Chiesa Ortodossa Russa

I fondamenti della concezione sociale

 

I. Principi teologici fondamentali

 

 

La Chiesa comunità di credenti

            I.1. La Chiesa è la comunità dei credenti in Cristo, nella quale Egli chiama tutti ad entrare. In essa «tutte le cose del cielo e della terra» devono essere ricapitolate in Cristo, poiché egli è il capo «della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (Ef 1,22-23). Nella Chiesa, per l'azione dello Spirito Santo, si attua la divinizzazione della creazione e si compie il progetto che dall'eternità Dio ha sul mondo e sull'uomo.

            La Chiesa manifesta il risultato dell'opera redentrice del Figlio, mandato dal Padre, e dell'azione santificante dello Spirito Santo, disceso nel grande giorno di Pentecoste. Secondo l'espressione di s. Ireneo di Lione, Cristo si pose alla testa dell'umanità e divenne il capo dell’umanità rinnovata nella quale, come suo corpo, si trova l'accesso alla sorgente dello Spirito Santo. La Chiesa è l'unità «dell'uomo nuovo in Cristo», «la comunione della grazia di Dio, che vive nella moltitudine delle creature razionali che si assoggettano alla grazia» (A.S. Chomjakov). «Uomini, donne, bambini, profondamente divisi riguardo alla razza, al popolo, alla lingua, al modo di vivere, al lavoro, alla scienza, al ceto sociale, alla ricchezza... : tutti vengono rinnovati nello spirito dalla Chiesa... Tutti ricevono da essa un'unica natura, non soggetta alla corruzione, una natura sulla quale non influiscono le numerose e profonde diversità per le quali gli uomini si differenziano l'uno dall'altro...  In essa nessuno è in alcun modo separato dalla totalità, tutti sono come «dissolti» l'uno nell'altro dalla semplice e indivisibile forza della fede» (s. Massimo il Confessore).

 

La Chiesa corpo di Cristo

            I.2. La Chiesa è un organismo divinoumano. Essendo il corpo di Cristo, essa unisce in sé due nature – divina e umana – con le azioni e le volontà che sono loro proprie. La Chiesa si rapporta al mondo secondo la propria natura umana e creaturale. E tuttavia essa interagisce con il mondo non come un organismo propriamente terreno, ma in tutta la sua comunione mistica e sacramentale. Proprio la natura divinoumana della Chiesa rende possibile la divinizzazione e la purificazione del mondo, che si attua nella storia attraverso la collaborazione creativa – la «sinergia» – fra le membra e il capo del corpo della Chiesa.

            La Chiesa non è di questo mondo, allo stesso modo in cui il suo Signore, Cristo, non è di questo mondo. Ma egli è venuto in questo mondo, avendo «umiliato» se stesso fino ad adeguarsi alla condizione del mondo, il mondo che egli doveva salvare e reintegrare. La Chiesa deve passare attraverso un processo di kenosi storica, realizzando così la propria missione redentrice. Il suo fine è non solo la salvezza degli uomini in questo mondo, ma anche la salvezza e il rinnovamento del mondo stesso. La Chiesa è chiamata a operare nel mondo secondo il modello di Cristo, a rendere testimonianza a lui e al suo regno. I membri della Chiesa sono chiamati a diventare partecipi della missione di Cristo, del suo servizio al mondo, che per la Chiesa è possibile solo come servizio comunitario, «perché il mondo creda» (Gv 17,21). La Chiesa è chiamata a essere al servizio della salvezza del mondo, perché anche il Figlio dell'uomo stesso «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).

            Il Salvatore di sé dice: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Il servizio per la salvezza del mondo e dell'uomo non può essere ridotto a un ambito nazionale o religioso, come afferma con chiarezza il Signore stesso nella parabola del Buon samaritano. I membri della Chiesa poi, quando accolgono gli affamati, i miseri, gli ammalati, i carcerati, incontrano Cristo come colui che si è caricato dei peccati e delle sofferenze del mondo. L'aiuto dato a coloro che soffrono è pienamente un aiuto offerto a Cristo stesso, e all'adempimento di questo comandamento è legato il destino eterno di ogni uomo (Mt 25,31-46). Cristo esorta i suoi discepoli a non disprezzare il mondo, ma a essere «il sale della terra» e «la luce del mondo».

            La Chiesa, essendo il corpo di Cristo Dio-uomo, è divinoumana. Ma se Cristo è il Dio-uomo perfetto, la Chiesa invece non è ancora una divinoumanità perfetta, perché sulla terra combatte col peccato, e la sua umanità, anche se intrinsecamente unita a Dio, è ben lontana dall'essere sua piena espressione, a lui conforme in tutto.

 

La Chiesa servizio a Dio
e agli uomini

            I.3. La vita nella Chiesa, alla quale è chiamato ogni uomo, è un servizio incessante a Dio e agli uomini. A questo servizio è chiamato tutto il popolo di Dio. Le membra del corpo di Cristo, partecipando al servizio comune, adempiono le proprie particolari funzioni. A ciascuno è dato un particolare carisma al servizio di tutti. «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,10). «A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole» (1Cor 12,8-11). I doni della multiforme grazia di Dio sono dati a ciascuno singolarmente, ma a servizio di tutto il popolo di Dio (e a servizio del mondo). E questo è il comune ministero della Chiesa, compiuto sulla base non di uno solo, ma di diversi doni. La diversità dei doni crea anche la diversità dei ministeri, tuttavia «vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,5-6).

            La Chiesa chiama i suoi figli fedeli a partecipare alla vita sociale, partecipazione che deve fondarsi sui principi della morale cristiana. Nella solenne preghiera sacerdotale, Cristo chiese al Padre celeste per i suoi seguaci: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno... Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo» (Gv 17,15.18). È inammissibile il disprezzo manicheo per il mondo. La partecipazione del cristiano deve fondarsi sulla consapevolezza che il mondo, la società umana e lo stato sono oggetto dell'amore di Dio, in quanto sono destinati alla trasfigurazione e alla purificazione sulla base dell'amore voluto e comandato da Dio. Il cristiano deve considerare il mondo e la società alla luce del suo destino ultimo, nella luce escatologica del regno di Dio.

            La diversità dei carismi nella Chiesa si manifesta in modo particolare nel suo ministero sociale. L'indiviso organismo ecclesiale partecipa pienamente alla vita del mondo, benché il clero, i monaci e i laici possano attuare tale partecipazione in modi e gradi diversi.

 

La predicazione e le opere buone

            I.4. La Chiesa adempie la sua missione di salvezza del genere umano non solo attraverso la predicazione diretta, ma anche attraverso le opere buone, volte al miglioramento della condizione spirituale, morale e materiale del mondo. Per questo essa collabora con lo stato, anche se non cristiano, e con diverse associazioni pubbliche e con singoli individui, anche se essi non si riconoscono nella fede cristiana. Senza porsi direttamente l’obiettivo di chiedere la conversione all’ortodossia come condizione per la collaborazione, la Chiesa spera che le comuni attività caritative possano condurre i suoi collaboratori e le persone che li circondano alla conoscenza della Verità, siano di aiuto nel conservare o ritrovare la fedeltà ai principi morali dati da Dio, e di ispirazione a ricercare la pace, la concordia e la prosperità, condizioni in cui la Chiesa può realizzare nel migliore dei modi la propria azione salvifica.

 

 

II. Chiesa e nazione

 

Il carattere universale della Chiesa

            II.1. Il popolo di Israele dell'Antico Testamento è stato il prototipo del popolo di Dio, della Chiesa di Cristo nel Nuovo Testamento. L'opera redentrice di Gesù Cristo ha dato inizio all'esistenza della Chiesa come umanità nuova, discendenza spirituale del patriarca Abramo. Con il suo sangue, Cristo ha riscattato per Dio «uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9). La Chiesa per sua stessa natura ha un carattere universale e, di conseguenza, sovranazionale. Nella Chiesa «non c'è distinzione fra Giudeo e Greco» (Rm 10,12). Come Dio non è il Dio solo dei giudei, ma anche di coloro che provengono dai popoli pagani (Rm 3,29), così anche la Chiesa non opera divisioni di nazionalità o di classe sociale fra gli uomini : in essa «non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3,11).

            Nel mondo contemporaneo il concetto di «nazione» viene utilizzato in due accezioni: come comunità etnica e come insieme di cittadini di un determinato stato. I rapporti tra Chiesa e nazione devono essere considerati nel contesto sia del primo che del secondo significato di questo termine.

            Per indicare il concetto di «popolo» l’Antico Testamento si serve dei termini 'am e goy. La Bibbia ebraica attribuisce a questi due termini un significato del tutto concreto: con il primo si designava il popolo di Israele, eletto da Dio; con il secondo, al plurale (goyim), si indicavano i popoli pagani. Nella Bibbia greca (Settanta) il primo termine era tradotto con le parole laos (popolo) o demos (popolo come formazione politica), il secondo con il vocabolo ethnos (nazione; pl. ethne, i pagani).

            La contrapposizione tra il popolo eletto d'Israele e gli altri popoli si ripropone in tutti i libri dell'Antico Testamento che in un modo o nell'altro raccontano la storia di Israele. Il popolo di Israele era eletto da Dio non perché fosse superiore agli altri popoli per numero o per qualche altra prerogativa , ma perché Dio l'aveva scelto e lo amava (Dt 7, 6-8). Il concetto di popolo eletto da Dio nell'Antico Testamento era un concetto religioso. Il sentimento di comunità nazionale, peculiare dei figli di Israele, era radicato nella coscienza della loro appartenenza a Dio mediante l'alleanza conclusa da Dio con i loro padri. Il popolo di Israele divenne il popolo di Dio, la cui vocazione era conservare la fede nell'unico vero Dio e testimoniare questa fede davanti agli altri popoli, affinché per mezzo di esso fosse rivelato al mondo il Salvatore di tutti gli uomini, il Dio-uomo Gesù Cristo.

            L'unità del popolo di Dio era garantita, oltre che dall'appartenenza di tutti i suoi membri a una sola religione, anche dalla comunanza di razza e lingua e dal radicamento in una determinata terra, la propria patria.

            L'identità razziale degli israeliti era fondata nell’origine da un unico patriarca, Abramo. «Abbiamo Abramo per padre» (Mt 3,9; Lc 3,8), affermavano gli antichi ebrei, sottolineando la propria appartenenza alla stirpe di colui che Dio aveva predestinato a diventare «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,5). Un grande significato era attribuito alla preservazione della purezza del sangue: i matrimoni con persone di razza diversa non erano approvati, perché con tali matrimoni «la stirpe santa» si mescolava «con le popolazioni locali» (Esd 9,2).

            Al popolo d'Israele era stata data da Dio in sorte la terra promessa. Uscendo dall'Egitto, questo popolo andò in Canaan, la terra dei suoi avi e, per ordine di Dio, la conquistò. Da questo momento la terra di Canaan divenne la terra d'Israele, e la sua capitale – Gerusalemme – divenne il principale centro spirituale e politico del popolo eletto. Il popolo di Israele parlava una sola lingua, che era la lingua non solo della vita quotidiana, ma anche della preghiera. L’ebraico era inoltre la lingua della Rivelazione, poiché in essa Dio stesso parlava con il popolo d'Israele. Nell'epoca precedente l'avvento di Cristo, quando gli abitanti della Giudea parlavano in aramaico, e il greco fu elevato al rango di lingua ufficiale, l'ebraico continuò a essere considerato la lingua sacra, nella quale si celebravano i riti religiosi nel tempio.

            Essendo per sua natura universale, la Chiesa nello stesso tempo è un organismo unitario, un corpo (1Cor 12,12). Essa è la comunità dei figli di Dio, «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato... un tempo non-popolo, ora invece il popolo di Dio» (1Pt 2,9-10). L'unità di questo nuovo popolo è data non dall'unità nazionale, culturale o linguistica, ma dalla fede in Cristo e nel Battesimo. Il nuovo popolo di Dio «non ha quaggiù una città stabile, ma cerca quella futura» (Eb 13,14). La patria spirituale di tutti i cristiani non è la Gerusalemme terrena, ma quella «di lassù» (Gal 4,26). Il vangelo di Cristo viene predicato non in una lingua sacra, comprensibile a un solo popolo, ma in tutte le lingue (At 2,3-11). Il vangelo viene proclamato perché non il solo popolo eletto custodisca la vera fede, ma perché «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,10-11).

 

Il principio della patria terrena

            II.2. Il carattere universale della Chiesa, tuttavia, non significa che i cristiani non abbiano il diritto a una propria identità nazionale e a una lingua nazionale. Anzi, la Chiesa riunisce in sé il principio universale con quello nazionale. Così, la Chiesa ortodossa, pur essendo universale, è costituita da una molteplicità di chiese locali autocefale. I cristiani ortodossi, pur avendo coscienza di essere cittadini della patria celeste, non devono dimenticare la propria patria terrena. Lo stesso divino Fondatore della Chiesa, il Signore Gesù Cristo, non aveva un rifugio terreno (Mt 8,20) e affermava che il suo insegnamento non aveva carattere né locale né nazionale: «È giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21). Egli, d'altra parte, identificava se stesso con il popolo al quale apparteneva per generazione umana. Parlando con la donna samaritana, egli sottolinea la propria appartenenza alla nazione giudaica: «Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4,22). Gesù era un suddito leale dell'Impero romano e pagava i tributi dovuti a Cesare (Mt 22,16-21). L'apostolo Paolo, pur avendo sottolineato nelle sue lettere la natura sovranazionale della Chiesa di Cristo, non dimentica che egli è per nascita «ebreo da Ebrei» (Fil 3,5), ma per cittadinanza romano (At 22,25-29).

            Le differenze culturali fra i singoli popoli trovano espressione nelle forme liturgiche ed ecclesiali e nelle peculiarità dello stile di vita cristiano. Tutto questo dà vita alla cultura cristiana nazionale.

            Tra i santi venerati dalla Chiesa ortodossa, molti sono stati celebrati per l'amore verso la propria patria terrena e per la loro dedizione a essa. Le fonti agiografiche russe esaltano il santo principe Michail di Tver', che «diede la sua anima per la patria», paragonando la sua impresa con il martirio del protomartire Demetrio di Tessalonica, «fervido amante della patria... così pregò per la patria sua, la città di Tessalonica: o Signore, qualora dovesse perire questa città, allora anch'io morirò con essa, qualora dovessi salvarla, allora anch'io sarò salvo».

            In tutti i tempi la Chiesa ha esortato i suoi figli ad amare la patria terrena e a non risparmiare la vita per difenderla, qualora fosse minacciata da un pericolo. La Chiesa russa più volte ha benedetto il popolo che si impegnava in una guerra di liberazione. Così, nel 1380, il beato Sergio, igumeno e taumaturgo di Radonez, benedisse l'esercito russo guidato dal santo principe Dimitrij Donskoj che andava in battaglia contro i conquistatori tartaro-mongoli. Nel 1612 il santo Germogen, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, benedisse le milizie irregolari in lotta contro gli invasori polacchi. Nel 1813, al tempo della guerra contro gli invasori francesi, il santo Filarete di Mosca disse ai suoi fedeli: «Cercando di sfuggire alla morte per onore della fede e per la libertà della Patria, tu morirai come un criminale o uno schiavo; se morirai per la fede e per la Patria, riceverai la vita e una corona in cielo».

            S. Giovanni di Kronstad così scriveva dell'amore verso la patria terrena: «Ama la patria terrena... essa ti ha allevato, formato, onorato, ti ha soddisfatto in tutto; ma soprattutto ama la patria celeste... questa patria è incomparabilmente più cara di quella, perché è santa e giusta, eterna. Questa patria è stata meritata per te dal preziosissimo sangue del Figlio di Dio. Ma per essere membro di questa patria, osserva e ama le sue leggi, come sei tenuto a osservare e osservi le leggi della patria terrena».

 

Il patriottismo del cristiano ortodosso

            II.3. Il patriottismo cristiano si manifesta contemporaneamente nei confronti della nazione sia come comunità etica che come comunità di cittadini dello stato. Il cristiano ortodosso è chiamato ad amare la propria patria, che ha una dimensione territoriale, e i propri fratelli di sangue che vivono in tutto il mondo. Tale amore è uno dei modi di attuare il comando di Dio dell'amore del prossimo, che comprende l'amore per la propria famiglia, i connazionali e i concittadini.

            Il patriottismo del cristiano ortodosso deve essere efficace. Esso si manifesta nella difesa della patria dal nemico, nel lavoro per il bene della patria, nella sollecitudine per l'organizzazione della vita del popolo, anche mediante la partecipazione al governo dello stato. Il cristiano è chiamato a custodire e a sviluppare la cultura nazionale e l'autocoscienza del popolo.

            La nazione, civile o etnica, quando è del tutto o per la maggior parte una comunità ortodossa monoconfessionale, può essere in un certo senso considerata un'unica comunità di fede: una nazione ortodossa.

 

Le distorsioni del sentimento nazionale

            II.4. Nello stesso tempo i sentimenti nazionali possono indurre a convinzioni e fenomeni peccaminosi, quali il nazionalismo aggressivo, la xenofobia, la pretesa supremazia nazionale, l'ostilità interetnica. Nella loro espressione estrema questi fenomeni spesso portano alla restrizione dei diritti di individui e di popoli, alle guerre e ad altre manifestazioni di violenza.

            È contrario all'etica ortodossa operare distinzioni di carattere morale fra le nazioni e umiliare una qualsiasi nazione, etica o civile. A maggior ragione sono in contrasto con l'ortodossia gli insegnamenti che mettono la nazione al posto di Dio o degradano la fede a uno degli aspetti dell'autocoscienza nazionale.

            Opponendosi a tali distorsioni peccaminose, la Chiesa ortodossa attua la missione di riconciliazione tra le nazioni ostili e i loro rappresentanti. Così, nel corso dei conflitti interetnici essa non si schiera con questa o quella parte, a eccezione dei casi in cui una delle parti abbia perpetrato un’evidente aggressione o una palese ingiustizia.

 

III. Chiesa e stato

 

I rapporti con lo stato

            III.1. La Chiesa, in quanto organismo divinoumano, ha non solo una natura sacramentale, non soggetta alle forze del mondo, ma anche una natura storica che entra in contatto e in rapporto con il mondo esterno, e quindi anche con lo stato. Lo stato, che esiste per l'organizzazione della vita del mondo, entra in contatto con la Chiesa. I rapporti tra lo stato e i seguaci della vera religione hanno evidenziato un costante cambiamento nel corso della storia.

            La cellula primaria della società umana fu la famiglia. La storia sacra dell'Antico Testamento testimonia che lo stato non si formò immediatamente. Fino al passaggio in Egitto dei fratelli di Giuseppe, il popolo veterotestamentario non ebbe uno stato, ma esisteva una società patriarcale legata da vincoli di sangue. Lo stato a poco a poco si forma nell'epoca dei Giudici. In seguito a una complessa evoluzione storica, guidata dalla Provvidenza di Dio, i rapporti sociali si fanno via via più articolati e si arriva alla nascita degli stati.

            Nell'antico Israele fino all'epoca dei Re è esistita una vera teocrazia unica nella storia, cioè un governo di Dio. Tuttavia, man mano che la società si allontanava dall'obbedienza a Dio come criterio guida nelle vicende del mondo, gli uomini cominciarono a riflettere sulla necessità di avere un sovrano terreno. Il Signore, approvando la scelta degli uomini e ratificando la nuova forma di governo, nello stesso tempo si rammarica del fatto che essi hanno abbandonato la guida di Dio: «Il Signore rispose a Samuele: «Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi... Ascolta pure la loro richiesta, però annunzia loro chiaramente le pretese del re che regnerà su di loro» (1Sam 8,7.9).

            In tal modo, data l'origine dello stato laico, esso deve essere inteso non come una realtà stabilita da Dio da sempre, ma come la possibilità concessa da Dio agli uomini di organizzare la propria vita sociale fondandosi sulla libera espressione della loro volontà, affinché tale organizzazione, essendo la risposta alla realtà terrena deturpata dal peccato, li aiutasse a evitare un peccato ancor più grande attraverso l'opposizione a esso con i mezzi del potere temporale. Con ciò il Signore per bocca di Samuele dice chiaramente che si aspetta da questa autorità la fedeltà ai suoi comandamenti e l'attuazione di buone opere. «Ora eccovi il re che avete scelto e che avevate chiesto. Vedete che il Signore ha costituito un re sopra di voi. Dunque se temerete il Signore, se lo servirete e ascolterete la sua voce e non sarete ribelli alla parola del Signore, voi e il re che regna su di voi vivrete con il Signore vostro Dio. Se invece non ascolterete la voce del Signore e sarete ribelli alla sua parola, la mano del Signore peserà su di voi, come pesò sui vostri padri» (1Sam 12,13-15). Quando Saul trasgredì ai comandamenti del Signore, Dio lo rigettò (1Sam 16,1), avendo ordinato a Samuele di ungere re un altro suo eletto, Davide, figlio del pastore Iesse.

            Il Figlio di Dio, che domina sul cielo e sulla terra (Mt 28,18), attraverso l'incarnazione, si sottomise all'ordine terreno; volle obbedire anche ai detentori del potere statale. Al suo crocifissore Pilato, procuratore romano a Gerusalemme, il Signore disse: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto» (Gv 19,11). In risposta alla provocatoria domanda di un fariseo se fosse lecito dare il tributo all'imperatore romano, il Salvatore disse: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21).

            Spiegando l'insegnamento di Cristo sul giusto atteggiamento da tenere verso il potere dello stato, l'apostolo Paolo scriveva: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto» (Rm 13,1-7).

            La stessa idea espresse anche l'apostolo Pietro: «State sottomessi a ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (1 Pt 2,13-16). Gli apostoli insegnavano ai cristiani a obbedire alle autorità statali indipendentemente dal rapporto di queste con la Chiesa. Nei tempi apostolici la Chiesa di Cristo era perseguitata sia dalle autorità giudaiche locali sia da quelle romane. Questo però non impedì ai martiri e agli altri cristiani di quel tempo di pregare per i loro persecutori e di riconoscerne l’autorità.

 

La necessità dello stato
per arginare il male

            III.2. La caduta di Adamo portò nel mondo peccati e vizi, che richiedevano un’opposizione da parte della collettività: il primo fu l'uccisione di Abele da parte di Caino (Gen 4,1-16). Gli uomini, divenuti consapevoli di questa disposizione al male, in tutte le società che conosciamo cominciarono a stabilire delle leggi che arginassero il male e sostenessero il bene. Per il popolo dell'Antico Testamento il legislatore fu Dio stesso, che aveva dato i precetti che regolamentavano non solo la vita religiosa individuale, ma anche quella sociale (Es 20-23).

            Dio benedice lo stato in quanto elemento necessario per vivere in un mondo corrotto dal peccato, dalle cui pericolose manifestazioni l'individuo e la società hanno bisogno di essere difesi. Nello stesso tempo l'indispensabilità dello stato scaturisce non immediatamente dalla volontà di Dio sul progenitore Adamo, ma dalle conseguenze del peccato originale e dal fatto che le azioni volte ad arginare la supremazia del peccato nel mondo erano conformi alla volontà di Dio. La Sacra Scrittura ammonisce coloro che detengono il potere a usare l'autorità dello stato solo per arginare il male e per sostenere il bene, e in questo sta il significato morale dell'esistenza dello stato (Rm 13,3-4). Da ciò discende che , l'anarchia è l'assenza della necessaria organizzazione dello stato e della società – e parimenti gli appelli all'anarchia e il tentativo di una sua instaurazione contraddicono la concezione cristiana del mondo (Rm 13,2).

            La Chiesa non solo impone ai propri figli di obbedire all'autorità statale, indipendentemente dalle idee e dalla religione di chi la detiene, ma anche di pregare per essa, «perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (1 Tm 2,2). Nello stesso tempo i cristiani devono evitare di assolutizzare il potere e devono guardarsi dal non riconoscere i limiti del suo valore puramente terreno, temporaneo e transitorio, condizionato dalla presenza nel mondo del peccato e dalla necessità di arginarlo. Secondo la dottrina della Chiesa, neppure il potere ha il diritto di assolutizzare se stesso, estendendo i propri limiti fino alla totale autonomia da Dio e dall'ordine da lui stabilito, cosa che può portare ad abusi di potere e addirittura alla divinizzazione dei governanti. Lo stato, così come le altre istituzioni umane, anche se dirette al bene, può tendere a trasformarsi in un'istituzione autosufficiente. Numerosi esempi storici di una simile trasformazione dimostrano che in questo caso lo stato perde la sua destinazione autentica.

 

 

Chiesa e stato, finalità diverse

            III.3. Nei rapporti tra la Chiesa e lo stato si deve tener conto della diversità delle loro nature. La Chiesa è stata fondata direttamente da Dio stesso, il Signore nostro Gesù Cristo, mentre l'origine dell'istituzione – voluta da Dio – del potere statale appare nel processo storico in maniera mediata. La finalità della Chiesa è la salvezza eterna degli uomini, la finalità dello stato consiste nel loro benessere terreno.

            «Il mio regno non è di questo mondo», dice il Salvatore (Gv 18,36). «Questo mondo» solo in parte obbedisce a Dio, ma soprattutto cerca di rendersi autonomo dal proprio Creatore e Signore. Il mondo, nella misura in cui disobbedisce a Dio, obbedisce al «padre della menzogna» e «giace sotto il potere del maligno» (Gv 8,44; 1 Gv 5,19). La Chiesa invece è «corpo di Cristo» (1 Cor 12,27), «colonna e sostegno della verità» (1 Tm 3,15): nella sua essenza mistica e sacramentale non può avere in sé alcun male, né ombra di tenebra. Lo stato, poiché fa parte «di questo mondo», non partecipa al regno di Dio, dato che dove Cristo «è tutto in tutti» (Col 3,11) non c'è posto per la coercizione, non c'è contrapposizione tra l'uomo e Dio e, di conseguenza, non c'è neppure lo stato.

            Nel mondo contemporaneo lo stato solitamente è laico e non è vincolato da alcun tipo di obblighi religiosi. La sua collaborazione con la Chiesa è limitata a certi settori e si basa su un principio di non ingerenza reciproca. Tuttavia, di norma, lo stato riconosce che il benessere terreno è inconcepibile senza l'osservanza di determinate norme morali, di quelle stesse che sono indispensabili anche per la salvezza eterna dell'uomo. Per questo gli obiettivi e l'attività della Chiesa e dello stato possono coincidere non solo per quanto riguarda la ricerca di una prosperità puramente terrena, ma anche per la realizzazione della missione salvifica della Chiesa.

            Non si può intendere il principio della laicità dello stato nel senso di una radicale esclusione della religione da tutti gli ambiti della vita del popolo, di un’estromissione delle associazioni religiose dalle decisioni su importanti problemi sociali e della negazione del loro diritto di giudicare le azioni dell’autorità statale. Questo principio presuppone solo una separazione ben precisa degli ambiti che sono di competenza della Chiesa da quelli che sono invece di competenza dello stato, e la non ingerenza reciproca.

            La Chiesa non deve assumersi funzioni di pertinenza dello stato: l'opposizione al peccato mediante la violenza, l'uso dei pieni poteri proprio delle autorità laiche, l'assunzione di funzioni del potere statale, che comportano misure coercitive o restrittive. Nello stesso tempo la Chiesa può rivolgersi all'autorità statale con la richiesta o l'invito pressante a esercitare il potere in questo o quel caso, ma la decisione compete comunque allo stato.

            Lo stato non deve intromettersi nella vita della Chiesa o nel suo governo, nella sua dottrina, nella vita liturgica e nella pratica religiosa ecc., come pure in generale nell'attività delle istituzioni ecclesiastiche canoniche, a eccezione di quegli ambiti nei quali la Chiesa deve operare come persona giuridica instaurando inevitabilmente determinati rapporti con lo stato, con i suoi organi legislativi e di governo. La Chiesa si aspetta dallo stato il rispetto delle sue leggi canoniche e delle altre disposizioni interne.

 

La forma ideale del rapporto Chiesa-stato
nella tradizione ortodossa

            III.4. Il rapporto fra la Chiesa ortodossa e lo stato ha assunto, nel corso della storia, diverse forme.

            Nella tradizione ortodossa si è venuta creando una precisa concezione della forma ideale che dovrebbero avere le relazioni tra Chiesa e stato. Poiché le relazioni tra stato e Chiesa hanno carattere bilaterale, questa forma ideale storicamente ha potuto essere elaborata solo in uno stato che riconosceva nella Chiesa ortodossa la massima «realtà sacra» popolare – in altre parole, in uno stato ortodosso.

            I tentativi di attuare tale forma furono intrapresi a Bisanzio, dove i princìpi dei rapporti tra stato e Chiesa trovarono espressione nei canoni e nelle leggi statali dell'impero, e si rifletterono negli scritti patristici. Nel loro insieme questi principi vennero definiti «una sinfonia di Chiesa e stato», che essenzialmente consiste nella reciproca collaborazione, nel sostegno reciproco e nella reciproca responsabilità, senza alcuna ingerenza di una parte nella sfera di competenza esclusiva dell'altra. Il vescovo si sottomette al potere statale in quanto suddito, e non perché la sua autorità episcopale provenga dal rappresentante del potere statale. Proprio nello stesso modo anche il rappresentante del potere statale obbedisce al vescovo in quanto membro della Chiesa, che cerca in essa la salvezza, e non perché il suo potere abbia origine dall'autorità del vescovo. Lo stato, in virtù dei suoi rapporti «sinfonici» con la Chiesa, cerca in essa il sostegno spirituale, richiede preghiere per sé e la benedizione divina sulla sua attività volta al raggiungimento del benessere dei cittadini, mentre la Chiesa riceve dallo stato aiuto per la creazione delle condizioni favorevoli per la predicazione e per il nutrimento spirituale dei suoi figli, che sono nello stesso tempo cittadini dello stato.

            Nella VI Novella di Giustiniano viene formulato il principio che sta alla base della «sinfonia» di Chiesa e stato: «I beni più grandi che siano stati elargiti agli uomini dalla grazia di Dio sono il clero e il sovrano, dei quali il primo (il clero, l'autorità ecclesiastica) provvede alle cose divine, e il secondo (il sovrano, il potere statale) guida e provvede alle cose umane, ed entrambi, derivando da una sola e medesima sorgente, costituiscono la caratteristica più nobile dell'esistenza umana. Per questo nulla sta tanto a cuore dei sovrani quanto l'onore dei ministri del culto, i quali da parte loro li servono, pregando incessantemente Dio per loro. E se il clero sarà in tutto ben regolato e gradito a Dio, e l'autorità statale amministrerà secondo verità lo stato affidatole, allora ci sarà il pieno accordo tra di essi in tutto ciò che serve all'utilità e al bene del genere umano. Perciò facciamo il massimo sforzo la tutela dei veri dogmi divini e per l'onore del clero, sperando mediante ciò di ricevere grandi benedizioni da Dio e di conservare saldamente quelle che abbiamo». Attenendosi a questo principio, l'imperatore Giustiniano nelle sue «Novelle» riconosceva alle leggi canoniche la forza di leggi statali.

            La formula bizantina classica dei rapporti tra l'autorità statale e l'autorità ecclesiastica è racchiusa nell'Epanagoge (seconda metà del IX secolo): «Il potere temporale e il clero stanno tra loro come il corpo e l'anima, e sono necessari per l'organizzazione dello stato proprio come il corpo e l'anima nell'uomo vivente. Nel loro rapporto e nella loro armonia sta il benessere dello stato».

            Tuttavia, questa «sinfonia» a Bisanzio non si realizzò in una forma assolutamente pura. Nella pratica essa subì violazioni e distorsioni. La Chiesa fu non di rado oggetto di pretese cesaropapiste da parte del potere statale. In sostanza il capo dello stato, l'imperatore, rivendicava per sé il diritto di avere la parola decisiva nell'organizzazione degli affari ecclesiastici. Queste rivendicazioni derivavano, oltre che da un'ambizione umana peccaminosa, da una ragione storica. Gli imperatori cristiani di Bisanzio erano i diretti successori degli imperatori romani pagani, che tra i molti altri titoli si fregiavano anche di quello di pontifex maximus, cioè: «sommo sacerdote supremo «. La tendenza cesaropapista si manifestò, nella sua forma più patente e pericolosa per la Chiesa, nella politica degli imperatori eretici, in particolare nel periodo iconoclastico. I principi russi, a differenza degli imperatori bizantini, avevano alle spalle una tradizione diversa. Per questa e per altre ragioni storiche, in Russia i rapporti tra l'autorità ecclesiastica e quella statale nell'antichità furono più armonici. D'altra parte, si verificarono anche casi di inosservanza delle leggi canoniche (sotto il governo di Ivan il Terribile e nella contrapposizione fra lo zar Alessio Michajlovic e il patriarca Nikon).

            Per quanto riguarda il periodo sinodale, un'indubbia deformazione del principio «sinfonico» nel corso di due secoli di storia ecclesiastica è connessa con la chiara influenza della dottrina protestante della territorialità e del credo religioso di stato (vedi più sotto) sulla concezione russa del diritto e della vita politica. Il Concilio locale del 1917-18 intraprese il tentativo di affermare l'ideale della «sinfonia» nella nuova situazione venutasi a creare con la caduta dell’impero. Nella dichiarazione che precedette la Risoluzione sui rapporti tra Chiesa e stato, l'esigenza della separazione fra Chiesa e stato è paragonata all’auspicio che «il sole non splenda, e il fuoco non riscaldi. La Chiesa per la legge interna della sua stessa essenza non può rifiutarsi di illuminare, di trasfigurare tutta la vita dell'uomo, di penetrarla con i suoi raggi». Nella Risoluzione del Concilio sulla posizione giuridica della Chiesa ortodossa russa, lo stato, in particolare, è invitato ad accogliere le seguenti proposizioni: «La Chiesa ortodossa russa, facendo parte dell'unica Chiesa di Cristo universale, dovrà avere uno status giuridico e pubblico superiore a quello delle altre confessioni religiose dello stato russo. Tale sovreminenza le è propria in quanto essa è la «realtà sacra suprema» per la stragrande maggioranza della popolazione oltre che una forza storica significativa nella creazione dello stato russo. (...) Le deliberazioni e le norme legittime ufficiali pubblicate per sé dalla Chiesa ortodossa nell'ordine da essa stabilito, come pure le decisioni degli organi direttivi e dei tribunali ecclesiastici, sono riconosciute dallo stato come aventi vigore e portata giuridica dal momento della loro promulgazione da parte dell’autorità ecclesiastica, purché non violino le leggi statali... Le leggi dello stato riguardanti la Chiesa ortodossa sono emanate non altrimenti che in accordo con l'autorità ecclesiastica». I successivi Concili locali si sono svolti in condizioni storiche tali da rendere impossibile il ritorno ai princìpi pre-rivoluzionari dei rapporti tra Chiesa e stato. Nondimeno la Chiesa ha ribadito il proprio ruolo tradizionale nella vita della società e ha espresso la volontà di operare nella sfera del sociale. Così, il Concilio locale del 1990 ha constatato: «Nel corso della sua storia millenaria, la Chiesa ortodossa russa ha educato i credenti nello spirito del patriottismo e dell'amore della pace. Il patriottismo si manifesta nell'atteggiamento di rispetto per l'eredità storica della Patria, in uno spirito civile operoso e attivo, che partecipa alle gioie e alle sofferenze del proprio popolo, nel lavoro zelante e coscienzioso, nella sollecitudine per lo stato morale della società e per la preservazione dell'ambiente naturale» (dal Messaggio del Concilio).

            In Occidente, nel Medioevo, si venne a formulare, non senza l'influenza dell'opera di s. Agostino «La città di Dio», la dottrina delle «due spade», secondo la quale entrambi i poteri – ecclesiastico e statale – l'uno in maniera diretta, l'altro in maniera indiretta, discendono dal vescovo di Roma. I papi furono monarchi con potere assoluto su una parte dell'Italia, lo Stato pontificio, il cui residuo è l'attuale Vaticano; molti vescovi, soprattutto nella Germania feudale, erano principi che esercitavano una giurisdizione di tipo statale sul loro territorio, avevano un proprio governo e un esercito.

            La Riforma rese impossibile il mantenimento del potere temporale del papa e dei vescovi cattolici sul territorio delle nazioni che erano diventate protestanti. Nei secoli XVII-XIX, le condizioni giuridiche mutarono a tal punto nei paesi cattolici che in pratica la Chiesa cattolica venne esclusa dalle funzioni di governo. Tuttavia, oltre alla presenza dello Stato del Vaticano, la dottrina delle «due spade» ha contribuito a conservare la consuetudine di stipulare trattati sotto forma di concordati fra la curia romana e gli stati nel cui territorio si trovano comunità cattoliche. A causa di ciò lo stato giuridico di queste comunità era definito in molti paesi non già dalle sole leggi interne, ma anche dal diritto che regolava le relazioni internazionali, al quale era soggetto lo stato del Vaticano.

            Nei paesi in cui ha trionfato la Riforma e più tardi in alcuni paesi cattolici, le relazioni fra Chiesa e stato si sono andate configurando all’insegna del principio di territorialità, che attribuiva allo stato la piena sovranità su un territorio e sulle comunità religiose che in esso si trovavano. Questo sistema di relazioni si esprimeva nella formula cujus est regio, illius est religio (la religione del popolo è quella del sovrano). La coerente attuazione di tale sistema comportava l'espulsione dallo stato dei seguaci di una religione diversa da quella dei detentori del potere statale supremo (questo è accaduto più volte in pratica). Tuttavia in realtà si è andata affermando una forma meno rigida di questo principio, la cosiddetta «religione di stato», in base alla quale si attribuiscono privilegi di Chiesa di stato alla comunità religiosa predominante, alla quale appartiene il sovrano, che ne è ufficialmente il capo. La combinazione fra questo sistema di rapporti Chiesa-stato e le tracce della «sinfonia» tradizionale, ereditata da Bisanzio, ha determinato l'originalità dello stato giuridico della Chiesa ortodossa nella Russia del periodo sinodale.

            Negli Stati Uniti d'America, che sin dall'inizio sono apparsi come una nazione pluriconfessionale, si è consolidato il principio della radicale separazione fra Chiesa e stato, che presupponeva la neutralità del sistema di potere rispetto a tutte le confessioni religiose. La neutralità assoluta tuttavia non è mai raggiungibile. Ogni stato si trova a dover fare i conti con la reale composizione religiosa della popolazione. Nessuna denominazione cristiana singolarmente costituisce la maggioranza negli Stati Uniti, tuttavia la gran parte dei cittadini statunitensi è appunto cristiana. Questa realtà si riflette, in particolare, nella cerimonia del giuramento del presidente sulla Bibbia, nell’ufficializzazione della domenica come giorno festivo e così via.

            Il principio della separazione fra Chiesa e stato ha, tuttavia, anche un'altra origine. Nel continente europeo esso è stato l'esito della lotta anticlericale o apertamente antiecclesiastica, ben nota, in particolare, dalla storia della rivoluzione francese. In questi casi la Chiesa è separata dallo stato non a causa della multiconfessionalità della popolazione del paese, ma perché lo stato appoggia questa o quella ideologia anticristiana o in generale antireligiosa. A questo punto non ha più senso parlare di neutralità dello stato riguardo alla religione e neppure della sua natura puramente laica. Per la Chiesa questo solitamente comporta difficoltà, restrizioni nei diritti, discriminazione o aperte persecuzioni. La storia del XX secolo ha mostrato in diversi paesi del mondo molti esempi di un simile atteggiamento dello stato verso la religione e la Chiesa.

            Esiste anche una forma di relazione tra Chiesa e stato intermedia tra la separazione radicale della Chiesa dallo stato, quando la Chiesa gode di uno status di associazione privata, e la «Chiesa di stato». Ci riferiamo allo status della Chiesa come associazione di diritto pubblico. In questo caso la Chiesa può avere una serie di privilegi e di doveri, che le vengono delegati dallo stato, senza essere Chiesa di stato nel senso proprio del termine.

            Una serie di nazioni moderne – per esempio la Gran Bretagna, la Finlandia, la Norvegia, la Danimarca e la Grecia – conserva una Chiesa di stato. Altri stati, che con il tempo diventeranno sempre più numerosi (USA, Francia), fondano i propri rapporti con le comunità religiose sul principio della totale separazione. In Germania, la Chiesa cattolica, quella evangelica e alcune altre chiese hanno lo status di associazioni di diritto pubblico, mentre altre comunità religiose sono del tutto separate dallo stato e sono considerate associazioni private. In pratica, tuttavia, la reale posizione delle comunità religiose nella maggior parte di questi stati dipende minimamente dall’essere o meno separate dallo stato. In alcune nazioni dove le chiese conservano lo status di associazioni pubbliche, esso si riduce alla riscossione di tasse per il loro mantenimento attraverso enti tributari statali e al riconoscimento della validità giuridica delle registrazioni ecclesiastiche di battesimi e matrimoni al pari dei certificati di stato civile registrati dagli organi amministrativi dello stato.

            Oggi la Chiesa ortodossa svolge il suo servizio a Dio e agli uomini in diversi paesi. In alcuni essa rappresenta la religione nazionale (Grecia, Romania, Bulgaria), in altri, plurinazionali, costituisce la religione della maggioranza della popolazione (Russia), in altri ancora, i membri della Chiesa ortodossa rappresentano una minoranza religiosa che convive con cristiani non ortodossi (USA, Polonia, Finlandia) oppure con credenti di altre religioni (Siria, Turchia, Giappone). In alcuni piccoli stati la Chiesa ortodossa ha la prerogativa di religione di stato (Grecia, Finlandia, Cipro), mentre in altri è separata dallo stato. Sono inoltre diverse le condizioni politiche e giuridiche concrete nelle quali vivono le chiese ortodosse locali. Tutte comunque si fondano, sia nell’organizzazione interna sia nei rapporti con l'autorità statale, sui precetti di Cristo, sulla dottrina degli apostoli, sui sacri canoni, su un'esperienza storica bimillenaria, e in qualsiasi condizione trovano la possibilità di adempiere alla missione che Dio ha loro affidato, manifestando con ciò la propria natura soprannaturale, la propria origine celeste e divina.

 

Mezzi diversi per finalità diverse

            III.5. Avendo nature diverse, Chiesa e stato usano mezzi diversi per raggiungere le proprie finalità. Lo stato si basa fondamentalmente sulla forza materiale, inclusa la forza della coercizione, e sui rispettivi sistemi ideologici laici. La Chiesa invece dispone di mezzi religioso-morali per offrire una guida spirituale ai suoi fedeli e per attirare nuovi figli.

            La Chiesa infallibilmente predica la verità di Cristo e insegna agli uomini i precetti morali che provengono da Dio stesso, e per questo non ha il potere di cambiare alcunché nella sua dottrina. Non ha il potere neppure di tacere, di interrompere la predicazione della verità, quali che siano gli insegnamenti imposti o diffusi dalle autorità statali. A questo riguardo la Chiesa è assolutamente libera dallo stato. A motivo della predicazione della verità senza remore e limitazioni, la Chiesa più volte nella storia ha subito persecuzioni per mano dei nemici di Cristo. Ma, anche se perseguitata, la Chiesa è chiamata a sopportare con pazienza le persecuzioni, senza rifiutare la propria lealtà allo stato che la perseguita.

            La sovranità giuridica sul territorio dello stato appartiene alle sue autorità. Di conseguenza, esse stabiliscono anche lo stato giuridico della Chiesa locale o di una sua parte, concedendole la possibilità di compiere senza ostacoli la missione ecclesiale o limitando tale possibilità. L'autorità statale con il suo stesso atteggiamento di fronte alla verità eterna si giudica da sé e in definitiva si prepara il proprio destino. La Chiesa mantiene la propria lealtà allo stato, ma al di sopra dell'esigenza della lealtà sta il comando divino di perseguire la salvezza degli uomini in qualsiasi condizione e in qualsiasi circostanza.

            Se il potere costringe i credenti ortodossi ad abbandonare Cristo e la sua Chiesa, come pure a commettere azioni peccaminose e dannose per l'anima, la Chiesa ha il dovere di rifiutare l’obbedienza allo stato. Il cristiano, seguendo il dettame della coscienza, può non eseguire gli ordini dell'autorità statale, ove questi lo inducessero a un peccato grave. La Chiesa e le sue autorità, qualora ravvisassero l’impossibilità di obbedire alle leggi e agli ordinamenti dello stato, dopo aver debitamente esaminato la questione, possono intraprendere le seguenti azioni: iniziare un dialogo diretto con l'autorità sul problema sorto; invitare il popolo a impiegare meccanismi democratici per cambiare le leggi o rivedere le deliberazioni dell'autorità statale; appellarsi agli organi internazionali e all'opinione pubblica mondiale; invitare i propri fedeli alla disobbedienza civile pacifica.

 

Il principio della libertà di coscienza

            III.6. Il principio della libertà di coscienza, che nasce come concezione giuridica nei secc. XVIII-XIX, si trasforma in uno dei principi fondamentali dei rapporti tra gli individui solo dopo la prima guerra mondiale. Oggi esso viene affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e rientra nelle costituzioni della maggior parte degli stati. La comparsa del principio della libertà di coscienza è la testimonianza di come, nel mondo contemporaneo, la religione da «fatto pubblico» si trasformi in «fatto privato» dell'individuo. Preso a sé, questo processo testimonia la disgregazione del sistema dei valori spirituali e lo smarrimento dell'aspirazione alla salvezza nella maggior parte delle persone che affermano il principio della libertà di coscienza. Se inizialmente lo stato è sorto come strumento di ratifica della legge divina nella società, la libertà di coscienza trasforma definitivamente lo stato in un'istituzione esclusivamente terrena, che non ha obblighi religiosi di alcun tipo.

            L'affermazione del principio giuridico della libertà di coscienza testimonia la perdita da parte della società delle finalità e dei valori religiosi, l'apostasia di massa e l'indifferenza reale verso l'opera della Chiesa e la vittoria sul peccato. Ma questo principio si rivela uno dei mezzi di esistenza della Chiesa in un mondo areligioso, in quanto le permette di avere uno status legale in uno stato laico e di essere indipendente dai cittadini di religione diversa o dai non credenti.

            La neutralità dello stato dal punto di vista religioso e ideologico non contraddice la vocazione della Chiesa a operare nella società. Tuttavia la Chiesa deve testimoniare allo stato come sia inammissibile la diffusione di idee e di azioni che portano a un controllo totale sulla vita dell'individuo, sulle sue opinioni e sui rapporti con gli altri, alla disgregazione della moralità personale, familiare o sociale, all'offesa dei sentimenti religiosi, alla compromissione dell'originalità culturale e spirituale del popolo o alla minaccia nei confronti del sacro dono della vita. Nell'attuazione dei suoi programmi sociali, assistenziali, educativi e di altri programmi socialmente significativi, la Chiesa può fare affidamento sull'aiuto e sul contributo dello stato. Essa ha anche il diritto di aspettarsi che lo stato, nell'instaurazione dei suoi rapporti con le associazioni religiose, tenga in considerazione la consistenza numerica dei loro componenti, il loro ruolo nella formazione della fisionomia storica, culturale e spirituale del popolo e la loro posizione civile.

 

«Religiosità» delle forme di governo

            III.7. La forma e i metodi del governo per molti aspetti sono subordinati allo stato spirituale e morale della società. Consapevole di ciò, la Chiesa accetta la scelta operata dal popolo  o per lo meno non le si oppone.

            Al tempo dei Giudici – l'ordinamento sociale descritto nel libro dei Giudici – il potere agiva non attraverso la coercizione, ma con la forza dell'autorità; nello stesso tempo questa autorità era legittimata dall'approvazione divina. Perché tale autorità si esprima con efficacia, nella società la fede deve essere assai forte. Al tempo della monarchia il potere rimane di origine divina, ma non viene ormai più esercitato facendo leva sull'autorità spirituale, quanto piuttosto sulla coercizione. Il passaggio dai Giudici alla monarchia fu la testimonianza di un rilassamento della fede, da cui scaturì anche la necessità di sostituire il Re invisibile con un re visibile. Le democrazie contemporanee, tra cui anche quelle di forma monarchica, non cercano un'approvazione divina della propria autorità. Nella società laica esse rappresentano la forma di governo che presuppone il diritto di ogni cittadino dotato di capacità giuridica di esprimere la propria volontà per mezzo di elezioni.

            Ogni cambiamento della forma di governo che tenda a un maggior radicamento nella religione, senza essere accompagnato da un’elevazione spirituale della società, degenera inevitabilmente nella menzogna e nell’ipocrisia, indebolisce questa forma di governo e la svilisce agli occhi della gente. Tuttavia, non si può del tutto escludere la possibilità di una rinascita spirituale della società, tale da rendere naturale una forma di ordinamento statale più accentuatamente religiosa. In condizioni di asservimento, invece, in conformità con il consiglio dell'apostolo Paolo, «anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione!» (1Cor 7,21). Nel contempo, la Chiesa deve prestare la massima attenzione non al sistema dell'organizzazione esterna dello stato, ma alla condizione interiore dei cuori dei suoi figli. Perciò la Chiesa non ritiene possibile diventare promotrice di un cambiamento della forma di governo. Sulla stessa linea, il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 sottolineava la giustezza della posizione della «non preferenza da parte della Chiesa di un qualsivoglia ordinamento statale o di una qualsivoglia dottrina politica tra quelle esistenti».

 

 

La cooperazione tra Chiesa e stato

            III.8. Lo stato, compreso quello laico, di regola ha coscienza della propria vocazione a organizzare la vita del popolo sulla base dei principi del bene e della verità, preoccupandosi del benessere materiale e spirituale della società. Per questo la Chiesa può cooperare con lo stato in opere che servono al bene della stessa Chiesa, dell'individuo e della società. Per la Chiesa tale cooperazione deve essere un riconoscimento della sua missione salvifica, che comprende una sollecitudine per la vita dell'uomo in tutti i suoi aspetti. La Chiesa è chiamata a partecipare all'organizzazione della vita umana ovunque sia possibile e a operare in sintonia con i rappresentanti del potere laico.

            La cooperazione tra Chiesa e stato deve attuarsi alle seguenti condizioni: la partecipazione della Chiesa alle attività del governo dovrà corrispondere alla sua natura e alla sua vocazione; il governo non dovrà imporre diktat all'attività sociale della Chiesa; la Chiesa non dovrà interessarsi di quelle sfere dell'attività pubblica in cui la sua opera sia inammissibile per motivi canonici o per altre ragioni.

            Gli ambiti di collaborazione tra Chiesa e stato nell'attuale periodo storico sono:

            a) la pacificazione a livello internazionale, interetnico e civile, il contributo alla comprensione reciproca e alla cooperazione tra gli uomini, i popoli e gli stati;

            b) la sollecitudine per la difesa della moralità nella società;

            c) l'educazione e la formazione spirituale, culturale, morale e patriottica;

            d) le opere di misericordia e di beneficenza, lo sviluppo di programmi sociali comuni;

            e) la tutela, la ricostituzione e lo sviluppo del patrimonio storico e culturale, compresa la difesa dei monumenti di valore storico e culturale;

            f) il dialogo con gli organi del potere statale di qualsiasi settore e livello su questioni importanti per la Chiesa e per la società, fra cui l'elaborazione di idonee leggi, di atti giuridici, di disposizioni e deliberazioni;

            g) la cura dei militari e delle forze dell'ordine e la loro formazione spirituale e morale;

            h) attività per la prevenzione dei reati e la cura di coloro che si trovano nei luoghi di detenzione;

            i) la scienza e la ricerca;

            j) la sanità pubblica;

            k) la cultura e l'attività artistica;

            l) l'attività dei mass media ecclesiastici e laici;

            m) l'attività per la conservazione dell'ambiente;

            n) l'attività economica a vantaggio della Chiesa, dello stato e della società;

            o) il sostegno all'istituto della famiglia, alla maternità e all'infanzia;

            p) l'opposizione all’opera di strutture pseudoreligiose che rappresentano un pericolo per l'individuo e la società.

            La collaborazione tra Chiesa e stato appare possibile anche in una serie di altri ambiti qualora essa serva alla realizzazione degli obiettivi sopraelencati.

            Nello stesso tempo esistono settori nei quali ministri del culto e strutture ecclesiastiche canoniche non possono dare aiuto allo stato e cooperare con esso. Sono:

            a) la lotta politica, la propaganda elettorale, le campagne a sostegno di questo o quel partito politico, di questo o quel leader in campo sociale e politico;

            b) la conduzione di una guerra civile o di una guerra di aggressione esterna;

            c) la partecipazione diretta ad attività di indagine o a qualsiasi altra attività che richieda, in conformità con la legge dello stato, il mantenimento di un segreto anche in confessione o nel riferire all'autorità ecclesiastica.

            L'ambito tradizionale delle attività sociali della Chiesa ortodossa russa è la sollecitazione dell’attenzione dell'autorità statale verso i bisogni del popolo, i diritti e le preoccupazioni di singoli cittadini o di gruppi sociali. Tale cura, che è un dovere della Chiesa, si esprime mediante appelli orali o scritti indirizzati agli organi dell'autorità statale di diversi settori e livelli da parte degli organi ecclesiastici competenti.

 

Potere legislativo, esecutivo e giudiziario

            III.9. Nello stato moderno, di norma, vige la separazione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario e la distinzione dell’autorità a livello nazionale, regionale e locale. Questo determina la specificità dei rapporti tra la Chiesa e le autorità dei diversi settori e livelli.

            I rapporti con il potere legislativo consistono nel dialogo fra la Chiesa e i legislatori sulle possibilità di migliorare le leggi nazionali e locali attinenti la vita della Chiesa, la collaborazione tra Chiesa e stato e gli ambiti oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa. Questo dialogo riguarda anche le deliberazioni e le decisioni del potere legislativo che non hanno conseguenze dirette sul processo di estensione delle leggi.

            Nei contatti con il potere esecutivo la Chiesa deve dialogare sulle decisioni che riguardano la vita della Chiesa, la cooperazione tra Chiesa e stato e gli ambiti oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa. A tale scopo la Chiesa tiene vivi i contatti, ai rispettivi livelli, con gli organi centrali e locali del potere esecutivo, compresi quelli a cui compete la soluzione delle questioni pratiche della vita e dell'attività delle associazioni religiose e il controllo sul rispetto delle leggi (organismi giudiziari, procure, organi degli affari interni e simili).

            Le relazioni tra la Chiesa e il potere giudiziario ai diversi livelli devono limitarsi alla tutela degli interessi della Chiesa, ove necessario, dinanzi ai tribunali. La Chiesa non interferisce con l’esercizio delle funzioni e dei mandati del potere giudiziario. Gli interessi della Chiesa in una procedura giudiziaria, tranne che in caso di estrema necessità, sono tutelati da laici, delegati dall'autorità ecclesiastica ai rispettivi livelli (Calced. 9). Le vertenze interne alla Chiesa non devono essere sottoposte a un giudizio secolare (Antioc. 12). I conflitti interconfessionali, come pure i conflitti con gli scismatici, che non toccano questioni dottrinali, possono essere sottoposti a un tribunale laico (Cart. 59).

 

Livello nazionale, regionale e locale

            III.10. Il diritto canonico vieta al clero di rivolgersi all'autorità statale senza l'autorizzazione del superiore ecclesiastico. Così, l'11° canone del Concilio di Sardica recita: «Qualora un vescovo o un presbitero o in generale qualsiasi appartenente al clero abbia l'ardire di rivolgersi al sovrano senza il consenso o le istruzioni del vescovo della regione, e soprattutto del vescovo della metropolia: costui sarà destituito, e privato non solo della comunione, ma anche del titolo che aveva... Qualora invece una necessità inderogabile costringa qualcuno a rivolgersi al sovrano: costui lo faccia con l'esame previo e il consenso del vescovo della metropolia e degli altri vescovi di quella regione, e sia inviato con istruzioni da loro fornite e gli auguri di un buon esito».

            I contatti e la cooperazione fra la Chiesa e i massimi organi dell'autorità statale competono al Patriarca e al santo Sinodo in maniera diretta o attraverso rappresentanti che hanno un mandato confermato per iscritto. Contatti e cooperazione con gli organi regionali del potere competono ai vescovi diocesani (eparchiali) in maniera diretta o attraverso rappresentanti, che hanno pure un mandato confermato per iscritto. Contatti e cooperazione con gli organi locali del potere e dell'autogoverno competono a funzionari ecclesiastici e a persone incaricate con il benestare dei vescovi diocesani (eparchiali). I rappresentanti della suprema autorità ecclesiastica incaricati di tenere i contatti con gli organi del potere possono essere designati sia in maniera permanente sia in vista di una specifica consulenza su singoli problemi.

            Qualora una questione, già esaminata a livello locale o regionale, venisse deferita ai massimi organi del potere statale, il vescovo diocesano (eparchiale) ne darà notifica al Patriarca e al santo Sinodo e chiederà loro di tenere i contatti con lo stato proseguendo l’esame della questione. Qualora un’azione giudiziaria venisse trasferita dal livello locale o regionale al massimo livello, il vescovo diocesano (eparchiale) dovrà informare per iscritto il Patriarca e il santo Sinodo dei risultati delle precedenti udienze giudiziarie. I delegati dei distretti ecclesiastici di autogoverno e coloro che sono stati nominati dalle eparchie nei singoli stati hanno un'autorizzazione speciale del Patriarca e del santo Sinodo a tenere contatti permanenti con i governanti di questi stati.

 

Gli ecclesiastici e l’amministrazione statale

            III.11. Onde evitare qualsiasi commistione tra affari ecclesiastici e statali e affinché l'autorità ecclesiastica non venga ad acquisire un carattere secolare, le leggi canoniche vietano agli ecclesiastici di partecipare agli affari dell'amministrazione statale. L'81a Costituzione apostolica recita: «Non si addice a un vescovo o a un presbitero occuparsi dell'amministrazione del popolo, ma essere sollecito per le cose della Chiesa». Lo stesso argomento è oggetto della 6a Costituzione apostolica e del 10° canone del VII Concilio ecumenico. Nel contesto moderno queste regole riguardano non solo l'adempimento dei mandati delle autorità amministrative, ma anche la partecipazione agli organi rappresentativi del potere (v. V.2.).

 

IV. Etica cristiana e diritto laico

 

Le leggi divine

            IV.1. Dio è perfezione, e per questo è perfetto e armonico il mondo da lui creato. La vita è l’osservanza delle leggi divine, così come Dio stesso è vita eterna e perfetta. Attraverso il peccato originale dei progenitori il male e il peccato sono entrati nel mondo. Nel contempo, l'uomo decaduto ha però conservato la libertà di scegliere con l'aiuto di Dio il giusto cammino. In questo cammino, l'osservanza dei comandamenti divini rafforza la vita, mentre il loro rifiuto conduce inevitabilmente alla rovina e alla morte, giacché tale deviazione non è altro che l'allontanamento da Dio, e di conseguenza dall'essere e dalla vita, che possono essere solo in lui: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi... Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare..., io vi dichiaro oggi che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese» (Dt 30,15-18). Nell'ordine terreno il peccato e il castigo spesso non si succedono immediatamente l'uno dopo l'altro, ma sono separati da molti anni e persino da generazioni: «Io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Dt 5,9-10). Tale distanza tra il delitto e il castigo, da un lato, conserva all'uomo la libertà, ma dall'altro costringe gli uomini ragionevoli e fedeli a osservare con grande attenzione le leggi divine, per imparare a distinguere il giusto dall'ingiusto, il lecito dall'illecito.

            Numerose raccolte di insegnamenti e di leggi rappresentano le più antiche testimonianze storiche scritte. Senza dubbio esse risalgono a una fase ancora più antica della vita dell'umanità, quando ancora non era stata inventata la scrittura, poiché «la legge» è scritta da Dio nei cuori degli uomini (Rm 2,15). Il diritto esiste nella società umana da sempre. Le prime leggi vengono date all'uomo quando ancora è nel paradiso terrestre (Gen 2,16-17). Dopo il peccato originale, che è la violazione da parte dell'uomo della legge divina, il diritto diventa un limite, il cui superamento è una minaccia di distruzione sia dell'uomo come individuo che della convivenza umana.

 

Il diritto

            IV.2. Il diritto è chiamato a essere la manifestazione dell'unica legge divina dell'universo nella sfera sociale e politica. Nel contempo ogni sistema giuridico creato dalla comunità umana, essendo il prodotto dell'evoluzione storica, porta in sé il marchio della limitatezza e dell'imperfezione. Il diritto è un ambito particolare, differente dall'ambito etico a esso correlato: esso non stabilisce le condizioni interiori del cuore umano, perché colui che conosce il cuore dell'uomo è Dio solo.

            Oggetto della regolamentazione giuridica, che è l’essenza del processo legislativo, sono piuttosto la condotta e le azioni degli uomini. Diverse misure coercitive sono previste per imporre l’osservanza delle leggi. Le sanzioni previste dal legislatore per il ripristino dell'ordinamento giuridico violato fanno della legge un affidabile correttivo per la vita sociale fino a che, come è accaduto più volte nella storia, non si arriva al crollo dell'intero sistema giuridico in vigore. Del resto, dal momento che nessuna comunità umana può esistere senza diritto , al posto dell’ordinamento giuridico demolito sorge sempre un sistema legislativo nuovo.

            Il diritto ha un contenuto minimo di norme morali vincolanti per tutti i membri della società. L'obiettivo della legge laica non è quello di trasformare nel regno di Dio il mondo immerso nel male, ma di far sì che esso non si trasformi in un inferno. Il principio fondamentale del diritto è: «non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te». Se un uomo ha commesso un'azione ingiusta nei confronti di un altro, il danno recato all'integrità dell'ordine divino del mondo può essere riparato attraverso la punizione del criminale o attraverso il perdono, nel qual caso colui che concede il perdono (il governante, il confessore, la comunità, ecc.) assume su di sé le conseguenze morali dell'atto peccaminoso. La sofferenza guarisce l'anima ferita dal peccato, mentre la sofferenza volontaria degli innocenti per i peccati dei criminali rappresenta la forma più sublime di espiazione, culminante nell'immolazione del Signore Gesù, che ha assunto su di sé il peccato del mondo (Gv 1,29).

 

La legge umana e i precetti divini

            IV.3. La valutazione del «limite dell'offesa», che allontana l'uomo dall'uomo, si è differenziata nelle diverse società e nelle diverse epoche. Quanto più una comunità umana è religiosa, tanto maggiore è in essa la coscienza dell'unità e dell'integrità del mondo. In una società fondamentalmente religiosa le persone vengono considerate su due piani, sia come individui unici, che stanno in piedi o cadono dinanzi a Dio (Rm 14,4) e non sono pertanto giudicabili dagli altri uomini, sia come membri dell'unico corpo pubblico, nel quale la malattia di un membro provoca la malattia e persino la morte dell'intero organismo. In quest'ultimo caso, ogni uomo può e deve essere giudicato dalla comunità, dal mondo, dato che le azioni di uno solo influiscono su molti. La ricerca di uno spirito di pace a opera di un solo giusto, secondo le parole di s. Serafino di Sarov, porta alla salvezza di migliaia di persone intorno a lui, e il peccato di un solo empio può comportare la rovina di molti.

            Tale atteggiamento verso le manifestazioni del peccato e del crimine ha un saldo fondamento nella Sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa: «Con la benedizione degli uomini retti si innalza una città, la bocca degli empi la demolisce» (Pr 11,11). San Basilio Magno ammoniva gli abitanti di Cesarea di Cappadocia, che soffrivano la fame e la sete: «A causa di pochi giungono calamità su tutto il popolo, e a causa dei misfatti di uno solo, molti devono assaporarne i frutti. Acab commise un sacrilegio e fu sconfitto l'intero esercito; e ancora Zimri commise un peccato di lussuria con una madianita, e Israele cominciò a subire il castigo». Lo stesso scrive s. Cipriano di Mosca: «Non sapete che il peccato del popolo ricade sul principe e il peccato del principe ricade sul popolo?».

            Per questo le antiche raccolte di leggi regolamentavano anche quegli aspetti della vita, che attualmente stanno al di fuori del sistema giuridico. Per esempio, secondo le norme giuridiche del Pentateuco l'adulterio era punito con la pena di morte (Lv 20,10), mentre nella maggior parte degli stati al giorno d'oggi esso non è più considerato reato. Una volta smarrita la concezione del mondo nella sua integrità, il campo della regolamentazione giuridica si riduce solo ai casi di danno palese, e gli ambiti del diritto si restringono con il deteriorarsi della moralità sociale e con la secolarizzazione della coscienza. Per esempio, la magia, che costituiva un grave reato nelle società antiche, oggi è considerata dalla legge come un qualcosa di immaginario, che pertiene alla fantasia, e per questo non viene punita.

            L’uomo, a causa della sua natura corrotta che ne ha deformato la coscienza, non è in grado di accogliere la legge di Dio in tutta la sua pienezza. Nelle diverse epoche si è preso coscienza solo in parte di questa legge. Questo è dimostrato molto bene nel discorso del Salvatore sul divorzio. Mosè aveva permesso agli israeliti di sciogliere il matrimonio «per la durezza del loro cuore», ma «da principio» non fu così, perché nel matrimonio l'uomo diventa «una sola carne» con sua moglie, e per questo il matrimonio è indissolubile (Mt 19,3-6).

            Tuttavia nei casi in cui la legge degli uomini respinge in maniera totale il precetto divino assoluto, sostituendolo con uno opposto, essa cessa di essere una legge, e diventa atto illecito, qualunque sia la veste giuridica con cui si camuffa. Per esempio, nel decalogo è detto chiaramente: «Onora tuo padre e tua madre» (Es 20,12). Qualsiasi legge laica che contrasta con questo comandamento rende criminale non tanto colui che lo vìola, ma lo stesso legislatore. In altri termini, la legge degli uomini non contiene mai la perfezione della legge divina, ma perché possa restare legge, essa è tenuta a essere conforme ai principi stabiliti da Dio, e non a sopprimerli.

 

Origine religiosa del diritto

            IV.4. La legge religiosa e quella laica storicamente provengono da una sola origine e per lungo tempo sono apparse solo come due aspetti dell'unico ambito giuridico. Tale concezione del diritto è peculiare anche dell'Antico Testamento.

            Il Signore Gesù Cristo, quando chiama coloro che gli sono fedeli al Regno che non è di questo mondo, separa (Lc 12,51-52) la Chiesa come suo corpo dal mondo immerso nel male. Nel cristianesimo la legge interna della Chiesa è libera dalla condizione spiritualmente decaduta del mondo e persino contrapposta a esso (Mt 5,21-47). Tuttavia questa contrapposizione non è una violazione, ma il pieno adempimento della legge della verità divina, da cui l'umanità deviò nel peccato originale. Confrontando i precetti veterotestamentari con la legge della buona novella, il Signore nel discorso della montagna invita a conformare pienamente la vita con la legge divina assoluta, cioè a «divinizzarla»: «Siate dunque perfetti, così come è perfetto il Padre vostro che è in cielo» (Mt 5,48).

 

Il diritto canonico

            IV.5. Nella Chiesa, creata dal Signore Gesù, vige una legge particolare, il cui fondamento è costituito dalla Rivelazione divina. Questa legge è il diritto canonico. Se le altre leggi religiose sono state date all'umanità decaduta e allontanatasi da Dio, e per propria natura possono far parte della legislazione civile, la legge cristiana per principio appartiene a una sfera superiore. Essa non può fare direttamente parte della legislazione civile, anche se nelle società cristiane esercita su di essa un benefico influsso, come suo fondamento etico.

            Gli stati cristiani di solito hanno utilizzato il diritto modificato del tempo pagano (per esempio, il diritto romano nel «Corpus» di Giustiniano), perché in esso erano contenute norme compatibili con la verità divina. Tuttavia il tentativo di creare un diritto pubblico, penale o civile fondato esclusivamente sul vangelo non può avere consistenza, perché senza la piena santificazione della vita, cioè senza la completa vittoria sul peccato, la legge della Chiesa non può diventare la legge del mondo. Ma questa vittoria è possibile solo in una prospettiva escatologica.

            Il tentativo intrapreso al tempo dell'imperatore Giustiniano di cristianizzare il sistema giuridico ereditato dalla Roma pagana si rivelò comunque del tutto felice, non da ultimo appunto perché il legislatore, creando il «Corpus», si era reso pienamente conto del limite che separa l'ordine di questo mondo, che anche in epoca cristiana porta su di sé il segno della caduta e del guasto prodotto dal peccato, dalle leggi del mistico corpo di Cristo – la Chiesa – anche nel caso in cui le membra di questo corpo e i cittadini dello stato cristiano siano le stesse e medesime persone. Il «Corpus» giustinianeo per secoli fissò l'ordinamento giuridico di Bisanzio ed esercitò un importante influsso sullo sviluppo del diritto in Russia e in alcuni paesi dell'Europa occidentale in epoca medioevale e moderna.

 

La concezione dei diritti umani

            IV.6. L'idea dei diritti inalienabili della persona è uno dei principi dominanti nella coscienza giuridica laica contemporanea. La concezione di tali diritti si fonda sulla dottrina biblica dell'uomo come immagine e somiglianza di Dio, come creatura ontologicamente libera. «Considera quanto ti circonda», scrive s. Antonio d'Egitto, «e sappi che signori e padroni hanno potere solo sul tuo corpo, ma non sulla tua anima, e serba sempre questo nella tua mente. Poiché, quando essi ti ordineranno, per esempio, di uccidere, o di compiere qualche altra azione disdicevole, o immorale o dannosa per l'anima, non bisogna ascoltarli, anche se essi dovessero straziarti il corpo. Dio ha creato l'anima libera e padrona di sé, ed essa è libera e capace di agire come vuole, bene o male».

            L'etica sociale cristiana esigeva che l'individuo mantenesse un qualche spazio di autonomia, dove la sua coscienza fosse il signore «autocratico», perché dalla libertà in ultima analisi dipende la salvezza o la rovina, la via che conduce a Cristo o la via che allontana da Cristo. I diritti alla fede, alla vita, alla famiglia sono ciò che salvaguarda i reconditi fondamenti della libertà dell'uomo dal dominio arbitrario di forze estranee. Questi principi interiori sono integrati e garantiti dagli altri diritti esterni – per esempio, dal diritto alla libertà di movimento, al ricevere informazioni, alla creazione di un patrimonio, al suo possesso e alla sua cessione.

            Dio rispetta la libertà dell'uomo, senza mai forzare la sua volontà. Al contrario, Satana tenta di impadronirsi della volontà dell'uomo, di soggiogarla. Se il diritto si conforma con la verità divina, rivelata dal Signore Gesù Cristo, allora anch'esso si pone a tutela della libertà dell'uomo: «dove c'è lo Spirito c'è la libertà» (2Cor 3,17). Di conseguenza, tutela i diritti inalienabili della persona. Quelle tradizioni, invece, alle quali non è noto il principio della libertà cristiana, a volte cercano di assoggettare la coscienza dell'uomo alla volontà esterna di un dominatore o della collettività.

 

I diritti dell’uomo nella secolarizzazione

            IV.7. Con il procedere della secolarizzazione, gli alti principi dei diritti inalienabili dell'uomo si sono andati trasformando in una concezione dei diritti dell'individuo al di fuori del suo rapporto con Dio. Con questo la salvaguardia della libertà della persona si è trasformata nella difesa del libero arbitrio individuale (fino al limite in cui esso non danneggi gli altri individui) e nella richiesta che lo stato garantisca un determinato tenore di vita materiale della persona e della famiglia. Nella concezione sistematica contemporanea dei diritti civili, l'uomo è visto non come immagine di Dio, ma come un soggetto autosufficiente e avente valore in sé, assoluto. Tuttavia, al di fuori di Dio esiste solo l'uomo decaduto, lontanissimo dall'ideale di perfezione perseguito dai cristiani e rivelato in Cristo («Ecce Homo!»). Inoltre per la coscienza giuridica cristiana l'idea della libertà e dei diritti dell'uomo è indissolubilmente legata all'idea del servizio. I diritti sono necessari al cristiano prima di tutto perché, esercitandoli, egli possa rispondere nel modo migliore alla sua nobile vocazione di essere «immagine di Dio» e compiere il suo dovere davanti a Dio e alla Chiesa, davanti agli altri uomini, alla famiglia, allo stato, al popolo e alle altre comunità umane.

            In seguito alla secolarizzazione dell’età moderna, prevale la teoria del diritto naturale, che nei suoi principi non considera la corruzione della natura umana. Questa teoria però non perde il legame con la tradizione cristiana, poiché nasce dalla convinzione che le nozioni del bene e del male siano innate nella natura umana, e per questo il diritto scaturisce dalla vita stessa, fondandosi nella coscienza («l'imperativo morale categorico»). Fino al XIX secolo tale teoria ha predominato nella società europea. Le sue conseguenze pratiche sono state, in primo luogo, il principio della continuità storica della sfera giuridica (il diritto non si può abolire, come non si può abolire la coscienza; lo si può solo migliorare e adattare con un procedimento legale alle nuove circostanze e alle nuove situazioni) e, in secondo luogo, il principio del precedente (un tribunale, conformandosi alla coscienza e alla consuetudine giuridica, può emettere una sentenza giudiziaria giusta, cioè conforme alla verità divina).

            Nella concezione contemporanea del diritto prevalgono idee apologetiche riguardo al diritto positivo in vigore. Secondo tali idee, il diritto è un'invenzione dell'uomo, una costruzione che la società crea per la propria utilità, per la soluzione di problemi da lei stessa provocati. Di conseguenza, qualsiasi cambiamento della legge, se è deciso dalla società, è lecito. La legge scritta non ha nessun fondamento giuridico assoluto. In questa prospettiva è lecita la rivoluzione, che con la violenza respinge le leggi del «vecchio mondo», come è lecita la totale negazione del principio etico, se tale negazione viene approvata dalla società. Così, se la comunità contemporanea non considera l'aborto un omicidio, esso non è un omicidio neppure sotto il profilo giuridico. Gli apologeti del diritto positivo ritengono che la società possa introdurre le leggi più diverse, e d'altro canto, considerano legittima qualunque legge in vigore già in forza della sua stessa esistenza.

 

L’ordinamento giuridico in Russia

            IV.8. L'ordinamento giuridico di un singolo paese è la variante particolare della legge che regola i rapporti umani in generale, propria di un determinato popolo. La legge nazionale esprime i principi fondamentali dei rapporti fra gli uomini, fra l'autorità e la società e fra le istituzioni in riferimento alle particolari caratteristiche di una nazione concreta che cammina nella storia. Il diritto nazionale è imperfetto perché imperfetto e peccatore è ogni popolo. Tuttavia esso crea l'ossatura della vita del popolo, se traduce le verità assolute di Dio adeguandole alla vita nazionale e storica concreta. Così, nel corso di un millennio, l'ordinamento giuridico in Russia si è andato gradualmente evolvendo e si è fatto più complesso mano a mano che la società stessa andava organizzandosi in forme sempre più articolate. Al diritto slavo consuetudinario, che aveva in parte conservato fino al X secolo le antiche forme ariane generali, furono aggiunti, con la cristianizzazione, vari elementi della legislazione bizantina attraverso il «Corpus» di Giustiniano, il quale risaliva al diritto romano classico e al diritto ecclesiastico, che allora era unito al diritto civile. A partire dal XVII secolo il diritto russo recepì attivamente i principi e la logica giuridica della legislazione dell'Europa occidentale, e nello stesso tempo questo avviene in maniera piuttosto limitata Si trattò di un processo organico, perché fin dai secc. X e XI la Rus’ mutuò da Costantinopoli, insieme al cristianesimo, elementi della tradizione giuridica romana, fondamentale per l'Europa. L'antica Russkaja Pravda ["Verità russa"], gli statuti e le istruzioni statutarie dei prìncipi, le istruzioni giudiziarie e le raccolte di sentenze giudiziarie, lo Stoglàv [Libro dei Cento capitoli – Protocollo del Consiglio provinciale della Chiesa russa – 1551] e il Codice conciliare del 1649, gli articoli e gli ukazy [decreti] di Pietro I, gli atti legislativi di Caterina la Grande e di Alessandro I, le riforme di Alessandro II e le Leggi statali fondamentali del 1906 hanno rappresentato un unico tessuto giuridico per il popolo. Alcune leggi sono diventate obsolete e sono scomparse, altre invece sono state sostituite. Alcune innovazioni giuridiche si sono rivelate fallimentari, non rispondenti al carattere della vita del popolo, e non sono più state applicate. Lo sviluppo dell'ordinamento giuridico nazionale russo, le cui origini si perdono nella storia remota, venne interrotto nel 1917. Il 22 novembre di quell'anno il Soviet dei commissari del popolo, in linea con lo spirito del diritto positivo, abrogò l'intera legislazione russa. Dopo il crollo, all'inizio degli anni novanta, dell'organizzazione statale sovietica, il sistema giuridico nella CSI e nei paesi baltici è ancora in fase di sviluppo. A fondamento di tale sistema vi sono le idee predominanti nella concezione giuridica secolarizzata contemporanea.

 

 

Il cristiano e la legge dello stato

            IV.9. La Chiesa di Cristo, conservando il suo diritto autonomo, fondato sui sacri canoni, e mantenendosi entro i limiti propri della vita ecclesiale, può sussistere all’interno dei sistemi giuridici più diversi, che essa tratta con il dovuto rispetto. La Chiesa invariabilmente esorta i suoi fedeli a essere cittadini rispettosi della legge della loro patria terrena. Nello stesso tempo essa ribadisce sempre i limiti invalicabili che caratterizzano l’obbedienza alla legge da parte dei suoi fedeli.

            In tutto quello che riguarda l'ordine esclusivamente terreno, il cristiano ortodosso è tenuto a obbedire alle leggi, indipendentemente dal loro carattere imperfetto ed erroneo. Quando invece l'adempimento della legge minaccia la salvezza eterna e presuppone un atto di apostasia o un altro peccato certo verso Dio e il prossimo, il cristiano è chiamato a un atto di professione di fede per amore della verità divina e per la salvezza della propria anima per la vita eterna. Egli deve apertamente intervenire, nei modi previsti dalla legge, contro ogni indiscutibile violazione dei precetti e dei comandamenti di Dio da parte della società e dello stato, e se tale intervento legale non è possibile o è inefficace, deve assumere una posizione di disobbedienza civile (v. III.5.).

 

V. Chiesa e politica

 

 

La competizione democratica

            V.1. Nello stato contemporaneo i cittadini partecipano al governo del paese mediante il voto. Una parte notevole di essi appartiene a partiti politici, a movimenti e associazioni, a raggruppamenti politici e ad altre organizzazioni simili basati su diverse dottrine e idee politiche. Queste organizzazioni, aspirando a organizzare la vita della società secondo le convinzioni politiche dei propri membri, hanno tra le loro finalità quella di raggiungere, mantenere o riformare il potere nello stato. Nell'attuazione del mandato ricevuto in virtù del voto popolare nelle elezioni, le organizzazioni politiche possono partecipare all'attività delle strutture del potere legislativo ed esecutivo.

            L'esistenza nella società di convinzioni politiche diverse, e talvolta contrastanti e di interessi antitetici genera una lotta politica, che viene condotta sia con metodi legali e moralmente giustificati, sia a volte con metodi che contrastano con i principi del diritto pubblico e dell'etica cristiana e naturale.

 

La partecipazione della Chiesa alla politica

            V.2. La Chiesa, per comando divino, ha come suo compito quello di essere sollecita per l'unità dei suoi figli, la pace e la concordia nella società, e la partecipazione di tutti i suoi membri al lavoro comune di edificazione della società. La Chiesa è chiamata a predicare e a costruire la pace con tutta la società: «Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18); «cercate di essere in pace con tutti» (Eb 12,14). Ma ancora più importante per essa è l'unità interna nella fede e nell'amore: «fratelli, in nome di Gesù Cristo nostro Signore, vi chiedo che... non vi siano contrasti e divisioni tra voi, ma siate uniti: abbiate gli stessi pensieri e le stesse convinzioni» (1Cor 1,10). Per la Chiesa il valore supremo è la sua unità come corpo mistico di Cristo (Ef 1,23), dalla cui vita incorrotta dipende la salvezza eterna dell'uomo. S. Ignazio Teoforo, rivolgendosi ai membri della Chiesa di Cristo, scrive: «Tutti voi formate di voi stessi l'unico tempio di Dio, l'unico altare, l'unico Gesù».

            Di fronte alle divergenze, ai contrasti e alle lotte della vita politica, la Chiesa predica la pace e la cooperazione fra gli uomini che seguono opinioni politiche diverse. Essa inoltre ammette l'esistenza di convinzioni politiche diverse tra l’episcopato, il clero e i laici, a eccezione di quelle che portino chiaramente ad azioni contrastanti con la dottrina religiosa ortodossa e con i principi morali della tradizione della Chiesa.

            È inammissibile la partecipazione della suprema autorità della Chiesa e dei ministri del culto, e di conseguenza di tutta la gerarchia ecclesiastica, ad attività di carattere politico ed elettorale, quali il sostegno pubblico alle organizzazioni politiche in lizza oppure a singoli candidati, le campagne elettorali ecc. e così via. Non è ammessa la presentazione di candidature di ministri del culto alle elezioni di qualsiasi organo del potere rappresentativo a ogni livello. Nello stesso tempo nulla deve impedire la partecipazione delle autorità ecclesiastiche, dei ministri del culto e dei laici, alla pari degli altri cittadini, all'espressione della volontà popolare mediante il voto.

            Nella storia della Chiesa si ricordano non pochi casi in cui tutta quanta la Chiesa ha offerto il proprio sostegno a diverse dottrine, idee, organizzazioni e personalità politiche. In parecchi tra questi casi tale sostegno era legato alla necessità di difendere gli interessi vitali della Chiesa nelle condizioni estreme delle persecuzioni antireligiose e delle azioni distruttive o restrittive perpetrate dalle autorità non cristiane e non ortodosse. In altri casi un simile sostegno era la conseguenza della pressione del governo o delle strutture politiche, e di solito provocava separazioni e contrasti all'interno della Chiesa e l'allontanamento da essa di alcuni dei fedeli non saldi nella fede.

            Nel XX secolo i ministri del culto e le autorità della Chiesa ortodossa russa sono entrati a far parte di diversi organi elettivi del potere, in particolare della Duma di stato dell'impero russo, dei soviet supremi dell'URSS e della Federazione russa, e di una serie di consigli locali e di assemblee legislative. In alcuni casi la partecipazione dei ministri del culto all'attività degli organi del potere ha recato un vantaggio alla Chiesa e alla società, tuttavia non di rado tale partecipazione ha provocato confusione e divisioni. Ciò si è verificato in particolare quando fu consentita l'adesione dei ministri del culto solamente a determinati gruppi parlamentari, e quando alcuni sacerdoti presentarono la propria candidatura ad alcune cariche elettive senza il consenso della Chiesa. In complesso questa partecipazione ha dimostrato che in pratica una tal cosa era impossibile senza che ci si assumesse la responsabilità di adottare decisioni che rispondevano agli interessi di una sola parte della popolazione ma contrastavano con gli interessi di un'altra parte. Questa situazione complica seriamente l'attività pastorale e missionaria del ministro del culto, chiamato, secondo le parole dell'apostolo Paolo, a essere «per tutti... per portare a Cristo il più gran numero possibile di persone» (1 Cor 9,19). Nello stesso tempo la storia insegna che la decisione dei ministri del culto di partecipare o meno all'attività politica è stata e deve essere assunta sulla base delle necessità di ciascuna epoca, tenendo conto della condizione interna dell'organismo ecclesiale e della sua posizione nello stato. Tuttavia, dal punto di vista canonico, la questione se il ministro del culto che occupa un posto di governo debba lavorare a livello professionale viene risolta inequivocabilmente in senso negativo.

            L'8 ottobre 1919, s. Tichon si rivolse al clero della Chiesa russa con un messaggio, nel quale invitava i sacerdoti a non interferire con la lotta politica e, in particolare, affermava che i servi della Chiesa «secondo la propria dignità devono stare al di sopra e al di fuori di ogni interesse politico, devono tenere a mente le norme canoniche della santa Chiesa, con le quali essa proibisce ai suoi servi di intromettersi nella vita politica del paese, di appartenere a qualsivoglia partito politico, e a maggior ragione di trasformare riti religiosi e celebrazioni liturgiche in uno strumento di dimostrazioni politiche».

            Alla vigilia delle elezioni dei deputati del popolo dell'URSS, il santo Sinodo, il 27 dicembre 1988, stabilì «di benedire i rappresentanti della nostra Chiesa, nel caso della loro affermazione e della loro elezione come deputati del popolo, per questa attività, esprimendo con questo la nostra fiducia che essa servirà al bene dei credenti e di tutta la nostra società». Oltre a essere eletti come deputati del popolo dell'URSS, una serie di alti prelati e di sacerdoti occuparono posti di deputato nei soviet repubblicani, regionali e locali.

            Le nuove condizioni della vita politica stimolarono il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa nell'ottobre 1989 a rivolgere una grande attenzione all'esame di due problemi: «in primo luogo, fino a che punto la Chiesa possa assumersi responsabilità in ordine alle decisioni politiche senza compromettere la sua autorità pastorale, e, in secondo luogo, se sia lecito alla Chiesa rinunciare a partecipare alla creazione delle leggi e alla possibilità di esercitare la sua influenza morale sul processo politico, quando dall'assunzione di una decisione dipende la sorte del paese». In seguito a questa riflessione, il Sinodo dei vescovi riconobbe che la definizione del santo Sinodo del 27 dicembre 1988 riguardava solo le elezioni del passato. Per il futuro invece fu assunto un regolamento, secondo il quale il problema dell'opportunità della partecipazione di rappresentanti del clero alle campagne elettorali deve essere decisa preliminarmente caso per caso dalle autorità supreme della Chiesa (il santo Sinodo per l'episcopato, i vescovi per il clero subordinato).

            Alcuni rappresentanti del clero, senza aver ricevuto la debita autorizzazione, parteciparono tuttavia alle elezioni. Il santo Sinodo del 20 marzo 1990 con rammarico dichiarò che «la Chiesa ortodossa russa respinge la responsabilità morale e religiosa della partecipazione di queste persone agli organi elettivi del potere». Per ragioni di oikonomia il Sinodo si astenne dall'applicare ai trasgressori della disciplina le sanzioni dovute «constatando che tale comportamento ricade sulla loro coscienza».

            L'8 ottobre 1993, in vista della creazione in Russia di un parlamento di politici di professione, durante la sessione allargata del santo Sinodo fu presa la decisione di ordinare ai ministri del culto di astenersi dal partecipare alle elezioni parlamentari russe in qualità di candidati deputati. Dalla corrispondente ordinanza sinodale fu stabilito che i ministri del culto che l'avessero violata sarebbero stati destituiti dalla dignità ecclesiastica. Il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 approvò questa ordinanza del santo Sinodo «come tempestiva a saggia», ed estese la sua validità «alla partecipazione anche in futuro dei ministri del culto della Chiesa ortodossa russa alle elezioni di tutti gli organi del potere elettivo dei paesi della CSI e del Baltico a livello sia nazionale che locale».

            Lo stesso Sinodo dei vescovi, in fedeltà ai santi canoni, rispondendo alle sfide della realtà contemporanea, stabilì una serie di norme importantissime, riguardanti il tema in esame. Così, in una delle deliberazioni del Sinodo dei vescovi si dice: «Si conferma l'inammissibilità per tutta la gerarchia ecclesiastica di appoggiare un qualsivoglia partito politico, movimento, coalizione, associazione e organizzazione politica analoga, e anche loro singoli attivisti, in primo luogo durante le campagne elettorali... Si ritiene pure estremamente disdicevole l'appartenenza dei ministri del culto a partiti politici, movimenti, associazioni, coalizioni politiche e organizzazioni simili che conducono in primo luogo a una battaglia elettorale».

            Il Sinodo dei vescovi che si tenne nel 1997 sviluppò i principi dei rapporti tra la Chiesa e le organizzazioni politiche e ribadì una delle deliberazioni del precedente Sinodo che non aveva acconsentito a che i ministri del culto entrassero a far parte di associazioni politiche. Nella definizione del Sinodo «Sulle relazioni con lo stato e la società laica», in particolare, si dice: «Si incoraggiano il dialogo e i rapporti della Chiesa con le organizzazioni politiche nel caso in cui tali rapporti non abbiano carattere di sostegno politico. Si ritiene ammissibile la collaborazione con tali organizzazioni per scopi utili alla Chiesa e al popolo, escludendo di interpretare tale collaborazione come sostegno politico... Si ritiene inammissibile la partecipazione dei dignitari ecclesiastici e dei ministri del culto a qualsivoglia campagna elettorale così come la loro appartenenza ad associazioni politiche, i cui statuti prevedano la designazione dei propri candidati a posti pubblici elettivi di tutti i livelli».

            Il fatto che tutta la gerarchia ecclesiastica si astenga dal partecipare alla lotta politica, all'attività dei partiti politici e alle procedure elettorali non significa la sua rinuncia a esprimere pubblicamente le sue posizioni su questioni socialmente rilevanti e a presentare queste posizioni agli organi di potere di qualsiasi paese a qualunque livello. Tali posizioni sono espresse esclusivamente dai Sinodi della Chiesa, dalle supreme autorità ecclesiastiche e da coloro che ne hanno ricevuto l'autorizzazione. In ogni caso il loro diritto di espressione non può essere delegato a istituzioni dello stato, alle organizzazioni politiche o ad altre associazioni laiche.

 

La partecipazione dei laici ortodossi
alla politica

            V.3. Nulla impedisce la partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere legislativo, esecutivo e giudiziario e delle organizzazioni politiche. Anzi, tale partecipazione, se si compie in conformità con la dottrina della Chiesa, con i suoi principi morali e con la sua posizione ufficiale sulle questioni sociali, è una delle forme della missione della Chiesa nella società. I laici possono anche essere chiamati, compiendo il proprio dovere civile, a partecipare ai processi connessi con le elezioni delle autorità di tutti i livelli, e a dare il proprio contributo per ogni iniziativa moralmente giusta dello stato.

            La storia della Chiesa ortodossa ha conservato una grande quantità di esempi della più attiva partecipazione di laici alla gestione dello stato, all'attività delle associazioni politiche o di altre associazioni civili. Tale partecipazione è avvenuta nel contesto di diversi sistemi di ordinamento statale: autocrazia, monarchia costituzionale e varie forme del sistema repubblicano. La partecipazione dei laici ortodossi alle attività civili e politiche è stata ostacolata solo sotto il dominio delle ideologie non cristiane e sotto il regime dell'ateismo di stato.

            Partecipando al governo dello stato e ai processi politici, il laico ortodosso è chiamato a fondare la propria attività sui principi della morale evangelica, sull'unità di giustizia e carità (Sal 85,11), sulla sollecitudine per il bene spirituale e materiale delle persone, sull'amore per la patria e sull'aspirazione a trasfigurare il mondo secondo la parola di Cristo.

            Nello stesso tempo, il cristiano – politico o uomo di stato – deve avere chiara coscienza che nella realtà storica, e tanto più nel contesto della società odierna divisa e piena di contraddizioni, la maggior parte delle decisioni prese e delle azioni politiche compiute tende a giovare a una sola parte della società e nello stesso tempo limita o danneggia gli interessi e i desideri di altri. Molte delle menzionate decisioni e azioni sono inevitabilmente connesse col peccato o con la connivenza col peccato. Proprio per questo da un politico o un uomo di stato ortodossi si richiede la massima sensibilità spirituale e morale.

            Il cristiano che lavora nel campo dell'edificazione della vita pubblica e politica è chiamato ad acquisire il dono di un particolare spirito di sacrificio e di una particolare abnegazione. A lui è assolutamente indispensabile essere attento alla propria condizione spirituale, per non consentire che la sua attività pubblica o politica si trasformi, da servizio qual è, in un'attività fine a se stessa, che alimenta la superbia, l'avidità e altri vizi. È opportuno ricordare che «Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17). S. Gregorio il Teologo (Nazianzeno), rivolgendosi ai governanti, scriveva: «Con Cristo tu comandi, con Cristo governi: da lui infatti hai ricevuto la spada». S. Giovanni Crisostomo dice: «Vero sovrano è colui che vince l'ira e l'invidia e la sensualità, sottomette tutto alle leggi di Dio, mantiene libera la sua mente e non permette che la passione per i piaceri abbia il sopravvento sulla sua anima. Un tale uomo desidererei vederlo governare sui popoli, sulla terra e sul mare, e sulle città e sulle regioni, e sugli eserciti; perché colui che ha sottomesso le passioni dell'anima alla ragione, costui governerebbe facilmente anche gli uomini secondo le leggi di Dio...  Colui invece che in apparenza governa gli uomini, ma è schiavo dell'ira e dell'ambizione e dei piaceri, costui... non saprà come gestire il potere».

 

La posizione distinta
di laici e gerarchia

            V.4. La partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere e ai processi politici può essere sia individuale che inserita nel contesto di particolari organizzazioni politiche cristiane (ortodosse) o di settori cristiani (ortodossi) di associazioni politiche più ampie. In entrambi i casi i figli della Chiesa hanno la libertà di scegliere e di esprimere le proprie opinioni politiche, di prendere decisioni e di collaborare per attuarle. Nello stesso tempo, i laici che partecipano all'attività pubblica o politica individualmente o nel contesto di diverse organizzazioni, lo fanno in maniera autonoma, senza identificare la propria attività politica con la posizione di tutta la gerarchia ecclesiastica o di una qualsivoglia istituzione ecclesiastica canonica, e senza esprimersi pubblicamente a loro nome. Con questo, la suprema autorità della Chiesa non concede alcuna speciale autorizzazione per l'attività politica dei laici.

            Il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 deliberò di considerare ammissibile l'appartenenza a organizzazioni politiche «dei laici e la creazione da parte loro di tali organizzazioni, che, qualora si definiscano cristiane e ortodosse, sono chiamate a una stretta cooperazione con la suprema autorità ecclesiastica. È inoltre ammesso che i ministri del culto, compresi coloro che rappresentano strutture ecclesiastiche canoniche e la suprema autorità della Chiesa, partecipino a singole iniziative di organizzazioni politiche e che cooperino con esse in attività utili per la Chiesa e per la società, nel caso in cui questa partecipazione e questa collaborazione non abbiano il carattere di un sostegno a organizzazioni politiche e servano all'edificazione della pace e della concordia nel popolo e nella comunità ecclesiale».

            In un’analoga risoluzione del Sinodo dei vescovi del 1997, in particolare, si dice: «Si ritiene ammissibile la partecipazione dei laici ad attività di organizzazioni politiche e la creazione da parte loro di tali organizzazioni nel caso in cui queste ultime non abbiano tra i propri componenti dei ministri del culto e tengano un collegamento di tipo consultivo con la suprema autorità della Chiesa. Si delibera che simili organizzazioni, come quelle che partecipano al processo politico, non possono avere l'autorizzazione della suprema autorità della Chiesa né possono parlare a nome della Chiesa. Non possono ricevere l'autorizzazione ecclesiastica, ma, ove concessa, la perdono, quelle organizzazioni di natura socio-ecclesiale interessate alla lotta politica e alla propaganda elettorale che spacciano la propria opinione per il giudizio della Chiesa, giudizio che invece viene espresso di fronte allo stato e alla società esclusivamente dai Concili ecclesiastici, da sua santità il Patriarca e dal santo Sinodo. Le medesime considerazioni valgono per i mass media ecclesiali ufficiali e per gli organi di informazione di carattere socio-ecclesiale».

            L'esistenza di organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), e di settori cristiani (ortodossi) all'interno di più ampie associazioni politiche, è accolta dalla Chiesa come un fatto positivo, che aiuta i laici a realizzare in armonia e concordia un'attività politica e pubblica sulla base dei principi spirituali e morali cristiani. Le menzionate organizzazioni, essendo libere nella propria attività, nello stesso tempo sono invitate a consigliarsi con la suprema autorità della Chiesa e a coordinare le azioni nell’attuare le direttive della Chiesa sulle questioni sociali.

            Nelle relazioni tra la gerarchia ecclesiastica e le organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), alla cui attività partecipano laici ortodossi, e particolarmente politici e uomini di stato ortodossi, possono nascere situazioni in cui le dichiarazioni o le azioni di queste organizzazioni e di queste persone divergono sostanzialmente dalla posizione di tutta la Chiesa sui problemi sociali o impediscono la realizzazione pratica di tale posizione. In casi simili la suprema autorità della Chiesa accerta la divergenza delle posizioni e la dichiara pubblicamente per evitare turbamento e malintesi tra i credenti e nella società nel suo complesso. La dichiarazione della Chiesa riguardo a tale divergenza deve indurre il laico ortodosso, che partecipa all'attività politica, a riflettere sull’opportunità di continuare ad appartenere all’organizzazione politica in questione.

            Le organizzazioni dei cristiani ortodossi non devono avere il carattere di società segrete, che presuppongono l'esclusiva subordinazione ai propri leader e il rifiuto consapevole e accettato di rivelare la sostanza dell'attività dell'organizzazione nel corso di consultazioni con le autorità della Chiesa e persino in confessione. La Chiesa non può approvare la partecipazione di laici ortodossi, e a maggior ragione di ministri del culto, a società non ortodosse di tale genere, in quanto esse, per loro stessa natura, allontanano l'uomo dalla fedeltà totale alla Chiesa di Dio e al suo ordinamento canonico.

 

VI. Il lavoro e i suoi frutti

 

L’uomo co-creatore

            VI.1. Il lavoro è un elemento strutturale della vita dell'uomo. Nel libro della Genesi si dice che in principio «nessuno lavorava il suolo» (Gen 2,5); dopo aver creato il paradiso terrestre, Dio vi pose l'uomo «perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). Il lavoro è un atto creativo dell'uomo, al quale, in virtù della sua originaria somiglianza con Dio, è concesso di essere co-creatore e collaboratore del Signore. Tuttavia, dopo la caduta dell'uomo nel peccato, il Creatore mutò la natura del lavoro umano: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai» (Gen 3,19). La componente creativa del lavoro si attenuò; per l'uomo decaduto esso divenne prevalentemente un mezzo per procacciarsi i mezzi di sostentamento.

 

Il riposo

            VI.2. La parola di Dio non solo orienta l'attenzione degli uomini sulla necessità del lavoro quotidiano, ma stabilisce anche il suo ritmo particolare. Il quarto comandamento recita: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te» (Es 20,8-10). Con questo comando del Creatore il processo del lavoro umano viene paragonato all'opera creatrice di Dio, che ha dato inizio all'universo. Anzi il comandamento di santificare il sabato è giustificato dal fatto che nella creazione del mondo «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto» (Gn 2,3). Questo giorno deve essere dedicato al Signore, perché le preoccupazioni quotidiane non possano distogliere l'uomo dal Creatore. Nel contempo, le espressioni attive di misericordia e di aiuto disinteressato al prossimo non costituiscono una violazione del comandamento: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Nella tradizione cristiana sin dai tempi apostolici il primo giorno della settimana, il giorno della Risurrezione di Cristo, la domenica, è il giorno di riposo.

 

Le seduzioni della civiltà

            VI.3. Il perfezionamento degli strumenti e dei metodi di lavoro, la differenziazione professionale e il passaggio da forme semplici a forme più complesse contribuiscono al miglioramento delle condizioni materiali della vita dell'uomo. Tuttavia, le seduzioni costituite dalle conquiste della civiltà allontanano gli uomini dal Creatore, conducono a un’illusoria creatività umana, che tenta di organizzare la vita terrena senza Dio. L'attuazione di simili tentativi nella storia dell'umanità si è sempre conclusa in maniera tragica.

            Nella Sacra Scrittura si dice che i primi edificatori della civiltà terrena furono i discendenti di Caino: Lamech e i suoi figli inventarono e fabbricarono i primi strumenti di rame e di ferro, le tende portatili e diversi strumenti musicali e furono i fondatori di molti mestieri e arti (Gen 4,20-22). Tuttavia essi insieme ad altri uomini non sfuggirono alle tentazioni: «ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra» (Gen 6,12). Così, per volontà del Creatore, la civiltà dei cainiti viene cancellata dal diluvio. L'immagine biblica più icastica dell'infruttuoso tentativo dell'umanità decaduta di «farsi un nome» è la costruzione della torre di Babele la cui cima avrebbe dovuto «toccare il cielo». La confusione delle lingue appare come il simbolo della fusione degli sforzi degli uomini di raggiungere il loro scopo in contrapposizione a Dio. Il Signore punisce i superbi: confondendone le lingue, egli li priva della possibilità di comprendersi l'un l'altro e li disperde per tutta la terra.

 

Le finalità morali del lavoro

            VI.4. Da un punto di vista cristiano il lavoro in sé non è un valore assoluto. Esso è benedetto quando si manifesta come una collaborazione con il Signore e contribuisce alla realizzazione del suo progetto sul mondo e sull'uomo. Il lavoro non è invece cosa buona se è diretto al servizio degli interessi egoistici dell'individuo o di singole comunità , come pure al soddisfacimento dei desideri peccaminosi dello spirito e della carne.

            La sacra Scrittura indica due finalità morali del lavoro: mantenere se stessi, senza gravare su nessuno, e sostentare il bisognoso. L'Apostolo scrive: «Ci si dia da fare, lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità» (Ef 4,28). Tale lavoro educa l'anima e rafforza il corpo dell'uomo, offre al cristiano la possibilità di manifestare la propria fede in buone azioni di misericordia e di amore per il prossimo (Mt 5,16; Gc 2,17) gradite a Dio. Tutti devono ricordare le parole dell'apostolo Paolo: «chi non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10).

            Il significato etico del lavoro è stato costantemente sottolineato dai padri e dai dottori della Chiesa. Così, Clemente Alessandrino definisce il lavoro «scuola di giustizia sociale». San Basilio Magno affermava che «il motivo della devozione non deve servire da pretesto per la pigrizia e la fuga dal lavoro, ma da stimolo per un lavoro ancora maggiore». E san Giovanni Crisostomo esortava a considerare «disonorevole non il lavoro, bensì l'ozio». Un esempio di ascetismo del lavoro l'hanno offerto i monaci di molti monasteri. La loro attività economica per molti aspetti fu un modello da imitare, e i fondatori delle più importanti comunità monastiche ebbero, oltre a un'altissima autorevolezza spirituale, anche la fama di grandi lavoratori. Sono molto celebri gli esempi del lavoro zelante dei santi Teodosio Pecerskij, Sergio di Radonez, Kirill Belozerskij, Iosif Volockij, Nil Sorskij e altri asceti russi.

 

I mestieri

            VI.5. La Chiesa benedice ogni lavoro teso al bene delle persone; con questo non viene privilegiato nessuno degli aspetti dell'attività umana, se tale attività è conforme ai principi morali cristiani. Nelle parabole il signore nostro Gesù Cristo menziona continuamente diversi mestieri, senza metterne in rilievo nessuno in particolare. egli parla del lavoro del seminatore (Mc 4,3-9), dei servi e dell'amministratore (Lc 12,42-48), del mercante e dei pescatori (Mt 13,45-48), di colui che assume i lavoratori e degli operai nella vigna (Mt 20,1-16). Tuttavia i tempi moderni hanno dato sviluppo a un'intera industria, diretta espressamente alla propaganda del vizio e del peccato, al soddisfacimento di perniciose passioni e abitudini quali l'abuso di alcol, di sostanze stupefacenti, la lussuria e l'adulterio. La Chiesa conferma la peccaminosità della partecipazione a tale attività, poiché essa rende depravato non solo il singolo individuo che ne è implicato, ma tutta la società nel suo insieme.

 

Equa distribuzione dei beni

            VI.6. Coloro che lavorano hanno il diritto di godere dei frutti del proprio lavoro: «Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge?... Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza» (1Cor 9,7.10). La Chiesa insegna che negare la retribuzione del lavoro onesto è non solo un crimine contro l'uomo, ma anche un peccato di fronte a Dio.

            La sacra Scrittura dice: «Non defrauderai il salariato... gli darai il suo salario il giorno stesso... perché non gridi contro di te al Signore e tu non sia in peccato» (Dt 24,14-15); «Guai a chi... fa lavorare il suo prossimo per nulla, senza dargli la paga» (Ger 22,13); «Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti» (Gc 5,4).

            Nel contempo il comando di Dio impone a coloro che lavorano di provvedere a coloro che per diverse ragioni non possono guadagnarsi da vivere: i deboli, gli ammalati, i forestieri (i profughi), gli orfani e le vedove, e di spartire con essi i frutti del lavoro, «perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani» (Dt 24,19-22).

            Continuando sulla terra il servizio di Cristo, il quale identificò se stesso proprio con i diseredati, la Chiesa leva la sua voce in difesa di coloro che non hanno voce né forza. Per questo essa chiama la società a un’equa distribuzione dei frutti del lavoro, con cui il ricco sostiene il povero, il sano il malato, colui che è in grado di lavorare l'anziano. La prosperità spirituale e la sopravvivenza della società sono possibili solo se la sicurezza delle condizioni di vita, della salute e del benessere minimo di tutti i cittadini venga considerata una priorità assoluta nella distribuzione dei mezzi materiali.

 

VII. La proprietà

 

La Chiesa e i beni materiali

            VII.1. Con il termine «proprietà» si intende la forma socialmente riconosciuta del rapporto degli uomini con i frutti del lavoro e con le risorse naturali. Fra i diritti riconosciuti a chi è proprietario vi sono il diritto di possesso e di uso, il diritto di amministrare e di ricevere un profitto, il diritto di alienare, sfruttare o eliminare oggetti di proprietà.

            La Chiesa non definisce i diritti delle persone alla proprietà. Tuttavia il lato materiale della vita dell'uomo non rimane al di fuori della sua visuale. Esortando a cercare prima di tutto il «regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33), la Chiesa ricorda anche la necessità del «pane quotidiano» (Mt 6,11), ritenendo che ogni persona debba avere mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa. Nel contempo la Chiesa mette in guardia contro l'attaccamento eccessivo ai beni materiali, condannando coloro che si lasciano sopraffare «dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita» (Lc 8,14). Nella posizione della Chiesa ortodossa riguardo alla proprietà non c'è né un atteggiamento di scarsa considerazione dei bisogni materiali, né l'estremo opposto che enfatizza l'inclinazione degli uomini al conseguimento dei beni materiali come scopo e valore supremo dell'esistenza. La condizione patrimoniale dell'uomo di per sé non può essere considerata una prova di quanto egli sia gradito o meno a Dio.

            Il rapporto del cristiano ortodosso con la proprietà deve fondarsi sul principio evangelico dell'amore verso il prossimo, espresso con le parole del Salvatore: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questo comandamento è la base della condotta morale dei cristiani. Per loro e, dal punto di vista della Chiesa, anche per gli altri uomini, questo comandamento deve essere un imperativo nelle relazioni interpersonali, comprese quelle di natura patrimoniale.

            Secondo l'insegnamento della Chiesa, gli uomini ricevono tutti i beni terreni da Dio, al quale appartiene il diritto assoluto di possederli. La relatività del diritto di proprietà per l'uomo è indicata più volte dal Salvatore nelle parabole: si tratta o di una vigna, data in uso (Mc 12,1-9), o di talenti distribuiti tra gli uomini (Mt 25,14-30), o di un podere affidato in amministrazione temporanea (Lc 16,1-13). Esprimendo il pensiero proprio della Chiesa sulla sovranità assoluta di Dio, san Basilio Magno chiede: «Dimmi: quali cose ti appartengono? Da dove le hai tratte per immetterle nella vita?». Il rapporto peccaminoso con la proprietà, che si manifesta nella trascuratezza o nel rifiuto consapevole di questo principio spirituale, provoca divisione e alienazione tra gli uomini.

 

La ricchiezza

            VII.2. I beni materiali non possono rendere l'uomo felice. Il Signore Gesù Cristo ammonisce: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché la vita dell'uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). La corsa alla ricchezza si riflette in maniera perniciosa sullo stato spirituale dell'uomo ed è capace di portare a una totale degradazione della persona. L'apostolo Paolo testimonia che «coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori. Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose» (1Tm 6,9-11). Nel dialogo con il giovane ricco il Signore disse: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Quindi Cristo spiegò queste parole ai discepoli: «Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli... è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,23-24). L'evangelista Marco precisa che nel regno di Dio è difficile entrare proprio per colui che ripone la sua fiducia non in Dio, ma nei beni materiali: «quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio» (Mc 10,23). Solo «chi confida nel Signore è come il monte Sion: non vacilla, è stabile per sempre» (Sal 125,1).

            Eppure, anche un ricco si può salvare, perché «ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc 18,27). Nella Sacra Scrittura non è contenuta la condanna della ricchezza come tale. Uomini agiati furono Abramo e i patriarchi veterotestamentari, il pio Giobbe, Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea. Chi possiede un considerevole patrimonio non commette peccato se lo usa in conformità con la volontà di Dio, al quale appartiene tutto ciò che esiste, e secondo la legge dell'amore, poiché la gioia e la pienezza di vita non stanno nell'acquistare e nel possedere, ma nel donare e nel rinunciare. L'apostolo Paolo esorta a ricordarsi «delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). San Basilio Magno considera ladro colui che non dona una parte dei suoi beni in elemosina per aiutare il prossimo. Questa stessa idea sottolinea san Giovanni Crisostomo: «Non dare ai poveri una parte delle proprie ricchezze equivale a un furto». La Chiesa esorta il cristiano a considerare i beni come un dono di Dio, dato per essere usato per il bene proprio e del prossimo.

            Nello stesso tempo la Sacra Scrittura riconosce il diritto dell'uomo alla proprietà e condanna l'attentato ad appropriarsene illecitamente. In due dei dieci comandamenti del decalogo si parla in maniera diretta di questo: «Non rubare... Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,15.17). Nel Nuovo Testamento tale atteggiamento verso la proprietà è stato mantenuto e ha assunto una giustificazione morale più profonda. Nel vangelo a questo proposito si dice che: «Il precetto... non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Rm 13,9).

 

Le diverse forme di proprietà

            VII.3. La Chiesa riconosce l'esistenza di molteplici forme di proprietà. Le forme di proprietà pubblica, societaria, privata e mista si sono variamente radicate in diversi paesi nel corso della storia. La Chiesa non dà preferenza ad alcuna di queste forme. Con ciascuna di esse sono possibili sia atti peccaminosi – furto, bramosia di denaro, ingiusta ripartizione dei frutti del lavoro – sia un uso giusto e moralmente giustificato dei beni materiali.

            Un'importanza sempre maggiore acquista la proprietà intellettuale, che ha per oggetto le attività scientifiche e le invenzioni, le tecnologie informatiche, le opere d'arte e altre acquisizioni del pensiero creativo. La Chiesa approva il lavoro creativo volto al bene della società e condanna la violazione dei diritti d'autore contro la proprietà intellettuale.

            In generale l'esproprio e la spartizione della proprietà con la violazione dei diritti dei suoi legittimi proprietari non possono essere approvati dalla Chiesa. Un'eccezione può essere l'esproprio della proprietà a norma di legge, determinato dagli interessi della maggior parte delle persone e accompagnato da un equo indennizzo. L'esperienza della storia nazionale dimostra che la violazione di questi principi provoca inevitabilmente sconvolgimenti sociali e sofferenze fra la popolazione.

            Nella storia del cristianesimo la comunione dei beni e la rinuncia alla proprietà privata furono caratteristiche di molte comunità. Tale carattere dei rapporti patrimoniali facilitò il consolidamento dell'unità spirituale dei credenti e in molti casi fu economicamente efficace, come nel caso dei monasteri ortodossi. Tuttavia la rinuncia alla proprietà privata nella comunità dei primi apostoli (At 4,32) e più tardi nei monasteri cenobitici ebbe un carattere esclusivamente volontario e fu connessa con una scelta spirituale personale.

 

Le proprietà della Chiesa

            VII.4. Una forma particolare di proprietà è rappresentata dal patrimonio delle organizzazioni religiose. Essa viene acquisita attraverso modalità diverse, tuttavia la componente fondamentale della sua formazione è l'offerta spontanea da parte dei credenti. Secondo la sacra Scrittura, l'offerta è santa, cioè appartiene direttamente al Signore; colui che fa un'offerta, la offre a Dio, e non al sacerdote (Lv 27,30; Esd 8,28). L'offerta è un atto volontario, compiuto da credenti per scopi religiosi (Ne 10,32). L'offerta è destinata a sostentare non solo i servi della Chiesa, ma anche tutto il popolo di Dio (Fil 4,14-18). L'offerta, in quanto dedicata a Dio, è inviolabile, e chiunque la sottragga deve restituire più di quello che ha rubato (Lv 5,14-15). La donazione è annoverata tra i precetti fondamentali, dati all'uomo da Dio (Sir 7,30-34). In tal modo le donazioni sono un caso particolare di rapporti economico-sociali, e per questo non devono automaticamente essere assoggettate alle leggi che regolano le finanze e l'economia dello stato, e in particolare l'imposizione fiscale. La Chiesa dichiara che i redditi derivanti da un’attività di carattere imprenditoriale possono essere soggetti a tassazione, ma qualsiasi attentato alle donazioni dei credenti è un delitto di fronte agli uomini e di fronte a Dio.

 

VIII. La guerra e la pace

 

Le guerre nel mondo

            VIII.1. La guerra è una manifestazione fisica di un male spirituale occulto dell'umanità, l'odio fratricida (Gen 4,3-12). Le guerre hanno accompagnato tutta la storia dell'umanità dopo il peccato originale e, secondo le parole del vangelo, la accompagneranno ancora: «E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga» (Mc 13,7). Di questo rende testimonianza anche l'Apocalisse, narrando dell'ultima battaglia fra le forze del bene e quelle del male presso la montagna di Armaghedon (Ap 16,16). Le guerre terrene sono il riflesso delle battaglie celesti, essendo prodotte dalla superbia e dalla disobbedienza alla volontà di Dio. L'uomo corrotto dal peccato fu come afferrato e trascinato nelle forze di queste battaglie cosmiche. La guerra è male. Essa è causata, come il male nell'uomo in generale, dall'abuso peccaminoso della libertà data da Dio; «dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» (Mt 15,19).

            L'omicidio, che nelle guerre è inevitabile, venne considerato un grave delitto davanti a Dio già all'alba della storia sacra: «Non uccidere», recita la legge di Mosè (Es 20,13). Nell'Antico Testamento, come in tutte le religioni antiche, il sangue ha carattere sacro, perché il sangue è la vita (Lv 17,11-14). «Il sangue contamina la terra», dice la Sacra Scrittura. Ma lo stesso testo biblico ammonisce coloro che usano la violenza: «Non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di chi l'avrà sparso» (Nm 35,33).

 

I cristiani e le azioni belliche

            VIII.2. Recando agli uomini il lieto annuncio della riconciliazione (Rm 10,15), ma trovandosi «in questo mondo», che è sotto il potere del maligno (1 Gv 5,19) e pieno di violenza, i cristiani si scontrano senza volerlo con la necessità reale di partecipare a diverse battaglie. Pur riconoscendo la guerra come un male, la Chiesa tuttavia non proibisce ai suoi figli di partecipare ad azioni belliche, se si tratta della difesa del prossimo e del ristabilimento della giustizia calpestata. La guerra è allora considerata come un mezzo obbligato, anche se odioso. L'ortodossia in tutti i tempi ha avuto un atteggiamento di profondissimo rispetto per i soldati che hanno sacrificato la propria vita per difendere la vita e la sicurezza del prossimo. La santa Chiesa ha canonizzato numerosi soldati, tenendo in considerazione le loro virtù cristiane e applicando a loro le parole di Cristo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

            Quando san Cirillo fu inviato dal patriarca di Costantinopoli a predicare il vangelo e giunse nella capitale dei saraceni, si misero a discutere con lui sulla fede alcuni grandi maestri di teologia, seguaci di Maometto. Tra le altre domande gli posero questa: «Cristo è il vostro Dio. egli vi ha comandato di pregare per i vostri nemici, di fare del bene a coloro che vi odiano e vi perseguitano, e a chi vi percuote su una guancia, di porgere anche l'altra, e voi cosa fate? Se qualcuno vi offende, affilate le armi, andate in battaglia e uccidete. Perché non ascoltate il vostro Cristo?». Dopo aver sentito ciò, san Cirillo chiese ai suoi interlocutori: «Se in qualche legge saranno scritti due comandi, quale uomo sarà il perfetto esecutore di quella legge: colui che obbedisce a un comando, o colui che esegue entrambi i comandi?». Quando i discendenti di Agar risposero che obbedisce alla legge in maniera più perfetta quello che osserva entrambi i comandi, allora il santo predicatore continuò: «Cristo Dio nostro, che ci ha comandato di pregare per coloro che ci offendono e di far loro del bene, ha detto anche che nessuno di noi in questa vita può dimostrare un amore più grande di colui che dà la sua anima – la sua vita – per i suoi amici (Gv 15,13). Ecco perché noi sopportiamo con magnanimità le offese causateci come persone singole, ma nella comunità ci difendiamo l'un l'altro e siamo disposti a dare la nostra vita in battaglia per il nostro prossimo, affinché voi, dopo aver fatto prigionieri i nostri concittadini, insieme con i corpi non facciate prigioniere anche le loro anime, costringendoli a rinnegare la loro fede e a compiere atti contro Dio. I nostri soldati cristiani con le armi in pugno proteggono la santa Chiesa, proteggono il sovrano, nella cui santa persona venerano l'immagine del potere del Re del cielo, proteggono la patria, con la cui distruzione inevitabilmente cadrà l'autorità nazionale e vacillerà la fede evangelica. Ecco i preziosi doveri per i quali fino all'ultima goccia di sangue i soldati devono combattere, e se essi moriranno sul campo di battaglia, la Chiesa li canonizzerà tra i santi martiri e i loro nomi saranno ricordati e invocati nelle preghiere davanti a Dio».

 

I limiti morali nella guerra

            VIII.3. «Tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (Mt 26,52): in queste parole del Salvatore trova fondamento l'idea della guerra giusta. Da un punto di vista cristiano, il concetto della giustizia morale nei rapporti internazionali deve basarsi sui seguenti principi fondamentali: l'amore per il prossimo, per il proprio popolo e per la patria; la comprensione dei bisogni delle altre nazioni; la consapevolezza che il bene del proprio popolo non può essere perseguito con mezzi immorali. Questi tre principi hanno fissato i limiti morali della guerra, espressi dal mondo cristiano nel Medioevo, quando, adattandosi alla realtà, gli uomini cercarono di mettere un freno alle forze della violenza bellica. Già allora era nata la convinzione che la guerra deve essere condotta secondo determinate regole e che colui che combatte non deve perdere la sua fisionomia morale, dimenticando che il suo avversario è un uomo come lui.

            L'elaborazione di alti principi giuridici nei rapporti internazionali non sarebbe stata possibile senza l'influsso morale che esercitò il cristianesimo sulla mente e sul cuore degli uomini. Le esigenze della giustizia nella guerra in pratica ben di rado furono rispettate, ma il fatto stesso di porre tale problema a volte trattenne i belligeranti da eccessive crudeltà.

            Nella tradizione cristiana occidentale, che risale a sant'Agostino, per stabilire quando una guerra è giusta di solito si considera una serie di fattori che giustificano l'ammissibilità di una guerra nel proprio o altrui territorio. Tra essi si possono annoverare i seguenti:

            – è opportuno dichiarare guerra per ristabilire condizioni di giustizia;

            – ha il diritto di dichiarare guerra solo l'autorità legittima;

            – il diritto di usare la violenza appartiene non a singoli individui o a singoli gruppi, ma ai rappresentanti delle autorità civili costituite;

            – una guerra può essere dichiarata solo dopo che si siano esauriti tutti i mezzi pacifici per condurre negoziati con la parte avversaria e per ristabilire la situazione iniziale;

            – è opportuno dichiarare guerra solo nel caso in cui vi siano speranze del tutto fondate di raggiungere gli scopi prefissati;

            – le perdite umane e le distruzioni previste devono corrispondere alla situazione e alle finalità della guerra (principio della proporzionalità dei mezzi);

            – durante la guerra è necessario assicurare la protezione della popolazione civile dalle azioni belliche dirette;

            – la guerra può essere giustificata solo dall'aspirazione a ristabilire la pace e l'ordine.

            Nel sistema attuale delle relazioni internazionali a volte risulta difficile distinguere una guerra di aggressione da una guerra di difesa. Il confine tra la prima e la seconda è particolarmente sottile nei casi in cui uno o più stati oppure la comunità internazionale intraprendano azioni belliche, motivandole con la necessità di difendere il popolo che è vittima di un'aggressione (v. XV.1). A questo proposito, il problema del sostegno o della condanna da parte della Chiesa delle azioni belliche richiede un attento esame caso per caso ogni volta che tali azioni hanno inizio o che si profila un tale pericolo.

            Uno dei criteri evidenti, secondo cui si può valutare la giustizia o l'ingiustizia dei belligeranti, è costituito dai metodi con cui la guerra viene condotta e dall'atteggiamento verso chi viene fatto prigioniero e verso la popolazione civile della parte avversaria, specialmente verso i bambini, le donne e gli anziani. Anche difendendosi da un'aggressione, si può nello stesso tempo commettere ogni genere di male, così da rendere la propria condizione spirituale e morale non migliore di quella dell’aggressore. La guerra deve essere condotta con «giusta indignazione», ma non con astio, avidità e concupiscenza (1Gv 2,16) e con altri frutti dell'inferno. Il giudizio sulla guerra – se cioè sia da considerare impresa eroica o atto di brigantaggio – si può esprimere solo dopo un'analisi della condizione morale dei combattenti: «Non gioire per la morte di qualcuno [anche se fosse il tuo peggior nemico]; ricordati che tutti moriremo», dice la Sacra Scrittura (Sir 8,8). Per i cristiani l’atteggiamento umano verso i feriti e i prigionieri si fonda sulle parole dell'apostolo Paolo: «Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,20-21).

 

L’assistenza alle forze armate

            VIII.4. Nell'iconografia di san Giorgio, un serpente nero viene schiacciato dagli zoccoli del cavallo, che è sempre raffigurato di colore bianco luminoso. Con questo si vuole mostrare in maniera evidente che il male e la lotta contro di esso devono essere assolutamente distinti e separati perché, lottando contro il peccato, è importante non diventarne partecipi. In tutte le situazioni della vita, in cui si presenta la necessità di usare la forza, il cuore dell'uomo non deve cadere sotto il potere di sentimenti malvagi, che lo accomunano agli spiriti immondi e lo rendono simile a essi. Solo la vittoria sul male nella sua anima dischiude all'uomo la possibilità di usare la forza in maniera giusta e corretta. Tale prospettiva, affermando nei rapporti tra gli uomini la supremazia dell'amore, respinge recisamente l'idea dell'ammissibilità della forza per contrastare il male. La legge morale cristiana condanna non la lotta contro il male, non l'uso della forza verso chi è portatore del male, e neppure addirittura l'omicidio quando questo appaia una misura estrema, bensì la malvagità del cuore umano, il desiderio di umiliare e di uccidere.

            Sotto questo aspetto, la Chiesa ha una cura particolare per l'esercito, che cerca di educare in uno spirito di fedeltà agli alti ideali morali. Gli accordi di cooperazione conclusi dalla Chiesa ortodossa russa con le forze armate e con le forze dell'ordine aprono grandi possibilità in vista del superamento di barriere  artificiosamente create, affinché l'esercito torni alle tradizioni ortodosse di servizio della patria, ratificate dai secoli. Il clero ortodosso – sia quello che svolge il suo particolare ministero nell'esercito, sia quello che opera nei monasteri o nelle parrocchie – è chiamato ad assistere con zelo i militari, preoccupandosi della loro condizione morale.

 

La pace dono di Dio

            VIII.5. Alla base della visione cristiana della pace stanno le promesse di Dio, attestate nella sacra Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Queste promesse, che rivelano il senso autentico della storia, hanno cominciato a realizzarsi in Gesù Cristo. Per i suoi discepoli, la pace è un dono della misericordia di Dio, per il quale preghiamo e che chiediamo al Signore per noi stessi e per tutti gli uomini. La visione biblica della pace è molto più ampia di quella politica. Il santo apostolo Paolo afferma che «la pace di Dio... sorpassa ogni intelligenza» (Fil 4,7). Essa è incomparabilmente più elevata di quella pace che gli uomini sono capaci di creare con i propri sforzi. La pace dell'uomo con Dio, la pace con se stesso e la pace con gli altri uomini sono inscindibili l'una dall'altra.

            Nei profeti veterotestamentari la pace è rappresentata come una condizione che conclude e perfeziona la storia: «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto... Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare» (Is 11,6-9). Questo ideale escatologico è connesso con la rivelazione del Messia, il cui nome è «Principe della pace» (Is 9,5). La guerra e la violenza spariranno dalla terra: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra» (Is 2,4). D'altra parte, la pace è non solo un dono del Signore, ma anche un compito dell'umanità. La Bibbia ci dà la speranza della realizzazione della pace con l'aiuto di Dio già entro i confini di questa esistenza terrena.

            Secondo la testimonianza del santo profeta Isaia, la pace è frutto della giustizia (Is 32,17). La Sacra Scrittura parla anche della giustizia di Dio e della giustizia umana. Entrambe hanno un nesso vitale con l'alleanza che Dio ha concluso con il popolo eletto (Ger 31,35). In questo contesto la giustizia viene prevalentemente intesa come fedeltà ai rapporti di alleanza. In quanto gli uomini infrangono l'alleanza con Dio, cioè in quanto essi non sono «giusti» – sono immorali – in tanto essi restano privi del frutto della giustizia, la pace. Nello stesso tempo uno degli elementi fondamentali delle leggi sinaitiche fu l'esigenza di un atteggiamento giusto – morale – verso il prossimo. I precetti della legge avevano lo scopo non di limitare in maniera gravosa la libertà dell'individuo, ma di edificare la vita della società sul principio della giustizia per acquisire una condizione relativa di pace, ordine e tranquillità. Per Israele questo significava che la pace nella vita sociale non si attua da sé, in virtù di una qualche legge naturale, ma che essa è possibile, in primo luogo, come dono della giustizia divina, e, in secondo luogo, come frutto degli sforzi religiosi dell'uomo, cioè della sua fedeltà a Dio. Laddove gli uomini rispondono con gratitudine e fedeltà alla giustizia di Dio, là «misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11). D'altro canto, la storia dell'Antico Testamento offre una moltitudine di esempi di infedeltà e di peccaminosa ingratitudine del popolo eletto. Questo dà motivo al profeta Geremia di indicare la causa della mancanza della pace in Israele, dove continuamente si ode il grido: «Pace! Pace! ma pace non c'è» (Ger 6,14). Il monito del profeta alla penitenza e alla conversione risuona come un canto di fedeltà alla giustizia di Dio. Nonostante i peccati del popolo, Dio promette di concludere con esso «un'alleanza nuova» (Ger 31,31).

            La pace nel Nuovo Testamento, così come nell'Antico, è considerata un dono dell'amore di Dio. Essa si identifica con la salvezza escatologica. La natura sovratemporale della pace, annunciata dai profeti, risulta in maniera particolarmente chiara nel vangelo di Giovanni. Nella storia continua a dominare il dolore, ma in Cristo i credenti trovano la pace (Gv 14,27; 16,33). La pace nel Nuovo Testamento è una condizione di grazia dell'anima umana, liberata dalla schiavitù del peccato. Proprio questo esprimono gli auguri di «grazia e pace» con cui il santo apostolo Paolo inizia le sue lettere. Questa pace è dono dello Spirito Santo (Rm 15,13; Gal 5,22). Lo stato di riconciliazione con Dio è lo stato positivo della creatura, «perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14,33). Da un punto di vista psicologico questa condizione si esprime nell'armonia interiore dell'anima, quando gioia e pace nella fede (Rm 15,13) diventano quasi sinonimi.

            La pace, per la grazia di Dio, caratterizza la vita della Chiesa sia nell'aspetto interiore che in quello esteriore. Ma, s'intende, il dono divino della pace dipende anche dagli sforzi umani. I doni dello Spirito Santo si manifestano solo là dove c'è il movimento dinamico del cuore umano che va incontro a Dio e con atteggiamento di umiltà e di pentimento aspira alla giustizia di Dio. Il dono della pace si manifesta quando i cristiani anelano a perseguirlo, «continuamente memori... del [loro] impegno nella fede, della [loro] operosità nella carità e della [loro] costante speranza nel signore nostro Gesù Cristo « (1 Ts 1,3). Le aspirazioni alla pace di ogni singolo membro del corpo di Cristo devono essere indipendenti dal tempo e dalle condizioni di vita. Graditi al Signore (Mt 5,9), tali sforzi porteranno i loro frutti dovunque e in qualsiasi tempo saranno compiuti. La pace, in quanto dono di Dio che trasfigura radicalmente l'uomo interiore, deve manifestarsi anche esteriormente. Esso va custodito e ravvivato (2 Tm 1,6), e per questo l'edificazione della pace diventa uno dei compiti della Chiesa di Cristo: «Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18); cercate «di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,3). L'invito neotestamentario a costruire la pace si fonda sull'esempio personale del Salvatore e sul suo insegnamento. E se i comandamenti della non resistenza al male (Mt 5,39), dell'amore verso i nemici (Mt 5,44) e del perdono (Mt 6,14-15) sono rivolti prima di tutto al singolo individuo, il comandamento sull'edificazione della pace – «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9) – ha un rapporto diretto con la morale sociale.

            La Chiesa ortodossa russa aspira a realizzare il suo servizio di edificazione della pace sia a livello nazionale che a livello internazionale, cercando di comporre le diverse contraddizioni e di indurre alla concordia popoli, gruppi etnici, governi e forze politiche. Per questo essa rivolge la sua parola a coloro che detengono il potere e agli altri strati influenti della società, e compie ogni sforzo per organizzare negoziati tra le parti avversarie e per portare aiuto a coloro che soffrono. La Chiesa inoltre si oppone alla propaganda della guerra e della violenza, come pure alle varie manifestazioni di odio, capaci di provocare conflitti fratricidi.

 

IX. Criminalità, punizione, correzione

 

 

I concetti di peccato e di reato

            IX.1. I cristiani sono chiamati a essere cittadini rispettosi delle leggi della patria terrena, secondo il principio per cui ciascuno deve essere «sottomesso alle autorità costituite» (Rm 13,1), e ricordando nello stesso tempo il comando di Cristo di rendere «a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc 20,25). Ma l'inclinazione al peccato insita nell'uomo genera il delitto, ovvero la violazione dei limiti posti dalla legge. Nel contempo, la nozione di peccato, definita dai principi morali ortodossi, è di gran lunga più ampia del concetto di reato nel diritto laico.

            La causa principale del delitto è lo stato di ottenebramento dell'anima dell'uomo: «Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» (Mt 15,19). È necessario anche riconoscere che a volte la criminalità è favorita dalle circostanze sociali ed economiche, dalla debolezza dell'autorità pubblica e dall'assenza di un ordine legittimo. Le organizzazioni criminali possono penetrare nelle istituzioni dello stato e servirsene per i propri scopi. Infine, il potere stesso, compiendo azioni illegali, può rendersi responsabile di un crimine. Particolarmente pericoloso è il crimine coperto da ragioni politiche e pseudoreligiose, come il terrorismo e manifestazioni simili.

            Per tenere sotto controllo i fenomeni di illegalità lo stato crea corpi di pubblica sicurezza, il cui scopo è la prevenzione del crimine, lo svolgimento delle indagini nonché la punizione e la rieducazione delle persone che li hanno commessi. Tuttavia lo sradicamento della criminalità e la correzione di coloro che hanno sbagliato sono compiti non solo delle istituzioni, e nemmeno solo dello stato, ma di tutto il popolo, il che significa anche della Chiesa.

 

La prevenzione della criminalità

            IX.2. La prevenzione della criminalità è possibile prima di tutto attraverso l'educazione e l'istruzione, dirette all'affermazione dei valori spirituali e morali autentici nella società. In questo compito la Chiesa ortodossa è chiamata a una cooperazione attiva con la scuola, con i mezzi di comunicazione di massa e con i corpi di pubblica sicurezza. Qualora nel popolo manchi un ideale morale positivo, nessuna misura di coercizione, di intimidazione o di punizione potrà fermare la cattiva volontà. Proprio per questo la forma migliore di prevenzione del crimine è l'educazione a uno stile di vita onesto e retto, specialmente nel mondo dei bambini e dei giovani. Grande attenzione a questo proposito bisogna rivolgere a quelle persone che appartengono ai cosiddetti gruppi «a rischio» o che hanno già commesso i primi reati. A tali persone deve essere rivolta una particolare cura pastorale ed educativa. I ministri del culto e i laici ortodossi sono chiamati a cooperare sia per eliminare le cause sociali della criminalità, mostrandosi solleciti per l’attuazione di un giusto ordine nella società e nell'economia e perché ogni membro della società si possa realizzare nella sua vita personale e professionale.

            Nel contempo, la Chiesa insiste sulla necessità di mantenere un atteggiamento umano verso coloro che sono sospettati, che si trovano sotto inchiesta e dei quali si è scoperta l'intenzione di violare la legge. Un trattamento crudele e degradante di queste persone può anche confermarle sulla strada sbagliata o spingervele. Ecco perché coloro che non sono stati condannati con una sentenza legale, trovandosi anche agli arresti, non devono essere privati dei loro diritti fondamentali. È necessario assicurare loro la difesa e un processo equo e imparziale. La Chiesa condanna la tortura e le diverse forme di umiliazione inflitte alle persone inquisite. Neppure allo scopo di aiutare le forze dell'ordine, un ministro del culto può violare il segreto della confessione o un altro segreto mantenuto per legge (per esempio, il segreto di adozione). Nella cura spirituale di coloro che hanno smarrito la retta via e sono stati condannati, i pastori che fossero venuti a conoscenza in confessione di quanto tenuto nascosto nell'istruttoria e all'organo giudiziario, si atterranno al segreto della confessione.

            La norma che prevede la difesa del segreto della confessione è contenuta nella legislazione di molti stati, compresa la Costituzione della Federazione russa e la legge russa «Sulla libertà di coscienza e sulle associazioni religiose».

            Il ministro del culto è chiamato a manifestare una particolare attenzione pastorale nei casi in cui in confessione gli vengano resi noti progetti di natura criminosa. Mantenendo senza eccezione e in qualsiasi circostanza il segreto della confessione, il pastore nello stesso tempo è tenuto a intraprendere tutti gli sforzi possibili perché quell’intento criminoso non si realizzi. In primo luogo questo riguarda il pericolo di un omicidio, specialmente le potenziali vittime di una strage, nel caso in cui venga compiuta un'azione terroristica o venga eseguito un ordine criminoso in tempo di guerra. Tenendo presente che l'anima di un potenziale criminale e quella della vittima designata hanno identico valore, il ministro del culto deve richiamare colui che si confessa a un sincero pentimento, cioè a rinunciare al suo proposito malvagio. Se questo richiamo non raggiungerà il suo scopo, il pastore, preoccupandosi di mantenere segreto il nome di colui che si è confessato e altre circostanze che possono rivelare la sua identità, può avvertire coloro la cui vita è in pericolo. Nei casi difficili il ministro del culto dovrà rivolgersi ai suoi superiori eparchiali.

 

La giusta punizione

            IX.3. Il reato commesso e condannato secondo la legge presuppone una giusta punizione, il cui significato è quello di correggere la persona che ha violato la legge, proteggere la società dal criminale e reprimerne le attività illegali. La Chiesa, pur senza ergersi a giudice di colui che ha violato la legge, è chiamata a preoccuparsi della cura della sua anima. Proprio per questo essa intende la pena non come una vendetta, ma come un mezzo di purificazione interiore di colui che ha peccato.

            Il Creatore, stabilendo una punizione per i rei, dice a Israele: «Estirperai da te il male» (Dt 21,21). La punizione di colui che ha infranto la legge serve da insegnamento agli uomini. Così, infliggendo una punizione per la falsa profezia, Dio dice a Mosè: «Tutto Israele lo verrà a sapere, ne avrà timore e non commetterà in mezzo a te una tale azione malvagia» (Dt 13,12). Nel libro dei Proverbi di Salomone leggiamo: «Percuoti il beffardo e l'ingenuo diventerà accorto, rimprovera l'intelligente e imparerà la lezione» (Pr 19,25). La tradizione veterotestamentaria conosce alcune forme di punizione: la pena di morte, l'esilio, la limitazione della libertà, le pene corporali, la pena pecuniaria o la prescrizione di portare un'offerta a scopo religioso.

            La detenzione, l'esilio (il confino), il lavoro correzionale e le sanzioni pecuniarie si conservano come punizione anche nel mondo contemporaneo. Tutti questi tipi di punizione giudiziaria non solo hanno senso dal punto di vista della difesa della società dalla volontà malvagia del reo, ma sono anche finalizzati alla sua rieducazione. Così, la privazione o la restrizione della libertà offre all'uomo che si è posto al di fuori della società la possibilità di trasformare la propria vita, per ritornare in libertà interiormente purificato. Il lavoro rende possibile l'educazione della persona in uno spirito costruttivo e permette di acquisire esperienze utili. Nel processo del lavoro correzionale le forze peccaminose negli abissi dell'anima devono lasciare il posto all’edificazione creativa, all'ordine, alla pace dell'anima. Nel contempo, è importante che quanti si trovano nei luoghi di detenzione non sperimentino un trattamento disumano, perché le condizioni di vita siano tali da non compromettere la loro vita e la loro salute, e sulla loro condizione morale non influisca l'esempio pernicioso di altri detenuti. Per questo lo stato ha il dovere di preoccuparsi dei carcerati, e in questa cura lo devono aiutare la società e la Chiesa.

            Nel cristianesimo l’atteggiamento benevolo verso i detenuti finalizzato alla loro rieducazione ha radici profonde. Il Signore Gesù paragona il bene fatto ai carcerati a un servizio prestato a lui stesso: «ero carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36). La storia ha conservato moltissimi esempi di aiuto portato da santi a persone che si trovavano in carcere. La tradizione ortodossa russa ha sempre raccomandato la misericordia verso i traviati. Sant'Innokentij, arcivescovo di Cherson, nella cappella della prigione di Vologda si rivolgeva ai prigionieri con queste parole: «Siamo venuti qui non per accusarvi, ma per darvi conforto e consolazione. Vedete voi stessi come la santa Chiesa con tutti i suoi sacramenti si sia avvicinata a voi, ora non allontanatevi voi da lei, avvicinatevi a lei con fede, con pentimento e con desiderio di conversione... Il Salvatore anche in questo momento tende dalla croce le braccia verso tutti quelli che si pentono; pentitevi anche voi, e passerete dalla morte alla vita!».

            Compiendo il suo ministero nei penitenziari, la Chiesa deve predisporvi templi e sale di preghiera, celebrare i sacramenti e gli uffici divini, condurre colloqui pastorali con i detenuti e diffondere la letteratura religiosa. Per questo è particolarmente importante il contatto personale con i detenuti, compresa la visita a essi nelle loro celle. Merita ogni incoraggiamento la corrispondenza con i condannati, la raccolta e l'invio di abiti, medicinali e di altri beni necessari. Tale attività deve essere diretta non solo al sollievo della penosa sorte dei detenuti, ma anche alla guarigione spirituale dell’anima di chi ha sbagliato. La loro malattia è il male di tutta la madre Chiesa, che gioisce della gioia celeste anche «per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,10). La rinnovata attenzione alla cura spirituale dei detenuti è un importante orientamento dell'opera pastorale e missionaria, che ha bisogno di sostegno e di sviluppo.

            Quale speciale misura punitiva, la pena di morte era ammessa nell'Antico Testamento. Indicazioni sulla necessità della sua abrogazione non si trovano né nella Sacra Scrittura del Nuovo Testamento, né nella tradizione né nell'eredità storica della Chiesa ortodossa. Nel contempo, la Chiesa si è spesso assunta il dovere di intercedere presso l'autorità civile a favore dei condannati a morte, chiedendo per essi clemenza e una commutazione della pena. Inoltre, l'influenza morale cristiana ha coltivato nella coscienza delle persone un atteggiamento negativo verso la pena capitale. Così, in Russia, dalla metà del XVIII secolo alla rivoluzione del 1905, essa è stata applicata molto raramente. Per la coscienza ortodossa la vita umana non finisce con la morte del corpo – proprio per questo la Chiesa continua a occuparsi di quanti sono stati condannati alla pena capitale.

            L'abolizione della pena di morte offrirebbe maggiori opportunità per il lavoro pastorale con colui che ha sbagliato e per la sua conversione personale. Per giunta è evidente che la pena di morte non può avere valore rieducativo, rende altresì irrimediabile l'errore giudiziario e risveglia sentimenti eterogenei e confusi nel popolo. Oggi molti stati hanno abolito la pena capitale per legge o non la applicano nella pratica. Ricordando che la misericordia verso colui che ha smarrito la retta via è sempre da preferire alla vendetta, la Chiesa incoraggia simili passi compiuti dai poteri dello stato. Nel contempo essa riconosce che la questione dell'abolizione o dell'inapplicabilità della pena di morte deve essere risolta dalla società in maniera libera, tenendo conto del tasso di criminalità, dell’organizzazione delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario, ma prima di tutto della necessità di salvaguardare la vita dei membri di buona volontà della società.

 

L’apporto della Chiesa

            IX.4. Desiderando contribuire all’eliminazione della criminalità, la Chiesa coopera con le forze dell’ordine. Nel rispetto della loro opera volta alla difesa dei cittadini e della patria dai progetti criminosi e alla rieducazione di coloro che hanno sbagliato, la Chiesa tende loro una mano per aiutarle. Tale aiuto può realizzarsi in molteplici opere educative e correttive comuni per la prevenzione e la riduzione della criminalità, in un'attività scientifica e culturale e nella cura pastorale degli stessi operatori della pubblica sicurezza. La cooperazione tra la Chiesa e le forze dell’ordine si basa sul diritto ecclesiastico e su particolari intese con i responsabili dei ministeri competenti.

            Tuttavia, il ministero pastorale della Chiesa, specialmente offerto nel sacramento della riconciliazione, è chiamato a essere il mezzo più efficace per eliminare la criminalità. A chiunque confessa un reato commesso e si pente il sacerdote deve assolutamente imporre, quale condizione indispensabile di assoluzione dal peccato, la rinuncia, dinanzi a Dio, a continuare l'attività criminosa. Solo in questo modo la persona sarà indotta ad abbandonare la via dell'illegalità e a ritornare a una vita virtuosa.

 

X. Problemi di morale individuale, familiare e sociale

 

I rapporti matrimoniali

            X.1. La differenza tra i sessi è un dono speciale del Creatore, da lui dato agli esseri umani. «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Essendo in pari grado portatori dell'immagine di Dio e della dignità umana, l'uomo e la donna sono creati per una unione totale e reciproca nell'amore: «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Attuando la volontà primordiale del Signore sulla creazione, l'unione coniugale da lui benedetta diventa un mezzo per continuare a moltiplicare il genere umano: «E Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela”» (Gen 1,28). Le peculiarità dei sessi non si riducono alle diversità della struttura corporea. L'uomo e la donna sonocome due modalitài diversie dell'esistenza nell'unica umanità. Essi hanno bisogno del i un dialogo e deli un reciproco completamento. Tuttavia nel mondo corrotto dal peccato i rapporti tra i sessi possono pervertirsi, cessando di essere un'espressione dell'amore divino e degenerando nella manifestazione di una peccaminosa e insana passione dell'uomo decaduto per il proprio «io».

            Pur attribuendo un grande valore alla scelta del celibato e d ealla castità volontari, assunti per amore di Cristo e del Vangelo, e pur riconoscendo il ruolo particolare del monachesimo nella propria storia e nella vita contemporanea, la Chiesa non ha mai avuto verso il matrimonio un atteggiamento di disprezzo e ha anzi biasimato coloro che per una aspirazione erroneamente intesa alla purezza hanno umiliato i rapporti matrimoniali.

            L'apostolo Paolo, pur avendo scelto per sé personalmente la verginità e pur avendo esortato altri a imitarlo in questo (1Cor 7,8), nondimeno condanna «l'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio» (1Tm 4,2-3). La 51a Costituzione apostolica recita: «Se qualcuno... rinuncia al matrimonio... non per amore della continenza religiosa, ma per un motivo di disprezzo, avendo dimenticato... che Dio, creando l'uomo, li ha fatti maschio e femmina, e così facendo disprezza la creazione, o si correggerà, oppure sarà destituito dalla dignità sacerdotale ed escluso dalla Chiesa». Questo principio viene sviluppato dai canoni 1°, 9° e 10° del Concilio di Gangra: «Se qualcuno condannerà il matrimonio e disprezzerà la moglie fedele e devota, che desidera congiungersi con il proprio marito, o la biasimerà affermando che lei non potrà entrare nel Regno [di Dio], su costui sarà anatema. Se qualcuno rimarrà vergine o si asterrà dai rapporti sessuali, rinunciando al matrimonio, perché lo disprezza, e non per amore della bellezza e della santità della verginità stessa, su costui sarà anatema. Se qualcuno di coloro che hanno scelto la verginità per amore del Signore si insuperbirà nei confronti di coloro che si sono uniti in matrimonio, su costui sarà anatema». Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa nella deliberazione del 28 dicembre 1998, richiamandosi a questi canoni, ha indicato la «inammissibilità dell'atteggiamento negativo o sprezzante verso il matrimonio».

 

Il matrimonio nella storia
e nella tradizione

            X.2. Secondo il diritto romano, che ha costituito il fondamento dei codici civili della maggior parte degli stati modernicontemporanei, il matrimonio è un contratto tra due parti libere nella propria scelta. La Chiesa ha fatto propria questa definizione del matrimonio, interpretandola sulla base delle testimonianze della sacra Scrittura.

            Il giurista romano Modestino (III sec.) ha dato la seguente definizione del matrimonio: «Il matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna, la comunanza di tutta la vita, la compartecipazione alla legge divina e umana». In maniera praticamente invariata qQuesta definizione è entrata praticamente invariata nei codici canonici della Chiesa ortodossa, in particolare nel «Nomocanon» del patriarca Fozio (IX sec.), nel «Syntagma» di Matteo Vlastar (XIV sec.) e nel «Procheron» di Basilio il Macedone (IX sec.), inserito nella slava «Kormchaja Kniga». Anche i padri e i maestri della Chiesa del cristianesimo primitivo si basarono sullae concezionie romanea del matrimonio. Così, Atenagora nella sua «Supplica intorno ai cristiani» indirizzata all'imperatore Marco Aurelio (II sec.), scrive: «Ciascuno di noi considera sua moglie quella che ha sposato secondo le leggi». Gli «Insegnamenti degli Apostoli», un testo del IV secolo, esortano i cristiani a «contrarre matrimonio secondo la legge».

            Il cristianesimo integra le concezioni pagane e veterotestamentarie sudel matrimonio con l'immagine sublime dell'unità di Cristo e delcon la Chiesa. «Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito» (Ef 5,22-33).

            Per i cristiani il matrimonio è diventato non semplicemente un contratto giuridico, un mezzo per continuare il genere umano e per soddisfare bisogni naturali temporanei, ma, secondo le parole di sans. Giovanni Crisostomo, è l'«amore mistico», l'unione eterna dei coniugi in Cristo. Da sempre i cristiani hanno impresso sul matrimonio il sigillo della benedizione della Chiesa e della partecipazione comune all'eucaristia, che è la forma più antica della celebrazione del sacramento del matrimonio.

            «È dovere degli sposi e delle spose di stringere la loro unione con l'approvazione del vescovo, affinché il matrimonio sia secondo il Signore e non secondo la concupiscenza», - scriveva il santo martire Ignazio Teoforo (di Antiochia). Secondo Tertulliano, il matrimonio deve essere «celebrato davanti alla Chiesa, confermato dal sacrificio eucaristico [eucaristia] e sigillato dalla benedizione, e a esso assistono gli angeli nei cieli». «È necessario invitare i sacerdoti e con preghiere e benedizioni confermare i coniugi nella vita in comune, affinché... i coniugi trascorrano la loro vita nella gioia, uniti con l'aiuto di Dio», diceva sans. Giovanni Crisostomo. Sant’S. Ambrogio di Milano prescriveva che «il matrimonio deve essere consacrato dall'intercessione e dalla benedizione del sacerdote».

            Nel periodo della cristianizzazione dell'Impero romano la legittimità del matrimonio era riconosciuta, come prima, da una registrazione pubblica ufficiale. Consacrando le unioni matrimoniali con la preghiera e la benedizione, la Chiesa riconosceva nondimeno la validità del matrimonio civile, limitato nell'ordine civile, nei casi in cui il matrimonio religioso non era possibile, e non sottoponeva i coniugi ai precetti canonici. La Chiesa ortodossa russa attualmente si attiene alla stessa prassi. Con questo essa non può approvare e benedire le unioni coniugali che sono concluse sia pure in conformità con la legislazione civile in vigore, ma incon violazione delle prescrizioni canoniche (per esempio, il quarto e successivi matrimoni, matrimoni illeciti a causa di vincoli di sangue o di parentela spirituale).

            Secondo la 74a Novella di Giustiniano (538), il matrimonio legittimo è concluso sia da un ecdicus (notaio ecclesiastico) che da un sacerdote. Tale norma fu inclusa nell'ecloga dell'imperatore Leone III e di suo figlio Costantino V (740), come puree anche nella legislazione di Basilio I (879). La condizione essenziale del matrimonio rimase il consenso reciproco dell'uomo e della donna, dichiarato davanti a testimoni. La Chiesa non espresse nessuna protesta contro questa pratica. Solo a partire dall'893, secondo l'89a Novella dell'imperatore Leone VI, alle persone libere fu fatto obbligo di celebrare il matrimonio con un rito religioso, e nel 1095 l'imperatore Alessio Comneno estese questa legge anche ai serviagli schiavi. L'introduzione del matrimonio religioso obbligatorio con un rito religioso (IX-XI secc.) significava che per deliberazione dell'autorità civile tutta la regolamentazione giuridica dei rapporti matrimoniali era demandata esclusivamente alla giurisdizione della Chiesa. Inoltre, l'introduzione universale di questa pratica non deve essere intesa come l'istituzione del sacramento del matrimonio, che da sempre è esistevaita nella Chiesa.

            L'ordinamento, stabilito da Bisanzio, fu adottato anche in Russia nei riguardi dei cittadini di religione ortodossa. Tuttavia, con l'adozione del decreto sulla separazione della Chiesa dallo stato (1918), il matrimonio celebrato con il rito ecclesiastico perse la sua validità giuridica; formalmente ai credenti fu concesso il diritto di ricevere la benedizione della Chiesa dopo la registrazione del matrimonio presso negli organi statali. Tuttavia, nel corso del lungo periodo della persecuzione della Chiesa da parte dello stato, la celebrazione di un matrimonio solenne in chiesa di fatto rimase estremamente difficoltosa e rischiosa.

            Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa del 28 dicembre 1998 notava con rammarico che «alcuni confessori dichiarano illegale il matrimonio civile o richiedono lo scioglimento del matrimonio tra coniugi che hanno convissutoconvivono daper molti anni senza essere sposati con rito religioso, per una qualche ragione , ma che a causa di questa o quella circostanza, non hanno celebrato il matrimonio in chiesa... Alcuni confessori non ammettono alla comunione le persone che vivono in una unione matrimoniale “non benedetta”, identificando tale matrimonio con la fornicazione». Nella decisione adottata dal Sinodo è spiegato: «Pur insistendo sulla necessità del matrimonio religioso, si ricorda ai pastori che la Chiesa ortodossa considera con rispetto il matrimonio civile».

            La comunanza della fede frade i coniugi che sono membri del corpo di Cristo, costituisce una condizione essenziale del matrimonio religioso e autenticamente cristiano. Solo una famiglia unita nella fede può diventare una «Chiesa domestica» (Rm 16,5; Fml 1,2), nella quale il marito e la moglie insieme con i figli crescono nella perfezione spirituale e nella conoscenza di Dio. L'assenza di unità di vedute rappresenta una seria minaccia all'integrità dell'unione coniugale. Proprio per questo la Chiesa considera suo dovere richiamare i credenti a sposarsi «solo nel Signore» (1Cor 7,39), cioè con colui o colei che condivide le proprie convinzioni cristiane.

            La risoluzione sopra ricordata del santo Sinodo parla anche del rispetto che la Chiesa ha «per quel matrimonio nel quale una sola delle parti appartiene alla fede ortodossa, in conformità con le parole del santo apostolo Paolo: “il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente” (1 Cor 7,14)». A questo testo della Sacra Scrittura si sono riferiti anche i padri del Concilio trullano, che riconobbero come autentica valida l'unione tra due persone che «pur essendo ancora non credenti e senza appartenere al popolo ortodosso, si sono uniti tra loro con un matrimonio civile», se in seguito uno dei coniugi si è rivoltoha abbracciato  alla fede (canone 72). Tuttavia nello stesso canone e in altri decreti canonici (IV Conc. Ecum. 14; Laod. 10,31), come pure in alcuni testi di scrittori cristiani antichi e di padri della Chiesa (Tertulliano, s. Cipriano di Cartagine, s. Teodoreto e s. Agostino), si proibisce di celebrare matrimoni tra ortodossi e seguaci di altre tradizioni religiose.

            In conformità con le antiche prescrizioni canoniche, la Chiesa anche oggi non concede la sua benedizione ai matrimoni conclusi contratti tfra ortodossi e non cristiani, però riconosce nello stesso tempo tali matrimoni come legittimi e non ritiene che coloro che costituiscono tali unioni matrimoniali vivano in un peccaminoso concubinato. Fondandosi su considerazioni di oikonomia pastorale, la Chiesa ortodossa russa, come nel passato, anche oggi considera ammissibile la celebrazione di matrimoni di cristiani ortodossi con cattolici, con membri delle Chiese orientali, e con protestanti, che professano la fede nel Dio unitrino, a condizione che la celebrazione del matrimonio avvenga nella Chiesa ortodossa e che i figli vengano educati alla fede ortodossa. Nel corso degli ultimi secoli la maggior parte delle chiese ortodosse ha seguito questa stessa prassi.

            Con il decreto del 23 giugno 1721, il santo Sinodo ammise, alle condizioni sopraindicate, la celebrazione dei matrimoni di prigionieri svedesi che si trovavano in Siberia con spose ortodosse. Il 18 agosto di quello stesso anno tale decisione del Sinodo ricevette una dettagliata giustificazione biblica e teologica in una speciale lettera sinodale. Su questa lettera si è fondato il santo Sinodo anche in seguito per risolvere le questioni dei matrimoni misti nei governatorati, annessi dalla Polonia e dalla Finlandia (decreti del santo Sinodo del 1803 e del 1811). In queste province, d'altra parte, era permesso di scegliere più liberamente l'appartenenza confessionale dei figli (temporaneamente questa prassi talvolta fu estesa anche alle province pribaltiche). Infine, le norme sui matrimoni misti per tutto l'impero russo vennero fissate definitivamente nello statuto dei Concistori religiosi (1883). Esempi di matrimoni misti furono le molte unioni matrimoniali dinastiche, per la cui celebrazione celebrazione non venne imposta la conversione all'ortodossia il passaggio della parte non ortodossa  non fu obbligatoria (a eccezione del matrimonio dell'erede al trono russo). Così la protomartire principessa Elisabetta si unì in matrimonio con il gran principe Sergej Aleksandrovic, rimanendo membro della Chiesa luterana evangelica, e solamente più tardi, di sua spontanea volontà e in tutta libertà, abbracciò l'ortodossia.

 

L’indissolublità del matrimonio

            X.3La Chiesa esige la fedeltà dei coniugi per tutta la vita e l'indissolubilità del matrimonio ortodosso, fondandosi sulle parole del Signore Gesù Cristo: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi... Chiunque ripudia la propria moglie, se non in  caso di concubinato, e ne sposa un'altra, commette adulterio» (Mt 19,6.9). Il divorzio è condannato dalla Chiesa come un peccato, perché esso reca gravi sofferenze spirituali sia ai coniugi (o per lo meno a uno di essi), e soprattutto ai figli. È fonte di estrema preoccupazione la situazione contemporanea, nella quale si assiste allo scioglimento disi scioglie un numero assai elevato di matrimoni, specialmente tra i giovani. Ciò che sta accadendo sta diventando un'autentica tragedia per l'individuo e per la società.

            Il Signore ha indicato come unica ragione ammissibile del divorzio l'adulterio che profana la santità del matrimonio e spezza il vincolo della fedeltà coniugale. Nei casi in cui vi siano vari conflitti tra i coniugi, la Chiesa considera come suoproprio compito pastorale ricorrere a tutti gli strumenti e i mezzi che le sono propri (insegnamento, preghiera, partecipazione ai sacramenti) per preservare l'integrità del matrimonio ed evitare il divorzio. Anche i I ministri del culto sono anche chiamati a dialogare con coloro che desiderano sposarsi, spiegando loro l'importanza e la serietà del passo che stanno per compierefare.

            Purtroppo, a volte, a causa dell'imperfezione che deriva dal peccato, i coniugi possono mostrarsi incapaci di custodire il dono della grazia, ricevuto nel sacramento del matrimonio, e di preservare l'integrità della famiglia. Desiderando la salvezza dei peccatori, la Chiesa dà loro la possibilità di ravvedersi ed è pronta, dopo il pentimento, a riammetterli di nuovo ai sacramenti.

            Le leggi di Bisanzio, introdotte dagli imperatori cristiani senzae che non hanno incontrareto la condanna della Chiesa, ammettevano diverse motivazioni per il divorzio. Nell'impero russo lo scioglimento del matrimonio in base alle leggi in vigore avveniva in un tribunale ecclesiastico.

            Nel 1918, nella sua «Risoluzione sui motivi validi per lo scioglimento dell'unione matrimoniale consacrata dalla Chiesa», il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa riconosceva come talivalidi motivi, oltre all'adulterio e al la contrazionestipulazione di un nuovo matrimonio da parte di uno dei coniugia delle parti, anche l'apostasia del marito o della moglie dall'ortodossia,  ala perversione, l'impotenza sessuale iniziata prima del matrimonio o comparsa in seguito a un'a intenzionale automutilazione intenzionale, la malattia della lebbra o della sifilide, la prolungata assenza di un coniuge senza dare notizie di sé, la condanna a una pena connessa con la privazione di tutti i diritti civili, l'attentato alla vita o alla salute del coniuge o dei figli, la relazione amorosa extraconiugale con una cognata, la ruffianeria, lo sfruttamento della prostituzione della moglie, una grave malattia mentale incurabile e il malevolo abbandono di un coniuge da parte dell'altro. Al giorno d'oggi questo elenco di motivazioni per lo scioglimento del matrimonio è integrato da ragioni quali l'alcolismo cronico o la tossicodipendenza accertati da un medico,  e l'esecuzione da parte della donna di un aborto senza il consenso del marito.

            Per la formazione spirituale di coloro che intendono sposarsi e per contribuire al consolidamento dei vincoli coniugali, i sacerdoti sono chiamati, nel colloquio che precede la celebrazione del Ssacramento del matrimonio, a chiarire in maniera particolareggiata al fidanzato e alla fidanzata che  l'unione matrimoniale religiosa è indissolubile, specificando che il divorzio come extrema ratio può aver luogo solo nel caso che in cui i coniugi abbiano commesso azioni che sono definite dalla Chiesa come ragioni valide per il divorzio. Il consenso allo scioglimento del matrimonio religioso non può essere dato per soddisfare un capriccio o per «confermare» il divorzio civile. Del resto, se la disgregazione del matrimonio è un fatto compiuto – in particolare nel caso in cui i coniugi vivano separatamente – e la ricostituzione della famiglia sia considerata riconosciuta come impossibile, può essere concesso anche il anche il divorzio ecclesiastico qualora il pastore lo ritenga opportuno. La Chiesa non incoraggia affatto le seconde nozze. Nondimeno dopo  un divorzio ecclesiastico legittimo, in conformità con il diritto canonico, un secondo matrimonio è permesso al coniuge incolpevole. A coloro che portino la responsabilità della disgregazione e dello scioglimento del loro, il cui primo matrimonio si sia disgregato e sia stato sciolto per loro colpa, la stipulazione di un secondo matrimonio è permesso contrarre un secondo matrimonioa solo a condizione che essi si siano pentiti e abbiano adempiuto  dopo l'adempimento della penitenza sacramentale, imposta in conformità con le leggi canoniche. Nei casi eccezionali in cui venga permesso il terzo matrimonio, viene prolungato il periodo della penitenza sacramentale, secondo in conformità con le norme di Basilio Magno, viene prolungato.

            Nella sua «Risoluzione» del 28 dicembre 1998, il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha condannato le azioni di quei confessori che «proibiscono ai loro figli spirituali di contrarre un secondo matrimonio in base al fatto che il secondo matrimonio sarebbe condannato dalla Chiesa; e proibiscono alle coppie di coniugi il divorzio nel caso in cui, per una qualche circostanza, la vita familiare sia diventata per i coniugi insostenibile». A questo proposito il santo Sinodo ha deliberato che «i pastori dovrebbero ricordare che riguardo al secondo matrimonio la Chiesa ortodossa si attiene alle parole dell'apostolo Paolo: «Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato... La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore» (1 Cor 7,27-28.39)».

 

Chiesa domestica

            X.4. La particolare intimità esistente tra la famiglia e la Chiesa è già evidente dal fatto che nella Sacra Scrittura Cristo parla di sé come dello sposo (Mt 9,15; 25,1-13; Lc 12,35-36), mentre la Chiesa è rappresentata come sua Ssposa o promessa sposa (Ef 5,24; Ap 21,9). Clemente  Alessandrino definisce la famiglia – come pure la Chiesa – casa del Signore, e sans. Giovanni Crisostomo definisce la famiglia «piccola Chiesa». «Vi dico ancora, - scrive il padre santo, - che il matrimonio è l'immagine mistica della Chiesa».. Questa «Chiesa domestica» è formata dall'uomo e dalla donna che si amano reciprocamente, uniti in matrimonio, e orientati a Cristo e da lui guidati. Frutto del loro amore e della loro unione sono i figli, la nascita ed educazione dei quali, secondo la dottrina ortodossa, costituisconoe uno dei fini più importanti del matrimonio.

            «Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo»,  esclama il sSalmista (Sal 127,3). Della natura salvifica propria della procreazione di figli ha parlato l'apostolo Paolo (1 Tim 2,13). Ancora Paolo ha esortato i padri: «Non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore» (Ef 6,4). «I figli non sono un acquisto casuale, noi siamo responsabili della loro salvezza... Trascurare i figli è il più grande di tutti i peccati perché porta all'estrema empietà... Non abbiamo scuse se i nostri figli sono depravati», insiste sans. Giovanni Crisostomo. Ssant’Efrem il Siro insegna: «Beato colui [colei] che educa i figli nella pietà».. «Vero padre non è colui che ha generato dei figli, ma colui che li ha educati e istruiti bene», scrive sans. Tichon Zadonskij. Principalmente i genitori sono responsabili dell'educazione dei propri figli ed essi non possono attribuire la colpa di una cattiva educazione a altri che a se stessi», predicava il santo martire Vladimir, metropolita di Kiev. «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio», recita il quinto comandamento (Es 20,12). Nell'Antico Testamento la mancanza di rispetto nei confronti dei genitori era considerata come la più grave trasgressione (Es 21,15.17; Pr 20,20; 30,17). Anche il Nuovo Testamento insegna ai figli addi obbedire con amore ai genitori: «Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore» (Col 3,20).

            La famiglia come Cchiesa domestica è un unico organismo, le cui membra vivono e costruiscono le proprie relazioni sulla base della legge dell'amore. L'esperienza dei rapporti familiari insegna alla persona a vincere il' proprio peccaminoso egoismo frutto del peccato e getta le basi di un sano spirito civico. Proprio nella famiglia, come in una scuola di devozione, si forma e si rafforza un giusto atteggiamento verso il prossimo, e quindi verso il proprio popolo e la società nel suo complesso. La viva continuità delle generazioni, cominciando nella famiglia, si prolunga nell'amore per gli avi e per la patria, in un sentimento di compartecipazione alla storia. Ecco perché è tanto pericoloso deteriorare i legami tradizionali tra genitori e figli, cui purtroppo per molti aspetti contribuisce il modo di vivere della società contemporanea.  La perdita di significato valenza sociale della maternità e della paternità rispetto ai successi ottenuti dagli uomini e dalle donne in campo professionale induce alla diffusione della mentalità secondofa sì che la quale i figli sianocominciano ad essere considerati come un fardello inutile e, contribuisce endo anche all'alienazione e allo sviluppo di un antagonismo tra le generazioni. Il ruolo della famiglia nella formazione della personalità è esclusivo e straordinario; nessun'altra istituzione sociale la può sostituire. L'erosione dei rapporti familiari comporta è connessa inevitabilmente con la deformazione  lo sconvolgimento del normale sviluppo dei figli e lascia in loro una lunga, e in certa misura indelebile, traccia per tutta la vita.

            GUna gravissima ,e  scandalosa piaga della società contemporanea è diventatao l'abbandono dei figli da parte dei genitori. Migliaia di bambini abbandonati, che riempiono gli orfanotrofi, e a volte vivono sulla strada, sono la testimonianza di un profondo malessere della società. Offrendo a questi bambini e ragazzi un aiuto spirituale e materiale, e preoccupandosi che siano coinvolti nella vita religiosa e sociale, la Chiesa nello stesso tempo considera come suo dovere essenziale cercare di consolidare l'istituzione della famiglia e di suscitare nei genitori la coscienza della propria vocazione, cosa che eliminerebbe la tragedia dell’abbandono dei minori bambino abbandonato.

 

Dignità e vocazione della donna

            X.5. Nel mondo precristiano era cosa comune considerare la donna come un essere di ordine inferiore rispetto all'uomo. La Chiesa di Cristo ha rivelato pienamente la dignità e la vocazione della donna, dandovi ad esse un solido fondamento religioso, al cui vertice sta la venerazione della Ssantissima Madre di Dio. Secondo la dottrina ortodossa, la beatissima Maria, benedetta fra tutte le donne (Lc 1,28), ha rivelato fino a quale altissimo grado di purezza morale, di perfezione spirituale e di santità, l'umanità ha potuto elevarsi, superando anche la virtù delle schiere angeliche. In lLei la maternità è resa sacra e si afferma l'importanza del principio femminile. Grazie all'assenso della Madre di Dio si compie il mistero dell'Iincarnazione, per mezzo del quale Maria diviene compartecipe dnell'evento della salvezza e della rigenerazione dell'umanità. La Chiesa ha una profonda venerazione per le donne mirofore del VVangelo, e per le numerose figure di donne cristiane, glorificate dal martirio, dalla professione della loro fede e dalla santità delle loro virtù. Sin dagli inizi dell'esistenza della comunità cristiana, la donna donna prende parte attivaha preso parte attiva nealla sua edificazione, allanella vita liturgica, all’nella attività missionaria, nealla predicazione, nealla catechesi e allanella carità.

            Pur apprezzando molto il ruolo sociale dellae donnea e approvandone la loro parità politica, culturale e sociale con l’uomogli uomini, la Chiesa nello stesso tempo si oppone alla tendenza a sminuire il ruolo della donna come sposa e madre. La parità fondamentale della dignità dei sessi non sopprime la differenza naturale che c'è tra essi, né implica l'identità delle loro vocazioni nei confronti sia dellanell’ambito della famiglia che della società. In particolare, la Chiesa non può contraddire le parole dell'apostolo Paolo sulla peculiare responsabilità del marito, che è chiamato a essere «il capo della moglie», amandola come Cristo ama la sua Chiesa, e anche sulla vocazione della moglie a obbedire al marito, come la Chiesa obbedisce a Cristo (Ef 5,22-23; Col 3,18). In queste parole, ovviamente, non ci si riferisce al dispotismo del marito o all'asservimento della moglie, ma alla supremazia nella responsabilità, nella sollecitudine e nell'amore; non bisogna però dimenticare che tutti i cristiani sono chiamati a essere «sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5,21). Per questo «nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio» (1Cor 11,11-12). 

            I Rrappresentanti di alcuni movimenti sociali tendono a sminuire, e talora anche a negare del tutto, l'importanza del matrimonio e dell'istituto familiaredella famiglia, rivolgendo l'a loro attenzione soprattutto alle attività socialmente significative delle donne, comprese quelle incompatibili o poco compatibili con la natura femminile (per esempio, un lavoro manuale pesante). Non di rado si fa appello a una artificiosa equiparazione della partecipazione fra delle uomo e donnadonne e degli uomini in tutti i campi dell'attività umana. La Chiesa invece vede la vocazione della donna non nella semplice emulazione dell'uomo o nella competizione con lui, ma nello sviluppo di tutte le capacità e le abilità di cui l'ha dotata il Signore, comprese quelle che sono peculiari solo alla sua natura. Evitando di porre l'accento esclusivamente sulla sistema della distribuzione delle funzioni sociali, l'antropologia cristiana attribuisce alla donna un posto molto più alto di quello che le è assegnato nelle concezioni areligiose contemporanee. La tendenza a eliminare o a minimizzare le differenze naturali nel campo sociale è estranea al pensiero della Chiesa. Le differenze sessuali, come le differenze sociali ed etiche, non impediscono di accedere alla salvezza, portata da Cristo a tutti gli esseri umani: «nNon c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Tuttavia questa affermazione soteriologica non implica un artificioso impoverimento della varietà che c'è tra gli esseri umani e non deve essere estesa meccanicamente a tutte le relazioni sociali.

 

 

La virtù della castità

            X.6. La virtù della castità, predicata dalla Chiesa, è il fondamento dell'unità interiore della personalità umana, che dovrebbe sempre trovarsi in una condizione di armonia tra le energie spirituali e fisiche. La fornicazione distrugge inevitabilmente l'armonia e l'integrità della vita dell'uomo, danneggiandone la sua salute spirituale. La dissolutezza offusca la visione spirituale e indurisce il cuore, rendendolo incapace di amore autentico. La felicità di una vita familiare piena diventa irraggiungibile per il dissoluto. In tal modo, il peccato contro la castità trascina con sé anche conseguenze sociali negative.  Nella condizione di una crisi spirituale della società umana, i mass mediaezzi di comunicazione di massa e i prodotti della cosiddetta cultura di massa spesso diventano strumenti di corruzione morale, esaltando il lassismo sessuale, ogni genere di perversione sessuale, e altre passioni peccaminose. La pornografia, che è lo sfruttamento dell'istinto sessuale per scopi commerciali, politici o ideologici, contribuisce al soffocamento dei principi spirituali e morali, riducendo in tal modo l'uomo al livello dell'animale, che è guidato dal solo istinto.

            La propaganda del vizio è particolarmente dannosa per le anime non ancora ben formate dei bambini e dei giovani. Attraverso libri, films ed altri video, attraverso i mezzi di comunicazione di massa e persino attraverso alcuni programmi «educativi» agli adolescenti viene spesso inculcata una visione dei rapporti sessuali che è estremamente umiliante per la dignità umana, perché non lascia spazio a concetti quali la castità, la fedeltà coniugale e l'amore capace di abnegazione. I rapporti intimi tra l'uomo e la donna non solo vengono esibiti ed esposti in maniera ostentata, offendendo il naturale senso del pudore, ma sono anche presentati come un atto di soddisfacimento puramente fisico, privo di qualsiasi connessione con una profonda comunione interiore e con qualsiasi genere di impegno morale. La Chiesa invita i credenti a lottare, in collaborazione con tutte le forze moralmente sane, contro la propagazione di questa tentazione diabolica che, contribuendo alla disgregazione della famiglia, mina le fondamenta della società.

            «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore», dice il Signore Gesù nel dDiscorso della montagna (Mt 5,28). «La concupiscenza concepisce e genera il peccato, quand'è consumata produce la morte», ammonisce l'apostolo Giacomo (Gc 1,15). «... Nné adulteri... erediteranno il regno di Dio», afferma l'apostolo Paolo (1Cor 6,9-10). Queste parole possono essere pienamente attribuite sia ai fruitori sia, ancor più, a coloro che producono materiale pornografico. A questi ultimi si applicano anche le parole di Cristo: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare... Guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Mt 18,6-7). «La fornicazione è un veleno che uccide l'anima... Chi fornica rinnega Cristo», insegnava sans. Tichon Zadonskij. Ssan Dimitrij di Rostov scriveva: «Il corpo di ogni cristiano, non appartiene a lui, ma a Cristo, secondo le parole della Scrittura: "'Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte"' (1Cor 12,27). Ed è sconveniente per te profanare il corpo di Cristo con azioni carnali, lussuriose, al di fuori del matrimonio legittimo. Tu infatti sei la casa di Dio, secondo le parole dell'Apostolo: '"Santo è il tempio di Dio, che siete voi'" (1Cor 3,17)». La Chiesa antica negli scritti dei suoi padri e maestri (come Clemente Alessandrino, sans. Gregorio di Nissa e sans. Giovanni Crisostomo) ha invariabilmente condannato le rappresentazioni teatrali e le immagini oscene. Sotto la minaccia dell'esclusione dalla Chiesa, il 100° canone del Concilio trullano proibisce di produrre «immagini... che corrompono la mente e suscitano l'eccitamento dei piaceri impuri».

            Il corpo umano è una stupenda creazione di Dio ed è destinata a diventare tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19-20). Condannando la pornografia e la fornicazione, la Chiesa non invita affatto a disprezzare il corpo o l'intimità sessuale come tali, perché i rapporti fisici tra l'uomo e la donna sono benedetti da Dio nel matrimonio, dove essi diventano la fonte della continuazione del genere umano ed esprimono l'amore casto, la piena comunione e l'«armonia delle anime e dei corpi» dei coniugi, per cui la Chiesa prega nella celebrazione del sacramento del matrimonio. Al contrario, ciò che di fatto va condannato è la tendenza a trasformare trasformazione di questi rapporti puri e degni secondo il progetto di Dio, e lo stesso corpo umano in un oggetto di umiliante sfruttamento umiliante e di commercio, per trarre un soddisfacimento egoistico, impersonale, privo di amore e pervertito. Per questa ragione la Chiesa condanna invariabilmente la prostituzione e la predicazione del cosiddetto amore libero, che separa radicalmente l'intimità fisica dalla comunione personale e spirituale, dall'abnegazione e dalla totale responsabilità reciproca, che sono possibili solo nella fedeltà coniugale per tutta la vita.

            Consapevole che la scuola, insieme alla famiglia, deve offrire ai bambini e agli adolescenti le nozioni sulla sessualità e sulla natura fisica dell'essere umano, la Chiesa non può approvare quei programmi di «educazione sessuale», che riconoscono come normali i rapporti prematrimoniali e, tanto più, le diverse perversioni. È assolutamente inaccettabile imporre tali programmi agli studenti. La scuola è chiamata a contrastare il vizio, che disgrega l'integrità della persona, a educare i giovani alla castità e a prepararli a creare una famiglia solida fondata sulla fedeltà e la purezza.

 

XI. La salute individuale e sociale

 

 

La cura delle malattie

            XI.1. La tutela della salute umana – spirituale e fisica – è sempre stata una delle preoccupazioni della Chiesa. NeDalla prospettiva ortodossa, tuttavia, la salute fisica separata dalla salute spirituale non è un valore assoluto. Il Signore Gesù Cristo, predicando con le parole e con le azioni, guariva le persone preoccupandosi non solo del loro corpo, ma prima di tutto dell'anima e in generale dell’integritào stato integrale della persona. Il Salvatore, sSecondo le sue stesse parole dello stesso Salvatore, egli curava «tutto l'uomo» (Gv 7,23). Le guarigioni accompagnavano la predicazione del VVangelo come segno del potere del Signore di perdonare i peccati. Esse furono parte integrante anche della predicazione apostolica. La Chiesa di Cristo, dotata dal suo Ddivino Fondatore, di tutti i doni dello Spirito Santo, sin dagli inizi fu una comunità di guarigione, e ancorhe oggi, nel sacramento della confessione, ricorda ai suoi figli che essi sono venuti come a una «infermeria» per uscirne risanati.

            L'atteggiamento biblico verso la medicina è espresso in maniera chiarissima nel libro di «Gesù figlio di Sira»: «Onora il medico come si deve secondo il bisogno, anch'egli è stato creato dal Signore... Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l'uomo assennato non li disprezza... Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse il medico cura ed elimina il dolore e il farmacista prepara le miscele. Non verranno meno le sue opere! Da lui proviene il benessere sulla terra. Figlio, non avvilirti nella malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà. Purìficati, lavati le mani; monda il cuore da ogni peccato... Fa' poi passare il medico – il Signore ha creato anche lui – non stia lontano da te, poiché ne hai bisogno. Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani. Anch'essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita» (Sir 38,1-2.4.6-10.12-14). I migliori rappresentanti della medicina antica, che la Chiesa ha canonizzato, hanno espresso un particolare modello di santità – si tratta dei taumaturghi che operavano in modo totalmente disinteressato: sono coloro che furono privi di qualsiasi interesse per il denaro e i taumaturghi. Essi furono glorificati non solo perché molto spesso coronarono la propria esistenza terrena con il martirio, ma anche perché accolsero la vocazione di medici nel senso del  come il dovere cristiano diella misericordia.

            La Chiesa ortodossa ha sempre considerato con grande rispetto l'attività dei medici, al cui fondamentofondata su sta il servizio dell'amore finalizzato a prevenire e a curare le sofferenze umane. La guarigione della natura umana degradata dalla malattia appare come la realizzazione del progetto di Dio sull'uomo: «Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Ts 5,23). Il corpo, libero dalla schiavitù delle passioni peccaminose e delle malattie che ne derivano, loro conseguenze - le malattie, deve servire l'anima, mentre le energie spirituali e le facoltà spirituali, trasformate dalla grazia dello Spirito Santo, devono tendere allo scopo ultimo e alla vocazione dell'uomo, che è la deificazione divinizzazione. Ogni autentica terapia è chiamata a essere parte di questo miracolo di guarigione , compiuto nella Chiesa di Cristo. Nel contempo, bisogna distinguere tra la potenza taumaturgica della grazia dello Spirito Santo, data nella fede nell'uUnico Signore Gesù Cristo mediante la partecipazione ai sacramenti della Chiesa e alle preghiere, e gli scongiuri, le formule magiche, e altre manipolazioni magiche e superstizioni.

            Molte malattie restano inguaribili, e provocano sofferenze e morte. Di fronte a tali infermità, il cristiano ortodosso è chiamato ad affidarsi alla volontà benevola di Dio, ricordando che il senso della vita non si riduce alla vita terrena, che è essenzialmente una preparazione all'eternità. La sofferenza è una conseguenza non solo dei peccati personali, ma anche della corruzione e dei limiti della natura umana, e come tale deve essere sopportata con pazienza e con speranza. Il Signore accetta volontariamente la sofferenza per la salvezza del genere umano: «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Questo significa che a Dio è piaciuto fare della sofferenza uno strumento di salvezza e di purificazione, che può essere efficace per chiunque la sopporta con umiltà e con fiducia nella volontà salvifica di Dio. Secondo le parole di sans. Giovanni Crisostomo, «chi ha imparato a ringraziare Dio per le proprie infermità, costui non è lontano dalla santità». Quanto detto non significa che il medico o il malato non debbano fare ogni sforzo per lottare contro la malattia. Tuttavia, quando le risorse umane sono esaurite, il cristiano deve ricordare che la potenza di Dio si attua nella debolezza dell'uomo e che nei più profondi abissi della sofferenza egli può incontrare Cristo, che si è addossato le nostre debolezze e le nostre infermità (Is 53,4).

 

L’attività della Chiesa
nel settore della sanità

            XI.2. La Chiesa esorta sia i pastori che i propri figlifedeli a portare la loro testimonianza cristiana tra coloro che operano nel campo sanitariogli operatori della sanità. È molto importante che docenti e studenti di istituti e facoltà di medicina prendano conoscenza dei fondamenti della dottrina ortodossa e dell'etica biomedica ispirata dalla fede ortodossa (v. XII). L'attività pastorale della Chiesa nel settore della sanità consiste sostanzialmente nella , diretta alla proclamazione della parola di Dio e nelal dono della grazia dello Spirito Santo a coloro che soffrono e a coloro che si prendono cura di loro, costituisce la sostanza della cura delle anime nella sfera della cura della salute. Importanza centrale hanno Un posto principale in essa occupa la partecipazione ai sacramenti della salvezzasalvifici, la creazione di un'atmosfera di preghiera nelle strutture sanitarie, e l'offerta ai loro pazienti di un'assistenza totale animata dalla carità onnicomprensiva. La missione della Chiesa nell'ambito sanitario è un dovere non solo dei ministri del culto, ma anche dei laici – di coloro che operano in campo sanitario – che sono chiamati a creare tutte le condizioni idonee per il conforto religioso degli ammalati che lo chiedono in maniera diretta o indiretta. Il medico credente dovrebbe capire che una persona che ha bisogno di aiuto, si aspetta da lui non solo una terapia appropriata, ma anche un sostegno spirituale, specialmente quando il medico ha una concezione del mondo nella qualeche s si rivela il mistero della sofferenza e della morte. Essere per il paziente il misericordioso samaritano della parabola evangelica è dovere di ogni operatore sanitario ortodosso.

            La Chiesa benedice le confraternite religiose maschili e femminili ortodosse che svolgono la loro opera in cliniche e in altri istituti di cura, e contribuisce alla creazione di cappelle negli ospedali e di ospedali ecclesiastici e monastici, affinché l'assistenza medica sia associata alla cura pastorale medica in tutte le fasi della cura e della riabilitazione sia associata alla cura pastorale. La Chiesa esorta i laici a prestare tutta l'assistenza possibile agli ammalati per alleviare le sofferenze umane con un amore e una cura animata dalla carità.

 

La concezione della medicina

            XI.3. Il problema della salute dell'individuo e della popolazione non è per la Chiesa un problema esterno e puramente sociale, perché ha direttamente a che fare con la sua missione nel mondo corrotto dal peccato e dalle infermità. La Chiesa è chiamata a a partecipare, in collaborazione cooperare con le strutture dello stato e con le associazioni pubbliche interessate, allo sviluppo di una concezione dell’assistenza sanitaria nazionale a tutela della salute della popolazione, in cui ogni persona possa esercitare il proprio diritto alla salute spirituale, fisica e psichica, e al benessere sociale, godendo di un’aspettativa di vita che sia lacon l'aspettativa di durata della vita più elevata possibile.

            I rapporti medico-paziente devono essere costruiti sul rispetto dell'integrità, sulla della libera scelta e desulla dignità della persona. La manipolazione dell'uomo è inammissibile anche per le migliori finalità più nobili. La Chiesa Nnon si può che non approvare lo sviluppo del dialogo medico-paziente che sta avendo luogo nella medicina contemporanea favorisce. Tale approccio è senza dubbio radicato nella tradizione cristiana, anche se vi è sussiste la tentazione di ridurlo a un livello puramente contrattuale. Nel contempo, è opportuno riconoscere che il più tradizionale modello «paternalistico» del rapporto medico-paziente, giustamente criticato per i frequenti tentativi di giustificare gli arbitrii del medico, può essere anche un approccio autenticamente paterno al malato, se dettato dalla coscienza morale del medico.

            Senza dare la preferenza a alcun particolare modello organizzativo di assistenza medica, la Chiesa ritiene che questa assistenza debba essere il più possibile efficace e accessibile per tutti i membri della società, indipendentemente dalle loro risorse materiali e dalla posizione sociale, anche quando le nella situazione di risorse mediche siano limitate. Perché la distribuzione di queste risorse sia veramente equa, il criterio delle «necessità vitali» deve prevalere sul criterio dei «rapporti di mercato». Il medico non deve adeguare il grado della propria sua responsabilità di prestare l'assistenza sanitaria esclusivamente al compenso economico e alla sua entitàconsistenza, trasformando così la propria professione in una fonte di arricchimento personale. Nello stesso tempo, assicurare un'a equa retribuzione per il lavoro degli operatori sanitari èrappresenta un importante compito della società e dello stato.

            Pur riconoscendo i possibili benefici derivanti dal fatto che la medicina si sta sempre più orientando verso la prognosi e la prevenzione, e approvando unala concezione integrale diella salute e della malattia, la Chiesa mette in guardia dai tentativi di assolutizzare qualsiasi particolare teoria medica, richiamando l'importanza di mantenere le priorità spirituali nella vita umana. Sulla base della sua secolare esperienza, la Chiesa mette in guardia anche dal rischio di introdurre, sotto la copertura della «medicina alternativa», pratiche magicohe-occulte sotto la copertura della  "medicina alternativa", che sottomettonoe la volontà e la coscienza delle persone all'influenza dellei potenze demoniache. Ogni persona deve avere il diritto e l'effettiva possibilità di rifiutare tali metodi di condizionamento influenza desul proprio organismo, che contrastano con le sue proprie convinzioni religiose.

            La Chiesa ricorda che la salute fisica non è fine a se stessa, essendo in quanto è solo uno degli aspetti dell'essere umano integrale. Tuttavia non si può non riconoscere che per tutelare la salute dell'individuo e della popolazione sono molto importanti le misure profilattiche e, la creazione di reali condizioni perché le persone possano impegnarsi nella cultura fisica e nello sport. Nello sport la competizione è naturale. MaTuttavia non se ne puòpossono essere approvareti l'i gradi estremia della sua commercializzazione, l'esaltazione del culto dell'orgoglio che ne consegue, le manipolazioni con sostanze dopanti rovinose nocive alper la salute, e tanto più quelle competizioni durante le quali vengono deliberatamente inflitti gravi traumi.

 

La crisi demografica

            XI.4. La Chiesa ortodossa russa con profonda inquietudine constata la crisi demografica in cui si trovano che i popoli che essa ha tradizionalmente nutrito, ora si trovano in una condizione di crisi demografica. Il tasso di natalità e l’aspettativa di vita mediaa durata media della vita si sono drasticamente ridotti, mentre e la popolazioneil numero di abitanti è in continua diminuzione diminuisce continuamente. La vita è minacciata da epidemie, dall'aumento delle malattie cardiovascolari, mentali, veneree e da altre patologie,  dealla tossicodipendenza e daell'alcolismo. Sono in aumento le patologie infantili, tra le quali la deficienza mentale. I problemi demografici contribuiscono a snaturare portano alla deformazione della struttura della società, e fanno diminuire all'abbassamento deil potenziale creativo dei popoli, e sonosta diventando una delle cause dell'indebolimento della famiglia. All’origine del calo demografico Le ragioni principali che hanno portato al decremento della popolazione e dealla criticatica situazione situazione sanitaria dei questi popoli menzionati, nel XX secolo vi sono state soprattutto le guerre, lae rivoluzionei, la fame e le repressioni di massa, le cui conseguenze sono state aggravate dalla profonda crisi sociale alla fine del secolo.

            I problemi demografici sono costantemente al centro dell'attenzione della Chiesa. Essa è chiamata a seguire da vicino i processi legislativi e amministrativi per scongiurareallo scopo di evitare che vengano prese decisioni che aggraverebberoino ulteriormente la situazione. È necessario portare avanti un dialogo continuo con l'autorità statale, e con i mezzi di comunicazione di massa per chiarire le posizioni della Chiesa riguardo alla politica demografica e alla politica sanitaria. La lotta contro il calo demografico deve essere inclusa nelle iniziative di  includere il sostegno attivo adella ricerca medico-scientifica e d aei programmi sociali intesi alla tutela della maternità e dell'infanzia, dell'embrione e del neonato. Lo stato è chiamato a sostenere, con tutti i mezzi di cui dispone, la nascita e una corretta educazione dei figli.

 

La corruzione umana prodotta dal peccato
e le malattie mentali

            XI.5. La Chiesa considera le malattie mentali come una delle manifestazioni della generale corruzione peccaminosa della natura umana prodotta dal peccato.  I santi padri, individuando distinguendo nella struttura della personalità il livello spirituale, quello mentale e quello fisico della sua organizzazione, distinguevano le malattie che si sviluppavano «dalla natura» e le infermità provocate dall'influsso diabolico o dall’asservimento alle passioninate come conseguenza delle passioni che hanno asservito l'uomo. In conformità con questa distinzione, appare egualmente inaccettabilegiustificabile sia ridurre tutte le malattie mentali a manifestazioni di possessione diabolica, il che comporta il compimento ingiustificato di un rito di esorcismo degli spiriti maligni, sia anche tentare di curare qualsiasi disordine mentale esclusivamente con metodi clinici.  Nel campo della psicoterapia risulta più molto feconda la combinazione fra dell'assistenza pastorale e medica al malato psichico econ la debita delimitazione degli ambiti di competenza del medico e del sacerdote.

            Nessuna malattia mentale sminuisce la dignità della persona. La Chiesa testimonia che anche una persona affetta da disturbi mentalimalata mentalmente è portatrice dell'immagine di Dio e, restando un nostro fratello, bisognoso di compassione e di aiuto. Sono moralmente inammissibili gli approcci psicoterapeutici fondati sulla repressione della personalità del paziente e sull'umiliazione della sua dignità. I metodi occulti di condizionamento della psiche, talora mistificati e presentati come psicoterapia scientifica, sono considerati categoricamente inaccettabili per l'ortodossia. In casi particolari, la cura dei malati mentali può richiedere per necessità il ricorso a misure quali l'isolamento o altre forme di costrizione. Tuttavia, nella scelta delle forme di intervento medico occorrebisogna basarsi sul principio della minima limitazione della libertà del paziente.

 

Il vizio dell’alcolismo
e la piaga della tossicodipendenza

            XI.6. Nella Bibbia è detto che «il vino allieta il cuore dell'uomo» (Sal 104,15), e che esso «è come la vita... purché tu lo beva con misura» (Sir 31,27). Tuttavia, sia nella Sacra Scrittura che nelle opere dei santi padri, troviamo ripetutamente una condanna severa del vizio dell’alcolismo bere che, iniziando in maniera impercettibile, trascina con sé una moltitudine di altri peccati distruttivi. Molto spesso l'alcolismo diventa causa ladi disgregazione della famiglia e, provocando innumerevoli sofferenze sia alla vittima di questa malattia peccaminosa sia alle persone che loa circondano, specialmente ai figli.

            «L'ubriachezza è avversione a Dio... L'ubriachezza è un demone attirato volontariamente ... L'ubriachezza scaccia lo Spirito Santo», - scriveva sans. Basilio Magno. «L'ubriachezza è la radice di tutti i mali... L'ubriacone è un morto vivente... L'ubriachezza di per sé può servire come castigo, perché riempie l'anima di confusione; riempie la mente di tenebra, rende l'ubriacone prigioniero, esponendolo a innumerevoli malattie, interiori ed esteriori... L'ubriachezza... è una bestia proteiforme e con molte teste... Qui fa nascere la fornicazione, là - l'ira; qui - l'ottusità dell'intelletto e del cuore, e là - l'amore impuro... Nessuno si piega tanto alla maligna volontà del diavolo, quanto l'ubriacone», - ammoniva sans. Giovanni Crisostomo. «Un ubriaco è capace di ogni male, e cede a qualsiasi tentazione... L'ubriachezza rende le sue vittime incapaci di portare a termine qualunque cosa», - testimonia sans. Tichon Zadonskij.

            Ancor più distruttiva è la sempre più diffusa tossicodipendenza, - la passione che rende coloro che ne sono schiavi estremamente vulnerabili all'impatto delle forze oscure. Ogni anno questa terribile infermità fagocita sempre più persone, portando via  una moltitudine di vite umane. Il fatto che siano soprattutto i giovani a essere esposti alla tossicodipendenza rappresenta una particolare minaccia per la società. Anche gli interessi egoistici del traffico della droga narco-business influiscono sulla formazione - specialmente negli ambienti giovanili - di una particolare pseudocultura «delle sostanze stupefacentia droga», specialmente negli ambienti giovanili. A individui ancora immaturi vengono imposti degli stereotipi di comportamento nei quali l'uso degli stupefacenti lle droghe è presentato come una pratica «normale» o addirittura indispensabile per le relazioni interpersonali.

            La ragione principale che spinge  dell'evasione di molti nostri contemporanei a evadere nel regno delle illusioni indotte dagli alcoliciche o dai narcoticihe è il vuoto spirituale, la perdita del senso della vita e l'inconsistenza dei punti di riferimento morali. La tossicodipendenza e l'alcolismo sono manifestazioni di una malattia spirituale che affligge non solo il singolo individuo, ma tutta la società. Questa è la conseguenza dell'ideologia consumistica, del culto della prosperità materiale, della mancanza di interessi spirituali e della perdita di ideali autentici. Dedicandosi con compassione pastorale alle vittime dell'alcolismo e della tossicodipendenza, la Chiesa offre loro un sostegno spirituale per superare il vizio. Pur sSenza negare la necessità di un'assistenza medica nelle fasi acute della tossicodipendenza, la Chiesa rivolge una speciale attenzione alla prevenzione e alla riabilitazione, che sono tanto più efficaci quando coloro che soffrono partecipano consapevolmente alla vita eucaristica comunitaria.

 

XII. Problemi di bioetica

 

La preoccupazione della Chiesa

            XII.1. Il rapido sviluppo delle tecnologie biomediche, che invadono fattivamente la vita dell'uomo contemporaneo dalla nascita alla morte, e l'impossibilità di darericevere una risposta ai conseguenti problemi moralietici, nel contesto all'interno dell'etica medica tradizionale, suscitano una seria preoccupazione nella società. I tentativi degli esseri umani di mettersi al posto di Dio, modificando e «migliorando» a proprio piacimento la sua creazione, potranno portare all'umanità nuove pene e sofferenze. Lo sviluppo delle tecnologie biomediche supera  di  gran lunga la comprensione coscienza delle possibili conseguenze spirituali, -morali e sociali di una ella loro incontrollata applicazione incontrollata, e questo non può che suscitare nella Chiesa una profonda preoccupazione pastorale. Nell'esprimere il proprio atteggiamento verso i problemi della bioetica così ampiamente dibattuti nel mondo contemporaneo, in primo luogo quelli che hanno un impatto diretto sull'essere umano, la Chiesa si richiama allae concezionie dsuella vita come incommensurabile dono di Dio, fondatea nesulla Ddivina Rivelazione. Nella Scrittura vengono affermate la libertà inalienabile e la dignità della persona, che fa dell'uomo una creatura simile al suo Creatore, un essere chiamatoa «al premio che lassù riceveremo da Dio, in Cristo Gesù» (Fil 3,14), a raggiungere la perfezione del Padre Cceleste (Mt 5,48) e alla divinizzazione, cioè a partecipare della natura divina (2Pt 1,4).

 

L’aborto

            XII.2. Sin dai tempi più antichi la Chiesa ha considerato peccato grave l'interruzione volontaria della gravidanza (aborto) come un peccato grave. Il diritto canonico equipara l'aborto procuratovocato all'omicidio. Alla base di questo giudizio sta la convinzione che il concepimentola generazione di un essere umano è un dono di Dio: pertanto, dal momento del concepimento, ogni attentato alla vita di un futuro essere umano è un atto delittuoso.

            Il Ssalmista descrive lo sviluppo del feto nel grembo materno come un atto creativo di Dio: «Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre... Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi» (Sal 139,13.15-16). Della stessa esperienzacosa rende testimonianza Giobbe nelle parole rivolte a Dio.. «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte... Non mi hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d'ossa e di nervi mi hai intessuto. Vita e benevolenza tu mi hai concesso, e la tua premura ha custodito il mio spirito...  Perché tu mi hai tratto dal seno materno?» (Gb 10,8-12.18). «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Ger 1,5), dice il Signore al profeta Geremia.

            «Non commettere infanticidio, non procurare aborto»: questo precetto è collocato tra i più importanti comandamenti di Dio più importanti nell'Insegnamento dei dodici apostoli, uno dei testi più antichi della letteratura cristiana. «Donna, procurare l'aborto è un omicidio, e di questo dovrai render conto davanti a Dio. Infatti... un feto nel grembo materno è un essere vivente sul quale Dio ha posto il suo sigillo», scriveva Atenagora, apologista del II secolo. «Uno che sarà un uomo è già un uomo», - asseriva Tertulliano tra il II e il III secolo. «Colei che di proposito distrugge il feto concepito nel grembo subirà la condanna dell'omicida... Coloro che danno medicamenti per procurare l'aborto di un feto nel grembo materno sono omicidi, così come coloro che assumono veleni che uccidono il feto», - è detto nella 2a e 3a regola di sans. Basilio Magno, incluse nel lLibro degli Statuti della Chiesa ortodossa e confermate dal 91° canone del VI Concilio ecumenico. Nello stesso tempo sans. Basilio precisa che la gravità della colpa non dipende dal periodo di gestazione: «Noi non facciamo alcuna distinzione tra il feto già formato e quello non ancora formato». sSan Giovanni Crisostomo definiva coloro che praticano l'aborto «peggiori degli assassini».

            La Chiesa considera l'ampia diffusione e giustificazione degli aborti nella società contemporanea come una minaccia al futuro dell'umanità e come un segno evidente del suo degrado morale. La fedeltà all'insegnamento biblico e patristico sulla santità e la preziosità inestimabile della vita umana sin dai suoi inizi è incompatibile con il riconoscimento della «libera scelta» della donna nel disporre del destino del feto. Inoltre, l'aborto rappresenta una grave minaccia per la salute fisica e spirituale della madre. La Chiesa ha sempre considerato suo dovere proteggere gli esseri umani più vulnerabili e dipendenti, quali sono i bambini non nati. La Chiesa ortodossa in nessuna circostanza può benedire l'aborto. Pur senza respingere le donne che hanno commesso un aborto, la Chiesa le invita a pentirsi e a superare le conseguenze rovinose del peccato attraversocon la preghiera e la penitenza sacramentale, seguita dalla partecipazione ai sacramenti della salvezza salvifici. Nei casi in cui il proseguimento della gravidanza comporterebbe un in cui vi sia un pericolo immediato per la vita della madre qualora la gravidanza venga portata avanti, specialmente se ha altri figli, nella prassi pastorale si raccomanda di mostrare indulgenza. La donna che ha interrotto una gravidanza in queste circostanze non sarà esclusa dalla comunione eucaristica con la Chiesa, a condizione che ella abbia compiuto quanto prescritto dal canone penitenziale secondo le indicazioni del sacerdote che ha raccolto la sua confessione. La lotta contro l'aborto, cui le donne talvolta sono costrette a ricorrereono per motivi di a causa di una estrema indigenza economica e perdi incapacità e debolezza, richiede che la Chiesa e la società elaborino misure efficaci a protezione della maternità, e creino le condizioni per l'adozione dei bambini, che le cui madri per qualche ragione non siano in grado di allevareli da sole.

            La responsabilità del per il peccato dell'uccisione di un bambino non nato deve ricadere, oltre che sulla madre, anche sul padre, nel caso in cui egli abbia dato il suo assenso all'esecuzione dell'aborto. Se l'aborto viene compiuto dalla donna senza il consenso del marito, ciò può essere considerato una ragione valida per lo scioglimento del matrimonio (v. X.3). Il peccato ricade anche sul medico che ha eseguito l'aborto. La Chiesa invita lo stato a riconoscere il diritto degli operatori sanitari di rifiutarsi di praticare un aborto per motivi di coscienza. Non si può considerare «normale» la condizione in cui la responsabilità giuridica del medico per la morte della madre sia considerata incomparabilmente più elevata della responsabilità per la distruzione del feto: questo induce i medici, e attraverso di essi anche le pazienti, a compiere aborti. Il medico deve assumersi la massima responsabilità nello stabilire la diagnosi che può indurre una donna a interrompere la gravidanza; per questo, un medico credente deve raffrontare con attenzione le indicazioni cliniche con quanto gli impone la sua coscienza cristiana.

 

La contraccezione

            XII.3. Una valutazione religiosao-morale richiede anche il problema della contraccezione. Alcuni mezzi contraccettivi hanno di fatto un effetto abortivo, in quanto interromponoendo artificialmente la vita dell'embrione nelle sue fasi più precoci. Al loro uso si applica perciò lo stesso criterio di giudizio che si adottausa  per l'aborto. Altri mezzi, invece, che non implicano l'interruzione di una vita già concepita, non possono invece essere equiparati in nessun modo alcon l'aborto. Nel definire il loro proprio atteggiamento verso i mezzi non abortivi diella contraccezione non abortivi, ai coniugi cristiani devonoè opportuno ricordare che la continuazione del genere umano è uno degli scopi fondamentali dell'unione matrimoniale voluta da Dio (v. X.4). Il rifiuto deliberato di generare dei figli per motivi egoistici avvilisce il matrimonio ed è senza dubbio un peccato.

            Nello stesso tempo, i coniugi sono responsabili davanti a Dio per l’di una educazione completa dei figli. Uno dei modi per attuare una maternità e paternità responsabili è l'astinenza dai rapporti sessuali per un determinato periodo di tempo. Tuttavia, è necessario ricordare le parole che l'apostolo Paolo rivolge agli sposi cristiani: «Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione» (1Cor 7,5). È chiaro che i coniugi devono assumere decisioni in questo campo di comune accordo, ricorrendo al consiglio di un padre spirituale. Quest'ultimo, d'altra parte, deve tener conto, con prudenza pastorale, delle concrete condizioni di vita della coppia, della loro età e, salute, del grado di maturità spirituale e di molte altre circostanze, distinguendo coloro che possono «accogliere» impegnative richieste di continenza da coloro ai quali questo «non è stato concesso» (Mt 19,11), e preoccupandosi prima di tutto della salvaguardia e del consolidamento della famiglia.

            Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa nella sua deliberazione del 28 dicembre 1998 ha istruito i sacerdoti che esercitano il ministero di guide spirituali affermando che «è inammissibile obbligare o indurre i fedeli, contro la loro volontà, a... rinunciare ai rapporti coniugali nel matrimonio», e ha anche ricordato ai pastori la necessità «di osservare una particolare castità e una speciale prudenza pastorale nel trattare con i fedeli questioni inerenti ai vari aspetti della loro vita familiare».

 

La riproduzione assistita

            XII.4. L'uso dei nuovi metodi biomedici in molti casi rende possibile la risoluzione dei problemi il superamento dell'di infertilità. Nello stesso tempo, la crescente ingerenza tecnologica nel processo della generazione della vita umana presenta una minaccia per l'integrità spirituale e la salute fisica della persona. Appaiono minacciate anche le relazioni interpersonali che sin dai tempi più antichi stanno alla base della società. Con lo sviluppo delle summenzionate tecnologie è connessa anche la diffusione dell'ideologia dei cosiddetti diritti riproduttivi, oggi ampiamente propagandata a livello sia nazionale che internazionale. Questo sistema ideologico sostienepresuppone la priorità dell'autorealizzazione sessuale e sociale dell'individuo rispetto alla cura del futuro  bambino, alla salute spirituale e fisica della società e alla sua stabilità morale. Nel mondo si sta diffondendo sempre più una concezione della atteggiamento verso la vita umana intesa come un prodotto che può essere scelto secondo le proprie inclinazioni e di cui si può disporre alla stregua di un bene materiale.

            Nelle preghiere del rito del matrimonio, la Chiesa ortodossa esprime la speranzafede che la procreazione di figli, benché è il frutto auspicabiledesiderato del matrimonio legittimo, ma che questo non ne sia è l'unica sua finalità. Accanto al «frutto del ventre», la Chiesa per gli sposi chiede anche i doni dell'amore reciproco perpetuo, della castità e dell'"armonia delle anime e dei corpi». Pertanto, le vie alla procreazione non conformi con il progetto del Creatore della vita, non possono essere considerate moralmente giustificate dalla Chiesa. Se il marito o la moglie è sterile e i metodi terapeutici e chirurgici di cura dell'infertilità non aiutano gli sposi, è opportuno che essi accettino con umiltà la mancanza di figli come una speciale vocazione alla vita. In casi simili i consigli dei padri spirituali pastori devono considerare la possibilità di adottare un figlio per decisione comune dei coniugi. Tra i mezzi ammissibili di assistenza medica può essere annoverata l'inseminazione artificiale con cellule seminali del marito, dal momento che questa metodicao non viola l'integrità dell'unione coniugale, non si differenzia sostanzialmente dal concepimento naturale e avviene nel contesto dei rapporti coniugali.

            Invece, le manipolazioni connesse con la donazione di cellule sessuali violano senz’altro l'integrità della persona e l'esclusività dei rapporti coniugali, prermettendo a una terza parte di interferire nella vita della coppia. Inoltre, questa pratica incoraggia la paternità e la maternità irresponsabili, indubbiamente liberae da ogni obbligo verso colui  che è «carne della carne» di donatori anonimi. L'uso di materiale donato mina le fondamenta dei rapporti familiari, dal momento che presuppone che il bambino abbia, oltre ai genitori «sociali», anche dei genitori cosiddetti genitori «biologici». La «maternità surrogata», cioè l'impianto di un ovulo fecondato nel grembo di una donna che, dopo il parto restituisce il bambino ai «committenti», è innaturale e moralmente inammissibile, anche nei casi in cui la donna non chieda alcun compensoessa sia attuata per motivi non venali. Questa metodica comporta la violazione della profonda intimità emozionale e spirituale che si stabilisce tra madre e figlio già durante la gestazione. La «maternità surrogata» traumatizza sia la madre gestante, i cui sentimenti materni vengono calpestati, sia anche il bambino, che in seguito può potrebbe attraversaresperimentare una crisi di identità. Moralmente inammissibili dal punto di vista ortodosso sono anche tutti i vari tipi di fecondazione extracorporea, che comportano la produzione, la conservazione e la distruzione deliberata degli embrioni «eccedenti». È proprio sul riconoscimento della dignità umana anche nell'embrione che si fonda il giudizio morale di condanna dell'aborto da parte della, condannato dalla Chiesa (v. XII.2).

            L'inseminazione di donne non sposate-single con l'impiego di cellule seminali provenienti da un donatore, o l'esercizio dei «diritti riproduttivi» di uomini non sposati-single, e anche di persone che presentano i cosiddetti un orientamentio sessualie cosiddetto «non-standard», priva il futuro bambino del diritto di avere una madre e un padre. L'uso di metodi riproduttivi al di fuori del contesto della famiglia benedetta da Dio diventa una forma di «teomachia» condotta con il pretesto della tutela dell'autonomia dell'individuo e di una libertà individuale erroneamente intesa.

 

La medicina genetica

            XII.5. Le malattie ereditarie rappresentano una parte considerevole delle patologiea totalità delle infermità dell'uomo. Lo sviluppo dei metodiche di medicina genetica per la diagnosi e la terapia può contribuire a prevenire queste malattie e alleviare le sofferenze di molte persone. Tuttavia è importante ricordare che le patologiei disordini geneticihe spesso sono la conseguenza della mancata non osservanza dei principi morali e il risultato di uno stile di vita vizioso, che causano per cui alla fine sofferenzevengono a soffrire nei discendenti. La peccaminosa corruzione della natura umana causata dal peccato è contrastata dallo sforzo spirituale; se però il dominio deil vizio domina cresce sempre più nella vita dei discendenti con forza sempre crescente di generazione in generazione, si realizzano le parole della Sacra Scrittura: «di una stirpe iniqua è terribile il destino» (Sap 3,19). E viceversa: «Beato l'uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta» (Sal 112,1-2). In tal modo, la ricerca genetica non fa che confermare le leggi spirituali, rivelate molti secoli fa all'umanità nella parola di Dio.

            Attirando l'attenzione delle persone sulle cause morali delle malattie, la Chiesa nello stesso tempo approva gli sforzi dei medici,  tesidiretti a curare le malattie ereditarie. Tuttavia, lo scopo dell'interferenza genetica non deve essere quello di «perfezionare» un artificialmente "miglioramento" deil genere umano o di intromettersi l'ingerenza nel progetto di Dio sull'uomo. Pertanto, le metodiche di l'ingegneria genetica possono essere messe in atto uò attuarsi solo con il consenso del paziente o dei suoi legittimi rappresentanti ed esclusivamente sulla base di indicazioni mediche. La terapia genetica delle cellule seminali è estremamente pericolosa, perché implica il mutamento di un genoma (corredo dei caratteri genetici) nella linea delle generazioni, cosa che può provocare conseguenze imprevedibili sotto formanella forma di nuove mutazioni e può arrivare a destabilizzare della destabilizzazione dell'equilibrio tra la comunità umana e l'ambiente.

            I successi raggiunti nella decifrazione del codice genetico hanno creato reali presupposti per unil testing genetico totale allocon lo scopo di ottenere informazioni sulla unicità naturale di ciascun essere umano, e sulla sua predisposizione a determinate malattie. La creazione di un «passaporto genetico» potrebbe aiutare a correggere tempestivamente lo sviluppo di malattie alle quali un particolare individuo è esposto", a condizione che le informazioni ottenute vengano utilizzateusate in modo intelligenteragionevole, potrebbe aiutare a correggere tempestivamente lo sviluppo di malattie alle quali un determinato individuo concreto è esposto. Tuttavia sussiste il reale rischio che il cattivo uso delle informazioni genetiche possa servire aper diverse forme di discriminazione. Inoltre, il possesso di informazioni sulla predisposizione genetica a gravi patologiemalattie può diventare un fardello psicologico insostenibile. Per questo le 'informazionie geneticahe e il testing genetico sono possibili possono essere attuati solo sulla base del rispetto della libertà della persona.

            CUn carattere ambivalenteguo hanno anche i metodi di diagnostica prenatale, che permettono di identificare una malattia genetica nelle fasi più precoci di sviluppo intrauterino. Alcuni di questi metodi possono costituire una minaccia per la vita e l'integrità dell'embrione o del feto sottoposto al test. L'individuazione di una malattia genetica inguaribile o gravissima spesso induce i genitori a interrompere la vita concepita; sono noti alcuni casi in cui sui genitori è stata esercitata una pressione a questo scopo. La diagnostica prenatale può essere considerata moralmente giustificata, se è finalizzata alla cura di una malattiae individuatea nella fase più precoce possibilein fasi il più precoci possibile, e se può contribuire anche a preparare i genitori a prendersi particolare cura del bambino malato. Ogni persona ha diritto alla vita, all'amore e alla sollecitudine, indipendentemente dalle malattie dia cui possa essere affetta. Secondo la Sacra Scrittura, Dio stesso è «il Dio degli umili» (Gdt 9,11). L'apostolo Paolo insegna a «soccorrere i deboli» (At 20,35; 1Ts 5,14); paragonando la Chiesa al corpo umano, egli spiega che «quelle membra... che sembrano più deboli sono più necessarie, e quelle meno perfette hanno bisogno di «maggior onore» (1Cor 12,22.24). È assolutamente inammissibile il ricorso ai usare metodi di diagnostica prenatale alcon lo scopo di scegliere il sesso del nascituro più desiderabile per i genitori.

 

La clonazione

            XII.6. La clonazione (riproduzione di copie genetiche) di animali, realizzata dagli scienziati, pone il problema della ammissibilità e delle possibili conseguenze della clonazione dell'essere umano. La realizzazione di questa idea, che ha incontrato le proteste della maggior parte delle persone in tutto il mondo, può diventare rovinosa per la società. La clonazione apre la possibilità, ad un grado ancora maggiore rispetto alle altre tecnologie riproduttive, di manipolare il patrimonio genetico della persona a un grado ancora maggiore rispetto alle altre tecnologie riproduttive e contribuisce alla suoa ulteriore svilimentoalutazione. L'uomo non ha il diritto di aspirare rivendicare alun ruolo di creatore di esseri suoi simili o di scegliere i loro prototipi genetici, determinando a sua discrezione le loro caratteristiche personali a sua discrezione. L'idea della clonazione è un'a indubbia sfida alla natura stessa dell'uomo, e all'immagine di Dio che è in lui, parte integrante della quale sono la libertà e l'unicità della persona. La «riproduzione» degli esseri umani con parametri prestabiliti può apparire desiderabile solo ai fautori di ideologie totalitarie.

            La clonazione dell'essere umano può corrompere le naturali fondamenta della procreazione, della consanguineità, della maternità e della paternità. Un bambino può diventare fratello del proprio padre, o una bambina - sorella della propria madre, o figli o/figlia del proprio nonno. Estremamente pericolose sono anche le conseguenze psicologiche della clonazione. Un essere umano che viene alla luce in seguito a questa procedura, può sentirsi non come una persona indipendente, ma solo una «copia» di qualcuno che è ancora vivo o che è vissuto prima di lui. È necessario anche considerare che una "conseguenza secondaria" degli esperimenti di clonazione umana creerebbero, come «sottoprodotti»,  sarebbero inevitabilmente un gran numero dimolte vite incompiute e, molto probabilmente, l'emergerenza di una numerosa posterità priva di vitalità. D'altra parte, la clonazione di singole cellule e di tessuti isolati dell'organismo isolati non rappresenta un attentato alla dignità della persona e in molti casi si è dimostrata utile nella pratica biologica e medica.

 

I trapianti di organi e tessuti

            XII.7. La trapiantologia moderna (la teoria e la pratica del trapianto di organi e tessuti) permette di offrire un aiuto efficace a molti malati che prima sarebbero stati condannati ad una morte inevitabile o ad una grave disabilità. Nello stesso tempo lo sviluppo di questo campo della medicina, accrescendo il fabbisogno dei necessarii organi indispensabili, genera determinati problemi etici e può presentare una minaccia per la società. Così, la propaganda spregiudicata della donazione di organi e della commercializzazione della pratica dei trapianti creano i presupposti per la nascita di un mercato di parti del corpo umano, minacciando la vita e la salute delle persone. La Chiesa ritiene che gli organi umani non possano essere considerati oggetto di compra-vendita. Il trapianto di organi da viventeun donatore vivo  può essere fondato solo su un volontario sacrificio di sé per salvare la vita di un'altra persona. In questo caso il consenso all'espianto di un organo diventa un'espressione di amore e di compassione. Tuttavia, un potenziale donatore deve essere del tutto informato sulle possibili conseguenze dell'espianto dell'organo per la sua salute. L'espianto che presenta un rischio immediato per la vita del donatore è moralmente inammissibile. Molto diffusa è la pratica del prelievo di organi da persone che sono appena decedute. In questi casi deve essere esclusa qualsiasi incertezza relativa al momento della morte. E' inammissibile abbreviare la vita di una persona, anche rifiutandole le terapie necessarie alla sopravvivenza, alcon lo scopo di prolungare la vita di un altro.

            Sulla base della dDivina Rivelazione, la Chiesa professa la fede nella risurrezione della carne dei morti (Is 26,19; Rm 8,11; 1 Cor 15,42-44.52-54; Fil 3,21). Nel rito funebre cristiano, la Chiesa esprime il rispetto dovuto al corpo di un defunto. Tuttavia, la donazione post-mortem di organi e tessuti può diventare un'espressione di amore che si estende anche oltre la morte. Tale genere di donazione o l'espressione della sua volontà testamentaria non può essere considerato un dovere per la persona. Per questo il consenso volontario di un donatore, espresso manifestato in vita, è la condizione alla quale l'espianto può essere considerato legittimo e moralmente ammissibile. Nel caso in cui i medici non conoscano la l'espressione della volontà di un potenziale donatore, essi devono appurare la volontà del morente o del defunto, rivolgendosi se necessario ai suoi parenti. La cosiddetta presunzione di assenso di un potenziale donatore all'espianto di organi e tessuti dal proprio corpo, introdotta nella legislazione di alcuni paesi, è consideratoa dalla Chiesa come una violazione inammissibile della libertà dell'uomo.

            Organi e tessuti donati diventano parte della persona che li riceve (ricettore), entrando nella sfera della sua integrità personale fisico-spirituale-fisica personale. Per questo in nessuna circostanza può essere moralmente giustificato il trapianto che può comportare un rischio per l'identità esclusiva del ricettore, andando a toccare la sua unicità come persona e come rappresentante di una specie. E' particolarmente importante ricordare questa condizione quando si tratta di risolvere problemi connessi con il trapianto di organi e tessuti animali.

            La Chiesa ritiene assolutamente inammissibile l'impiego dei metodi della cosiddetta terapia fetale, alla cui base sta l'espianto e l'utilizzazione di tessuti e di organi di feti umani, abortiti a diversi stadi di sviluppo, per tentare di curare varie malattie e di «ringiovanire» un organismo. Condannando l'aborto come un peccato morale, la Chiesa non può trovare per esso alcuna giustificazione, anche nel caso in cui qualcuno potesse trarre beneficio dalla distruzione di una vita umana concepita qualcuno potrebbe trarre beneficio. Contribuendo inevitabilmente alla diffusione e alla commercializzazione ancor più ampia degli aborti, tale prassi (anche se la sua efficacia, attualmente ipotetica, dovesse dimostrarsi scientificamente valida) è un esempio di immoralità scandalosa ed è criminale.

 

L’eutanasia

            XII.8. La pratica dell'espianto di organi umani, utilizzabili per il trapianto, e lo sviluppo della terapia intensiva hanno posto il problema della corretta constatazione del momento della morte. Prima il criterio per il suo accertamento era considerato l'arresto irreversibile del respiro e della circolazione sanguigna. Tuttavia, grazie al miglioramento delle tecnologie di rianimazione, queste importanti funzioni vitali possono essere mantenute artificialmente per lungo tempo. L'evento della morte in tal modo si trasforma in un processo del morire che, dipendente dalla decisione del medico ed , che impone alla medicina contemporanea una responsabilità qualitativamente nuova.

            Nella sacra Scrittura la morte rappresenta la separazione dell'anima dal corpo (Sal 146,4; Lc 12,20). In tal modo, si può parlare di una continuazione della vita fino a quando l'organismo funziona in tutta la sua integralità. Il prolungamento della vita con mezzi artificiali, dove di fatto solo singoli organi continuano a funzionare, non può essere considerato come un compito vincolante della medicina e in nessun caso auspicabile. I tentativi di allontanare il momento della morte talora non fanno che prolungare le sofferenze del malato, privando la persona del diritto a una morte dignitosa, «non avvilente e in pace», che i cristiani ortodossi chiedono al Signore durante la liturgia. Quando la terapia intensiva diventa impossibile, dovrebbe subentrare un aiuto palliativo (anesteticizzanti, assistenza infermieristica, sostegno sociale e psicologico) e la cura pastorale. Tutto questo per assicurare una fine dell'esistenza terrena veramente umana, riscaldata dalla misericordia e dall'amore.

            La concezione ortodossa di una morte dignitosa comprende la preparazione al momento terminale della vitala fine mortale, che è consideratoa come una tappa spiritualmente importante nell'esistenzaa vita di una persona. Negli ultimi giorni della sua vita terrena uUn ammalato circondato dalla sollecitudine cristiana, negli ultimi giorni della sua esistenza terrena può sperimentate sperimentare in sé un cambiamento operato dalla grazia di Dio, in una per la grazia di Dio un cambiamento connesso con una comprensione nuova del senso del suo viaggio ormai compiuto e nell'con una anticipazione penitente di pentimento prima di affrontare la dimensione dell'eternità. Per i parenti di un morente e per gli operatori sanitari la paziente un'assistenza paziente al malato diventa un'opportunità di servire il Signore stesso, secondo le parole del Salvatore: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Il tentativo di nascondere al paziente la verità sulla gravità delle sue condizioni con il pretesto di preservare la sua tranquillità spirituale e psicologica spesso priva il morente della possibilità di prepararsi consapevolmente alla morte e di trovare una consolazione spirituale nella partecipazione ai Ssacramenti della Chiesa, e getta un'ombra di sfiducia sui suoi rapporti con i parenti e con i medici.

            Le sofferenze fisiche che precedono la morte non sempre possono essere alleviate efficacemente con l'impiego di anesteticizzanti. . Consapevole di questo, la Chiesa in tali questi casi rivolge a Dio laquesta preghiera: «Libera il tTuo servo da queste intollerabili sofferenze e dalle sue amare infermità e donagli conforto, o Aanima dei giusti» (Messale, o - Orazione per coloro che soffrono di lunghe malattie). Solo il Signore è pPadrone della vita e della morte (1Sam 2,6). «Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana» (Gb 12,10). Per questa ragione la Chiesa, rimanendo fedele al comandamento di Dio «non uccidere» (Es 20,13), non può riconoscere come moralmente ammissibili i tentativi, ora ampiamente diffusi nella società laica, di legalizzare la cosiddetta eutanasia, cioè la deliberata uccisione di malati che non hanno alcuna speranza di guarire (anche per loro stessa volontà). La richiesta da parte di un malato di accelerare la morte è talora condizionata da uno stato di depressione, che gli impedisce di valutare in maniera corretta la propria condizione. Il riconoscimento legale dell'eutanasia porterebbe allo svilimento deprezzamento della dignità del medico, chiamato a preservare la vita piuttosto che a sopprimerla, e a alla una deviazione rispetto alla deontologia professionaledal dovere professionale del medico, chiamato a preservare la vita piuttosto che a sopprimerla. Il «diritto alla morte» può facilmente diventare una minaccia alla vita di pazienti la cura dei quali richiederebbe grandi mezzi economici.

            In tal modo, l'eutanasia è una forma di assassinio o di suicidio, a seconda che il paziente vi prenda parte attiva o no. Qualora il paziente partecipi all'eutanasia, andranno applicate quelle norme canoniche secondo le quali il suicidio volontario, così come l'aiuto dato per compierlo, sono giudicati come un peccato grave. Ad un suicida consapevole, che «lo abbia commesso tale atto spinto da rancore umano o per qualche altro motivo dettato dalla pusillanimità», non sarà concessa la sepoltura cristiana e la commemorazione liturgica (Timoteo Aless., can. 14). Se un suicidio è avvenuto durante un raptus di follia, quando  in maniera inconsapevole, mentre la persona non era "nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali", cioè durante una crisi di una malattia mentale, lla preghiera della Chiesa per il suicidalui è permessa dopo dopo che il vescovo competente abbia condotto un'indagine sul casovestigazione del caso da parte del vescovo competente. Nello stesso tempo è necessario ricordare che spesso la colpa del suicida ricade anche sulle persone che lo circondavano e che si sono rivelate incapaci di una efficace compassione efficace e di misericordia. Con l'apostolo Paolo la Chiesa esorta: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2).

 

I rapporti omosessuali

            XII.9. La sacra Scrittura e l'insegnamento della Chiesa deplorano inequivocabilmente i rapporti sessuali omosessuali, vedendo in essi una vizioso stravolgimentoa distorsione della natura umana creata da Dio.

            «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abomionio» (Lv 20,13). La Bibbia narra del terribile castigo che Dio inflisse agli abitanti di Sodoma (Gn 19,1-19), secondo l'interpretazione dei santi padri, proprio per il peccato di sodomia. L'apostolo Paolo, nel descrivere la condizione morale del mondo pagano, colloca i rapporti omosessuali tra le «passioni più infami» e le «impurità» che disonorano il corpo umano: «Le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento» (Rm 1,26-27). «Non illudetevi... né effeminati, né sodomiti... erediteranno il regno di Dio», scrive l'Apostolo agli abitanti della corrotta Corinto (1 Cor 6,9-10). La tradizione patristica in maniera altrettanto chiara e determinata condanna ogni manifestazione di omosessualità. La «Didachè», le opere di Ss.an Basilio Magno, Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nissa, s.Sant' Agostino, i canoni di Giovanni il Digiunatore esprimono tutti l'immutatonvariato insegnamento della Chiesa secondo il quale: i rapporti omosessuali sono peccaminosi e vanno condannati. Coloro che li praticano non hanno il diritto di far parte del clero (Basilio Magno, can. 7; Gregorio Nis., can. 4; Giovanni il Digiunatore, can. 30). Rivolgendosi a coloro che si erano macchiati del peccato di sodomia, il beato Massimo il Greco fece questo appello: «Guardatevi, dannati, a quale piacere perverso vi siete abbandonati!... Cercate di abbandonare immediatamente questo vostro obbrobrioso e fetidissimo piacere, cercate di detestarlo, e chi affermasse che è un piacere innocente, su costui pronunciate un anatema eterno, in quanto è nemico del vVangelo di Cristo Salvatore e corruttore del suo insegnamento. Purificatevi con un pentimento sincero, lacrime ardenti e la massima carità e la preghiera pura... Detestate con tuttao l'anima questo peccato perché non vi capiti di essere figli della dannazione e della morte eterna»..

            I dibattiti sulla condizione delle cosiddette minoranze sessuali nella società contemporanea tendono a riconoscere l'omosessualità non come una perversione sessuale, ma solo come uno degli «orientamenti sessuali», che hanno eguale diritto alla manifestazione pubblica e al rispetto. Si sostiene inoltreanche che la tendenza omosessuale è determinata da una predisposizione naturale individuale. La Chiesa ortodossa muove dalla ferma ed immutata invariata convinzione che l'unione coniugale dell'uomo e della donna stabilita da Dio non può essere paragonata alcon le manifestazioni pervertite della sessualità. Essa considera l'omosessualità come uno stravolgimentoa distorsione peccaminosao della natura umana, il qualeche può essere superatoa da uno sforzo spirituale che porta alla guarigione e alla crescita personale dell'individuo. I desideri omosessuali, come pure le altre passioni che tormentano l'uomo decaduto, vengono guariti dai Ssacramenti, dalla preghiera, dal digiuno, dal pentimento, dalla lettura della Sacra Scrittura e delle opere patristiche, oltre che dalla comunione cristiana con persone credenti disposte ad offrire un sostegno spirituale.

            Pur trattando le persone che hanno inclinazioni omosessuali con responsabilità pastorale, la Chiesa nello stesso tempo è risolutamente contraria ai tentativi di presentare questa tendenza peccaminosa come «normale», e addirittura come un motivo d'orgoglio ed un esempio da emulare.  Questo è il motivo per cui la Chiesa condanna qualsiasi propaganda dell'omosessualità. Pur senza negare a nessuno i fondamentali dirittio alla vita, al rispetto della dignità personale e alla partecipazione anegli affari pubblici, la Chiesa tuttavia ritiene che coloro che propagandano uno stile di vita omosessuale, non devono essere ammessi all'insegnamento, ad un'attività educativa o di altro tipo a contatto con bambini o con giovani, come pure ad occupare posti direttivi nell'esercito e negli istituti di rieducazione.

            Talvolta le perversioni della sessualità umana si manifestano come un sentimento doloroso di appartenere al sesso opposto, che sfocia nel tentativo di cambiare il proprio sesso (transessualità). Il desiderio di rifiutare di appartenere al sesso che le è stato assegnato dal Creatore non può avere che conseguenze rovinose per l'ulteriore sviluppo della persona. Il «cambio di sesso» con l'impiego di cure ormonali e l'esecuzione di un intervento chirurgico mediante terapia ormonale e chirurgica in molti casi non porta alla soluzione dei problemi psicologici, ma al loro aggravamento, provocando una profonda crisi interiore. La Chiesa non può approvare un simile genere di «ribellione contro il Creatore» e riconoscere come reale un’identità sessuale cambiata artificialmente. Se un «cambio di sesso» è avvenuto in una persona prima del battesimo, questa la persona può essere ammessa al questo sacramento, come qualsiasi altro peccatore, ma la Chiesa la battezzerà come appartenente al sesso nel quale era nata. L'ordinazione sacerdotale di una tale persona e il suo matrimonio religioso sono inammissibili.

            La transessualità deve essere distinta dall’errata identificazione del sesso di una persona nella sua prima infanzia, dovuta a un errore del medico in presenza di uno sviluppo patologico dei caratteri sessuali. La correuzione chirurgica in questo caso non ha il carattere di un cambiamento di sesso.

 

XIII. La Chiesa e i problemi ecologici

 

La crisi ecologica

            XIII.1. La Chiesa ortodossa, consapevole della propria responsabilità per il destino del mondo, è profondamente preoccupata per i problemi generati dalla civiltà contemporanea. I problemi ecologici occupano tra essi un posto importante. Oggi la faccia della Terra risulta alterata su scala planetaria. Sono danneggiati il sottosuolo, il suolo, l'acqua, l'aria, la fauna e la flora. La natura che ci circonda è stata di fatto completamente soggiogata per il sostentamento dell'uomo, che però non si accontenta più dei suoi molti doni, ma sfrutta in maniera sfrenata gli interi ecosistemi. L'attività umana, che ha raggiunto livelli paragonabili ai processi biosferici, aumenta costantemente per l'accelerato sviluppo della scienza e della tecnica. L'inquinamento globale dell'ambiente naturale causato dagli scarti industriali, una cattiva tecnologia agricola, la distruzione dellei foreste e del manto vegetale -: tutto questo porta al soffocamento dell'attività biologica e alla drastica riduzione delle diversità genetiche della vita. Le risorse minerali del sottosuolo si impoveriscono irrimediabilmente, le riserve d'acqua potabile si riducono. E' apparsa una grande quantità di sostanze tossiche nocive, molte delle quali non entrano nel ciclo naturalea far parte della circolazione naturale e si accumulano nella biosfera. L'equilibrio ecologico è stato violato; l'uomo deve affrontare l'emergenza di processi perniciosi irreversibili nella natura, compreso l'indebolimento della sua naturale potenza riproduttiva.

            Tutto questo accade sullo sfondo di una crescita senza precedenti e ingiustificata del consumo generalizzato nei paesi altamente sviluppati, dove la ricerca della ricchezza e del lusso è diventata regola di vita. Tale situazione impedisce una distribuzione equa delle risorse naturali, che sono un bene comune dell'umanità. Le conseguenze della crisi ecologica si sono rivelate dolorose non solo per la natura, ma anche per l'uomo, che ne costituisce una parte organicamente integrante di essa. Di conseguenzaCome risultato, la tTerra si trova sull’orloa soglia di una catastrofe ecologica globale.

 

Le conseguenze del peccato

            XIII.2. I rapporti tra l'uomo e la natura sono stati infranti inei tempi preistorici a causa del peccato originale dell'uomo e della sua alienazione da Dio. Il peccato, nato nell'anima dell'uomo, si rivelò pernicioso non solo per lui stesso, ma anche per tutto il mondo che lo circondava. «La creazione, - scrive l'apostolo Paolo, - è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi» (Rm 8,20-22). Nella natura come in uno specchio si è riflesso il primo delitto dell'uomo. Il seme del peccato, avendo prodotto un effetto nel cuore umano, ha generato, come testimonia la Sacra Scrittura, «spine e cardi» (Gen 3,18) sulla terra. È diventata impossibile la piena unità organica tra l'uomo e il mondo, circostante che esisteva prima del peccato originale (Gen 2,19-20). Nei loro rapporti con la natura, che ora hanno assunto un carattere consumistico, gli uomini si sono lasciati sempre più spesso guidare da stimoli egoistici. Hanno cominciato a dimenticare che l'unico Signore dell'universo è Dio (Sal 24,1), al quale appartengono «i cieli... la terra e quanto essa contiene»(Dt 10,14), mentre l'uomo, come dice s.San Giovanni Crisostomo, è solo un «amministratore», al quale sono affidate le ricchezze del mondo terreno. Queste ricchezze, e cioè, «l'aria, il sole, l'acqua, la terra, il cielo, il mare, la luce, le stelle», come lo stesso santo osserva, Dio le ha «distribuite tra tutti in parti uguali, come tra fratelli». Il «dominio» sulla natura e il «possesso» della terra (Gen 1,28), cui l'uomo è chiamato, secondo il progetto di Dio, non significano che tutto gli è lecito. Significano solo che l'uomo è portatore dell'immagine del Ppadrone e sSignore celeste e, come tale, deve, secondo il pensiero di s.San Gregorio di Nissa, esprimere la propria dignità regale non dominando e violentando il mondo che lo circonda, ma «coltivando» e «custodendo» (Gen 2,15) il grandioso regno della natura del quale egli è responsabile davanti a Dio.

 

 

Un’etica ecologica

            XIII.3. La crisi ecologica ci costringe a rivedere i nostri rapporti con l'ambiente che ci circonda. Oggi sempre più spesso vengono criticati la concezione del dominio dell'uomo sulla natura e il principio consumistico nei rapporti con essa. La consapevolezza del fatto che la società contemporanea sta pagando un prezzo troppo alto per i beni della civiltà ha provocato un'opposizione all'egoismo economico. Pertanto, si sta tentando di individuare quelle attività che danneggiano l'ambiente naturale. Nello stesso tempo si sta elaborando un sistema per difenderlodi protezione ambientale, si stanno rivedendo i metodi dell'economia, si fanno tentativi per creare tecnologie che favoriscano il risparmio delche risparmino le risorse naturali e industrie in grado di riciclare completamente gli scarti, che nello stesso tempo possano «essere inseriti» nel ciclo naturale. Si sviluppa un'etica ecologica. La coscienza sociale che ad essa si ispira si dichiara controcondanna il modello di vita consumistico, esige che si accresca la responsabilità morale e giuridica per il danno inflitto alla natura, propone di introdurre una formazione e un'educazione «all'ecologia» ed invita ad unire gli sforzi in difesa dell'ambiente sulla base di una larga cooperazione internazionale.

 

Il principio dell'unità
e integrità della creazione

            XIII.4. La Chiesa ortodossa apprezza gli sforzi diretti al superamento della crisi ecologica e invita ogni uomo a collaborare attivamente ai progetti finalizzati a proteggere ad una attiva cooperazione in azioni volte alla protezione della creazione di Dio. Nel contempo, essa rileva che tali sforzi saranno più produttivi se i fondamenti sui quali si costruiscono i rapporti dell'uomo con la natura avranno un carattere non puramente umanistico, ma anche cristiano. Uno dei principi basilari della posizione della Chiesa riguardo ai problemi ecologici è il principio dell'unità ed integrità del mondo creato da Dio. L'ortodossia non considera la natura che ci circonda come una struttura isolata e chiusa. Il mondo vegetale, animale e umano sono interconnessi. Dal punto di vista cristiano la natura non è un deposito di risorse destinate ad un consumo egoistico ed irresponsabile, bensì una casa, dove l'uomo non è il padrone, ma un amministratore, e un tempio dove egli è il sacerdote, che però serve non la natura, ma l'unico Creatore. Alla base della concezione della natura come un tempio sta il concetto del teocentrismo: Dio che dà «a tutti la vita e il respiro e ogni cosa» (At 17,25) è la fonte dell'essereistenza. Di conseguenza, la vita stessa nelle sue molteplici manifestazioni è sacra, essendo un dono di Dio, e ogni sua violazione è una sfida lanciata non solo alla creazione divina, ma anche al Signore stesso.

 

La necessaria rinascita spirituale

            XIII.5. I problemi ecologici hanno sostanzialmente un carattere antropologico, essendo generati dall'uomo e non dalla natura. Pertanto, le risposte a molti problemi posti dalla crisi ambientale vanno cercate nel cuore dell'uomo, e non nellae sferea dell'economia, della biologia, della tecnologia o della politica. La natura si trasforma o muore non da sé, ma sotto l'impatto dell'uomo, la cui. La sua condizione spirituale gioca un ruolo determinante, in quanto si ripercuote comunque sull'ambiente, con o senza un impatto evidente sia quando c'è un impatto esterno su di essa, sia quando questo impatto non c'è. La storia della Chiesa conosce molti esempi in cui l'amore di asceti cristiani per la natura, le loro preghiere per il mondo circostante, la loro compassione per tutte le creature hanno avuto un'influenza assolutamente benefica sugli esseri viventi.

            I rapporti tra antropologia ed ecologia si manifestano con particolare chiarezza ai nostri giorni, mentre il mondo sta sperimentando contemporaneamente due crisi: la crisi spirituale e la crisi ecologica. Nella società contemporanea l'uomo spesso smarrisce la consapevolezza della vita come un dono di Dio, e talvolta persino il senso stesso dell'esistenza, riducendola talora solo alla sussistenza fisica. La natura circostante, con questo atteggiamento verso la vita, non viene più percepita come una casa, né tanto meno come un tempio, e diviene diventando semplicemente un «habitat». La persona spiritualmente degradata provoca anche ilporta al degrado anche della natura, perché non è capace di esercitare un impatto trasformante sul mondo. Neppure le colossali enormi risorse tecnologiche riescono ad aiutare l'umanità accecata dal peccato perché, essendo indifferenti al significato, al mistero ed, al miracolo della vita, esse non portano un vero vantaggio, ma spesso provocano danni. In un uomo che agisce non guidato dallo Sspirito, la potenza tecnologica, di solito, suscita speranze utopistiche nelle possibilità illimitate dell'intelletto umano e nella forza del progresso.

            È impensabile superare completamente la crisi ecologica in unanella situazione di crisi spirituale. Questa affermazione non significa affatto che la Chiesa invita a ridurre l'attività di salvaguardia e preservazione della natura. Piuttosto, essa collega la speranza in un cambiamento positivo dei rapporti dell'uomo- con la natura al, e l'aspirazione della società a una rinascita spirituale. La base antropogenica dei problemi ecologici dimostra che noi tendiamo a cambiare il mondo che ci circonda in conformità con il nostro mondo interiore, e proprio per questo la trasformazione della natura deve partire da una trasformazione dell'anima. Secondo il pensiero di Massimo il Confessore, l'uomo potrà trasformare tutta la terra in un paradiso solo quando egli avrà portato il paradiso in se stesso.

 

XIV. Laicità della Sscienza,
della cultura, dell’educazione

laiche

 

Riannodare il legame tra sapere scientifico
e valori religiosi, spirituali e morali

            XIV.1. Il cristianesimo, avendo superato i preconcetti pagani, ha demitologizzato la natura, contribuendo in tal modo allo sviluppo delle scienze naturali. Con il tempo, le scienze, sia naturali sia umanistiche, sono diventate una delle più importanti componenti della cultura. AllaVerso la fine del XX secolo la scienza e la tecnica hanno raggiunto risultati tanto stupefacenti e una tale incidenza su tutti gli aspetti della vita da diventare, di fatto, i fattori determinanti della vita civile. Nel contempo, nonostante l'iniziale impatto del cristianesimo sulla formazione dell'attività scientifica, lo sviluppo della scienza e della tecnica sotto l'influsso di ideologie laiche ha prodotto conseguenze che suscitano serie apprensioni. La crisi ecologica e altre crisi, che hanno colpito il mondo contemporaneo, fanno crescere con forza sempre maggiore deisuscitano dubbi sempre più seri riguardo al cammino intrapreso. Attualmente il livello scientifico-tecnologico della civiltà è tale che le azioni criminose di un gruppo ristretto di persone, in teoria, possono nel giro di alcune ore provocare una catastrofe mondiale, nella quale potrebbero perire irrimediabilmente tutte le forme di vita superiori.

            Dal punto di vista cristiano, tali conseguenze sono sorte in virtùderivano deal falso principio che sta alla base dello sviluppo tecnico-scientifico-tecnico contemporaneo.  Tale principio stabilisce aprioristicamente che questo sviluppo non deve essere limitato da alcuna esigenza etica, filosofica o religiosa. Con questa «libertà», tuttavia, lo sviluppo tecnico-scientifico-tecnico si trova completamente in baliapotere delle passioni umane, prima di tutto della vanità, dell'orgoglio, della sete del maggior comfort possibile, cosa che erode l'armonia spirituale della vita con tutte le conseguenze negative che ne derivano. Pertanto, per assicurare una vita umana normale oggi più che mai è necessario riannodare il legame, che è andato smarrito, tra il sapere scientifico e i valori religiosi, spirituali e morali.

            La necessità di questo legame è postulatao anche dal fatto che un consistente numero di persone crede ancora nell'onnipotenza della conoscenza scientifica. Deriva in parte da questa convinzione la posizione di alcuni In parte questa idea è una conseguenza diretta del pensiero sorto nel XVIII secolo, quando alcuni pensatori ateisti del XVIII secolo, che contrapposero nettamente drasticamente scienza e religione. Nel contempo però è comunemente accettato il fatto che in tutti i tempi, compreso quello presente, molti eminenti scienziati sono stati e sono persone religiose. Questo sarebbe stato impossibile se ci fossero state contraddizioni fondamentali tra la religione e la scienza. Il sapere scientifico e il sapere religioso hanno un carattere completamente diverso. HEsse hanno premesse diverse, finalità diverse, compiti e metodi diversi. Queste sfere possono sfiorarsi, intersecarsi, ma non contrapporsi l'una all'altra. Da un lato, infatti, le scienze naturali non contengono teorie ateistiche o religiose, bensìma sono teorie più o meno vere. Dall'altro lato, la religione non si occupa dei problemi inerenti alla struttura della materia.

            M.V. Lomonosov scrisse giustamente che la scienza e la religione «non possono entrare in conflitto... a meno che qualcuno per vanità o per ingenuità non voglia riversare su di esse la propria ostilità».. Questo stesso pensiero ha espresso s.San Filarete di Mosca: «La fede in Cristo non è in conflitto con il vero sapere, perché essa non è in unione con l'ignoranza».. È opportuno rilevare anche la scorrettezza della contrapposizione tra la religione e la concezione del mondo cosiddetta scientifica.

            Per loro natura solo la religione e la filosofia possono avere la funzione di esprimere una concezione del mondo, funzione che nessuna singola scienza specifica o nessun sapere scientifico concreto nel suo complesso può assumersi. Una riflessione sui progressi scientifici e sulla loro inclusione in un sistema ideologico può avere luogo in un contesto più ampio possibile, - da quello religioso a quello dichiaratamente ateistico.

            Benché Anche se la scienza possa essere una delle vie per conoscere Dio (Rm 1,19-20), lL'ortodossia la considera anche come uno strumento naturale strumento per edificare la vita sulla terra, uno strumento che deve essere usato con grande prudenza. La Chiesa mette in guardia l'uomo dalla tentazione di considerare la scienza come un ambito assolutamente indipendente dai principi morali. I progressi odierni nei diversi campi, comprese la fisica delle particelle elementari, la chimica e la microbiologia, mostrano che esse sono di fatto una spada a doppio taglio, capace non solo di recare un beneficio all'uomo, ma anche di togliergli la vita. I precetti evangelici di vita offrono la possibilità di educare una persona in modo tale che essa possa non abusare delle conoscenze e delle abilità ricevute. Questo è il motivo per cui la Chiesa e la scienza laicasecolare sono chiamate a collaborare per la salvaguardia della vita e del suo giusto ordine. La loro interazione contribuisce ad instaurare lla creazione di un sano clima di sana creativvitào nella sfera spirituale e intellettuale ed, aiutando in tal modo ad attuare le condizioni ottimali per lo sviluppo della ricerca scientifica.

            È opportuno dare particolare rilievo alle scienze sociali, in quanto per loro natura sono inevitabilmente connesse con i campi della teologia, della storia ecclesiastica e del diritto canonico. Pur approvando l'opera di studiosi laici in questo campo e riconoscendo l'importanza degli studi umanistici, la Chiesa nello stesso tempo non considera completoa ed onnicomprensivoa la visione il quadro razionale del mondo che, talvolta derivaconfigurato da questi studi. La concezione religiosa del mondo non può essere rigettata come fonte di idee sulla verità e desulla comprensione della storia, dell'etica e di molte altre scienze umanistiche che hanno ragione e diritto ad essere presenti nel sistema educativo e scolastico laico e nell'organizzazione della vita sociale. Solo la combinazione dell'esperienza spirituale con il sapere scientifico può assicurare la pienezza della conoscenza. Nessun sistema sociale può essere definito armonico, se nel momento di esprimere giudizi di rilevanza sociale esso risulta monopolizzato dallain esso esiste il monopolio della visione secolarizzatalaica del mondo quando vengono espressi giudizi socialmente significativi. Purtroppo, rimane il pericolo di una scienza ideologizzata, per illa quale intere nazioni nel mondo hanno pagato un prezzo molto alto nel XX secolo. Tale ideologizzazione è particolarmente pericolosa nel campo degli studi sociali, che vengono posti a fondamento di programmi di governo e di progetti politici. Pur opponendosi al tentativo di sostituire l'ideologia alla scienza, la Chiesa appoggia il dialogo particolarmente importante con gli studiosi -umanisti.

            L'uomo come immagine e somiglianza dell'iIneffabile Creatore è libero nelle sue misteriose profondità. La Chiesa mette in guardia dai tentativi di servirsi delusare le conquiste della scienza e della tecnica per estendere il proprio controllo sul mondo interiore della persona, per creare una qualche tecnologia che renda possibile il plagio e la manipolazione della coscienza o dell'inconscio dell'uomo.

 

La cultura come compito
assegnato da Dio

            XIV.2. Il termine latino cultura, che significa «coltivazione», «educazione», «istruzione», «sviluppo», deriva dalla parola cultus: («venerazione», «culto», «adorazione»). Questo indica le radici religiose della cultura. Dopo aver creato l'uomo, Dio lo pose nel paradiso terrestre e gli ordinò di coltivare e di custodire la suao  creazione (Gen 2,15). La cultura come preservazione e cura del mondo circostante e come sua cura è un compito assegnato da Dio all'uomo. Dopo la sua cacciata dal paradiso terrestre, quando gli uomini si trovarono ad affrontare lanella necessità di lottare per la sopravvivenza, cominciarono a produrre strumenti per lavorare, per costruire città, per svolgere l'attività agricola e per creare opere artistiche. I padri e i dottori della Chiesa hanno sottolineato la primordiale origine divina della cultura. Clemente Alessandrino, in particolare, la percepì come frutto della creatività dell'uomo sotto la guida del Logos: «La Scrittura con il nome generico di sapienza designa globalmente tutte le scienze e le arti terrene, tutto quello che l'intelletto umano ha potuto conseguire... perché ogni arte e ogni sapere viene da Dio».. E s.San Gregorio il Teologo scriveva: «Come in una magistrale armonia musicale ogni corda produce un suono diverso, l'una - alto, l'altra - basso,  così anche in questo l'Aartista e Ccreatore-Logos, pur avendo posto diversi inventori di diverse attività e arti, ma ha messo ogni cosa a disposizione di tutti quelli che lo desiderano, allo scopo di unirci con i vincoli di comunione e di amore per l'umanità e di rendere la nostra vita più civileizzata»..

            La Chiesa ha assimilato molto dal patrimonio d'arte e di cultura creato  quello che è stato creato dall'umanità nel campo dell'arte e della culturae ha riplasmato, riforgiando i frutti del lavoro creativo nel crogiolo dell'esperienza religiosa, cercando di purificarli dagli elementi spiritualmente perniciosi per poi offrirli alle persone. Essa santifica diversi aspetti della cultura e dà molto offre un valido contributo aper il suo sviluppo. L'iconografo ortodosso, il poeta, il filosofo, il musicista, l'architetto, l'attore e lo scrittore ortodossi, tutti usano gli strumenti dell'arte per esprimere l'esperienza di rinnovamento spirituale che essi hanno trovato in se stessi e che desiderano donare agli altri. La Chiesa rende possibile comprendere in modo nuovo l'uomo, il suo mondo interiore e, il senso della sua esistenza. Di conseguenza, la creatività umana, sacralizzandosi, ritorna alle sue primordiali originarie radici religiose. La Chiesa aiuta la cultura ad oltrepassare i confini di un'attività puramente terrena: offrendo una via per purificare il cuore e per unirsi con il Creatore, essa la rende capace di collaborarezione con Dio.

            La cultura laica può essere portatrice della buona novella. Questo è particolarmente importante quando l'influenza del cristianesimo nella società si indebolisce o quando il potere civile entra in aperto conflitto con la Chiesa. Così, negli anni dell'ateismo di stato, la letteratura russa classica, la poesia, la pittura e la musica divennero per molti quasi le sole fonti della conoscenza religiosa. Le tradizioni culturali contribuiscono a preservare e ad arricchire l'eredità spirituale in un mondo in rapida trasformazione. Questo vale per i vari aspetti della creatività: la letteratura, le arti figurative, la musica, l'architettura, il teatro, il cinema. Per predicare Cristo tutti gli stili creativi sono adatti, se l'intenzione dell'artista è autenticamente devota, e se egli resta fedele al Signore.

            Agli uomini di cultura la Chiesa ha sempre rivolto questo appello: «Trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Nello stesso tempo la Chiesa ammonisce: «Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio» (1Gv 4,1). L'uomo non ha sempre una sufficiente perspicacia spirituale per distinguere l'autentica ispirazione divina dall'«ispirazione» estatica, dietro alla quale non di rado stanno le forze oscure che hanno un impatto distruttivo sull'uomo. Quest'ultima si verifica, in particolare, quando le persone entrano in contatto con il mondo della magia e della stregoneria o, e anche quando assumono stupefacenti. L'insegnamento della Chiesa aiuta una persona a trovare la vista spirituale che le permette di distinguere il bene dal male, il divino dal demoniaco.

            L'incontro tra la Chiesa e il mondo della cultura non significa affatto sempre la semplice cooperazione e l'arricchimento reciproco: «Il vero Logos, quando venne, mostrò che non ogni opinione né ogni insegnamento è buono, ma che alcuni sono buoni, mentre altri sono cattivi» (s.San Giustino Filosofo). Nel rRiconoscerendo il diritto di ogni uomo a esprimere un giudizio morale sui fenomeni culturali, la Chiesa riserva anche a se stessa un analogoquesto diritto solo per se stessa., nel quale Inoltre, essa ravvisa un suo direttovede in questo un proprio compito diretto. Pur senza insistere sul fatto che il criterio di valutazione della Chiesa debba dovrebbe essere l'unico accettato nella società secolare laica e nello stato, la Chiesa, tuttavia, è tuttavia convinta della verità ultima e della natura salvifica della via che le è stataad essa rivelata nel VVangelo. Se un'opera creativa contribuisce alla trasformazione morale e spirituale della persona, la Chiesa la benedice. Se invece la cultura si pone in contrasto con Dio, se diventa antireligiosa o anti-umana, e si trasforma in anti-cultura, la Chiesa le si oppone. Tuttavia, una simile opposizione non è una lotta contro i portatori di questa cultura, perché «la nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne», ma è una battaglia spirituale, volta alla liberazione degli uomini dall'impatto pernicioso esercitato sulle loro anime dalle forze oscure, dagli «spiriti del male» (Ef 6,12).

            La tensione escatologica del cristiano non gli permette di identificare completamente la propria sua vita con il mondo della cultura, «perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14). Il cristiano può lavorare e vivere in questo mondo, ma non deve lasciarsi completamente assorbire dall'attività terrena. La Chiesa ricorda alle persone di cultura che la loro vocazione è coltivare l'e animea delle persone, compresea la propria quelle dei suoi fedeli, cercando di ricostituire in essi l'immagine di Dio deformata dal peccato.

            Predicando la Vverità eterna di Cristo alle persone, che vivono in situazioni storiche in evoluzioneche cambiano, la Chiesa fa questocompie la sua missione attraverso le forme culturali proprie del suo tempo, della nazione e dei vari gruppi sociali in cui si trova ad operare. Quello che è stato conosciuto e sperimentato da certi popoli e generazioni, a volte deve essere reinterpretato di nuovo per altri soggetti, in modo che diventi a essi familiare e comprensibile. Nessuna cultura può essere considerata l'unica accettabile per esprimere il messaggio spirituale cristiano. Il linguaggio verbale e figurativo della predicazione, i suoi metodi e i suoi strumenti mutano naturalmente nel corso della storia ed assumono caratteristiche diverse a seconda del , variano dipendentemente dal contesto nazionale e dia altri fattori. Nello stesso tempo però gli umori mutevoli del mondo non costituiscono un motivo per rigettare il prezioso patrimonio prezioso dei secoli passati e, peggio ancora, per abbandonare all'oblio la Ttradizione della Chiesa.

 

L’educazione laica

            XIV.3. La tradizione cristiana ha sempre rispettato l'educazione  secolarelaica. Molti padri della Chiesa studiarono in scuole e accademie laiche e ritennero le discipline che vi si insegnavano indispensabili per un credente. S.an Basilio Magno scrisse che «le scienze esterne non sono inutili» per un cristiano, il quale deve trarre da esse tutto ciò che contribuisce al suo perfezionamento morale e alla sua crescita intellettuale. Secondo il pensiero di S.an Gregorio il Teologo, «chiunque sia dotato diha un intelletto riconosce l'istruzione (paideusin) come un bene primario per noi. E non solo questa nostra nobile erudizione che... ha per oggetto unicamente la salvezza e la bellezza di ciò che è contemplato dalla mente, ma anche l'erudizione esterna, che molti cristiani per ignoranza disprezzano come poco affidabile, pericolosa e sviante da Dio».

            Dal punto di vista ortodosso è auspicabile che l'intero sistema educativo sia costruito sui principi religiosi e fondato sui valori cristiani. Nondimeno, la Chiesa, seguendo una tradizione plurisecolare, rispetta la scuola laica ed è pronta a instaurare rapporti con essa sulla base del riconoscimento della libertà umana. Nello stesso tempo la Chiesa considera inammissibile imporre deliberatamente agli studenti idee antireligiose e anticristiane ed affermare il monopolio della visione materialistica del mondo (v. XIV.1). Non bisognerebbe si deve riprodurre la situazione, tipica di molti paesi nel XX secolo, nella quale quando le scuole statali erano divenutedivennero strumenti di un'educazione ateistica militante. La Chiesa esorta a rimuovere le conseguenze del controllo ateistico sul sistema dell'istruzione pubblica.

   Purtroppo, sino ad oggi, in molti curricola programmi di storia è ancora sottovalutato il ruolo della religione nella formazione dell'autocoscienza spirituale dei popoli è ancora sottovalutato. La Chiesa richiama costantemente alla memoria l'apporto che il cristianesimo ha offerto al deposito del tesoro culturale nazionale e mondiale. I credenti ortodossi prendono atto con rammarico dei tentativi di accettare in maniera acritica standard criteri didattici, programmi e principi educativi di organizzazioni note per il loro atteggiamento negativo verso il cristianesimo in generale eo l'ortodossia in particolare. Non può essere ignorato neppure il pericolo della penetrazione nella scuola laica di influenze occulte e neo-pagane e, di sette distruttive, sotto il cui impatto un bambino può smarrirsi andare perduto e per se stesso, e per la famiglia e per la società.

            La Chiesa ritiene utile e necessario attivare corsi opzionali di religione cristiana nelle scuole statali, su richiesta dei bambini o dei loro genitori, come pure negli istituti di istruzione superiore. Le autorità ecclesiastiche dovrebbero avviare con il governo un dialogo tesvolto a suggellare a livello legislativo e pratico l'esercizio delil diritto internazionalmente riconosciuto delle famiglie credenti di impartire ai loro figli un'istruzione e un'educazione religiosea. A questo scopo la Chiesa ha anche creato istituti di istruzioneeducativi di base ortodossi, per i quali aspettando il sostegno degli stessi da parte dello stato.

            La scuola è un mediatore, che trasmette alle nuove generazioni i valori morali maturatiaccumulatisi nei secoli precedenti. La scuola e la Chiesa sono chiamate a collaborare ain questo compito. L'istruzione, specialmente quella destinata ai bambini e agli adolescenti, non è chiamata non solo a trasmettere informazioni. Accendere nei giovani cuori l'aspirazione alla vVerità, un autentico senso morale, l'amore verso il prossimo, verso la patria, la sua storia e la sua cultura: questo deve essere un compito della scuola – non inferiore,  più piccolo, ma forse anzi più nobile anche più grande della trasmissione del sapere. La Chiesa è chiamata e cerca di aiutare la scuola nella sua missione educativa, perché è dalla moralità e dalla spiritualità di una persona che dipende la sua salvezza eterna, come pure il futuro delle singole nazioni e dell'intero genere umano.

 

XV. La Chiesa
e i mass media ezzi di comunicazione di massa laici

 

 

Il compito dell’informazione

            XV.1. I mass mediaezzi di comunicazione di massa  nel mondo contemporaneo giocano un ruolo sempre crescentepiù importante nel mondo contemporaneo. La Chiesa rispetta il lavoro dei giornalisti, i quali sono chiamati a fornire a larghi strati della società un'informazione tempestiva su quanto accade nel mondo, aiutando le persone a orientarsi nella complessa realtà odierna. È importante ricordare che il compito di l'informare zione dello spettatore, dell'ascoltatore e de il lettore dovrebbe essere fondatao non solo su un solido impegno per la verità, ma anche sulla preoccupazione per la condizione morale dell'individuo e della società, e questo comporta l'adesione a ideali positivi e la lotta contro la propagazione del male, del peccato e del vizio. Sono inammissibili lLa propaganda della violenza, dell'inimicizia e dell'odio, delle ostilità nazionalietniche, sociali e religiose, come pure lo sfruttamento peccaminoso degli istinti umani, compreso quello per scopi commercialii, sono inammissibili. I mass- media, che hanno un'influenza enorme sul pubblicol'audience, hanno una gravendissima responsabilità per l'educazione delle persone, specialmente delle generazioni più giovani. I giornalisti e i dirigenti dei mass -media non dovrebbero mai dimenticare questa responsabilità.

 

La collaborazione della Chiesa
con i mezzi di comunicazione

            XV.2. La missione educativa, didattica e pacificatrice a livello sociale della Chiesa la spinge a cooperare con i mezzi di comunicazione di massa laici, che possono capaci di trasmettere il suo messaggio agli strati più diversi della società. Il santo apostolo Pietro esorta i cristiani: «siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15). Tutti, ministri del culto o laici, sono chiamati a mantenere con la dovuta attenzione i contatti con i mass- media laici per allo scopo di realizzare la loro missione pastorale ed educativa, e anche di risvegliare l'interesse della società laica per i vari aspetti della vita ecclesiale e della cultura cristiana. Pertanto, è necessario mostrare saggezza, responsabilità e prudenza verso la posizione di un particolare organo di informazione mass-medium concreto e particolare riguardo alla fede e alla Chiesa, verso il suo orientamento morale e i suoi rapporti con le autorità ecclesiastiche. I laici ortodossi possono lavorareessere direttamente impiegati presso i mass-media laici, e in tale  nella propria attività essi sono chiamati a essere annunciatori e testimoni degli ideali morali cristiani. I giornalisti che pubblicano materiali che portano alla corruzione delle anime umane devono essere sottoposti alle interdizioni canoniche qualoranel caso che essi appartengano alla Chiesa ortodossa.

            Per ogni specifica tipologia massmediale Nell'ambito di ciascuno degli aspetti nei mass-media (stampa, radio e supporti- elettronicai, computer), aventi la propria specificità, la Chiesa – sia attraverso istituzioni ufficiali, sia ancheper mezzo di  attraverso iniziative private di sacerdoti e di laici –, dispone di propri mezzi di comunicazione, che godono del beneplacito delle Aautorità ecclesiastiche. Nello stesso tempo, la Chiesa, attraverso le sue istituzioni e le persone incaricate, interagisce con i mass- media laici. Questa interazione si attua sia mediante la creazione di particolari forme di presenza ecclesiale nei mass- media laici (supplementi speciali a quotidiani e riviste, pagine speciali, serie televisive e radiofoniche, e rubriche), sia mediante una partecipazione dall'esterno anche esternamente (singoli articoli, interventi radiofonici e televisivi, interviste, partecipazione a diverse forme di dibattiti pubblici e discussioni). La Chiesa può anche offrire un'assistenza di consulenza ai giornalisti, diramare informazioni, relazioni o rapporti appositamente preparati per loro, predisporre materiale informativo e offrire la possibilità di ricevere materiali audio-video [filmati, registrazioni, riproduzioni]).

            La cooperazione tra la Chiesa e i mass mediaezzi di comunicazione di massa laici presuppone una reciproca responsabilità. L'informazione passata a un giornalista e per essereda lui trasmessa al pubblico deve essere affidabile. Le opinioni dei ministri del culto o di altri rappresentanti ecclesiasticidella chiesa, riportate attraverso i mass- media, devono essere conformi all’insegnamento della Chiesa  suo insegnamento eed alle sue posizioni in materia socialerelative ai problemi sociali. Qualora venga espressa un'opinione puramente personale, questo deve essere inequivocabilmente dichiarato sia dalla persona stessa che parla attraverso i mass- media, sia dai responsabili della gestione degli organi di informazione i mass-media che hanno trasmesso quell'opinione. La cooperazione tra i ministri del culto e le istituzioni ecclesiastiche da un lato, e i mass- media laici dall'altro, deve aver luogo sotto la guida delle aAutorità ecclesiastiche – se i servizi in questione temi riguardano attività ecclesialistiche di ampia portata – e delle autorità diocesane, se la cooperazione con i mass- media è a livello regionale e i temi riguardano prima di tutto la vita della diocesi.

 

 

I possibili conflitti

            XV.3. Nel dispiegarsiNel corso della collaborazione tra la Chiesa e i mass media ezzi di comunicazione di massa laici possono sorgere complicazioni e persino gravi conflitti. I pProblemi possono sorgere, in particolare, a causa di una informazione imprecisa o distorta sulla vita della Chiesa, o perché tale informazione viene collocata in un contesto inappropriato, o ancora perché l'opinione personale dell'autore o del reporter o di una persona citata si sovrappone e viene confusa con la posizione ufficiale della Chiesa. A volte, i rapporti tra la Chiesa e i mass- media laici si guastano compromettono anche per colpa dello stesso clero e degli stessi laici, per esempio, nei casi in cui essi rifiutino in maniera ingiustificata di dare ai giornalisti accesso all'informazione, o reagiscano in maniera esagerata a una critica giusta e opportuna. Tali problemi dovrebbero essere risolti in uno nello spirito di pacifico un dialogo pacifico con lo scopo di eliminare le incomprensioni e di continuare la collaborazione.

            Nello stesso tempo possono sorgere conflitti ancora più profondi e sostanziali tra la Chiesa e i mass- media laici. Questo accade qualora venga bestemmiato il nome di Dio, o vengano commessi altri atti sacrileghi, vengano date informazioni sistematicamente e deliberatamente distorte sulla vita della Chiesa, e vengano calunniati la Chiesa e i suoi ministri. Qualora insorgano tali conflitti, la suprema autorità ecclesiastica (riguardo ai mass- media nazionali) o il vescovo diocesano (riguardo ai mass- media regionali e locali) possono, dopo un'a opportuna ammonizione e dopo aver compiuto almeno un tentativo per entrare in trattative, prendere i seguenti provvedimenti: rompere i rapporti con l’organo d'informazioneil mass-medium o con il giornalista interessato; invitare i credenti a boicottarloe tale mass-medium; appellarsi agli organi del governo per comporre il conflitto; sottoporre a interdizione canonica le persone colpevoli di tali azioni peccaminose se esse sono cristiani ortodossi. Le azioni summenzionate devono essere documentate ed è opportuno che vengano rese note ai fedeli e alla società tutta.

 

XVI. Relazioni internazionali

I problemi della globalizzazione e del secolarismo

 

 

I rapporti tra i popoli

            XVI.1. Popoli e nazioni entrano in rapporti economici, politici, militari e di altro genere fra di loro. Di conseguenza, vi sono stati che nascemergono o che scompaiono, che modificano i loro confini, che si uniscono o si separano,; e inoltre creano o sciolgono varie alleanze. Nella sacra Scrittura sono contenute numerose testimonianze storiche sulla costituzione dellei relazioni internazionali.

            Uno dei primi esempi di trattato inter-tribale, concluso tra il proprietario della terra, Abimelech, e uno straniero, Abramo, è presentato nel libro della Genesi: «Abimelech... disse ad Abramo: “... giurami qui per Dio che tu non ingannerai né me né i miei figli né i miei discendenti: come io ho agito amichevolmente con te, così tu agirai con me e con il paese nel quale sei forestiero”. Rispose Abramo: “Io lo giuro”... tra loro due conclusero un'alleanza» (Gen 21,22-24.27). I trattati riducevano il pericolo di guerre e di conflitti (Gen 26,26-31; Gs 9,3-27). Talvolta i negoziati e le dimostrazioni di buona volontà riuscivano ad evitare lo spargimento di sangue (1Sam 25,18-35; 2Sam 21,15-22). Le guerre si concludevano con la stipulazione di dei trattati (1 Re 20,26-34). La Bibbia menziona delle alleanze militari (Gen 14,13; Gdc 3,12-13; 1 Re 22,2-29; Ger 37,5-7). Talvolta l'aiuto militare veniva procurato in cambio di denaro e di altri beni materiali (2 Re 16,7-9; 1 Re 15,17-20). L'accordo tra Chiram e Salomone di fatto ebbe il carattere di un'alleanza economica: «I miei servi saranno con i tuoi servi; io ti darò come salario per i tuoi servi quanto fisserai. Tu sai bene, infatti, che fra di noi nessuno è capace di tagliare il legname come sanno fare quelli di Sidone... Fra Chiram e Salomone regnò la pace e i due conclusero un'alleanza» (1Re 5,6.12). Durante le trattative per mezzo di emissari si discutevano questioni quali la possibilità di lasciar passare uomini armati attraverso un territorio altrui (Nm 20,14-17; 21,21-22) o ,problemi di territorio dispute territoriali (Gdc 11,12-28). I trattati potevano includere il passaggio di territori da un popolo ad un altro (1 Re 9,10-12; 1 Re 20,34).

            Nella Bibbia sono contenute anche le descrizioni di astuzie diplomatiche, connesse con la necessità di proteggersi da un avversario potente (Gs 9,3-27; 2 Sam 15,32-37; 16,16-19; 17,1-16). A volte la pace veniva comprata (2 Re 12,18) o pagata con un tributo. Certamente, uno dei mezzi per comporre liti e conflitti era la guerra, e nei libri dell'Antico Testamento i riferimenti alle guerre abbondano. Tuttavia, nella sacra Scrittura vi sono anche esempi di negoziati, finalizzati a evitare la guerra non appena si profili il rischio che possa cominciare (2Re 14,9-10). La pratica di raggiungere accordi in epoca veterotestamentaria era fondata su principi religiosi e morali. Così, persino un trattato con gli abitanti di Gabaon, che ricorsero all’inganno per concluderlo concluso dopo un inganno da parte di questi ultimi, fu riconosciuto valido in virtù della sua formula sacra: «Noi abbiamo loro giurato per il Signore, Dio di Israele, e ora non possiamo colpirli» (Gs 9,19). La Bibbia contiene il divieto di concludere alleanze con tribù pagane viziose (Es 34,15). Tuttavia, gli israeliti di tanto in tanto non rispettarono questo comandamento. Anche vari trattati e alleanze spesso vennero infranti.

            L'ideale cristiano che deve guidare il di comportamento di un popolo e di un governo nel campo delle relazioni internazionali è racchiuso nella «regola aurea d'oro»: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). Applicando questo principio non solo nella vita individuale, ma anche nella vita sociale, i cristiani ortodossi dovrebbero ricordare che «Dio non è nella forza, ma nella giustizia». Nel contempo, se qualcuno agisce contro giustizia, spesso per ristabilire la giustizia sono necessarie azioni restrittive e persino violente verso altri stati e popoli. Si sa che, per la corruzione  a causa della natura umana prodottacorrotta dal peccato, è inevitabile che le nazioni e gli stati inevitabilmente hanno abbiano interessi praticamente divergenti, connessi, in particolare, con il desiderio di possedere la terra, di dominare politicamente e militarmente e, di trarre il massimo profitto possibile dalla produzione e dal commercio. Sorgendo per questa ragione, il bisogno di difendere i connazionali pone certe limitazioni alla buona volontà dell'individuo di sacrificare i propri interessi per il bene di un altro popolo. Nondimeno, i cristiani ortodossi e le loro comunità sono chiamati a tendere all'instaurazione di quelle relazioni internazionali che potrebbero promuovere neal massimo grado possibile il bene e il soddisfacimento degli interessi legittimi del proprio popolo, delle nazioni confinanti e dell'intera famiglia umana.

            I rapporti tra popoli e governi devono essere orientati alla pace, all'aiuto reciproco e alla cooperazione. L'apostolo Paolo esorta i cristiani: «Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18). S.an Filarete di Mosca, nel suo discorso in occasione della firma del trattato di pace del 1856, dice: «Ricordiamo la legge, e compiamo la volontà del Ddivino Principe della pace – cerchiamo di non ricordare il male, di perdonare le offese, di essere in pace anche «con chi detesta la pace» (Sal 119,6), e ancor più con coloro che propongono di porre fine all'inimicizia e che tendono una mano amichevole». Pur nella consapevolezza che in questo mondo decaduto i conflitti internazionali e le contraddizioni sono inevitabili, la Chiesa chiama le potenze ad adoperarsi per comporre tutti i conflitti attraverso la ricerca di risoluzioni reciprocamente accettabili. Essa si pone dalla parte delle vittime delle aggressioni e di quanti sono oggetto didella pressione politica esterna illegittima e moralmente ingiustificata. L'uso della forza militare è consideratoa dalla Chiesa come lo strumento estremo di difesa contro un'aggressione armata da parte di altri stati.  Tale difesa può anche essere messa in atto da parte di uno stato che non è oggetto diretto di un attacco, per portare aiuto ad un altro stato, oggetto di aggressione, su richiesta di quest'ultimo.

   Gli stati fondano le loro relazioni con il mondo esterno sui principi della sovranità e dell'integrità territoriale. Questi principi sono considerati dalla Chiesa come essenziali per la difesa da parte di un popolo dei propri interessi legittimi da parte di un popolo e rappresentano una pietra angolare dei negoziati internazionali, e, quindi, dell'intero diritto internazionale. Nello stesso tempo, per la coscienza cristiana è evidente che qualsiasi ordinamento umano, compreso il potere sovrano di uno stato, è relativo di fronte a Dio oOnnipotente. La storia dimostra che la vita, i confini e la forma dei governi sono mutevoli, essendo fondati non solo su una base territoriale ed etnica, ma anche su principi economici, politici, militari ed altri simili. Pur senza negare l'importanza storica dello stato monoetnico, la Chiesa ortodossa nello stesso tempo approva l'unificazione volontaria di nazioni in un unico organismo, e la creazione di stati multinazionali, se in essi non vengono violati i diritti di nessun popolo. Nel contempo, non si può non riconoscere che nel mondo odierno sussiste una certa contraddizione tra i principi universalmente accettati della sovranità e dell'integrità territoriale di uno stato, da un lato, e l'aspirazione da parte di un popolo o di una parte di esso all'indipendenza nazionale, dall'altro lato. Dissidi e conflitti che scaturiscono da questa contraddizione andrebbero compostie con mezzi pacifici, sulla base del dialogo, cercando di raggiungere con il' maggior accordo più ampio possibile tra le parti. Ricordando che l'unità è un bene e la disunione - un male, la Chiesa approva le tendenze all'unificazione di paesi e nazioni, specialmente di quelli che hanno una storia e una cultura comuni, a condizione che queste unificazioni non siano volte contro una terza parte. La Chiesa si rammarica quando con la divisione di uno stato multietnico si distrugge anche l'unità storica dei suoi popoli, vengono violati i loro diritti e la vita di molti è colpitaafflitta da grandi sofferenze. La divisione di uno stato multinazionale si può ritenere giustificatao solo nel caso in cui uno dei popoli si trovi in una situazione di evidente oppressione o se la maggioranza dei cittadini di un paese non esprime launa decisa e precisa volontà di mantenere l'unità.

   La storia recente ha mostrato che la divisione di diversi stati eurasiatici ha determinato una frattura artificiale tra popoli, famiglie e comunità economichesocietà d'affari ed ha provocatoportato alla prassi di ilun forzato reinsediamento e all'espulsione di vari gruppi etnici, religiosi e sociali, che in questi avvenimenti hanno perso anche e questo ha comportato la perdita da parte di interi popoli dei loro oggetti di culto. Il tentativo di creare stati mononazionali sulle rovine di precedenti unioni è stata la ragione fondamentale dei sanguinosi conflitti inter-etnici che hanno scosso l'Europa Orientale.

            Alla luce di quanto detto sopra, è necessario riconoscere l'utilità di creare unioni inter-statali che abbiano lo scopo di , aventi come scopo quello di unire gli sforzi nel campo politico ed economico, per creare una difesa comune contro le minacce esterne ed aiutare le vittime di aggressioni. Alla collaborazione economica e commerciale tra gli stati devono essere applicate le stesse norme morali che in genere devono regolare l'attività economica e imprenditoriale individuale. L'interazione fra ledi  nazioni e gli stati in questo campo deve necessariamente essere fondata sull'onestà, sulla giustizia e sul desiderio di far sì che i frutti del raggiungere risultati di un lavoro comune siano accettabili per da parte di tutti i suoi partecipanti (v. XVI.3). Si approva la cooperazione internazionale nel campoi campi culturale e in quello, scientifico, nell’ educazione e nel settore tivo e delle comunicazioni, se essa è costruita sulla base della priorità di diritti e deli rispetto reciproco, ed è diretta ad arricchire l'esperienza, la conoscenza e la creatività di ogni nazione che vi partecipa.

 

Il fenomeno della globalizzazione
giuridica e politica

            XVI.2. Nel corso del XX secolo accordi inter-statali multilaterali hanno portato alla creazione di un sistema giuridico internazionale ramificato, vincolante per i paesi firmatari. I Dai governi hanno anche sono anche statedato vita a  istituite organizzazioni internazionali, le cui risoluzioni sono vincolanti per gli stati- membri. Gli esecutivi hanno altresì delegato Aad alcune di queste organizzazioni è stata delegata dai governi una serie di poteri, che esse possono esercitare in campo economico, politico e militare e che si applicano non solo anei rapporti internazionali, ma anche anella vita interna delle nazioni. Il fenomeno della regionalizzazione e della globalizzazione giuridica e politica sta diventando una realtà.

            Da un lato, tale sviluppo delle relazioni inter-statali contribuisce a intensificare la cooperazione commerciale, industriale, militare, politica e di altro genere – necessità imposta dalla naturale intensificazione delle relazioni internazionali e dall'esigenza di fornire una risposta comune alle sfide globali del tempo presente. Nella storia dell'ortodossia vi sono esempi di influenza positiva esercitata dalla Chiesa sullo sviluppo dei rapporti inter-statali su scala regionalie. Le organizzazioni internazionali contribuiscono alla composizione di diverse vertenze e conflitti. D'altra parte, non va però sottovalutato il pericolo di possibili contrastidissidi tra la volontà di una nazione e le risoluzioni delle organizzazioni internazionali. Queste organizzazioni possono diventare strumenti di dominio ingiusto dei paesi forti sui paesi deboli, dei paesi ricchi su quelli poveri, dei paesi più sviluppati sul piano tecnologico e delle comunicazioni sugli altri. Esse inoltre possono praticare seguire criteri di valutazione due standard diversi nell'applicazione del diritto internazionale a vantaggio degli interessi degli stati più influenti.

            Tutto questo induce la Chiesa ortodossa ad assumere un approccio critico e prudente nei confronti del processo di ell'internazionalizzazione giuridico-a e politica, richiamando alla massima responsabilità coloro che detengono il potere, sia a livello nazionale che a livello internazionale, ad una particolare responsabilità. Qualsiasi decisione relativa alla conclusione di trattati internazionali determinanti per il futuro destino delle nazioni interessate e alla definizione della posizione dei paesi all'interno dell'attività delle organizzazioni internazionali, deve essere assunta solo in accordo con la volontà popolare, fondata su un'informazione completa e obiettiva  riguardo asulla natura e alle conseguenze delle decisioni progettate. Nell'attuazioneestendersi di una politica vincolata ad connessa con l'assunzione di accordi internazionali vincolanti ed alle con azioni di organizzazioni internazionali, i governi dovrebbero salvaguardareconservare l'identità spirituale e, culturale o di altri tipo del proprioi paesei e dellea propria nazionie e tutelare gli interessi legittimi del proprioi propri statio. In seno aNel contesto delle organizzazioni internazionali stesse è necessario assicurare l'eguaglianza degli stati sovrani nell'accesso ai meccanismi decisionali e nel diritto adel voto deliberativo, specialmente nella definizione degli standard internazionali di base. Le situazioni conflittuali e controverse dovrebbero essere risolte solo con la partecipazione e il consenso di tutte le parti, i cui interessi vitali siano coinvolti in ciascun caso concreto. L'adozione di deliberazioni obbligatorie senza il consenso dello stato sul quale tali deliberazioni hanno un'influenza diretta, appare possibile solo nel caso in cui nel territorio di tale paese siano stati perpetrati un massacro o un’aggressionedi una aggressione o di un massacro all'interno di quel paese.

            Ricordando la necessità di esercitare un'influenza spirituale e morale sulle azioni dei leaders politici, di collaborare con essi, di dimostrare interesse e preoccupazione per i bisogni del popolo e dei singoli individui, la Chiesa partecipa al dialogo ed alla cooperazione con le organizzazioni internazionali. All'interno di questo processo essa testimonia invariabilmente la propria convinzione nell'importanza assoluta della fede e della spiritualità per le attività, le decisioni e le leggi degli uomini.

 

La dimensione economica della globalizzazione

            XVI.3. La globalizzazione ha una dimensione non solo politica e giuridica, ma anche economica, culturale e mass-mediale. In economia essa è connessasi manifesta nella nascitacon l'emergenza di societàcorporazioni trans-nazionali, nelle qualidove si concentrano notevoli risorse materiali e finanziarie, e lavoradove è impiegato un numero enorme di cittadini di diversi paesi. Coloro che stanno a capo delle strutture economiche e finanziarie internazionali, hanno concentrato nelle proprie mani un ampio enorme potere, che sfugge al controllo delle nazioni e persino dei governi, e che non conosceono alcun limitie – sia che si tratti di confini statali, di identità etnico-culturalie o della necessità di mantenere una stabilità ecologica e demografica. Talvolta essi  rifiutano di tener conto delle tradizioni e dei principi religiosi dei popoli coinvolti nella realizzazione dei loro progetti. La Chiesa non può che essere preoccupata anche per la pratica delle speculazioni finanziarie, che cancellanoannullano il rapporto di la dipendenza fra dei redditio edal lavoro compiuto. Tra le varie forme di queste speculazioni vci sono le «piramidi finanziarie», il cui collasso può provocare uno sconvolgimento su larga scala. In generale, questtali cambiamenti nell'economia portano alla perditafanno dimenticare della priorità del lavoro e dell'uomo rispetto al capitale e ai mezzi di produzione.

            Nel campo della cultura e dell'informazione, la globalizzazione è stata condizionata dallo sviluppo delle tecnologie che facilitano la circolazioneo spostamento di persone e di benicose e, la diffusione e l'acquisizione dell'informazione. Le società, che prima erano separate da distanze e confini, e che per questo erano prevalentemente omogenee, oggi entrano in contatto facilmente l’una con l’altra e diventano multiculturali. Tuttavia, questo processo è stato accompagnato dal tentativo di stabilire il dominio dell'élite ricca sul resto della popolazione tutti gli altri, e di alcune culture e ideologie sulle altre, cosa che è particolarmente intollerabile nella sfera della religione. Di conseguenza si osserva launa tendenza a presentare come l'unica possibile una cultura universale caratterizzata dall'assenza di interessi spirituali e fondata sull'idea sudella libertà illimitata dell'uomo decaduto , che non conosce nessuna limitazione, come quale assoluto valore assoluto e criterio di verità. Tale sviluppo della globalizzazione è paragonato da molti nel mondo cristiano è paragonato alla costruzione della Ttorre di Babele.

            Pur riconoscendo che il processoi della globalizzazione èsono inevitabilie e naturalie, e che per molti versi facilitano la comunicazione fra delle persone, la diffusione delle informazioni e una efficace attività produttiva e imprenditoriale, la Chiesa nello stesso tempo rivolge la sua attenzione alle contraddizioni interne di questi processi e ai pericoli che esse comportano. In primo luogo, la globalizzazione comincia a mutarecambiare, insieme ai modi convenzionali tradizionali di organizzare i processi produttivi, anche le modalità tradizionali di i modi convenzionali di organizzare la società e di esercitare il potere. In secondo luogo, molti frutti positivi della globalizzazione sono accessibili solo alle nazioni che rappresentano una piccola parte dell'umanità, ma che hanno sistemi economici e politici affini. Altre nazioni, invece, alle quali appartengono i 5/6 della popolazione mondiale, si trovano sospintei ai margini del mondo civileizzato. Si trovano stritolate nella morsa  meccanismo della dipendenza della dipendenza dai debiti contrattiel debito che esse hanno contratto coi finanzieri di alcuni paesi industrializzati e quindi non riescono quindi a creare condizioni dignitose di vita. Tra queste popolazioni stanno crescendo un profondo malcontento e un'amara disillusione.

            La Chiesa pone il problema circa la necessità di istituire un controllo globale sulle corporazioni società transnazionali e sui processi finanziariche avvengono nel settore finanziario dell'economia.  Questo controllo, il cui fine deve essere quello di subordinare ogni attività imprenditoriale e finanziaria agli interessi della persona e dei popoli'individuo e del popolo, deve essere esercitato mediante tutti i meccanismi disponibili nella società e nello stato.

            L'espansione spirituale e culturale ,è esposta al rischio di una totale uniformaicazione e in quanto tale, dovrebbe essere necessariamente  contrastata mediante gli sforzi congiunti della Chiesa, delle strutture statali, della società civile e delle organizzazioni internazionali, per poter affermare instaurare nel mondo uno scambio di  cultura edle e delle informazionie veramente equo e reciprocamente arricchente, e per proteggere te combinato con gli sforzi di proteggere l'identità delle nazioni e dellei altre comunità umane. Una delle vie da percorrereo dei modi per perseguire questo fine può essere quella di garantire ai assicurare a paesi ed alle nazioni l'accesso alle risorse tecnologiche fondamentali, che daranno loro la possibilità di diffondere e ricevere informazioni su scala mondiale. La Chiesa ricorda che molte culture nazionali hanno radici cristiane e che i seguaci di Cristo sono chiamati a promuovere e intensificare i legami reciproci tra la fede e il patrimonio culturale delle nazioni, opponendosi risolutamente a qualsiasi manifestazione di anti-cultura e di commercializzazione dello spazio destinato all'informazione e alle arti.

            In generale, la sfida della globalizzazione esige dalla società contemporanea una risposta adeguata, fondata sulla sollecitudine per il mantenimento di una vita pacifica e dignitosa per tutti gli uomini e sulla promozione del , e combinata con l'aspirazione al loro perfezionamento spirituale. Inoltre, è necessario cercare di raggiungere creare un ordine mondiale del mondo tale che sia costruito sui principi della giustizia e dell'uguaglianza degli uomini davanti a Dio, e che escluda la soppressione della loro volontà da parte dei centri internazionali di influenza politica, economica e di informazione.

 

La secolarizzazione

            XVI.4. Il sistema giuridico internazionale contemporaneo si fonda su una concezione che attribuiscella priorità adegli interessi della vita terrena dell'uomo e delle società umane rispetto ai valori religiosi (specialmente nei casi in cui i primi e i secondi entrino in conflitto). Questa stessa priorità è ratificatasuggellata nella legislazione nazionale di molti paesi e s. Spesso essa è fraposta tra i principi che regolano le diverse forme di attività degli organi di potere, dell'organizzazione del sistema di istruzioneeducativo statale ecc. Molti influenti meccanismi pubblici influenti si fanno riferimento a servono di questo principio nel loro aperto confronto con la fede e con la Chiesa, puntando a escludere queste ultimediretto all'esclusione di esse dalla vita sociale. Queste manifestazioni creano un quadro generale di secolarizzazione della vita dello stato e della società.

            Pur rispettando la scelta ideologica delle persone non religiose e il loro diritto di influire sui processi sociali, la Chiesa nello stesso tempo non può accogliere in maniera positiva un ordinamento del mondoordine mondiale che ponga al centro di tutto la personalità umana oscurata dal peccato.  Questo è il motivo per cui, mantenendo costantemente aperta la possibilità di cooperare con persone di convinzioni non religiose, la Chiesa cerca di affermare i valori cristiani neil processoi decisionalei relativio alla soluzione dei problemi sociali più importanti sia a livello nazionale che internazionale. Essa cerca di ottenere il riconoscimento della legittimità della visione del mondo religiosa come quale fondamento per azioni socialmente significative (comprese quelle intraprese dallo stato) e quale come un fattore essenziale che deve incidere sul, che dovrebbero influenzare l'evoluzione del diritto internazionale e l'attività delle organizzazioni internazionali.

 

            I Fondamenti diella dottrina sociale della chiesa ortodossa russaChiesa ortodossa russa intendono servire da guida per le istituzioni sinodali, le diocesi, i monasteri, le parrocchie e le altre istituzioni ecclesiastiche canoniche nei loro rapporti con il potere statale, con varie associazioni ed organizzazioni secolari laiche e con i mass mediamezzi di comunicazione di massa non controllati dalla Chiesa ecclesiastici. L'autorità ecclesiastica si avvarrà deAlla base del presente documento l'Autorità ecclesiastica per assumere decisioni su diversi problemi la cui attualità è circoscritta aall'interno di singoli stati o ad di un ristretto periodo di tempo, e che costituiscono un oggetto piuttosto particolare d'indagine. IlQuesto documento sarà incluso nel curriculum delle scuole teologiche del Patriarcato di Mosca. I Fondamenti di dottrina sociale della Chiesa potranno essere sviluppati e migliorati tenendo conto dei Nella misura in cui si verificheranno cambiamenti che interverranno nella vita pubblica e sociale, e con l’emergere dicompariranno nuovi problemi significativi per la Chiesa in questo campo, i fondamenti della sua dottrina sociale potranno essere sviluppati e migliorati. I risultati di questo processo saranno verificati dal santo Sinodo, e dai Cconcili locali ed episcopali.

 

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