito uno dei coniugi si è rivoltoha abbracciato alla fede (canone 72). Tuttavia
nello stesso canone e in altri decreti canonici (IV Conc. Ecum. 14; Laod.
10,31), come pure in alcuni testi di scrittori cristiani antichi e di padri
della Chiesa (Tertulliano, s. Cipriano di Cartagine, s. Teodoreto e s. Agostino),
si proibisce di celebrare matrimoni tra ortodossi e seguaci di altre tradizioni
religiose.
In conformità con le
antiche prescrizioni canoniche, la Chiesa anche oggi non concede la sua
benedizione ai matrimoni conclusi contratti tfra ortodossi e non cristiani, però
riconosce nello stesso tempo tali matrimoni come legittimi
e non ritiene che coloro che costituiscono tali unioni matrimoniali vivano in
un peccaminoso concubinato. Fondandosi su considerazioni di oikonomia
pastorale, la Chiesa ortodossa
russa, come nel passato, anche oggi considera ammissibile la celebrazione di
matrimoni di cristiani ortodossi con cattolici, con membri delle Chiese
orientali, e con protestanti, che professano la fede nel Dio unitrino, a
condizione che la celebrazione
del matrimonio avvenga nella Chiesa ortodossa e che i figli vengano educati
alla fede ortodossa. Nel corso degli ultimi secoli la maggior parte delle
chiese ortodosse ha seguito questa stessa prassi.
Con il decreto del 23 giugno
1721, il santo Sinodo ammise, alle condizioni sopraindicate, la celebrazione
dei matrimoni di prigionieri svedesi che si trovavano in Siberia con spose
ortodosse. Il 18 agosto di quello stesso anno tale decisione del Sinodo
ricevette una dettagliata giustificazione biblica e teologica in una speciale
lettera sinodale. Su questa lettera si è fondato il santo Sinodo anche in
seguito per risolvere le questioni dei matrimoni misti nei governatorati,
annessi dalla Polonia e dalla Finlandia (decreti del santo Sinodo del 1803 e
del 1811). In queste province, d'altra parte, era permesso di scegliere
più liberamente l'appartenenza confessionale dei figli (temporaneamente questa
prassi talvolta fu estesa anche alle province pribaltiche).
Infine, le norme sui matrimoni misti per tutto l'impero russo vennero fissate
definitivamente nello statuto dei Concistori religiosi (1883). Esempi di
matrimoni misti furono le molte unioni matrimoniali dinastiche, per la cui celebrazione
celebrazione
non venne imposta la conversione all'ortodossia il passaggio
della parte non ortodossa non fu
obbligatoria (a eccezione del matrimonio dell'erede al trono
russo). Così la protomartire principessa Elisabetta si unì in matrimonio con il
gran principe Sergej Aleksandrovic, rimanendo membro della Chiesa luterana
evangelica, e solamente più tardi, di sua spontanea volontà e in tutta libertà,
abbracciò l'ortodossia.
L’indissolublità
del matrimonio
X.3. La Chiesa esige la fedeltà
dei coniugi per tutta la vita e l'indissolubilità del matrimonio ortodosso,
fondandosi sulle parole del Signore Gesù Cristo: «Quello che Dio ha congiunto,
l'uomo non lo separi... Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra,
commette adulterio» (Mt 19,6.9). Il divorzio è condannato dalla Chiesa come un peccato,
perché esso reca gravi sofferenze spirituali sia ai
coniugi (o per lo meno a uno di essi), e
soprattutto ai figli. È fonte di estrema preoccupazione la
situazione contemporanea, nella quale si assiste allo scioglimento disi
scioglie un numero assai elevato di matrimoni, specialmente tra i
giovani. Ciò che sta accadendo sta diventando un'autentica tragedia per
l'individuo e per la società.
Il Signore ha
indicato come unica ragione ammissibile del divorzio l'adulterio che profana la
santità del matrimonio e spezza il vincolo della fedeltà coniugale. Nei casi in
cui vi siano vari conflitti tra i coniugi, la Chiesa considera come suoproprio
compito pastorale ricorrere a tutti gli strumenti e i mezzi che le sono propri
(insegnamento, preghiera, partecipazione ai sacramenti) per preservare
l'integrità del matrimonio ed evitare il divorzio. Anche i I ministri
del culto sono anche chiamati a dialogare con coloro
che desiderano sposarsi, spiegando loro l'importanza e la serietà del passo che
stanno per compierefare.
Purtroppo, a
volte, a causa dell'imperfezione che deriva dal peccato, i coniugi possono
mostrarsi incapaci di custodire il dono della grazia, ricevuto nel sacramento
del matrimonio, e di preservare l'integrità della famiglia. Desiderando la
salvezza dei peccatori, la Chiesa dà loro la possibilità di ravvedersi ed è
pronta, dopo il pentimento, a riammetterli di nuovo ai sacramenti.
Le leggi di
Bisanzio, introdotte dagli imperatori cristiani senzae che non hanno
incontrareto
la condanna della Chiesa, ammettevano diverse motivazioni per il divorzio.
Nell'impero russo lo scioglimento del matrimonio in base alle leggi in vigore
avveniva in un tribunale ecclesiastico.
Nel 1918, nella sua
«Risoluzione sui motivi validi per lo scioglimento dell'unione matrimoniale consacrata dalla
Chiesa», il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa riconosceva come talivalidi
motivi, oltre all'adulterio e al la contrazionestipulazione di un nuovo matrimonio da parte di uno dei coniugia
delle parti, anche l'apostasia del marito o della moglie
dall'ortodossia, ala perversione, l'impotenza sessuale iniziata prima
del matrimonio o comparsa in seguito a un'a intenzionale automutilazione intenzionale,
la malattia della lebbra
o della sifilide, la prolungata assenza di un coniuge senza dare notizie di sé,
la condanna a una pena connessa con la privazione di tutti i diritti civili,
l'attentato alla vita o alla salute del coniuge o dei figli, la relazione amorosa extraconiugale
con una cognata,
la ruffianeria, lo
sfruttamento della prostituzione della moglie, una grave malattia mentale
incurabile e il malevolo abbandono di un coniuge da parte dell'altro. Al giorno
d'oggi questo elenco di motivazioni per lo scioglimento del matrimonio è integrato da
ragioni quali l'alcolismo cronico o la tossicodipendenza accertati da un medico, e l'esecuzione da parte della donna di un
aborto senza il consenso del marito.
Per la
formazione spirituale di coloro che intendono sposarsi e per contribuire al
consolidamento dei vincoli coniugali, i sacerdoti sono chiamati, nel colloquio
che precede la celebrazione del Ssacramento del
matrimonio, a chiarire in maniera particolareggiata al fidanzato e alla
fidanzata che l'unione
matrimoniale religiosa è indissolubile, specificando che il divorzio come
extrema ratio può aver luogo solo nel caso che in cui i coniugi
abbiano commesso azioni che sono
definite dalla Chiesa come ragioni valide per il divorzio. Il consenso allo
scioglimento del matrimonio religioso non può essere dato per soddisfare un
capriccio o per «confermare» il divorzio civile. Del resto, se la disgregazione
del matrimonio è un fatto compiuto – in particolare nel caso in cui i coniugi
vivano separatamente – e la ricostituzione della famiglia sia considerata riconosciuta
come impossibile, può essere concesso anche
il anche il divorzio ecclesiastico qualora il pastore lo ritenga
opportuno. La
Chiesa non incoraggia affatto le seconde nozze. Nondimeno dopo un divorzio ecclesiastico legittimo, in conformità con il
diritto canonico, un secondo matrimonio è permesso al coniuge incolpevole. A
coloro che portino la responsabilità della disgregazione
e dello scioglimento del loro, il cui primo matrimonio
si sia disgregato e sia stato sciolto per loro
colpa, la
stipulazione di un secondo matrimonio è permesso contrarre un secondo matrimonioa
solo a condizione che essi
si siano pentiti e abbiano adempiuto dopo
l'adempimento della penitenza sacramentale,
imposta in conformità con
le leggi canoniche.
Nei casi eccezionali in cui venga permesso il terzo matrimonio, viene prolungato il
periodo della penitenza sacramentale, secondo in conformità con le
norme di Basilio Magno, viene prolungato.
Nella sua
«Risoluzione» del 28 dicembre 1998, il santo Sinodo della Chiesa ortodossa
russa ha condannato le azioni di quei confessori che «proibiscono ai loro figli
spirituali di contrarre un secondo matrimonio in base al fatto che il secondo
matrimonio sarebbe condannato dalla Chiesa; e proibiscono alle coppie di
coniugi il divorzio nel caso in cui, per una qualche circostanza, la vita
familiare sia diventata per i coniugi insostenibile». A questo proposito il
santo Sinodo ha deliberato che «i pastori dovrebbero ricordare che riguardo al
secondo matrimonio la Chiesa ortodossa si attiene alle parole dell'apostolo
Paolo: «Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da
donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane
prende marito, non fa peccato... La moglie è vincolata per tutto il tempo in
cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché
ciò avvenga nel Signore» (1 Cor 7,27-28.39)».
Chiesa
domestica
X.4. La
particolare intimità esistente tra la famiglia e la Chiesa è già evidente dal
fatto che nella Sacra Scrittura Cristo parla di sé come dello sposo (Mt 9,15;
25,1-13; Lc 12,35-36), mentre la Chiesa è rappresentata come sua Ssposa o promessa
sposa (Ef 5,24; Ap 21,9). Clemente Alessandrino definisce la famiglia – come
pure la Chiesa – casa del Signore, e sans. Giovanni
Crisostomo definisce la famiglia «piccola Chiesa». «Vi dico ancora, -
scrive il padre santo, - che il
matrimonio è l'immagine mistica della Chiesa».. Questa
«Chiesa domestica» è formata dall'uomo e dalla donna che si amano
reciprocamente, uniti in matrimonio, e
orientati a Cristo e da lui guidati. Frutto del loro amore e della loro unione
sono i figli, la nascita ed educazione dei quali, secondo la dottrina
ortodossa, costituisconoe uno dei
fini più importanti del matrimonio.
«Ecco, dono del
Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo», esclama il sSalmista
(Sal 127,3). Della natura salvifica propria della procreazione di
figli ha parlato l'apostolo Paolo (1 Tim 2,13). Ancora
Paolo ha esortato i padri: «Non inasprite i vostri figli, ma allevateli
nell'educazione e nella disciplina del Signore» (Ef 6,4). «I figli non sono un
acquisto casuale, noi siamo responsabili della loro salvezza... Trascurare i
figli è il più grande di tutti i peccati perché porta all'estrema empietà...
Non abbiamo scuse se i nostri figli sono depravati», insiste sans. Giovanni
Crisostomo. Ssant’Efrem
il Siro insegna: «Beato colui [colei] che educa i figli nella pietà»..
«Vero padre non è colui che ha generato dei figli, ma colui che li ha educati e
istruiti bene», scrive sans. Tichon Zadonskij. Principalmente i
genitori sono responsabili dell'educazione dei propri figli ed
essi non possono attribuire la colpa di una cattiva educazione a
altri che a se stessi», predicava il santo martire Vladimir, metropolita di
Kiev. «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel
paese che ti dà il Signore, tuo Dio», recita il quinto comandamento (Es 20,12).
Nell'Antico Testamento la mancanza di rispetto nei confronti dei genitori era
considerata come la più grave trasgressione (Es
21,15.17; Pr 20,20; 30,17). Anche il Nuovo Testamento insegna ai figli addi
obbedire con amore ai genitori: «Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò
è gradito al Signore» (Col 3,20).
La famiglia
come Cchiesa domestica è un unico organismo, le cui
membra vivono e costruiscono le proprie relazioni sulla base della legge
dell'amore. L'esperienza dei rapporti familiari insegna alla persona a vincere il' proprio
peccaminoso egoismo frutto del peccato e getta le basi di un sano
spirito civico. Proprio nella famiglia, come in una scuola di devozione, si
forma e si rafforza un giusto atteggiamento verso il prossimo, e quindi verso
il proprio popolo e la società nel suo complesso. La viva continuità delle
generazioni, cominciando nella famiglia, si prolunga nell'amore per gli avi e
per la patria, in un sentimento di compartecipazione alla storia. Ecco perché è
tanto pericoloso deteriorare i legami tradizionali tra genitori e figli, cui
purtroppo per molti aspetti contribuisce il modo di vivere della società
contemporanea. La
perdita di significato valenza sociale
della maternità e della paternità rispetto ai successi ottenuti dagli uomini e
dalle donne in campo professionale induce alla diffusione
della mentalità secondofa sì che la quale
i figli sianocominciano
ad essere considerati come un
fardello inutile e,
contribuisce endo anche
all'alienazione e allo sviluppo di un antagonismo tra le generazioni. Il ruolo della famiglia nella
formazione della personalità è esclusivo e straordinario; nessun'altra
istituzione sociale la può sostituire. L'erosione dei rapporti familiari comporta
è connessa inevitabilmente con la deformazione lo
sconvolgimento del normale sviluppo dei
figli e lascia in loro una lunga, e in certa misura indelebile, traccia per
tutta la vita.
GUna gravissima ,e scandalosa piaga della società
contemporanea è diventatao l'abbandono dei figli da parte dei genitori.
Migliaia di bambini abbandonati, che riempiono gli orfanotrofi, e a volte
vivono sulla strada, sono la testimonianza di un profondo malessere della
società. Offrendo a questi bambini e ragazzi un aiuto spirituale e materiale, e
preoccupandosi che siano coinvolti nella vita religiosa e sociale, la Chiesa
nello stesso tempo considera come suo dovere essenziale cercare di
consolidare l'istituzione della famiglia e di suscitare nei genitori la
coscienza della propria vocazione, cosa che eliminerebbe la tragedia dell’abbandono dei minori
bambino abbandonato.
Dignità e
vocazione della donna
X.5. Nel
mondo precristiano era cosa comune considerare la donna come un
essere di ordine inferiore rispetto all'uomo. La Chiesa di Cristo ha rivelato pienamente
la dignità e la vocazione della donna, dandovi ad esse
un solido fondamento religioso, al cui vertice sta la venerazione della Ssantissima Madre
di Dio. Secondo la dottrina ortodossa, la beatissima Maria, benedetta fra tutte
le donne (Lc 1,28), ha rivelato fino a quale altissimo grado di purezza morale,
di perfezione spirituale e di santità,
l'umanità ha potuto elevarsi, superando anche la virtù delle schiere angeliche.
In lLei
la maternità è resa sacra e si afferma l'importanza del principio femminile.
Grazie all'assenso della Madre di Dio si compie il mistero dell'Iincarnazione, per
mezzo del quale Maria diviene compartecipe dnell'evento
della salvezza e della rigenerazione dell'umanità. La Chiesa ha una profonda
venerazione per le donne mirofore del VVangelo,
e per le numerose figure di donne cristiane, glorificate dal martirio, dalla
professione della loro fede e dalla santità delle loro virtù.
Sin dagli inizi dell'esistenza della comunità cristiana, la donna donna prende parte
attivaha preso parte attiva nealla sua
edificazione, allanella
vita liturgica, all’nella
attività missionaria, nealla
predicazione, nealla catechesi e allanella
carità.
Pur apprezzando molto il
ruolo sociale dellae donnea e approvandone la
loro parità
politica, culturale e sociale con l’uomogli
uomini, la Chiesa nello stesso tempo si oppone alla
tendenza a sminuire il ruolo della donna come sposa e madre. La parità
fondamentale della dignità dei sessi non sopprime la differenza naturale che
c'è tra essi, né
implica l'identità delle loro vocazioni nei confronti sia dellanell’ambito della famiglia che della società.
In particolare, la Chiesa non può contraddire le parole dell'apostolo Paolo
sulla peculiare responsabilità del marito, che è chiamato a essere «il capo
della moglie», amandola come Cristo ama la sua Chiesa, e anche sulla
vocazione della moglie a obbedire al marito, come la Chiesa obbedisce a Cristo
(Ef 5,22-23; Col 3,18). In queste parole, ovviamente, non ci si riferisce al dispotismo
del marito o all'asservimento della moglie, ma alla supremazia nella
responsabilità, nella sollecitudine e nell'amore; non bisogna però dimenticare
che tutti i cristiani sono chiamati a essere «sottomessi gli uni agli altri nel
timore di Cristo» (Ef 5,21). Per questo «nel Signore, né la donna è senza
l'uomo, né l'uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall'uomo,
così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio» (1Cor
11,11-12).
I Rrappresentanti di
alcuni movimenti sociali tendono a sminuire, e talora anche a negare del tutto, l'importanza
del matrimonio e dell'istituto familiaredella famiglia,
rivolgendo l'a
loro attenzione soprattutto alle attività socialmente
significative delle donne, comprese quelle incompatibili o poco compatibili con
la natura femminile (per esempio, un lavoro manuale pesante). Non di rado si fa
appello a un’a artificiosa
equiparazione della partecipazione
fra delle
uomo
e donnadonne e degli uomini in tutti i campi
dell'attività umana. La Chiesa invece vede la vocazione della donna non nella
semplice emulazione dell'uomo o nella competizione con lui, ma nello sviluppo
di tutte le capacità e le abilità di cui l'ha dotata il Signore, comprese
quelle che sono peculiari solo alla sua natura. Evitando di porre l'accento
esclusivamente sulla
sistema della distribuzione delle funzioni sociali, l'antropologia
cristiana attribuisce alla donna un posto molto più alto di quello che le è
assegnato nelle concezioni areligiose contemporanee. La tendenza a eliminare o a minimizzare le
differenze naturali nel campo sociale è estranea al pensiero della Chiesa. Le
differenze sessuali, come le differenze sociali ed etiche, non impediscono di
accedere alla salvezza, portata da Cristo a tutti gli esseri umani:
«nNon c'è più giudeo né greco; non c'è
più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in
Cristo Gesù» (Gal 3,28). Tuttavia questa affermazione soteriologica non implica
un artificioso impoverimento della varietà che c'è tra gli esseri umani e non
deve essere estesa meccanicamente a tutte le relazioni sociali.
La virtù della
castità
X.6. La virtù della
castità, predicata dalla Chiesa, è il fondamento dell'unità
interiore della personalità umana, che dovrebbe sempre
trovarsi in una condizione di armonia tra le energie spirituali e fisiche. La
fornicazione distrugge inevitabilmente l'armonia e l'integrità della vita
dell'uomo, danneggiandone la sua
salute spirituale. La dissolutezza offusca la visione spirituale e indurisce il
cuore, rendendolo incapace di amore autentico. La felicità di una vita
familiare piena diventa irraggiungibile per il dissoluto. In tal modo, il
peccato contro la castità trascina con sé anche conseguenze sociali negative. Nella condizione di una crisi spirituale
della società umana, i mass mediaezzi di comunicazione
di massa e i prodotti della cosiddetta cultura di massa spesso
diventano strumenti di corruzione morale, esaltando il lassismo sessuale, ogni
genere di perversione sessuale, e altre passioni peccaminose. La pornografia, che è lo
sfruttamento dell'istinto sessuale per scopi commerciali, politici o
ideologici, contribuisce al soffocamento dei principi spirituali e morali,
riducendo in tal modo l'uomo al livello dell'animale, che è guidato dal solo istinto.
La propaganda del vizio è
particolarmente dannosa per le anime non ancora ben formate dei bambini e dei
giovani. Attraverso libri, films ed
altri video, attraverso i mezzi di comunicazione di massa e
persino attraverso alcuni programmi «educativi» agli adolescenti viene spesso
inculcata una visione dei rapporti sessuali che è estremamente umiliante per la
dignità umana, perché non lascia spazio a concetti quali la castità, la fedeltà
coniugale e l'amore capace di abnegazione. I rapporti intimi tra l'uomo e la
donna non solo vengono esibiti ed esposti in maniera ostentata, offendendo il
naturale senso del pudore, ma sono anche presentati come un atto di
soddisfacimento puramente fisico, privo di qualsiasi connessione con una
profonda comunione interiore e con qualsiasi genere di impegno morale. La
Chiesa invita i credenti a lottare, in collaborazione con tutte le forze
moralmente sane, contro la propagazione di questa tentazione diabolica che,
contribuendo alla disgregazione della famiglia, mina le fondamenta della
società.
«Chiunque
guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo
cuore», dice il Signore Gesù nel dDiscorso
della montagna (Mt 5,28). «La concupiscenza concepisce e genera il peccato, quand'è
consumata produce la morte», ammonisce l'apostolo Giacomo (Gc 1,15). «... Nné
adulteri... erediteranno il regno di Dio», afferma l'apostolo Paolo (1Cor
6,9-10). Queste parole possono essere pienamente attribuite sia ai fruitori
sia, ancor più, a coloro che producono materiale pornografico. A questi ultimi
si applicano anche le parole di Cristo: «Chi scandalizza anche uno solo di
questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa
al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del
mare... Guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Mt 18,6-7).
«La fornicazione è un veleno che uccide l'anima... Chi fornica rinnega Cristo»,
insegnava sans. Tichon Zadonskij. Ssan
Dimitrij di Rostov scriveva: «Il corpo di ogni cristiano, non
appartiene a lui, ma a Cristo, secondo le parole della Scrittura: "'Ora voi siete
corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte"' (1Cor 12,27).
Ed è sconveniente per te profanare il corpo di Cristo con azioni carnali,
lussuriose, al di fuori del matrimonio legittimo. Tu infatti sei la casa di
Dio, secondo le parole dell'Apostolo: '"Santo
è il tempio di Dio, che siete voi'"
(1Cor 3,17)». La Chiesa antica negli scritti dei suoi padri e maestri (come
Clemente Alessandrino, sans. Gregorio di Nissa e sans. Giovanni
Crisostomo) ha invariabilmente condannato le rappresentazioni teatrali e le
immagini oscene. Sotto la minaccia dell'esclusione dalla Chiesa, il 100° canone
del Concilio trullano proibisce di produrre «immagini... che corrompono la
mente e suscitano l'eccitamento dei piaceri impuri».
Il corpo umano
è una stupenda creazione di Dio ed è destinata a diventare tempio dello Spirito
Santo (1Cor 6,19-20). Condannando la pornografia e la fornicazione, la
Chiesa non invita
affatto a disprezzare il corpo o l'intimità sessuale come tali, perché i
rapporti fisici tra l'uomo e la donna sono benedetti da Dio nel matrimonio,
dove essi diventano la fonte della continuazione del genere umano ed esprimono
l'amore casto, la piena comunione
e l'«armonia delle anime e dei corpi» dei coniugi, per cui la Chiesa prega
nella celebrazione del sacramento del matrimonio. Al contrario, ciò che di
fatto va condannato è la tendenza a trasformare trasformazione di questi rapporti puri e degni secondo il progetto
di Dio, e lo stesso corpo umano in un oggetto di umiliante sfruttamento
umiliante e di commercio, per trarre un soddisfacimento
egoistico, impersonale, privo di amore e pervertito. Per questa ragione la Chiesa condanna invariabilmente
la prostituzione e la predicazione del cosiddetto amore libero, che separa
radicalmente l'intimità fisica dalla comunione personale e spirituale,
dall'abnegazione e dalla totale responsabilità reciproca, che sono possibili
solo nella fedeltà
coniugale per tutta la vita.
Consapevole che
la scuola, insieme alla famiglia, deve offrire ai bambini e agli adolescenti le
nozioni sulla sessualità e sulla natura fisica dell'essere umano, la Chiesa non
può approvare quei programmi di «educazione sessuale», che riconoscono come
normali i rapporti prematrimoniali e, tanto più, le diverse perversioni. È
assolutamente inaccettabile imporre tali programmi agli studenti. La scuola è
chiamata a contrastare il vizio, che disgrega l'integrità della persona, a
educare i giovani alla castità e a prepararli a creare una famiglia solida
fondata sulla fedeltà e la purezza.
XI. La salute individuale e sociale
La cura delle
malattie
XI.1. La
tutela della salute umana – spirituale e fisica – è sempre stata una delle
preoccupazioni della Chiesa. NeDalla
prospettiva ortodossa, tuttavia, la salute fisica separata dalla salute
spirituale non è un valore assoluto. Il Signore Gesù Cristo, predicando con le
parole e con le azioni, guariva le persone preoccupandosi non solo del loro
corpo, ma prima di tutto dell'anima e in generale dell’integritào
stato integrale della persona. Il Salvatore, sSecondo le
sue stesse parole
dello stesso Salvatore, egli curava
«tutto l'uomo» (Gv 7,23). Le guarigioni accompagnavano la predicazione del VVangelo
come segno del potere del Signore di perdonare i peccati. Esse furono parte
integrante anche della predicazione apostolica. La Chiesa di Cristo, dotata dal
suo Ddivino Fondatore, di tutti i doni dello
Spirito Santo, sin dagli inizi fu una comunità di guarigione, e ancorhe
oggi, nel sacramento della confessione, ricorda ai suoi figli che essi sono
venuti come a una «infermeria» per uscirne risanati.
L'atteggiamento
biblico verso la medicina è espresso in maniera chiarissima nel libro di «Gesù
figlio di Sira»: «Onora il medico come si deve secondo il bisogno, anch'egli è
stato creato dal Signore... Il Signore ha creato medicamenti dalla terra,
l'uomo assennato non li disprezza... Dio ha dato agli uomini la scienza perché
potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse il medico cura ed elimina il
dolore e il farmacista prepara le miscele. Non verranno meno le sue opere! Da
lui proviene il benessere sulla terra. Figlio, non avvilirti nella malattia, ma
prega il Signore ed egli ti guarirà. Purìficati, lavati le mani; monda il cuore
da ogni peccato... Fa' poi passare il medico – il Signore ha creato anche lui –
non stia lontano da te, poiché ne hai bisogno. Ci sono casi in cui il successo
è nelle loro mani. Anch'essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad
alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita» (Sir
38,1-2.4.6-10.12-14). I migliori rappresentanti della medicina antica, che la Chiesa
ha canonizzato, hanno espresso un particolare modello di santità – si tratta dei taumaturghi che operavano in modo
totalmente disinteressato: sono coloro che furono privi di qualsiasi
interesse per il denaro e i taumaturghi. Essi furono glorificati
non solo perché molto spesso coronarono la propria esistenza terrena con il
martirio, ma anche perché accolsero la vocazione di medici nel senso del come il dovere cristiano diella
misericordia.
La Chiesa ortodossa
ha sempre considerato con grande rispetto l'attività dei medici, al
cui fondamentofondata su sta il
servizio dell'amore finalizzato a prevenire e a curare le sofferenze umane. La
guarigione della natura umana degradata dalla malattia appare come la
realizzazione del progetto di Dio sull'uomo: «Il Dio della pace vi santifichi
fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si
conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Ts
5,23). Il corpo, libero dalla schiavitù delle
passioni peccaminose e delle malattie che ne derivano, loro conseguenze - le
malattie, deve servire l'anima,
mentre le energie spirituali e le facoltà spirituali, trasformate dalla grazia
dello Spirito Santo, devono tendere allo scopo
ultimo e alla vocazione dell'uomo, che è la deificazione divinizzazione. Ogni autentica terapia è chiamata a essere parte
di questo miracolo di guarigione , compiuto nella Chiesa di Cristo.
Nel contempo, bisogna distinguere tra la potenza taumaturgica della grazia
dello Spirito Santo, data nella fede nell'uUnico
Signore Gesù Cristo mediante la partecipazione ai sacramenti della Chiesa e
alle preghiere, e gli scongiuri, le formule magiche, e altre
manipolazioni magiche e superstizioni.
Molte malattie restano
inguaribili, e provocano sofferenze e morte. Di
fronte a tali infermità, il cristiano ortodosso è chiamato ad affidarsi alla
volontà benevola di Dio, ricordando che il senso della vita non si riduce alla vita terrena,
che è essenzialmente una preparazione all'eternità. La sofferenza è una conseguenza
non solo dei peccati personali, ma anche della corruzione e dei limiti della
natura umana, e come tale deve essere sopportata con pazienza e con speranza.
Il Signore accetta volontariamente la sofferenza per la salvezza del genere
umano: «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Questo significa
che a Dio è piaciuto fare della sofferenza uno strumento di salvezza e di
purificazione, che può essere efficace per chiunque la sopporta con umiltà e
con fiducia nella volontà salvifica di Dio. Secondo le parole di sans. Giovanni
Crisostomo, «chi ha imparato a ringraziare Dio per le proprie infermità, costui
non è lontano dalla santità». Quanto detto non significa che il medico o il
malato non debbano fare ogni sforzo per lottare contro la malattia. Tuttavia, quando le risorse
umane sono esaurite, il cristiano deve ricordare che la potenza di Dio si attua
nella debolezza dell'uomo e che nei più profondi abissi della sofferenza egli
può incontrare Cristo,
che si è addossato le nostre debolezze e le nostre infermità (Is 53,4).
L’attività
della Chiesa
nel settore della sanità
XI.2. La Chiesa esorta sia i
pastori che i propri figlifedeli
a portare la loro testimonianza cristiana tra coloro
che operano nel campo
sanitariogli operatori della sanità. È molto importante che docenti e studenti di
istituti e facoltà di medicina prendano conoscenza dei fondamenti della
dottrina ortodossa e dell'etica biomedica ispirata dalla fede ortodossa
(v. XII). L'attività pastorale della Chiesa nel settore della
sanità consiste sostanzialmente nella ,
diretta alla proclamazione della parola di
Dio e nelal
dono della grazia dello Spirito Santo a coloro che soffrono e a coloro che si
prendono cura di loro, costituisce la sostanza della cura delle anime
nella sfera della cura della salute. Importanza centrale hanno Un posto principale in
essa occupa la partecipazione ai sacramenti della salvezzasalvifici, la creazione di un'atmosfera di preghiera nelle
strutture sanitarie, e l'offerta ai loro pazienti di un'assistenza
totale animata dalla carità
onnicomprensiva. La missione della Chiesa nell'ambito sanitario è
un dovere non solo dei ministri del culto, ma anche dei laici – di coloro che operano
in campo sanitario – che sono chiamati a creare tutte le condizioni idonee per il
conforto religioso degli ammalati che lo chiedono in maniera diretta o
indiretta. Il medico credente dovrebbe capire che una persona che ha bisogno di
aiuto, si aspetta da lui non solo una
terapia appropriata, ma anche un sostegno spirituale, specialmente quando il
medico ha una concezione del mondo nella qualeche s si
rivela il mistero della sofferenza e della morte. Essere per il paziente il
misericordioso samaritano
della parabola evangelica è dovere di ogni operatore sanitario ortodosso.
La Chiesa benedice le
confraternite religiose maschili e femminili ortodosse che svolgono la loro
opera in cliniche e in altri istituti di cura, e contribuisce alla creazione di
cappelle negli
ospedali e di ospedali ecclesiastici e monastici,
affinché l'assistenza medica sia associata alla cura pastorale medica
in tutte le fasi della cura e della riabilitazione sia
associata alla cura pastorale. La Chiesa esorta i laici a prestare
tutta l'assistenza possibile agli ammalati per alleviare le sofferenze umane
con un amore e una cura animata dalla carità.
La concezione
della medicina
XI.3. Il
problema della salute dell'individuo e della popolazione non è per la Chiesa un
problema esterno e puramente sociale, perché ha direttamente a che fare con la
sua missione nel mondo corrotto dal peccato e dalle infermità. La Chiesa è chiamata a a
partecipare, in collaborazione cooperare con le strutture dello stato e con le associazioni pubbliche
interessate, allo sviluppo di una
concezione dell’assistenza sanitaria nazionale a tutela della salute della popolazione, in cui ogni persona possa esercitare il proprio
diritto alla salute spirituale, fisica e psichica, e al benessere
sociale, godendo di un’aspettativa di vita che sia lacon
l'aspettativa di durata della vita
più elevata possibile.
I rapporti
medico-paziente devono essere costruiti sul rispetto dell'integrità, sulla della libera
scelta e desulla
dignità della persona. La manipolazione dell'uomo è inammissibile anche per le migliori
finalità più nobili. La Chiesa Nnon si può
che non approvare
lo sviluppo del dialogo medico-paziente che sta avendo luogo nella
medicina contemporanea favorisce. Tale approccio è senza dubbio
radicato nella tradizione cristiana, anche se vi è sussiste la
tentazione di ridurlo a un livello puramente contrattuale. Nel contempo, è
opportuno riconoscere che il più tradizionale modello «paternalistico» del
rapporto medico-paziente, giustamente criticato per i frequenti tentativi di
giustificare gli arbitrii del medico, può essere anche un approccio
autenticamente paterno al malato, se dettato dalla coscienza morale del medico.
Senza dare la preferenza a alcun particolare
modello organizzativo
di assistenza medica, la Chiesa ritiene che questa assistenza debba essere il
più possibile efficace e accessibile per tutti i membri della società,
indipendentemente dalle loro risorse materiali e dalla posizione sociale,
anche quando le nella
situazione di risorse mediche siano limitate.
Perché la distribuzione di queste risorse sia veramente equa, il criterio delle
«necessità vitali» deve prevalere sul criterio dei «rapporti di mercato». Il
medico non deve adeguare il grado della propria sua responsabilità
di prestare l'assistenza sanitaria esclusivamente al compenso economico e alla
sua entitàconsistenza,
trasformando così
la propria professione
in una fonte di arricchimento personale. Nello stesso tempo, assicurare un'a equa
retribuzione per il lavoro degli operatori sanitari èrappresenta
un importante compito della società e dello stato.
Pur
riconoscendo i possibili benefici derivanti dal fatto che la medicina si sta
sempre più orientando verso la prognosi e la prevenzione, e approvando unala
concezione integrale diella
salute e della
malattia, la Chiesa mette in guardia dai tentativi di assolutizzare qualsiasi
particolare teoria medica, richiamando l'importanza di mantenere le priorità
spirituali nella vita umana. Sulla base della sua secolare esperienza, la
Chiesa mette in guardia anche dal rischio di introdurre, sotto la copertura
della «medicina
alternativa», pratiche magicohe-occulte
sotto la copertura della "medicina alternativa",
che sottomettonoe
la volontà e la coscienza delle persone all'influenza dellei
potenze demoniache. Ogni persona deve avere il diritto e l'effettiva
possibilità di rifiutare tali metodi di condizionamento influenza desul
proprio organismo, che contrastano con le sue proprie
convinzioni religiose.
La Chiesa
ricorda che la salute fisica non è fine a se stessa, essendo in
quanto è solo uno degli aspetti dell'essere
umano integrale. Tuttavia non si può non riconoscere che per tutelare la salute
dell'individuo e della popolazione sono molto importanti le misure
profilattiche e,
la creazione di reali condizioni perché le persone possano impegnarsi nella
cultura fisica e nello sport. Nello sport la competizione è naturale. MaTuttavia
non se ne puòpossono
essere approvareti l'i
gradi estremia della sua commercializzazione,
l'esaltazione del culto dell'orgoglio che ne consegue, le manipolazioni con
sostanze dopanti rovinose nocive alper la
salute, e tanto più quelle competizioni
durante le quali vengono deliberatamente inflitti gravi traumi.
La crisi
demografica
XI.4. La
Chiesa ortodossa russa con profonda inquietudine constata la crisi demografica
in cui si trovano che i popoli che essa ha
tradizionalmente nutrito, ora si trovano in una
condizione di crisi demografica. Il tasso di natalità e l’aspettativa di vita
mediaa durata media della vita si sono
drasticamente ridotti, mentre e la popolazioneil
numero di abitanti è in continua diminuzione diminuisce
continuamente. La vita è minacciata da epidemie, dall'aumento
delle malattie cardiovascolari, mentali, veneree e da altre patologie, dealla
tossicodipendenza e daell'alcolismo.
Sono in aumento le patologie infantili, tra le quali la deficienza mentale. I
problemi demografici contribuiscono a snaturare portano
alla deformazione della struttura della società, e
fanno diminuire all'abbassamento
deil
potenziale creativo dei popoli, e sonosta diventando
una delle cause dell'indebolimento della famiglia. All’origine del calo demografico Le
ragioni principali che hanno portato al decremento della
popolazione e dealla criticatica situazione situazione
sanitaria dei questi popoli menzionati, nel
XX secolo vi sono
state soprattutto
le guerre, lae rivoluzionei, la fame e le
repressioni di massa, le cui conseguenze sono state aggravate dalla profonda
crisi sociale alla fine del secolo.
I problemi
demografici sono costantemente al centro dell'attenzione della Chiesa. Essa è
chiamata a seguire
da vicino i processi legislativi e amministrativi per scongiurareallo
scopo di evitare che vengano prese decisioni che aggraverebberoino
ulteriormente la situazione. È necessario portare avanti un dialogo continuo
con l'autorità statale, e con i mezzi di comunicazione di
massa per chiarire le posizioni della Chiesa riguardo alla politica demografica
e alla politica sanitaria. La lotta contro il calo demografico deve essere inclusa nelle
iniziative di includere
il sostegno attivo adella
ricerca medico-scientifica e d aei
programmi sociali intesi alla tutela della maternità e dell'infanzia,
dell'embrione e del neonato. Lo stato è chiamato a sostenere, con tutti i
mezzi di cui dispone,
la nascita e una corretta educazione dei figli.
La corruzione
umana prodotta dal peccato
e le malattie mentali
XI.5. La Chiesa considera le
malattie mentali come una delle manifestazioni
della generale corruzione peccaminosa della natura umana
prodotta dal peccato. I santi padri, individuando distinguendo nella
struttura della personalità il livello spirituale, quello mentale e quello fisico
della sua organizzazione, distinguevano le malattie che si
sviluppavano «dalla natura» e le infermità provocate dall'influsso diabolico o dall’asservimento alle
passioninate come conseguenza delle passioni che hanno
asservito l'uomo. In conformità con questa distinzione, appare egualmente inaccettabilegiustificabile sia ridurre tutte le malattie mentali a
manifestazioni di possessione diabolica, il che comporta il compimento
ingiustificato di un rito di
esorcismo degli spiriti maligni, sia anche
tentare di curare qualsiasi disordine mentale esclusivamente con metodi
clinici. Nel campo della psicoterapia
risulta più
molto feconda la combinazione fra dell'assistenza
pastorale e medica al malato psichico econ la
debita delimitazione degli ambiti di competenza del medico e del sacerdote.
Nessuna
malattia mentale sminuisce la dignità della persona. La Chiesa testimonia che
anche una persona affetta
da disturbi mentalimalata mentalmente è portatrice
dell'immagine di Dio
e, restando un
nostro fratello, bisognoso di compassione e di aiuto. Sono moralmente
inammissibili gli approcci psicoterapeutici fondati sulla repressione della
personalità del paziente e sull'umiliazione della sua dignità. I metodi occulti
di condizionamento della psiche, talora mistificati e presentati come
psicoterapia scientifica, sono considerati categoricamente inaccettabili per
l'ortodossia. In casi particolari, la cura dei malati mentali può richiedere
per necessità il ricorso a misure quali l'isolamento o altre forme di
costrizione. Tuttavia,
nella scelta delle forme di intervento medico occorrebisogna
basarsi sul principio della minima limitazione della libertà del paziente.
Il vizio
dell’alcolismo
e la piaga della tossicodipendenza
XI.6. Nella
Bibbia è detto che «il vino allieta il cuore dell'uomo» (Sal 104,15), e che
esso «è come la vita... purché tu lo beva con misura» (Sir 31,27). Tuttavia, sia nella Sacra
Scrittura che nelle opere dei santi padri, troviamo ripetutamente una condanna severa del vizio dell’alcolismo
bere che, iniziando
in maniera impercettibile, trascina con sé una moltitudine di altri peccati
distruttivi. Molto spesso l'alcolismo diventa
causa ladi
disgregazione della famiglia e, provocando
innumerevoli sofferenze sia alla vittima di questa malattia peccaminosa sia
alle persone che loa circondano, specialmente ai figli.
«L'ubriachezza
è avversione a Dio... L'ubriachezza è un demone attirato volontariamente ...
L'ubriachezza scaccia lo Spirito Santo», -
scriveva sans. Basilio Magno. «L'ubriachezza è la radice
di tutti i mali... L'ubriacone è un morto vivente... L'ubriachezza di per sé
può servire come castigo, perché riempie l'anima di confusione; riempie la
mente di tenebra, rende l'ubriacone prigioniero, esponendolo a innumerevoli
malattie, interiori ed esteriori... L'ubriachezza... è una bestia proteiforme e
con molte teste... Qui fa nascere la fornicazione, là - l'ira;
qui - l'ottusità dell'intelletto e del
cuore, e là - l'amore impuro... Nessuno si piega
tanto alla maligna volontà del diavolo, quanto l'ubriacone», -
ammoniva sans. Giovanni Crisostomo. «Un ubriaco è capace
di ogni male, e cede a qualsiasi tentazione... L'ubriachezza rende le sue
vittime incapaci di portare a termine qualunque cosa», -
testimonia sans. Tichon Zadonskij.
Ancor più
distruttiva è la sempre più diffusa tossicodipendenza, - la
passione che rende coloro che ne sono schiavi estremamente vulnerabili
all'impatto delle forze oscure. Ogni anno questa terribile infermità fagocita
sempre più persone, portando via una moltitudine di vite umane. Il fatto
che siano soprattutto i giovani a essere esposti alla tossicodipendenza
rappresenta una particolare minaccia per la società. Anche gli interessi
egoistici del traffico
della droga narco-business influiscono sulla
formazione - specialmente negli ambienti giovanili - di
una particolare pseudocultura «delle sostanze stupefacentia droga», specialmente negli
ambienti giovanili. A individui ancora immaturi vengono imposti degli
stereotipi di comportamento nei quali l'uso degli stupefacenti lle
droghe è presentato come una pratica «normale» o addirittura
indispensabile per le relazioni interpersonali.
La ragione principale che spinge dell'evasione di molti nostri contemporanei a evadere nel
regno delle illusioni indotte dagli alcoliciche o dai narcoticihe è il vuoto spirituale, la perdita del senso della
vita e l'inconsistenza dei punti di riferimento
morali.
La tossicodipendenza e l'alcolismo sono manifestazioni di una malattia
spirituale che affligge non solo il singolo individuo, ma tutta la società.
Questa è la conseguenza dell'ideologia consumistica, del culto della prosperità
materiale, della mancanza di interessi spirituali e della perdita di ideali
autentici. Dedicandosi con compassione pastorale alle vittime dell'alcolismo e
della tossicodipendenza, la Chiesa offre loro un sostegno spirituale per
superare il vizio. Pur sSenza negare la necessità di un'assistenza medica nelle fasi
acute della tossicodipendenza, la Chiesa rivolge una speciale attenzione alla
prevenzione e alla riabilitazione, che sono tanto più efficaci quando coloro
che soffrono partecipano consapevolmente alla vita eucaristica comunitaria.
XII. Problemi di bioetica
La
preoccupazione della Chiesa
XII.1. Il
rapido sviluppo delle tecnologie biomediche, che invadono fattivamente la
vita dell'uomo contemporaneo dalla nascita alla morte, e l'impossibilità di darericevere
una risposta ai conseguenti problemi moralietici, nel contesto all'interno dell'etica
medica tradizionale, suscitano una seria preoccupazione nella società. I
tentativi degli esseri umani di mettersi al posto di Dio, modificando e «migliorando»
a proprio piacimento la sua creazione, potranno portare all'umanità nuove pene e
sofferenze. Lo sviluppo delle tecnologie biomediche supera di gran lunga la comprensione
coscienza
delle possibili conseguenze spirituali, -morali e
sociali di una ella loro
incontrollata
applicazione incontrollata, e questo non può che suscitare
nella Chiesa una profonda preoccupazione pastorale. Nell'esprimere il proprio
atteggiamento verso i problemi della bioetica così ampiamente dibattuti nel
mondo contemporaneo, in primo luogo quelli che hanno un impatto diretto
sull'essere umano, la Chiesa si richiama allae
concezionie dsuella vita come
incommensurabile dono di Dio, fondatea nesulla Ddivina
Rivelazione. Nella Scrittura vengono affermate la libertà inalienabile e la
dignità della persona, che fa dell'uomo una creatura simile al suo Creatore, un
essere chiamatoa «al premio che lassù riceveremo da Dio, in
Cristo Gesù» (Fil 3,14), a raggiungere la perfezione del Padre Cceleste (Mt 5,48)
e alla divinizzazione, cioè a partecipare della natura divina (2Pt 1,4).
L’aborto
XII.2. Sin dai tempi più antichi
la Chiesa ha considerato peccato grave l'interruzione
volontaria della gravidanza (aborto) come un peccato grave.
Il diritto canonico
equipara l'aborto procuratovocato all'omicidio.
Alla base di questo giudizio sta la convinzione che il concepimentola
generazione di un essere umano è un dono di Dio: pertanto, dal
momento del concepimento, ogni attentato alla vita di un futuro
essere umano è un
atto delittuoso.
Il Ssalmista descrive
lo sviluppo del feto nel grembo materno come un atto creativo di Dio: «Sei tu
che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre... Non ti erano
nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle
profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi» (Sal
139,13.15-16). Della stessa esperienzacosa rende
testimonianza Giobbe nelle parole rivolte a Dio.. «Le tue
mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte... Non mi hai
colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi
hai rivestito, d'ossa e di nervi mi hai intessuto. Vita e benevolenza tu mi hai
concesso, e la tua premura ha custodito il mio spirito... Perché tu mi hai tratto dal seno materno?»
(Gb 10,8-12.18). «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che
tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Ger 1,5), dice il Signore al
profeta Geremia.
«Non commettere
infanticidio, non procurare aborto»: questo precetto è collocato tra i più importanti comandamenti di Dio più importanti nell'Insegnamento dei dodici apostoli, uno
dei testi più antichi della letteratura cristiana. «Donna, procurare l'aborto è
un omicidio, e di questo dovrai render conto davanti a Dio. Infatti... un feto
nel grembo materno è un essere vivente sul quale Dio ha posto il suo sigillo»,
scriveva Atenagora, apologista del II secolo. «Uno che sarà un uomo è già un
uomo», - asseriva Tertulliano tra il II e il
III secolo. «Colei che di proposito distrugge il feto concepito nel grembo
subirà la condanna dell'omicida... Coloro che danno medicamenti per procurare
l'aborto di un feto nel grembo materno sono omicidi, così come coloro che
assumono veleni che uccidono il feto», - è detto
nella 2a e 3a regola di sans. Basilio Magno, incluse nel lLibro
degli Statuti della Chiesa ortodossa e confermate dal 91° canone del VI
Concilio ecumenico. Nello stesso tempo sans. Basilio
precisa che la gravità della colpa non dipende dal periodo di gestazione: «Noi
non facciamo alcuna distinzione tra il feto già formato e quello non ancora
formato». sSan Giovanni Crisostomo definiva coloro che
praticano l'aborto «peggiori degli assassini».
La Chiesa
considera l'ampia diffusione e giustificazione degli aborti nella società
contemporanea come una
minaccia al futuro dell'umanità e come
un segno evidente del suo degrado morale. La fedeltà all'insegnamento biblico e
patristico sulla santità e la preziosità inestimabile della vita umana sin dai
suoi inizi è incompatibile con il riconoscimento della «libera scelta» della
donna nel disporre del destino del feto. Inoltre, l'aborto rappresenta una
grave minaccia per la salute fisica e spirituale della madre. La Chiesa ha
sempre considerato suo dovere proteggere gli esseri umani più vulnerabili e
dipendenti, quali sono i bambini non nati. La Chiesa ortodossa in nessuna
circostanza può benedire l'aborto. Pur senza respingere le donne che hanno
commesso un aborto, la Chiesa le invita a pentirsi e a superare le conseguenze
rovinose del peccato attraversocon la
preghiera e la penitenza sacramentale, seguita dalla partecipazione ai sacramenti della salvezza
salvifici. Nei casi in cui il proseguimento della gravidanza comporterebbe un in cui vi sia un pericolo immediato per la vita della madre qualora la gravidanza venga portata avanti, specialmente se ha altri figli, nella prassi
pastorale si raccomanda di mostrare indulgenza. La donna che ha interrotto una
gravidanza in queste
circostanze non sarà esclusa dalla comunione eucaristica con la Chiesa, a
condizione che ella abbia compiuto quanto prescritto dal canone penitenziale
secondo le indicazioni del sacerdote che ha raccolto la sua confessione.
La lotta contro l'aborto, cui le donne talvolta sono costrette a ricorrereono per motivi di a
causa di una estrema indigenza economica e perdi
incapacità e
debolezza, richiede che la Chiesa e la società elaborino misure efficaci
a protezione della maternità, e creino le condizioni per l'adozione dei
bambini, che le cui
madri per qualche ragione non siano in grado di allevareli
da sole.
La
responsabilità del per il peccato dell'uccisione di un bambino
non nato deve ricadere, oltre che sulla madre, anche sul padre, nel caso in cui
egli abbia dato il suo assenso all'esecuzione dell'aborto. Se l'aborto viene
compiuto dalla donna senza il consenso del marito, ciò può essere considerato
una ragione valida per lo scioglimento del matrimonio (v. X.3). Il peccato
ricade anche sul medico che ha eseguito l'aborto. La Chiesa invita lo stato a
riconoscere il diritto degli operatori sanitari di rifiutarsi di praticare un
aborto per motivi di coscienza. Non si può considerare «normale» la condizione
in cui la responsabilità giuridica del medico per la morte della madre sia
considerata incomparabilmente più elevata della responsabilità per la
distruzione del feto: questo induce i medici, e attraverso di essi anche
le pazienti, a compiere aborti. Il medico deve assumersi la
massima responsabilità nello stabilire la diagnosi che può indurre una donna a
interrompere la gravidanza; per questo, un medico credente deve raffrontare con
attenzione le indicazioni cliniche con quanto gli impone la sua coscienza
cristiana.
La
contraccezione
XII.3. Una
valutazione religiosao-morale richiede anche il problema della contraccezione.
Alcuni mezzi contraccettivi
hanno di fatto un effetto abortivo, in quanto interromponoendo artificialmente la vita dell'embrione nelle sue fasi più precoci.
Al loro uso si applica perciò
lo stesso criterio di giudizio che si adottausa
per l'aborto. Altri mezzi,
invece, che non implicano
l'interruzione di una vita già concepita, non possono invece essere
equiparati in nessun
modo alcon l'aborto. Nel definire il loro
proprio atteggiamento
verso i mezzi non abortivi diella contraccezione non abortivi,
ai
coniugi cristiani devonoè
opportuno ricordare che la
continuazione del genere umano è uno degli scopi fondamentali dell'unione matrimoniale voluta da Dio
(v. X.4). Il
rifiuto deliberato di generare dei figli per motivi egoistici avvilisce il matrimonio
ed è senza dubbio un peccato.
Nello stesso
tempo, i coniugi sono responsabili davanti a Dio per l’di una educazione
completa dei figli. Uno dei modi per attuare una maternità e paternità
responsabili è l'astinenza dai rapporti sessuali per un determinato periodo di
tempo. Tuttavia, è necessario ricordare le parole che l'apostolo Paolo rivolge
agli sposi cristiani:
«Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente per
dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi
tenti nei momenti di passione» (1Cor 7,5). È chiaro che i coniugi devono
assumere decisioni in questo
campo di comune accordo, ricorrendo al consiglio di un padre spirituale.
Quest'ultimo, d'altra parte, deve tener conto, con prudenza pastorale, delle
concrete condizioni di vita della coppia, della loro età
e, salute, del grado
di maturità spirituale e di
molte altre circostanze, distinguendo coloro che possono «accogliere»
impegnative richieste di continenza da coloro ai quali questo «non è stato
concesso» (Mt 19,11), e preoccupandosi prima di tutto della salvaguardia e del
consolidamento della famiglia.
Il santo Sinodo
della Chiesa ortodossa russa nella sua deliberazione del 28 dicembre 1998 ha
istruito i sacerdoti che esercitano il ministero di guide spirituali affermando che «è
inammissibile obbligare o indurre i fedeli, contro la loro volontà,
a... rinunciare ai rapporti coniugali nel matrimonio», e ha anche ricordato ai
pastori la necessità «di osservare una particolare castità e una speciale
prudenza pastorale nel trattare con i fedeli questioni inerenti ai vari aspetti
della loro vita familiare».
La
riproduzione assistita
XII.4. L'uso dei nuovi metodi biomedici in
molti casi rende possibile la risoluzione dei problemi il superamento dell'di infertilità.
Nello stesso tempo, la crescente ingerenza tecnologica nel processo della
generazione della vita umana presenta una minaccia per l'integrità spirituale e
la salute fisica della persona. Appaiono minacciate anche le relazioni
interpersonali che sin dai tempi più antichi stanno alla base della società. Con lo sviluppo delle
summenzionate tecnologie
è connessa anche la diffusione dell'ideologia dei cosiddetti diritti
riproduttivi, oggi ampiamente propagandata a livello sia
nazionale che internazionale. Questo sistema ideologico sostienepresuppone
la priorità dell'autorealizzazione sessuale e sociale dell'individuo rispetto
alla cura del futuro
bambino,
alla salute spirituale e fisica della società e alla sua stabilità morale. Nel
mondo si sta diffondendo sempre più una concezione della atteggiamento verso la
vita umana intesa come un prodotto
che può essere scelto secondo le proprie inclinazioni e di cui si può disporre
alla stregua di un bene materiale.
Nelle preghiere
del rito del matrimonio, la Chiesa ortodossa esprime la speranzafede
che la procreazione di figli, benché è il frutto
auspicabiledesiderato
del matrimonio legittimo, ma che questo
non ne sia è l'unica sua
finalità. Accanto al «frutto del ventre», la Chiesa per gli sposi chiede anche
i doni dell'amore reciproco perpetuo, della castità e dell'"armonia delle
anime e dei corpi». Pertanto, le vie alla procreazione non conformi con il
progetto del Creatore della vita, non possono essere considerate moralmente
giustificate dalla Chiesa. Se il marito o la moglie è sterile e i metodi
terapeutici e chirurgici di cura dell'infertilità non aiutano gli sposi, è opportuno che essi
accettino con umiltà la mancanza di figli come una speciale vocazione alla vita. In casi simili i
consigli dei padri spirituali pastori devono considerare la possibilità di adottare un
figlio per decisione comune
dei coniugi. Tra i mezzi ammissibili di assistenza medica può essere annoverata
l'inseminazione artificiale con cellule seminali del marito, dal momento che
questa metodicao non viola l'integrità dell'unione coniugale,
non si differenzia sostanzialmente dal concepimento naturale e avviene nel
contesto dei rapporti coniugali.
Invece, le manipolazioni
connesse con la donazione di cellule sessuali violano senz’altro
l'integrità della persona e
l'esclusività dei rapporti coniugali,
prermettendo a una terza parte
di interferire nella vita della
coppia.
Inoltre, questa pratica incoraggia la paternità e la maternità irresponsabili,
indubbiamente liberae da ogni obbligo verso colui che è «carne della carne» di donatori
anonimi. L'uso di materiale donato mina le fondamenta dei rapporti familiari,
dal momento che presuppone che il bambino abbia, oltre ai genitori «sociali»,
anche dei genitori cosiddetti
genitori
«biologici». La «maternità
surrogata», cioè l'impianto di un ovulo fecondato nel grembo
di una donna che, dopo il parto restituisce il bambino ai «committenti», è innaturale e moralmente
inammissibile, anche
nei casi in cui la
donna non chieda alcun compensoessa sia attuata per
motivi non venali. Questa metodica comporta la violazione della
profonda intimità emozionale e spirituale che si stabilisce tra madre e figlio
già durante la gestazione. La «maternità surrogata» traumatizza sia la madre
gestante, i cui sentimenti materni vengono calpestati, sia anche il
bambino, che in seguito può potrebbe attraversaresperimentare
una crisi di identità. Moralmente inammissibili dal punto di vista
ortodosso sono anche tutti i vari tipi di fecondazione extracorporea, che
comportano la produzione, la conservazione
e la distruzione deliberata degli embrioni «eccedenti». È proprio sul
riconoscimento della dignità umana anche nell'embrione che si fonda il giudizio
morale di condanna dell'aborto da parte della, condannato dalla Chiesa
(v. XII.2).
L'inseminazione
di donne non
sposate-single con l'impiego di cellule
seminali provenienti da un donatore, o l'esercizio dei «diritti riproduttivi» di
uomini non sposati-single,
e anche di
persone che presentano i cosiddetti un orientamentio
sessualie cosiddetto
«non-standard», priva il futuro bambino del diritto di avere una madre e un
padre. L'uso di metodi riproduttivi al di fuori del contesto della famiglia
benedetta da Dio diventa una forma di «teomachia» condotta con il pretesto
della tutela dell'autonomia dell'individuo e di una libertà individuale
erroneamente intesa.
La medicina
genetica
XII.5. Le
malattie ereditarie rappresentano una parte considerevole delle patologiea
totalità delle infermità dell'uomo. Lo sviluppo dei
metodiche di
medicina genetica per la diagnosi e la terapia può contribuire a prevenire
queste malattie e alleviare le sofferenze di molte persone. Tuttavia è
importante ricordare che le patologiei disordini
geneticihe spesso sono la conseguenza della mancata non
osservanza dei
principi morali e il risultato
di uno stile di vita vizioso, che causano per cui alla
fine sofferenzevengono
a soffrire nei discendenti. La peccaminosa corruzione
della natura umana causata
dal peccato è contrastata dallo sforzo spirituale; se però il dominio deil
vizio domina cresce sempre più nella vita dei discendenti con
forza sempre crescente di generazione in generazione, si
realizzano le parole della Sacra Scrittura: «di una stirpe iniqua è terribile
il destino» (Sap 3,19). E viceversa: «Beato l'uomo che teme il Signore e trova
grande gioia nei suoi comandamenti. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la
discendenza dei giusti sarà benedetta» (Sal 112,1-2). In tal modo, la ricerca
genetica non fa che confermare le leggi spirituali, rivelate molti secoli fa
all'umanità nella parola di Dio.
Attirando l'attenzione
delle persone sulle cause morali delle malattie, la Chiesa nello stesso tempo
approva gli sforzi dei medici, tesidiretti a curare le malattie
ereditarie. Tuttavia, lo scopo dell'interferenza genetica non deve essere quello di
«perfezionare»
un artificialmente
"miglioramento" deil genere umano o di intromettersi l'ingerenza nel progetto di Dio sull'uomo. Pertanto, le metodiche di l'ingegneria genetica possono essere messe in atto uò attuarsi solo con il consenso del paziente o dei suoi
legittimi rappresentanti ed esclusivamente sulla base di indicazioni mediche.
La terapia genetica delle cellule seminali è estremamente pericolosa, perché implica il mutamento di un
genoma (corredo dei caratteri genetici) nella linea delle generazioni, cosa che
può provocare conseguenze imprevedibili sotto formanella
forma di nuove mutazioni e può arrivare a destabilizzare della destabilizzazione dell'equilibrio tra la comunità umana e l'ambiente.
I successi raggiunti nella
decifrazione del codice genetico hanno creato reali presupposti per unil
testing genetico totale allocon
lo scopo di ottenere informazioni sull’a unicità
naturale di ciascun essere umano, e sulla
sua predisposizione a determinate malattie. La creazione di un «passaporto
genetico» potrebbe
aiutare a correggere tempestivamente lo sviluppo di malattie alle quali un
particolare individuo è esposto", a
condizione che le informazioni ottenute vengano utilizzateusate in
modo intelligenteragionevole,
potrebbe aiutare a correggere tempestivamente lo sviluppo di malattie alle
quali un determinato individuo concreto è
esposto. Tuttavia sussiste il reale rischio che il cattivo uso
delle informazioni genetiche possa servire aper
diverse forme di discriminazione. Inoltre, il possesso di informazioni sulla
predisposizione genetica a gravi patologiemalattie
può diventare un fardello psicologico insostenibile. Per questo le
'informazionie geneticahe e il testing genetico sono
possibili possono essere attuati solo sulla base del rispetto della libertà della
persona.
CUn carattere ambivalenteguo hanno anche i metodi di diagnostica prenatale,
che permettono di identificare una malattia genetica nelle fasi più precoci di
sviluppo intrauterino. Alcuni di questi metodi possono costituire una
minaccia per la vita e l'integrità dell'embrione o del feto sottoposto al test.
L'individuazione di una malattia genetica inguaribile o gravissima spesso
induce i genitori a interrompere la vita concepita; sono noti alcuni casi in
cui sui genitori è stata esercitata una pressione
a questo scopo. La
diagnostica prenatale può essere considerata moralmente giustificata, se è finalizzata
alla cura di una malattiae individuatea nella
fase più precoce possibilein fasi il più precoci possibile, e se può contribuire anche
a preparare i genitori a prendersi particolare cura del bambino malato.
Ogni persona ha diritto alla vita, all'amore e alla sollecitudine,
indipendentemente dalle malattie dia cui possa
essere affetta. Secondo la Sacra Scrittura, Dio stesso è «il Dio degli umili»
(Gdt 9,11). L'apostolo Paolo insegna a «soccorrere i deboli» (At 20,35; 1Ts
5,14); paragonando la Chiesa al corpo umano, egli spiega che «quelle membra...
che sembrano più deboli sono più necessarie, e quelle meno perfette hanno
bisogno di «maggior onore» (1Cor 12,22.24). È assolutamente inammissibile il ricorso ai usare
metodi di diagnostica prenatale alcon lo scopo di
scegliere il sesso del nascituro più desiderabile per i genitori.
La clonazione
XII.6. La
clonazione
(riproduzione di copie genetiche) di animali, realizzata dagli scienziati, pone
il problema dell’a ammissibilità e delle possibili
conseguenze della clonazione
dell'essere umano. La realizzazione di questa idea, che ha
incontrato le proteste della maggior parte delle persone in tutto il mondo, può
diventare rovinosa per la società. La clonazione apre la possibilità, ad
un grado ancora maggiore rispetto alle altre tecnologie riproduttive,
di manipolare il patrimonio genetico della persona a un grado ancora
maggiore rispetto alle altre tecnologie riproduttive e contribuisce alla
suoa
ulteriore svilimentoalutazione.
L'uomo non ha il diritto di aspirare rivendicare alun ruolo di
creatore di esseri suoi simili o di scegliere i loro prototipi genetici,
determinando a sua
discrezione le loro caratteristiche personali a sua discrezione.
L'idea della clonazione è un'a indubbia
sfida alla natura stessa dell'uomo, e all'immagine di Dio che è in lui, parte
integrante della quale sono la libertà e l'unicità della persona.
La «riproduzione» degli esseri umani con parametri prestabiliti può apparire
desiderabile solo ai fautori di ideologie totalitarie.
La clonazione
dell'essere umano può corrompere le naturali fondamenta della procreazione,
della consanguineità, della maternità e della paternità. Un bambino può diventare
fratello del proprio padre, o una
bambina - sorella della propria madre, o
figli o/figlia
del proprio nonno. Estremamente pericolose sono anche le
conseguenze psicologiche della clonazione. Un essere umano che viene alla luce
in seguito a questa procedura, può sentirsi non come una
persona indipendente, ma solo una «copia» di qualcuno che è ancora vivo o che è
vissuto prima di lui. È necessario anche considerare che una "conseguenza
secondaria" degli esperimenti di clonazione umana creerebbero, come
«sottoprodotti», sarebbero inevitabilmente un gran numero dimolte
vite incompiute e, molto probabilmente, l'emergerenza di una
numerosa posterità priva di vitalità. D'altra parte, la clonazione di singole cellule e
di tessuti isolati dell'organismo
isolati non rappresenta un attentato alla dignità della persona e in molti casi si è
dimostrata utile nella pratica biologica e medica.
I trapianti di
organi e tessuti
XII.7. La
trapiantologia moderna (la teoria e la pratica del trapianto di organi e tessuti)
permette di offrire un aiuto efficace a molti malati che prima sarebbero stati
condannati ad una morte inevitabile o ad una grave
disabilità. Nello stesso tempo lo sviluppo di questo campo della medicina,
accrescendo il fabbisogno
dei necessarii
organi indispensabili, genera determinati
problemi etici e può presentare una minaccia per la società. Così, la
propaganda spregiudicata della donazione di organi e della
commercializzazione della pratica dei trapianti creano i presupposti
per la nascita di un
mercato di parti del corpo umano, minacciando la vita e la salute delle
persone. La Chiesa ritiene che gli organi
umani non possano essere considerati oggetto di compra-vendita.
Il trapianto di organi da viventeun donatore vivo può essere fondato solo su un
volontario sacrificio di sé per salvare la vita di un'altra persona. In questo
caso il consenso all'espianto di un organo diventa un'espressione di amore e di
compassione. Tuttavia, un potenziale donatore deve essere del tutto informato
sulle possibili conseguenze dell'espianto dell'organo per la sua salute.
L'espianto che presenta un rischio immediato per la vita del donatore è
moralmente inammissibile. Molto diffusa è la pratica del prelievo di organi
da persone che sono appena decedute. In questi casi
deve essere esclusa qualsiasi incertezza relativa al momento della morte. E' inammissibile abbreviare la vita di una
persona, anche rifiutandole le terapie necessarie alla sopravvivenza, alcon lo
scopo di prolungare la vita di un altro.
Sulla base della
dDivina
Rivelazione, la Chiesa professa la fede nella risurrezione della carne dei
morti (Is 26,19; Rm 8,11; 1 Cor 15,42-44.52-54; Fil 3,21). Nel rito funebre
cristiano, la Chiesa esprime il rispetto dovuto al corpo di un defunto.
Tuttavia, la donazione post-mortem di organi e tessuti può diventare
un'espressione di amore che si estende anche oltre la morte. Tale genere di
donazione o l'espressione della sua volontà testamentaria non può essere
considerato un dovere per la persona. Per questo il consenso volontario di un
donatore, espresso manifestato in vita, è la condizione alla
quale l'espianto può essere considerato legittimo e moralmente ammissibile. Nel
caso in cui i medici non conoscano la l'espressione della
volontà di un potenziale donatore, essi devono appurare la volontà del morente
o del defunto, rivolgendosi se necessario ai suoi parenti. La cosiddetta
presunzione di assenso di un potenziale donatore all'espianto di organi e
tessuti dal proprio corpo, introdotta nella legislazione di alcuni paesi, è
consideratoa dalla Chiesa come una
violazione inammissibile della libertà dell'uomo.
Organi e
tessuti donati diventano parte della persona che li riceve (ricettore),
entrando nella sfera della sua integrità personale fisico-spirituale-fisica personale.
Per questo in nessuna circostanza può
essere moralmente giustificato il trapianto che può comportare un rischio per
l'identità esclusiva del ricettore, andando a
toccare la sua unicità come persona e come rappresentante di una specie. E'
particolarmente importante ricordare questa condizione quando si tratta di
risolvere problemi connessi con il trapianto di organi e tessuti animali.
La Chiesa ritiene assolutamente
inammissibile l'impiego dei metodi della cosiddetta terapia fetale, alla cui
base sta l'espianto e l'utilizzazione di tessuti e di organi di feti umani,
abortiti a diversi stadi di sviluppo, per tentare di curare varie malattie e di
«ringiovanire» un organismo. Condannando l'aborto come un
peccato morale, la Chiesa non può trovare per esso alcuna giustificazione,
anche nel caso in cui qualcuno potesse trarre beneficio dalla
distruzione di una vita umana concepita qualcuno potrebbe
trarre beneficio. Contribuendo inevitabilmente alla diffusione e
alla commercializzazione ancor più ampia degli aborti, tale prassi (anche se la
sua efficacia, attualmente ipotetica, dovesse dimostrarsi scientificamente
valida) è un esempio di immoralità scandalosa ed è criminale.
L’eutanasia
XII.8. La pratica dell'espianto di
organi umani, utilizzabili per il trapianto, e lo sviluppo della terapia
intensiva hanno posto il problema della corretta constatazione del momento
della morte. Prima il criterio per il suo accertamento era considerato
l'arresto irreversibile del respiro e della circolazione sanguigna. Tuttavia,
grazie al miglioramento delle tecnologie di rianimazione, queste importanti
funzioni vitali possono essere mantenute artificialmente per lungo tempo.
L'evento della morte in tal modo si trasforma in un processo del morire che,
dipendente dalla decisione del medico ed , che
impone alla medicina contemporanea una responsabilità
qualitativamente nuova.
Nella sacra Scrittura la morte rappresenta
la separazione dell'anima dal corpo (Sal 146,4; Lc 12,20). In tal modo, si può parlare di una continuazione
della vita fino a quando l'organismo funziona in tutta la sua integralità. Il
prolungamento della vita con mezzi artificiali, dove di fatto solo singoli
organi continuano a funzionare, non può essere considerato come un
compito vincolante della medicina e in nessun caso auspicabile. I tentativi di
allontanare il momento della morte talora non fanno che prolungare le sofferenze del malato,
privando la persona del diritto a una morte dignitosa, «non avvilente e in
pace», che i cristiani ortodossi chiedono al Signore durante la liturgia.
Quando la terapia intensiva diventa impossibile, dovrebbe subentrare un aiuto
palliativo (anesteticizzanti,
assistenza infermieristica, sostegno sociale e psicologico) e la cura
pastorale. Tutto questo per assicurare una fine dell'esistenza terrena
veramente umana, riscaldata dalla misericordia e dall'amore.
La concezione
ortodossa di una morte dignitosa comprende la preparazione al momento terminale
della vitala fine mortale,
che
è consideratoa come
una tappa spiritualmente importante nell'esistenzaa vita di
una persona. Negli
ultimi giorni della sua vita terrena uUn
ammalato circondato dalla sollecitudine cristiana, negli
ultimi giorni della sua esistenza terrena può sperimentate sperimentare in sé un cambiamento operato
dalla grazia di Dio, in una per la grazia
di Dio un cambiamento connesso con una comprensione nuova del senso del suo
viaggio ormai compiuto e nell'con una anticipazione
penitente di
pentimento prima di affrontare la dimensione dell'eternità. Per i
parenti di un morente e per gli operatori sanitari la paziente un'assistenza
paziente
al malato diventa un'opportunità di servire il Signore stesso,
secondo le parole del Salvatore: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno
solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Il tentativo di
nascondere al paziente la verità sulla gravità delle sue condizioni con il
pretesto di preservare la sua tranquillità spirituale e psicologica spesso priva
il morente della possibilità di prepararsi consapevolmente alla morte e di
trovare una consolazione spirituale nella partecipazione ai Ssacramenti della
Chiesa, e getta un'ombra di sfiducia sui suoi rapporti con i parenti e con i
medici.
Le sofferenze fisiche che precedono la morte
non sempre possono essere alleviate efficacemente con l'impiego di anesteticizzanti. . Consapevole di
questo, la Chiesa in
tali questi casi rivolge a Dio laquesta
preghiera: «Libera il tTuo servo
da queste intollerabili sofferenze e dalle sue amare infermità e donagli
conforto, o Aanima dei giusti» (Messale, o - Orazione
per coloro che soffrono di lunghe malattie). Solo il Signore è pPadrone
della vita e della morte (1Sam 2,6). «Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e
il soffio d'ogni carne umana» (Gb 12,10). Per questa ragione la Chiesa, rimanendo fedele al
comandamento di Dio «non uccidere» (Es 20,13), non può riconoscere come moralmente ammissibili i tentativi, ora
ampiamente diffusi nella società laica, di legalizzare la cosiddetta eutanasia,
cioè la deliberata uccisione di malati che non hanno alcuna speranza di guarire
(anche per loro stessa volontà). La richiesta da parte di un malato di
accelerare la morte è talora condizionata da uno stato di depressione, che gli
impedisce di valutare in maniera corretta la propria condizione. Il
riconoscimento legale dell'eutanasia porterebbe allo svilimento deprezzamento
della dignità del medico, chiamato a
preservare la vita piuttosto che a sopprimerla, e a alla una deviazione rispetto alla
deontologia professionaledal
dovere professionale del medico,
chiamato a preservare la vita piuttosto che a sopprimerla. Il «diritto alla morte» può facilmente
diventare una minaccia alla vita di pazienti la cura dei quali richiederebbe
grandi mezzi economici.
In tal modo, l'eutanasia è una forma di assassinio o di
suicidio, a seconda che il paziente vi prenda parte attiva o no. Qualora il
paziente partecipi all'eutanasia, andranno applicate quelle norme canoniche
secondo le quali il suicidio volontario, così come l'aiuto dato per compierlo,
sono giudicati come un peccato grave. Ad un suicida consapevole, che «lo abbia
commesso tale atto
spinto da rancore umano o per qualche altro motivo dettato dalla
pusillanimità», non sarà concessa la
sepoltura cristiana e la commemorazione liturgica (Timoteo Aless., can.
14). Se un suicidio è avvenuto durante un raptus di follia, quando in maniera inconsapevole, mentre la
persona non era "nel pieno possesso delle proprie
facoltà mentali", cioè durante una crisi
di una malattia mentale, lla preghiera della Chiesa per il suicidalui
è permessa dopo dopo che il vescovo competente abbia condotto un'indagine sul casovestigazione
del caso da parte del vescovo competente. Nello stesso tempo è necessario ricordare che spesso la colpa del
suicida ricade anche sulle persone che lo circondavano e che si sono rivelate
incapaci di una efficace compassione efficace e
di misericordia. Con l'apostolo Paolo la Chiesa esorta: «Portate i pesi gli
uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2).
I rapporti
omosessuali
XII.9. La sacra Scrittura e l'insegnamento della
Chiesa deplorano inequivocabilmente i rapporti sessuali omosessuali,
vedendo in essi una vizioso stravolgimentoa distorsione
della natura umana creata da Dio.
«Se uno ha
rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abomionio»
(Lv 20,13). La Bibbia narra del terribile castigo che Dio inflisse agli
abitanti di Sodoma (Gn 19,1-19), secondo l'interpretazione dei santi padri,
proprio per il peccato di sodomia. L'apostolo Paolo, nel descrivere la
condizione morale del mondo pagano, colloca i rapporti omosessuali tra le
«passioni più infami» e le «impurità» che disonorano il corpo umano: «Le loro
donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente
anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi
di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con
uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro
traviamento» (Rm 1,26-27). «Non illudetevi... né effeminati, né sodomiti...
erediteranno il regno di Dio», scrive l'Apostolo agli abitanti della corrotta
Corinto (1 Cor 6,9-10). La tradizione patristica in maniera altrettanto chiara
e determinata condanna ogni manifestazione di omosessualità. La «Didachè», le
opere di Ss.an Basilio
Magno, Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nissa, s.Sant' Agostino, i
canoni di Giovanni il Digiunatore esprimono tutti l'immutatonvariato
insegnamento della Chiesa secondo il quale: i
rapporti omosessuali sono peccaminosi e vanno condannati. Coloro che li
praticano non hanno il diritto di far parte del clero (Basilio Magno, can. 7;
Gregorio Nis., can. 4; Giovanni il Digiunatore, can. 30). Rivolgendosi a coloro
che si erano macchiati del peccato di sodomia, il beato Massimo il Greco fece
questo appello: «Guardatevi, dannati, a quale piacere perverso vi siete
abbandonati!... Cercate di abbandonare immediatamente questo vostro obbrobrioso
e fetidissimo piacere, cercate di detestarlo, e chi affermasse che è un piacere
innocente, su costui pronunciate un anatema eterno, in quanto è nemico del vVangelo
di Cristo Salvatore e corruttore del suo insegnamento. Purificatevi con un pentimento
sincero, lacrime ardenti e la massima carità e la preghiera pura... Detestate
con tuttao
l'anima questo peccato perché non vi capiti di essere figli della dannazione e
della morte eterna»..
I dibattiti
sulla condizione delle cosiddette minoranze sessuali nella società
contemporanea tendono a riconoscere l'omosessualità non come una perversione
sessuale, ma solo come uno degli «orientamenti sessuali», che hanno eguale
diritto alla manifestazione pubblica e al rispetto. Si sostiene inoltreanche
che la tendenza omosessuale è determinata da una predisposizione naturale
individuale. La Chiesa ortodossa muove dalla ferma ed immutata invariata
convinzione che l'unione coniugale dell'uomo e della donna stabilita da Dio non
può essere paragonata alcon le
manifestazioni pervertite della sessualità. Essa considera l'omosessualità come uno stravolgimentoa
distorsione peccaminosao della natura
umana, il qualeche
può essere superatoa
da uno sforzo spirituale che porta alla guarigione e alla crescita personale
dell'individuo. I desideri omosessuali, come pure le altre passioni che
tormentano l'uomo decaduto, vengono guariti dai Ssacramenti, dalla
preghiera, dal digiuno, dal pentimento, dalla lettura della Sacra Scrittura e
delle opere patristiche, oltre che dalla comunione cristiana con
persone credenti disposte ad offrire un sostegno spirituale.
Pur trattando le persone che hanno
inclinazioni omosessuali con responsabilità pastorale, la Chiesa nello stesso
tempo è risolutamente contraria ai tentativi di presentare questa tendenza
peccaminosa come «normale», e addirittura come un motivo
d'orgoglio ed un
esempio da emulare. Questo è il motivo per cui la Chiesa condanna qualsiasi propaganda
dell'omosessualità. Pur senza negare a nessuno i fondamentali dirittio
alla vita, al rispetto della dignità personale e alla partecipazione anegli
affari pubblici, la Chiesa tuttavia ritiene che coloro che propagandano uno
stile di vita omosessuale, non devono essere ammessi
all'insegnamento, ad un'attività educativa o di altro tipo a contatto con
bambini o con giovani, come pure ad occupare posti direttivi nell'esercito e
negli istituti di rieducazione.
Talvolta le
perversioni della sessualità umana si manifestano come un sentimento doloroso di appartenere al sesso opposto, che sfocia
nel tentativo di cambiare il proprio sesso (transessualità).
Il desiderio di rifiutare di appartenere al sesso che le è stato assegnato dal
Creatore non può avere che conseguenze rovinose per l'ulteriore sviluppo della
persona. Il «cambio di sesso» con l'impiego di cure ormonali e l'esecuzione di un
intervento chirurgico mediante terapia ormonale e chirurgica in
molti casi non porta alla soluzione dei problemi psicologici, ma al loro
aggravamento, provocando una profonda crisi interiore. La Chiesa non può
approvare un simile genere di «ribellione contro il Creatore» e riconoscere
come reale un’identità sessuale cambiata artificialmente. Se un «cambio di
sesso» è avvenuto in una persona prima del battesimo, questa la persona può
essere ammessa al
questo sacramento, come qualsiasi altro peccatore, ma la Chiesa la
battezzerà come appartenente al sesso nel quale era nata. L'ordinazione
sacerdotale di una tale persona e il suo matrimonio religioso sono
inammissibili.
La
transessualità deve essere distinta dall’errata identificazione del sesso di
una persona nella sua prima infanzia, dovuta a un errore del medico in presenza
di uno sviluppo patologico dei caratteri sessuali. La correuzione
chirurgica in questo caso non ha il carattere di un cambiamento di sesso.
XIII. La
Chiesa e i problemi ecologici
La crisi
ecologica
XIII.1. La Chiesa ortodossa, consapevole della
propria responsabilità per il destino del mondo, è
profondamente preoccupata per i problemi generati dalla civiltà contemporanea.
I problemi ecologici occupano tra essi un posto importante. Oggi la faccia
della Terra risulta alterata su scala planetaria. Sono danneggiati il
sottosuolo, il suolo, l'acqua, l'aria, la fauna e la flora. La natura che ci
circonda è stata di fatto completamente soggiogata per il sostentamento
dell'uomo, che però non si accontenta più dei suoi molti doni, ma sfrutta in
maniera sfrenata gli interi ecosistemi. L'attività
umana, che ha raggiunto livelli paragonabili ai processi biosferici, aumenta
costantemente per l'accelerato sviluppo della scienza e della tecnica.
L'inquinamento globale dell'ambiente naturale causato dagli scarti industriali,
una cattiva tecnologia agricola, la distruzione dellei foreste
e del manto vegetale
-: tutto questo porta al soffocamento
dell'attività biologica e alla drastica riduzione delle diversità genetiche
della vita. Le risorse minerali del sottosuolo si impoveriscono
irrimediabilmente, le riserve d'acqua potabile si riducono. E' apparsa una grande
quantità di sostanze
tossiche nocive, molte delle quali non entrano
nel ciclo naturalea far
parte della circolazione naturale e si accumulano nella biosfera.
L'equilibrio ecologico è stato violato; l'uomo deve affrontare l'emergenza di
processi perniciosi irreversibili nella natura, compreso l'indebolimento della
sua naturale potenza riproduttiva.
Tutto questo
accade sullo sfondo di una crescita senza precedenti e ingiustificata del
consumo generalizzato nei paesi altamente sviluppati, dove la ricerca della
ricchezza e del lusso è diventata regola di vita. Tale situazione impedisce una
distribuzione equa delle risorse naturali, che sono un bene comune
dell'umanità. Le conseguenze della crisi ecologica si sono rivelate dolorose
non solo per la natura, ma anche per l'uomo, che ne costituisce una parte organicamente
integrante di essa. Di conseguenzaCome
risultato, la tTerra si
trova sull’orloa
soglia di una catastrofe ecologica globale.
Le conseguenze
del peccato
XIII.2. I rapporti tra l'uomo e la natura sono stati
infranti inei tempi preistorici a causa del peccato
originale dell'uomo e della sua alienazione da Dio. Il peccato, nato
nell'anima dell'uomo, si rivelò pernicioso non solo per lui stesso, ma anche
per tutto il mondo che lo circondava. «La creazione, -
scrive l'apostolo Paolo, - è stata
sottomessa alla caducità – - non per
suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa – -
e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione,
per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti
che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi» (Rm 8,20-22). Nella natura
come in uno specchio si è riflesso il primo delitto dell'uomo. Il seme del
peccato, avendo prodotto un effetto nel cuore umano, ha generato, come
testimonia la Sacra Scrittura, «spine e cardi» (Gen 3,18) sulla terra. È
diventata impossibile la piena unità organica tra l'uomo e il mondo, circostante
che esisteva prima del peccato originale (Gen 2,19-20). Nei loro
rapporti con la natura, che ora hanno assunto un carattere consumistico, gli
uomini si sono lasciati sempre più spesso guidare da stimoli egoistici. Hanno
cominciato a dimenticare che l'unico Signore dell'universo è Dio (Sal 24,1), al
quale appartengono «i cieli... la terra e quanto essa contiene»(Dt 10,14),
mentre l'uomo, come dice s.San
Giovanni Crisostomo, è solo un «amministratore», al quale sono affidate le
ricchezze del mondo terreno. Queste ricchezze, e cioè, «l'aria, il sole, l'acqua,
la terra, il cielo, il mare, la luce, le stelle», come lo stesso santo osserva,
Dio le ha «distribuite tra tutti in parti uguali, come tra fratelli». Il
«dominio» sulla natura e il «possesso» della terra (Gen 1,28), cui l'uomo è
chiamato, secondo il progetto di Dio, non significano che tutto gli
è lecito. Significano
solo che l'uomo è portatore dell'immagine del Ppadrone e sSignore
celeste e, come tale, deve, secondo il pensiero di s.San
Gregorio di Nissa, esprimere la propria dignità regale non dominando e
violentando il mondo che lo circonda, ma «coltivando» e «custodendo» (Gen 2,15)
il grandioso regno della natura del quale egli è responsabile davanti a Dio.
Un’etica
ecologica
XIII.3. La crisi ecologica ci costringe a rivedere i nostri
rapporti con l'ambiente che ci circonda. Oggi sempre più spesso vengono
criticati la concezione del dominio dell'uomo sulla natura e il principio
consumistico nei rapporti con essa. La consapevolezza del fatto che la società
contemporanea sta pagando un prezzo troppo alto per i beni della civiltà ha
provocato un'opposizione all'egoismo economico. Pertanto, si sta tentando di
individuare quelle attività che danneggiano l'ambiente naturale. Nello stesso
tempo si sta elaborando un sistema per difenderlodi protezione ambientale,
si stanno rivedendo i metodi dell'economia, si fanno tentativi per creare
tecnologie che
favoriscano il risparmio delche risparmino le
risorse naturali e industrie in grado di riciclare completamente gli scarti,
che nello stesso tempo possano «essere inseriti» nel ciclo naturale. Si
sviluppa un'etica ecologica. La coscienza sociale che ad essa si ispira si
dichiara controcondanna il modello di vita consumistico,
esige che si accresca la responsabilità morale e giuridica per il danno
inflitto alla natura, propone di introdurre una formazione e un'educazione
«all'ecologia» ed invita ad unire gli sforzi in difesa dell'ambiente sulla base
di una larga cooperazione internazionale.
Il principio
dell'unità
e integrità della creazione
XIII.4. La Chiesa ortodossa
apprezza gli sforzi diretti al superamento della crisi ecologica e invita ogni uomo a collaborare
attivamente ai progetti finalizzati a proteggere ad una attiva
cooperazione in azioni volte alla protezione della creazione di
Dio. Nel contempo, essa rileva che tali sforzi saranno più produttivi se i
fondamenti sui quali si costruiscono i rapporti dell'uomo con la natura avranno
un carattere non puramente umanistico, ma anche cristiano. Uno dei principi
basilari della posizione della Chiesa riguardo ai problemi ecologici è il
principio dell'unità ed integrità del mondo creato da Dio. L'ortodossia non
considera la natura che ci circonda come una struttura isolata e chiusa. Il
mondo vegetale, animale e umano sono interconnessi. Dal punto di vista cristiano
la natura non è un deposito di risorse destinate ad un consumo egoistico ed
irresponsabile, bensì una casa, dove l'uomo non è il padrone, ma un
amministratore, e un tempio dove egli è il sacerdote, che però serve non la
natura, ma l'unico Creatore. Alla base della concezione della natura come un tempio
sta il concetto del teocentrismo: Dio che dà «a tutti la vita e il respiro e
ogni cosa» (At 17,25) è la fonte dell'essereistenza.
Di conseguenza, la vita stessa nelle sue molteplici manifestazioni è sacra,
essendo un dono di Dio, e ogni sua violazione è una sfida lanciata non solo
alla creazione divina, ma anche al Signore stesso.
La necessaria
rinascita spirituale
XIII.5. I problemi ecologici hanno sostanzialmente un carattere
antropologico, essendo generati dall'uomo e non dalla natura. Pertanto, le
risposte a molti problemi posti dalla crisi ambientale vanno cercate nel cuore
dell'uomo, e non nellae sferea dell'economia,
della biologia, della tecnologia o della politica. La natura si trasforma o
muore non da sé, ma sotto l'impatto dell'uomo, la cui. La sua
condizione spirituale gioca un ruolo determinante, in quanto si ripercuote comunque
sull'ambiente, con
o senza un impatto evidente sia quando c'è un
impatto esterno su di essa, sia quando questo impatto non c'è. La
storia della Chiesa conosce molti esempi in cui l'amore di asceti cristiani per
la natura, le loro preghiere per il mondo circostante,
la loro compassione per tutte le creature hanno avuto un'influenza
assolutamente benefica sugli esseri viventi.
I rapporti tra antropologia ed ecologia si
manifestano con particolare chiarezza ai nostri giorni, mentre il mondo sta
sperimentando contemporaneamente due crisi: la crisi spirituale e la crisi
ecologica. Nella società contemporanea l'uomo spesso smarrisce la
consapevolezza della vita come un dono di Dio, e talvolta persino il senso
stesso dell'esistenza, riducendola talora solo alla sussistenza fisica. La
natura circostante, con questo atteggiamento verso la vita, non viene più
percepita come una casa, né tanto meno come un tempio, e diviene diventando
semplicemente un «habitat». La persona spiritualmente degradata provoca anche ilporta
al degrado anche della
natura, perché non è capace di esercitare un impatto trasformante sul mondo.
Neppure le colossali enormi risorse
tecnologiche riescono ad aiutare l'umanità accecata dal peccato perché, essendo
indifferenti al significato, al mistero ed, al
miracolo della vita, esse non portano un vero vantaggio, ma spesso provocano danni.
In un uomo che agisce non guidato dallo Sspirito,
la potenza tecnologica, di solito, suscita speranze utopistiche nelle
possibilità illimitate dell'intelletto umano e nella forza del progresso.
È impensabile superare completamente la
crisi ecologica in
unanella situazione di crisi spirituale. Questa
affermazione non significa affatto che la Chiesa invita a ridurre l'attività di
salvaguardia e preservazione della natura. Piuttosto, essa collega la speranza
in un cambiamento positivo dei rapporti dell'uomo- con
la natura al, e l'aspirazione
della società a una rinascita spirituale. La base antropogenica dei problemi
ecologici dimostra che noi tendiamo a cambiare il mondo che ci circonda in
conformità con il nostro mondo interiore, e proprio per questo la
trasformazione della natura deve partire da una trasformazione dell'anima.
Secondo il pensiero di Massimo il Confessore, l'uomo potrà trasformare tutta la
terra in un paradiso solo quando egli avrà portato il paradiso in se stesso.
XIV. Laicità della Sscienza,
della cultura,
dell’educazione
laiche
Riannodare il
legame tra sapere scientifico
e valori religiosi, spirituali e morali
XIV.1. Il
cristianesimo, avendo superato i preconcetti pagani, ha demitologizzato la natura,
contribuendo in tal modo allo sviluppo delle scienze naturali. Con il tempo, le scienze, sia naturali sia umanistiche,
sono diventate una delle più importanti componenti della cultura. AllaVerso
la fine del XX secolo la scienza e la tecnica hanno raggiunto
risultati tanto stupefacenti e una tale incidenza su tutti gli aspetti della
vita da diventare, di fatto, i fattori determinanti della vita civile. Nel
contempo, nonostante l'iniziale impatto del cristianesimo sulla formazione
dell'attività scientifica, lo sviluppo
della scienza e della tecnica sotto l'influsso di ideologie laiche ha prodotto
conseguenze che suscitano serie apprensioni. La crisi ecologica e altre
crisi, che hanno colpito il mondo contemporaneo, fanno crescere con
forza sempre maggiore deisuscitano dubbi sempre più seri riguardo al cammino
intrapreso. Attualmente il livello scientifico-tecnologico della civiltà è tale
che le azioni criminose di un gruppo ristretto di persone, in teoria, possono
nel giro di alcune ore provocare una catastrofe mondiale, nella quale
potrebbero perire irrimediabilmente tutte le forme di vita superiori.
Dal punto di vista cristiano, tali
conseguenze sono sorte in virtùderivano deal falso
principio che sta alla base dello sviluppo tecnico-scientifico-tecnico
contemporaneo. Tale principio stabilisce aprioristicamente che questo sviluppo
non deve essere limitato da alcuna esigenza etica, filosofica o religiosa. Con
questa «libertà», tuttavia, lo sviluppo tecnico-scientifico-tecnico
si trova completamente in baliapotere
delle passioni umane, prima di tutto della vanità, dell'orgoglio, della sete
del maggior comfort possibile, cosa che erode l'armonia spirituale della vita
con tutte le conseguenze negative che ne derivano. Pertanto, per assicurare una vita umana normale oggi più che mai è
necessario riannodare il legame, che è andato smarrito, tra il sapere
scientifico e i valori religiosi, spirituali e morali.
La necessità di
questo legame è postulatao anche
dal fatto che un consistente numero di persone crede ancora nell'onnipotenza
della conoscenza scientifica. Deriva in parte da questa convinzione la posizione
di alcuni In parte questa idea è una conseguenza diretta del
pensiero sorto nel XVIII secolo, quando alcuni pensatori
ateisti del XVIII secolo, che contrapposero nettamente
drasticamente scienza e religione. Nel contempo però è comunemente
accettato il fatto che in tutti i tempi, compreso quello presente, molti
eminenti scienziati sono stati e sono persone religiose. Questo sarebbe stato
impossibile se ci fossero state contraddizioni fondamentali tra la religione e
la scienza. Il sapere scientifico e il sapere religioso hanno un carattere
completamente diverso. HEsse hanno
premesse diverse, finalità diverse, compiti e metodi diversi. Queste sfere
possono sfiorarsi, intersecarsi, ma non contrapporsi l'una all'altra. Da un
lato, infatti, le scienze naturali non contengono teorie ateistiche o
religiose, bensìma
sono
teorie più o meno vere. Dall'altro lato, la religione non si
occupa dei problemi inerenti alla struttura della materia.
M.V. Lomonosov
scrisse giustamente che la scienza e la religione «non possono entrare in
conflitto... a meno che qualcuno per vanità o per ingenuità non voglia
riversare su di esse la propria ostilità».. Questo
stesso pensiero ha espresso s.San
Filarete di
Mosca: «La fede in Cristo non è in conflitto con il vero sapere, perché essa
non è in unione con l'ignoranza».. È
opportuno rilevare anche la scorrettezza della contrapposizione tra la
religione e la concezione del mondo cosiddetta scientifica.
Per loro natura
solo la religione e la filosofia possono avere la funzione di esprimere una
concezione del mondo, funzione che nessuna singola scienza specifica o nessun
sapere scientifico concreto nel suo complesso può assumersi. Una riflessione
sui progressi scientifici e sulla loro inclusione in un sistema ideologico può
avere luogo in un contesto più ampio
possibile, - da
quello religioso a quello dichiaratamente ateistico.
Benché Anche
se la scienza possauò
essere una delle vie per conoscere Dio (Rm 1,19-20), lL'ortodossia la considera anche come uno strumento
naturale strumento per edificare la vita sulla
terra, uno strumento
che deve essere usato con grande prudenza. La Chiesa mette in guardia l'uomo
dalla tentazione di considerare la scienza come un ambito assolutamente
indipendente dai principi morali. I progressi odierni nei diversi campi,
comprese la fisica delle particelle elementari, la chimica e la microbiologia,
mostrano che esse sono di fatto una spada a doppio taglio, capace non solo di
recare un beneficio all'uomo, ma anche di togliergli la vita. I precetti
evangelici di vita offrono la possibilità di educare una persona in modo tale
che essa possa non abusare delle conoscenze e delle abilità ricevute. Questo è
il motivo per cui la Chiesa e la scienza laicasecolare
sono chiamate a collaborare per la salvaguardia della vita e del suo giusto
ordine. La loro interazione contribuiscerà ad instaurare lla
creazione di un sano clima di sana creativvitào
nella sfera spirituale e intellettuale ed, aiutando
in tal modo ad attuare le condizioni ottimali per lo sviluppo della ricerca
scientifica.
È opportuno
dare particolare rilievo alle scienze
sociali, in quanto per loro natura sono inevitabilmente connesse con i
campi della teologia, della storia ecclesiastica e del diritto canonico. Pur
approvando l'opera di studiosi laici in questo campo e riconoscendo
l'importanza degli studi umanistici, la Chiesa nello stesso tempo non considera
completoa ed onnicomprensivoa la visione il
quadro razionale del mondo che, talvolta
derivaconfigurato
da questi studi. La concezione religiosa del mondo non può essere rigettata
come fonte di idee sulla verità e desulla comprensione
della storia, dell'etica e di molte altre scienze umanistiche che hanno ragione
e diritto ad essere presenti nel sistema educativo e scolastico laico e
nell'organizzazione della vita sociale. Solo la combinazione dell'esperienza
spirituale con il sapere scientifico può assicurare la pienezza della
conoscenza. Nessun sistema sociale può
essere definito armonico, se nel momento di esprimere giudizi di rilevanza
sociale esso risulta monopolizzato dallain esso esiste il
monopolio della visione secolarizzatalaica del
mondo quando vengono espressi giudizi socialmente
significativi. Purtroppo, rimane il pericolo di una scienza
ideologizzata, per illa
quale intere nazioni nel mondo hanno pagato un prezzo molto alto nel XX secolo.
Tale ideologizzazione è particolarmente
pericolosa nel campo degli studi sociali, che vengono posti a fondamento di
programmi di governo e di progetti politici. Pur opponendosi al tentativo di
sostituire l'ideologia alla scienza, la Chiesa appoggia il dialogo
particolarmente importante con gli studiosi -umanisti.
L'uomo come
immagine e somiglianza dell'iIneffabile
Creatore è libero nelle sue misteriose profondità. La Chiesa mette in guardia
dai tentativi di servirsi
delusare le conquiste della scienza e della
tecnica per estendere il proprio controllo sul mondo interiore della persona,
per creare una qualche tecnologia che renda possibile il plagio e la
manipolazione della coscienza o dell'inconscio dell'uomo.
La cultura
come compito
assegnato da Dio
XIV.2. Il termine latino cultura, che significa «coltivazione»,
«educazione», «istruzione», «sviluppo», deriva dalla parola cultus: («venerazione»,
«culto», «adorazione»). Questo indica le radici religiose della cultura. Dopo
aver creato l'uomo, Dio lo pose nel paradiso terrestre e gli ordinò di
coltivare e di custodire la suao creazione (Gen 2,15). La cultura
come preservazione e
cura del mondo circostante
e
come sua cura è un compito assegnato da Dio all'uomo. Dopo la sua cacciata
dal paradiso terrestre, quando gli uomini si trovarono ad affrontare lanella necessità
di lottare per la sopravvivenza, cominciarono a produrre strumenti per
lavorare, per costruire città, per svolgere l'attività agricola e per creare opere
artistiche. I padri e i dottori della Chiesa hanno sottolineato la primordiale
origine divina della cultura. Clemente Alessandrino, in particolare, la percepì
come frutto della creatività dell'uomo sotto la guida del Logos: «La Scrittura
con il nome generico di sapienza designa globalmente tutte le scienze e le arti
terrene, tutto quello che l'intelletto umano ha potuto conseguire... perché
ogni arte e ogni sapere viene da Dio».. E s.San
Gregorio il Teologo scriveva: «Come in una magistrale armonia musicale ogni
corda produce un suono diverso, l'una - alto,
l'altra - basso, così anche in questo l'Aartista e Ccreatore-Logos,
pur avendo posto diversi inventori di diverse attività e arti, ma ha
messo ogni cosa a disposizione di tutti quelli che lo desiderano, allo scopo di
unirci con i vincoli di comunione e di amore per l'umanità e di rendere la
nostra vita più civileizzata»..
La Chiesa ha
assimilato molto dal
patrimonio d'arte e di cultura creato quello che è stato creato dall'umanità
nel
campo dell'arte e della culturae ha riplasmato, riforgiando
i frutti del lavoro creativo nel crogiolo dell'esperienza religiosa, cercando
di purificarli dagli elementi spiritualmente perniciosi per poi offrirli alle
persone. Essa santifica diversi aspetti della cultura e dà molto offre un valido
contributo aper il suo sviluppo. L'iconografo
ortodosso, il poeta, il filosofo, il musicista, l'architetto, l'attore e lo
scrittore ortodossi, tutti usano gli strumenti dell'arte per esprimere l'esperienza
di rinnovamento spirituale che essi hanno trovato in se stessi e che desiderano
donare agli altri. La Chiesa rende
possibile comprendere in modo nuovo l'uomo, il suo mondo interiore e,
il senso della sua esistenza. Di conseguenza, la creatività umana,
sacralizzandosi, ritorna alle sue primordiali originarie radici
religiose. La Chiesa aiuta la cultura ad oltrepassare i confini di un'attività
puramente terrena: offrendo una via per purificare il cuore e per unirsi con il
Creatore, essa la rende capace di collaborarezione con
Dio.
La cultura laica può essere
portatrice della buona novella. Questo è particolarmente importante
quando l'influenza del cristianesimo nella società si indebolisce o quando il potere
civile entra in aperto conflitto con la Chiesa. Così, negli anni dell'ateismo
di stato, la
letteratura russa classica, la poesia, la pittura e la musica divennero per
molti quasi le sole fonti della conoscenza religiosa. Le tradizioni culturali
contribuiscono a preservare e ad arricchire l'eredità spirituale in un mondo in
rapida trasformazione. Questo vale per i vari aspetti della creatività: la
letteratura, le arti figurative, la musica, l'architettura, il teatro, il
cinema. Per predicare Cristo tutti gli stili creativi sono adatti, se
l'intenzione dell'artista è autenticamente devota, e se
egli resta fedele al Signore.
Agli uomini di
cultura la Chiesa ha sempre rivolto questo appello: «Trasformatevi rinnovando
la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui
gradito e perfetto» (Rm 12,2). Nello stesso tempo la Chiesa ammonisce:
«Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le
ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio» (1Gv 4,1). L'uomo non
ha sempre una sufficiente perspicacia spirituale per distinguere l'autentica
ispirazione divina dall'«ispirazione» estatica, dietro alla quale non di rado
stanno le forze
oscure che hanno un impatto distruttivo sull'uomo. Quest'ultima si verifica, in
particolare, quando le persone entrano in contatto con il mondo della magia e
della stregoneria
o, e anche quando assumono
stupefacenti. L'insegnamento della Chiesa aiuta una persona a trovare la vista spirituale
che le permette di distinguere il bene dal male, il divino dal demoniaco.
L'incontro tra
la Chiesa e il mondo della cultura non significa affatto sempre la semplice
cooperazione e l'arricchimento reciproco: «Il vero Logos, quando venne, mostrò che
non ogni opinione né ogni insegnamento è buono, ma che alcuni sono buoni,
mentre altri sono cattivi» (s.San
Giustino Filosofo). Nel rRiconoscerendo
il diritto di ogni uomo a esprimere un giudizio morale sui fenomeni culturali,
la Chiesa riserva anche
a se stessa un
analogoquesto diritto solo
per se stessa., nel quale Inoltre,
essa ravvisa un suo direttovede in questo un proprio compito diretto. Pur senza insistere sul fatto che il criterio di
valutazione della Chiesa debba dovrebbe essere
l'unico accettato
nella società secolare laica e
nello stato, la Chiesa, tuttavia, è
tuttavia convinta
della verità ultima e della natura salvifica della via che
le è stataad essa rivelata nel VVangelo. Se un'opera creativa contribuisce alla
trasformazione morale
e spirituale della persona, la Chiesa la benedice. Se invece la cultura si pone
in contrasto con Dio, se diventa antireligiosa o
anti-umana, e si trasforma in anti-cultura, la Chiesa le si
oppone. Tuttavia, una simile opposizione non è una lotta contro i portatori di questa cultura, perché «la nostra
battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne», ma è una
battaglia spirituale, volta alla liberazione degli uomini dall'impatto
pernicioso esercitato sulle loro anime dalle forze oscure, dagli «spiriti del male» (Ef 6,12).
La tensione
escatologica del cristiano non gli permette di identificare completamente la propria
sua vita
con il mondo della cultura, «perché non abbiamo quaggiù una città
stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14). Il cristiano può lavorare e
vivere in questo mondo, ma non deve lasciarsi completamente assorbire
dall'attività terrena. La Chiesa ricorda
alle persone di cultura che la loro vocazione è coltivare l'e animea delle persone,
compresea la propria quelle dei suoi fedeli,
cercando di ricostituire in essi l'immagine di Dio deformata
dal peccato.
Predicando la Vverità eterna di
Cristo alle persone, che vivono in situazioni
storiche in
evoluzioneche cambiano, la Chiesa fa
questocompie
la sua missione attraverso le forme culturali proprie del suo tempo,
della nazione e dei vari gruppi sociali in cui si trova ad operare. Quello che è
stato conosciuto e sperimentato da certi popoli e generazioni,
a volte deve essere reinterpretato di nuovo per
altri soggetti,
in modo che diventi a essi familiare e comprensibile. Nessuna cultura può
essere considerata l'unica accettabile per esprimere il messaggio spirituale
cristiano. Il linguaggio verbale e
figurativo della predicazione, i suoi metodi e i suoi strumenti mutano naturalmente nel
corso della storia
ed assumono caratteristiche diverse a seconda del ,
variano dipendentemente dal contesto nazionale e dia
altri fattori. Nello stesso tempo però gli umori mutevoli del mondo non
costituiscono un motivo per rigettare il prezioso patrimonio prezioso dei
secoli passati e, peggio ancora, per abbandonare all'oblio la Ttradizione della
Chiesa.
L’educazione
laica
XIV.3. La tradizione cristiana ha sempre rispettato l'educazione secolarelaica. Molti padri della
Chiesa studiarono in scuole e accademie laiche e ritennero le discipline che vi
si insegnavano indispensabili per un credente. S.an Basilio
Magno scrisse che «le scienze esterne non sono inutili» per un cristiano, il
quale deve trarre da esse tutto ciò che contribuisce al suo perfezionamento
morale e alla sua crescita intellettuale. Secondo il pensiero di S.an
Gregorio il Teologo, «chiunque sia dotato diha un
intelletto riconosce l'istruzione (paideusin)
come un bene primario per noi. E non solo questa nostra nobile erudizione
che... ha per oggetto unicamente la salvezza e la bellezza di ciò che è
contemplato dalla mente, ma anche l'erudizione esterna, che molti cristiani per
ignoranza disprezzano come poco affidabile, pericolosa e sviante da Dio».
Dal punto di vista ortodosso è auspicabile
che l'intero sistema educativo sia costruito sui principi religiosi e fondato
sui valori cristiani. Nondimeno, la Chiesa, seguendo una tradizione
plurisecolare, rispetta la scuola laica ed è pronta a instaurare rapporti con
essa sulla base del riconoscimento della libertà umana. Nello stesso tempo la
Chiesa considera inammissibile imporre deliberatamente agli studenti idee
antireligiose e anticristiane ed affermare il monopolio della visione
materialistica del mondo (v. XIV.1). Non bisognerebbe si deve riprodurre
la situazione, tipica di molti paesi nel XX secolo, nella quale quando
le scuole statali erano divenutedivennero
strumenti di un'educazione ateistica militante. La Chiesa esorta a rimuovere le
conseguenze del controllo ateistico sul sistema dell'istruzione pubblica.
Purtroppo, sino ad oggi, in molti curricola programmi di
storia è ancora
sottovalutato il ruolo della religione nella formazione
dell'autocoscienza spirituale dei popoli è ancora sottovalutato.
La Chiesa richiama costantemente alla memoria l'apporto che il
cristianesimo ha offerto al deposito del tesoro culturale
nazionale e mondiale. I credenti
ortodossi prendono atto con rammarico dei tentativi di accettare in maniera
acritica standard criteri didattici, programmi e principi
educativi di organizzazioni note per il loro atteggiamento negativo verso il
cristianesimo in generale eo
l'ortodossia in particolare. Non può essere ignorato neppure il pericolo della
penetrazione nella scuola laica di influenze occulte e neo-pagane e,
di sette distruttive, sotto il cui impatto un bambino può smarrirsi
andare perduto e per se stesso, e per la famiglia e per la
società.
La Chiesa ritiene utile e necessario
attivare corsi opzionali di religione cristiana nelle scuole statali, su
richiesta dei bambini o dei loro genitori, come pure negli istituti di
istruzione superiore. Le autorità ecclesiastiche dovrebbero avviare con il
governo un dialogo tesvolto
a suggellare a livello legislativo e pratico l'esercizio delil diritto
internazionalmente riconosciuto delle famiglie credenti di impartire ai loro
figli un'istruzione e un'educazione religiosea. A
questo scopo la Chiesa ha anche creato istituti di istruzioneeducativi
di base ortodossi, per
i quali aspettando il sostegno degli
stessi da parte dello stato.
La scuola è un
mediatore, che trasmette alle nuove generazioni i valori morali maturatiaccumulatisi
nei secoli precedenti. La scuola e la Chiesa sono chiamate a collaborare ain
questo compito. L'istruzione, specialmente quella destinata ai bambini e agli
adolescenti, non è
chiamata non solo a
trasmettere informazioni. Accendere nei giovani cuori l'aspirazione alla vVerità,
un autentico senso morale, l'amore verso il prossimo, verso la patria, la sua
storia e la sua cultura: questo deve essere un compito della
scuola – non
inferiore, più
piccolo, ma forse anzi più nobile anche più grande della
trasmissione del sapere. La Chiesa è
chiamata e cerca di aiutare la scuola nella sua missione educativa, perché è
dalla moralità e dalla spiritualità di una persona che dipende la sua salvezza
eterna, come pure il futuro delle singole nazioni e dell'intero genere umano.
XV. La
Chiesa
e i mass media ezzi
di comunicazione di massa laici
Il compito
dell’informazione
XV.1. I mass mediaezzi
di comunicazione di massa nel
mondo contemporaneo giocano un ruolo sempre crescentepiù importante nel mondo
contemporaneo. La Chiesa rispetta il lavoro dei giornalisti, i quali sono
chiamati a fornire a larghi strati della società
un'informazione tempestiva su quanto accade nel mondo, aiutando le persone a
orientarsi nella complessa realtà odierna. È importante ricordare che il compito di l'informare zione
dello spettatore, dell'ascoltatore e de il lettore
dovrebbe essere fondatao non solo su un solido impegno per la
verità, ma anche sulla preoccupazione per la condizione morale dell'individuo e
della società, e questo comporta l'adesione a ideali positivi e la lotta
contro la propagazione del male, del peccato e del vizio. Sono inammissibili lLa propaganda della
violenza, dell'inimicizia e dell'odio, delle ostilità nazionalietniche,
sociali e religiose, come pure lo sfruttamento peccaminoso degli istinti umani,
compreso quello per scopi commercialii, sono inammissibili.
I mass- media, che hanno un'influenza enorme sul pubblicol'audience,
hanno una gravendissima responsabilità per l'educazione
delle persone, specialmente delle generazioni più giovani. I giornalisti e i
dirigenti dei mass
-media non dovrebbero mai dimenticare
questa responsabilità.
La
collaborazione della Chiesa
con i mezzi di comunicazione
XV.2. La missione educativa, didattica e pacificatrice a
livello sociale della Chiesa la spinge a cooperare con i mezzi di comunicazione
di massa laici,
che possono capaci di trasmettere il suo
messaggio agli strati più diversi della società. Il santo apostolo Pietro
esorta i cristiani: «siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi
ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e
rispetto» (1 Pt 3,15). Tutti, ministri del culto o laici, sono chiamati a
mantenere con la dovuta attenzione i contatti con i mass- media laici per allo
scopo di realizzare la loro missione pastorale ed educativa,
e
anche di
risvegliare l'interesse della società laica per i vari aspetti della vita
ecclesiale e della cultura cristiana. Pertanto, è necessario mostrare saggezza, responsabilità e prudenza verso la
posizione di un particolare
organo di informazione
mass-medium concreto
e particolare riguardo
alla fede e alla Chiesa, verso il suo orientamento morale e i suoi
rapporti con le autorità ecclesiastiche. I laici ortodossi possono lavorareessere
direttamente impiegati
presso i mass-media laici, e in tale nella propria attività essi sono
chiamati a essere annunciatori e testimoni degli ideali morali cristiani. I giornalisti
che pubblicano materiali che portano alla corruzione delle anime umane devono
essere sottoposti alle interdizioni canoniche qualoranel caso che essi
appartengano alla Chiesa ortodossa.
Per
ogni specifica tipologia massmediale Nell'ambito
di ciascuno degli
aspetti nei mass-media (stampa,
radio e supporti- elettronicai, computer), aventi la propria
specificità, la Chiesa – sia
attraverso istituzioni ufficiali, sia ancheper mezzo di attraverso iniziative private di sacerdoti e di laici –,
dispone di propri mezzi di
comunicazione, che godono del beneplacito delle Aautorità ecclesiastiche.
Nello stesso tempo, la Chiesa, attraverso le sue istituzioni e le persone
incaricate, interagisce con i mass- media laici. Questa interazione si attua sia mediante la creazione di
particolari forme di presenza ecclesiale nei mass- media laici (supplementi
speciali a quotidiani e riviste, pagine speciali, serie televisive e
radiofoniche, e rubriche), sia mediante una partecipazione dall'esterno anche esternamente (singoli articoli, interventi radiofonici e
televisivi, interviste, partecipazione a diverse forme di dibattiti pubblici e
discussioni). La Chiesa può anche offrire un'assistenza di consulenza ai giornalisti, diramare
informazioni, relazioni o rapporti
appositamente preparati per loro, predisporre materiale informativo e offrire
la possibilità di ricevere materiali audio-video [filmati, registrazioni,
riproduzioni]).
La cooperazione tra la Chiesa e i mass mediaezzi
di comunicazione di massa laici presuppone una reciproca
responsabilità. L'informazione passata a un giornalista e per essereda
lui trasmessa al pubblico deve essere affidabile. Le opinioni dei
ministri del culto o di altri rappresentanti ecclesiasticidella chiesa,
riportate attraverso i mass- media, devono
essere conformi all’insegnamento
della Chiesa
suo
insegnamento eed alle sue posizioni in materia socialerelative
ai problemi sociali. Qualora venga espressa
un'opinione puramente personale, questo deve essere inequivocabilmente dichiarato
sia dalla persona stessa che parla attraverso i mass- media, sia dai
responsabili della gestione degli organi di informazione i
mass-media che hanno trasmesso quell'opinione. La cooperazione tra
i ministri del culto e le istituzioni ecclesiastiche da un lato, e i mass- media laici
dall'altro, deve aver luogo sotto la guida delle aAutorità
ecclesiastiche – se i servizi in questione temi riguardano
attività ecclesialistiche
di ampia portata – e delle autorità diocesane, se la cooperazione con i mass- media è a
livello regionale e i temi riguardano prima di tutto la vita della diocesi.
I possibili
conflitti
XV.3. Nel dispiegarsiNel corso della collaborazione tra la Chiesa e i mass media ezzi
di comunicazione di
massa laici possono sorgere
complicazioni e persino gravi conflitti. I pProblemi possono sorgere, in particolare, a causa
di un’a informazione imprecisa o distorta sulla vita della
Chiesa, o perché tale informazione viene collocata in un contesto inappropriato,
o ancora
perché l'opinione personale dell'autore o del reporter o di una persona citata
si sovrappone e viene confusa con la posizione ufficiale della Chiesa. A volte,
i rapporti tra la Chiesa e i mass- media laici si guastano compromettono anche
per colpa dello stesso clero e degli stessi laici, per esempio, nei casi in cui
essi rifiutino in maniera ingiustificata di dare ai giornalisti accesso
all'informazione, o reagiscano in maniera esagerata a una critica
giusta e opportuna.
Tali problemi dovrebbero essere risolti in uno
nello spirito di pacifico un
dialogo pacifico con lo scopo di eliminare le incomprensioni e di
continuare la collaborazione.
Nello stesso tempo possono sorgere conflitti
ancora più profondi e sostanziali tra la Chiesa e i mass- media laici.
Questo accade qualora venga bestemmiato il nome di Dio, o vengano commessi
altri atti
sacrileghi,
vengano date informazioni sistematicamente e deliberatamente distorte sulla
vita della Chiesa, e vengano calunniati la Chiesa e i
suoi ministri. Qualora insorgano tali conflitti, la suprema
autorità ecclesiastica (riguardo ai mass- media nazionali)
o il vescovo diocesano (riguardo ai mass- media regionali
e locali) possono, dopo un'a opportuna
ammonizione e dopo aver compiuto almeno un tentativo per entrare in trattative,
prendere i seguenti provvedimenti: rompere i rapporti con l’organo d'informazioneil
mass-medium o con il giornalista interessato; invitare i credenti
a boicottarloe
tale mass-medium; appellarsi agli organi del governo per comporre
il conflitto; sottoporre a interdizione canonica le persone colpevoli di tali
azioni peccaminose se esse sono
cristiani ortodossi. Le azioni summenzionate devono essere documentate ed è
opportuno che vengano rese note ai fedeli e alla società tutta.
XVI. Relazioni
internazionali
I problemi
della globalizzazione e del secolarismo
I rapporti tra
i popoli
XVI.1. Popoli e
nazioni entrano in rapporti economici, politici, militari e di altro genere fra di loro. Di
conseguenza, vi sono stati che nascemergono o
che scompaiono, che
modificano i loro confini, che si uniscono o si separano,; e inoltre
creano o sciolgono varie alleanze. Nella sacra Scrittura sono contenute numerose
testimonianze storiche sulla costituzione dellei
relazioni internazionali.
Uno dei primi
esempi di trattato inter-tribale, concluso tra il proprietario della terra,
Abimelech, e uno straniero, Abramo, è presentato nel libro della Genesi:
«Abimelech... disse ad Abramo: “... giurami qui per Dio che tu non ingannerai
né me né i miei figli né i miei discendenti: come io ho agito amichevolmente
con te, così tu agirai con me e con il paese nel quale sei forestiero”. Rispose
Abramo: “Io lo giuro”... tra loro due conclusero un'alleanza» (Gen
21,22-24.27). I trattati riducevano il pericolo di guerre e di conflitti (Gen
26,26-31; Gs 9,3-27). Talvolta i negoziati e le dimostrazioni di buona volontà
riuscivano ad evitare lo spargimento di sangue (1Sam 25,18-35; 2Sam 21,15-22).
Le guerre si concludevano con la stipulazione di dei trattati
(1 Re 20,26-34). La Bibbia menziona delle alleanze militari (Gen 14,13; Gdc
3,12-13; 1 Re 22,2-29; Ger 37,5-7). Talvolta l'aiuto militare veniva procurato
in cambio di denaro e di altri beni materiali (2 Re 16,7-9; 1 Re 15,17-20).
L'accordo tra Chiram e Salomone di fatto ebbe il carattere di un'alleanza
economica: «I miei servi saranno con i tuoi servi; io ti darò come salario per
i tuoi servi quanto fisserai. Tu sai bene, infatti, che fra di noi nessuno è
capace di tagliare il legname come sanno fare quelli di Sidone... Fra Chiram e
Salomone regnò la pace e i due conclusero un'alleanza» (1Re 5,6.12). Durante le
trattative per mezzo di emissari si discutevano questioni quali la possibilità
di lasciar passare uomini armati attraverso un territorio altrui (Nm 20,14-17;
21,21-22) o ,problemi di territorio
dispute territoriali (Gdc 11,12-28). I trattati potevano includere
il passaggio di territori da un popolo ad un altro (1 Re 9,10-12; 1 Re 20,34).
Nella Bibbia
sono contenute anche le descrizioni di astuzie diplomatiche, connesse con la
necessità di proteggersi da un avversario potente (Gs 9,3-27; 2 Sam 15,32-37;
16,16-19; 17,1-16). A volte la pace veniva comprata (2 Re 12,18) o pagata con
un tributo. Certamente, uno dei mezzi per comporre liti e conflitti era la
guerra, e nei libri dell'Antico Testamento i riferimenti alle guerre abbondano.
Tuttavia, nella sacra Scrittura vi sono anche esempi di negoziati, finalizzati
a evitare la guerra non appena si profili il rischio che possa cominciare (2Re
14,9-10). La pratica di raggiungere accordi in epoca veterotestamentaria era
fondata su principi religiosi e morali. Così, persino un trattato con gli
abitanti di Gabaon,
che ricorsero all’inganno per concluderlo concluso dopo un
inganno da parte di questi ultimi, fu riconosciuto valido in virtù
della sua formula sacra: «Noi abbiamo loro giurato per il Signore, Dio di
Israele, e ora non possiamo colpirli» (Gs 9,19). La Bibbia contiene il divieto
di concludere alleanze con tribù pagane viziose (Es 34,15). Tuttavia, gli
israeliti di tanto in tanto non rispettarono questo comandamento. Anche vari
trattati e alleanze spesso vennero infranti.
L'ideale cristiano che deve guidare il di comportamento
di un popolo e di un governo nel campo delle relazioni internazionali è
racchiuso nella «regola aurea d'oro»:
«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt
7,12). Applicando questo principio non solo nella vita individuale, ma anche
nella vita sociale, i cristiani ortodossi dovrebbero ricordare che «Dio non è
nella forza, ma nella giustizia». Nel contempo, se qualcuno agisce contro
giustizia, spesso per ristabilire la giustizia sono necessarie azioni
restrittive e persino violente verso altri stati e popoli. Si sa che, per la corruzione a causa della natura umana prodottacorrotta
dal peccato, è
inevitabile che le nazioni e gli stati inevitabilmente hanno abbiano interessi
praticamente divergenti, connessi, in particolare, con il desiderio di
possedere la terra, di dominare politicamente e militarmente e,
di trarre il massimo profitto possibile dalla produzione e dal commercio.
Sorgendo per questa ragione, il bisogno
di difendere i connazionali pone certe limitazioni alla buona volontà
dell'individuo di sacrificare i propri interessi per il bene di un altro
popolo. Nondimeno, i cristiani ortodossi e le loro comunità sono chiamati a
tendere all'instaurazione di quelle relazioni internazionali che potrebbero
promuovere neal
massimo grado possibile il bene e il soddisfacimento degli interessi legittimi
del proprio popolo, delle nazioni confinanti e dell'intera famiglia umana.
I rapporti tra
popoli e governi devono essere orientati alla pace, all'aiuto reciproco e alla
cooperazione. L'apostolo Paolo esorta i cristiani: «Se possibile, per quanto
questo dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18). S.an
Filarete di
Mosca, nel
suo discorso in occasione della firma del trattato di pace del 1856, dice: «Ricordiamo
la legge, e compiamo la volontà del Ddivino Principe
della pace – cerchiamo di non ricordare il male, di perdonare le offese, di
essere in pace anche «con chi detesta la pace» (Sal 119,6), e ancor più con
coloro che propongono di porre fine all'inimicizia e che tendono una mano
amichevole». Pur nella consapevolezza che in questo mondo decaduto i conflitti
internazionali e le contraddizioni sono inevitabili, la Chiesa chiama le potenze ad adoperarsi per comporre tutti i
conflitti attraverso la ricerca di risoluzioni reciprocamente accettabili. Essa
si pone dalla parte delle vittime delle aggressioni e di quanti sono oggetto
didella pressione politica esterna
illegittima e moralmente ingiustificata. L'uso della forza militare è
consideratoa
dalla Chiesa come lo
strumento estremo di difesa contro un'aggressione armata da parte di altri
stati. Tale difesa può anche essere messa in atto da parte di uno
stato che non è oggetto diretto di un attacco, per portare aiuto ad un altro
stato, oggetto di aggressione, su richiesta di quest'ultimo.
Gli stati fondano le
loro relazioni con il mondo esterno sui principi della sovranità e dell'integrità territoriale. Questi principi sono
considerati dalla Chiesa come essenziali per la difesa da
parte di un popolo dei propri interessi legittimi da parte di un popolo e
rappresentano una pietra angolare dei negoziati internazionali,
e, quindi, dell'intero
diritto internazionale. Nello stesso tempo, per la coscienza cristiana è evidente
che qualsiasi ordinamento umano, compreso il potere sovrano di uno stato, è
relativo di fronte a Dio oOnnipotente.
La storia dimostra che la vita, i confini e la forma dei governi sono mutevoli,
essendo fondati non solo su una base territoriale ed etnica, ma anche su
principi economici, politici, militari ed altri
simili. Pur senza negare l'importanza storica dello stato monoetnico, la Chiesa
ortodossa nello stesso tempo approva l'unificazione volontaria di nazioni in un
unico organismo, e la creazione di stati
multinazionali, se in essi non vengono violati i diritti di nessun popolo. Nel
contempo, non si può non riconoscere che nel
mondo odierno sussiste una certa contraddizione tra i principi universalmente
accettati della sovranità e dell'integrità territoriale di uno stato, da un
lato, e l'aspirazione da parte di un popolo o di una parte di esso
all'indipendenza nazionale, dall'altro lato.
Dissidi e conflitti che scaturiscono da questa contraddizione andrebbero
compostie
con mezzi pacifici, sulla base del dialogo, cercando di raggiungere con il'
maggior accordo più ampio possibile tra le parti. Ricordando
che l'unità è un bene e la disunione - un male,
la Chiesa approva le tendenze all'unificazione di paesi e nazioni, specialmente
di quelli che hanno una storia e una cultura comuni, a condizione che queste
unificazioni non siano volte contro una terza parte. La Chiesa si rammarica
quando con la divisione di uno stato multietnico si distrugge anche l'unità
storica dei suoi popoli, vengono violati i loro diritti e la vita di molti è colpitaafflitta
da grandi sofferenze. La divisione di uno stato multinazionale si può ritenere
giustificatao
solo nel caso in cui uno dei popoli si trovi in una situazione di evidente
oppressione o se la maggioranza dei cittadini di un paese non esprime launa
decisa
e precisa volontà di mantenere l'unità.
La storia recente ha mostrato che la
divisione di diversi stati eurasiatici ha determinato una frattura artificiale
tra popoli, famiglie e comunità economichesocietà d'affari
ed ha provocatoportato
alla prassi di ilun forzato
reinsediamento e all'espulsione di vari gruppi etnici,
religiosi e sociali, che in questi avvenimenti hanno perso anche e
questo ha comportato la perdita da parte di interi popoli dei loro
oggetti di culto. Il tentativo di creare stati mononazionali sulle rovine di precedenti unioni
è stata la ragione fondamentale dei sanguinosi conflitti inter-etnici che hanno
scosso l'Europa Orientale.
Alla luce di
quanto detto sopra, è necessario riconoscere l'utilità di creare unioni inter-statali che abbiano lo scopo
di , aventi come scopo quello di unire
gli sforzi nel campo politico ed economico, per
creare una difesa comune contro le minacce esterne ed aiutare le
vittime di aggressioni. Alla collaborazione economica e commerciale tra gli
stati devono essere applicate le stesse norme morali che in genere devono
regolare l'attività economica e imprenditoriale individuale. L'interazione fra ledi nazioni e gli stati in questo campo deve necessariamente
essere fondata sull'onestà, sulla giustizia e sul desiderio di far sì che i frutti del
raggiungere risultati di un lavoro
comune siano accettabili
per da
parte di tutti i suoi partecipanti (v. XVI.3). Si approva la
cooperazione internazionale nel campoi campi
culturale e in
quello, scientifico, nell’ educazione e nel settore tivo
e delle comunicazioni, se essa è costruita sulla base della priorità
di diritti e deli
rispetto reciproco, ed è diretta ad arricchire l'esperienza, la conoscenza e la
creatività di ogni nazione che vi partecipa.
Il fenomeno
della globalizzazione
giuridica e politica
XVI.2. Nel corso del XX secolo
accordi inter-statali multilaterali hanno portato
alla creazione di un sistema giuridico internazionale ramificato, vincolante
per i paesi firmatari. I Dai governi
hanno anche sono
anche statedato vita a istituite organizzazioni
internazionali, le cui risoluzioni sono vincolanti per gli stati- membri. Gli esecutivi hanno altresì delegato
Aad alcune di queste organizzazioni è stata
delegata dai governi una serie di poteri, che esse possono
esercitare in campo economico, politico e militare e che si applicano non solo anei
rapporti internazionali, ma anche anella vita
interna delle nazioni. Il fenomeno della
regionalizzazione e della globalizzazione giuridica e politica sta diventando
una realtà.
Da un lato,
tale sviluppo delle relazioni inter-statali
contribuisce a intensificare la cooperazione commerciale, industriale,
militare, politica e di altro genere – necessità imposta dalla naturale
intensificazione delle relazioni internazionali e dall'esigenza di fornire una
risposta comune alle sfide globali del tempo presente. Nella storia
dell'ortodossia vi sono esempi di influenza positiva esercitata dalla Chiesa
sullo sviluppo dei rapporti inter-statali su scala
regionalie. Le organizzazioni internazionali
contribuiscono alla composizione di diverse vertenze
e conflitti. D'altra parte, non va però sottovalutato il pericolo di possibili contrastidissidi
tra la volontà di una nazione e le risoluzioni delle organizzazioni
internazionali. Queste organizzazioni possono diventare strumenti di dominio
ingiusto dei paesi forti sui paesi deboli, dei paesi ricchi su quelli poveri, dei paesi
più sviluppati sul piano tecnologico e delle comunicazioni sugli altri. Esse
inoltre possono praticare seguire criteri di
valutazione due standard diversi nell'applicazione
del diritto internazionale a vantaggio degli interessi degli stati più
influenti.
Tutto questo induce la Chiesa ortodossa ad assumere un
approccio critico e prudente nei confronti del processo di ell'internazionalizzazione
giuridico-a e politica,
richiamando alla
massima responsabilità coloro che detengono il potere, sia a livello
nazionale che a livello internazionale, ad
una particolare responsabilità. Qualsiasi decisione relativa alla
conclusione di trattati internazionali determinanti per il futuro destino delle
nazioni interessate e alla definizione della posizione dei paesi all'interno
dell'attività delle organizzazioni internazionali, deve essere assunta solo in
accordo con la volontà popolare, fondata su un'informazione completa e
obiettiva riguardo asulla
natura e alle
conseguenze delle decisioni progettate. Nell'attuazioneestendersi
di una politica vincolata
ad connessa con l'assunzione di accordi
internazionali vincolanti
ed alle con
azioni di organizzazioni internazionali, i governi dovrebbero salvaguardareconservare
l'identità spirituale e,
culturale o di altri tipo del proprioi paesei
e dellea propria nazionie e tutelare gli
interessi legittimi del proprioi propri
statio. In seno aNel contesto delle
organizzazioni internazionali stesse è necessario assicurare l'eguaglianza
degli stati sovrani nell'accesso ai meccanismi decisionali e nel diritto adel
voto deliberativo, specialmente nella definizione degli standard internazionali
di base. Le situazioni conflittuali e controverse dovrebbero essere risolte
solo con la partecipazione e il consenso di tutte le parti, i cui interessi vitali
siano coinvolti in ciascun caso concreto. L'adozione di deliberazioni
obbligatorie senza il consenso dello stato sul quale tali deliberazioni hanno
un'influenza diretta, appare possibile solo nel caso in cui nel territorio
di tale paese siano stati perpetrati un massacro o un’aggressionedi
una aggressione o di un massacro all'interno di quel paese.
Ricordando la necessità di
esercitare un'influenza spirituale e morale sulle azioni dei leaders
politici, di collaborare con essi, di dimostrare interesse e preoccupazione per
i bisogni del popolo e dei singoli individui, la Chiesa partecipa al dialogo ed alla
cooperazione con le organizzazioni internazionali. All'interno di questo
processo essa testimonia invariabilmente la propria convinzione nell'importanza
assoluta della fede e della spiritualità per le attività, le decisioni e le
leggi degli uomini.
La dimensione
economica della globalizzazione
XVI.3. La globalizzazione ha una dimensione non solo politica e
giuridica, ma anche economica, culturale e mass-mediale. In economia
essa è connessasi manifesta nella nascitacon
l'emergenza di societàcorporazioni
trans-nazionali, nelle qualidove
si concentrano notevoli risorse materiali e finanziarie, e lavoradove
è impiegato un numero enorme di cittadini di diversi paesi. Coloro
che stanno a capo delle strutture economiche e finanziarie internazionali,
hanno concentrato nelle proprie mani un ampio enorme
potere, che sfugge al controllo delle nazioni e persino dei governi,
e che non conosceono
alcun limitie – sia
che si tratti di confini statali, di identità etnico-culturalie
o della necessità di mantenere una stabilità ecologica e demografica. Talvolta
essi rifiutano di tener conto delle tradizioni e dei principi religiosi
dei popoli coinvolti nella realizzazione dei loro progetti. La Chiesa non può
che essere preoccupata anche per la pratica delle speculazioni finanziarie, che
cancellanoannullano
il rapporto di la dipendenza
fra dei redditio edal
lavoro compiuto. Tra le varie forme di
queste speculazioni vci
sono le «piramidi finanziarie», il cui collasso può provocare uno
sconvolgimento su larga scala. In generale, questtali
cambiamenti nell'economia portano alla perditafanno dimenticare
della
priorità del lavoro e dell'uomo rispetto al capitale e ai mezzi di produzione.
Nel campo della
cultura e dell'informazione, la globalizzazione è stata condizionata dallo
sviluppo delle tecnologie che facilitano la circolazioneo spostamento
di persone e di benicose e,
la diffusione e l'acquisizione dell'informazione. Le società, che prima erano
separate da distanze e confini, e che
per questo erano prevalentemente omogenee, oggi entrano in contatto facilmente l’una con l’altra
e diventano multiculturali. Tuttavia, questo processo è stato accompagnato dal
tentativo di stabilire il dominio dell'élite ricca sul resto della
popolazione tutti gli altri, e di alcune culture
e ideologie sulle altre, cosa che è particolarmente intollerabile nella sfera della
religione. Di conseguenza si osserva launa
tendenza a presentare come l'unica possibile una cultura universale
caratterizzata dall'assenza di interessi spirituali e fondata sull'idea
sudella
libertà illimitata
dell'uomo decaduto , che non conosce nessuna
limitazione, come quale assoluto valore assoluto e
criterio di verità. Tale sviluppo della globalizzazione è paragonato da
molti nel mondo cristiano è paragonato alla costruzione della Ttorre di Babele.
Pur riconoscendo che il processoi
della globalizzazione èsono
inevitabilie e naturalie,
e che per molti versi facilitano la comunicazione fra delle
persone, la diffusione delle informazioni e un’a efficace
attività produttiva e imprenditoriale, la Chiesa nello stesso tempo rivolge la
sua attenzione alle contraddizioni interne di questi processi e ai pericoli che
esse comportano. In primo luogo, la globalizzazione comincia a mutarecambiare,
insieme ai modi convenzionali tradizionali di
organizzare i processi produttivi, anche le modalità tradizionali di i modi
convenzionali di organizzare la società e di esercitare il potere.
In secondo luogo, molti frutti positivi della globalizzazione sono accessibili
solo alle nazioni che rappresentano una
piccola parte dell'umanità, ma che hanno sistemi economici e politici
affini. Altre nazioni, invece, alle quali appartengono i 5/6 della popolazione
mondiale, si trovano sospintei ai
margini del mondo civileizzato. Si
trovano stritolate nella morsa meccanismo della dipendenza della dipendenza dai debiti contrattiel
debito che esse hanno contratto coi finanzieri di alcuni paesi
industrializzati e quindi non riescono quindi a creare
condizioni dignitose di vita. Tra queste popolazioni stanno crescendo un
profondo malcontento e un'amara disillusione.
La Chiesa pone il problema circa la
necessità di istituire un controllo globale sulle corporazioni società transnazionali
e sui processi finanziariche
avvengono nel settore finanziario dell'economia. Questo controllo, il cui fine deve essere quello
di subordinare ogni attività imprenditoriale e finanziaria agli interessi della persona e dei popoli'individuo
e del popolo, deve essere esercitato mediante tutti i meccanismi
disponibili nella società e nello stato.
L'espansione spirituale e culturale ,è esposta al
rischio di una totale uniformaicazione e in quanto tale,
dovrebbe essere necessariamente contrastata mediante gli sforzi
congiunti della Chiesa, delle strutture statali, della società civile e delle
organizzazioni internazionali, per poter affermare
instaurare
nel mondo uno scambio di cultura edle e
delle informazionie veramente equo e reciprocamente arricchente, e per proteggere te
combinato con gli sforzi di proteggere l'identità delle nazioni e
dellei
altre comunità umane. Una delle vie da percorrereo dei modi per
perseguire questo fine può essere quella di garantire ai assicurare a paesi
ed alle
nazioni l'accesso alle risorse tecnologiche fondamentali, che daranno loro la
possibilità di diffondere e ricevere informazioni su scala mondiale. La Chiesa
ricorda che molte culture nazionali hanno radici cristiane e che i seguaci di
Cristo sono chiamati a promuovere e intensificare i legami reciproci tra la
fede e il patrimonio culturale delle nazioni, opponendosi risolutamente a qualsiasi
manifestazione di anti-cultura e di commercializzazione dello spazio destinato
all'informazione e alle arti.
In generale, la
sfida della globalizzazione esige dalla società contemporanea una risposta
adeguata, fondata sulla sollecitudine per il mantenimento di una vita pacifica
e dignitosa per tutti gli uomini e sulla promozione del , e combinata con
l'aspirazione al loro perfezionamento spirituale. Inoltre, è
necessario cercare di raggiungere creare un ordine mondiale del
mondo tale che sia costruito sui principi della
giustizia e dell'uguaglianza degli uomini davanti a Dio, e che
escluda la soppressione della loro volontà da parte dei centri internazionali
di influenza politica, economica e di informazione.
La
secolarizzazione
XVI.4. Il sistema giuridico internazionale
contemporaneo si fonda su una concezione che attribuiscella
priorità adegli
interessi della vita terrena dell'uomo e delle società umane rispetto ai valori
religiosi (specialmente nei casi in cui i primi e i secondi entrino in
conflitto). Questa stessa
priorità è ratificatasuggellata
nella legislazione nazionale di molti paesi e s. Spesso essa è fraposta
tra i principi che regolano le diverse forme di attività degli
organi di potere, dell'organizzazione del sistema di istruzioneeducativo
statale ecc. Molti influenti
meccanismi pubblici influenti si fanno riferimento a servono
di questo principio nel loro aperto confronto con la fede e con la
Chiesa, puntando a escludere queste ultimediretto
all'esclusione di esse dalla vita sociale. Queste manifestazioni
creano un quadro generale di
secolarizzazione della vita dello stato e della società.
Pur rispettando la scelta ideologica
delle persone non religiose e il loro diritto di influire sui processi sociali,
la Chiesa nello stesso tempo non può accogliere in maniera positiva un ordinamento
del mondoordine mondiale che ponga al centro di tutto
la personalità umana oscurata dal peccato. Questo è il motivo per cui, mantenendo
costantemente aperta la possibilità di cooperare con persone di convinzioni non
religiose, la Chiesa cerca di affermare i
valori cristiani neil
processoi decisionalei relativio
alla
soluzione dei problemi sociali più importanti sia a livello
nazionale che internazionale. Essa cerca di ottenere il riconoscimento della
legittimità della visione del mondo religiosa come quale fondamento
per azioni socialmente significative (comprese quelle intraprese dallo
stato) e quale come
un fattore essenziale che deve incidere sul, che dovrebbero
influenzare l'evoluzione del diritto internazionale e l'attività
delle organizzazioni internazionali.
I Fondamenti
diella
dottrina sociale della chiesa ortodossa russaChiesa ortodossa russa
intendono servire da guida per le istituzioni sinodali, le diocesi, i monasteri,
le parrocchie e le altre istituzioni ecclesiastiche canoniche nei loro rapporti
con il potere statale, con varie associazioni ed organizzazioni secolari laiche e
con i mass mediamezzi
di comunicazione di massa non controllati dalla Chiesa ecclesiastici.
L'autorità
ecclesiastica si avvarrà deAlla
base del presente documento l'Autorità
ecclesiastica per assumere decisioni su diversi problemi la cui
attualità è circoscritta aall'interno di
singoli stati o ad di un
ristretto periodo di tempo, e che costituiscono un oggetto
piuttosto particolare d'indagine. IlQuesto
documento sarà incluso nel curriculum delle scuole teologiche del Patriarcato
di Mosca. I Fondamenti di dottrina sociale della
Chiesa potranno essere sviluppati e migliorati tenendo conto dei Nella
misura in cui si verificheranno cambiamenti che interverranno nella
vita pubblica e sociale, e con l’emergere dicompariranno
nuovi problemi significativi per la Chiesa in questo campo, i
fondamenti della sua dottrina sociale potranno essere sviluppati e migliorati.
I risultati di questo processo saranno verificati dal santo Sinodo, e dai Cconcili
locali ed episcopali.