Ma veniamo al Paese Nuovo
che presentava: Vestiamo queste vesti..."
Le vesti di cui parla il titolo sono quelle delle donne che, in tutti i
paesi dei mondo, sia occidentali che orientali, sono asservite ad un
potere subdolo e meschino che attraverso la religione e la tradizione ha
creato ceppi e catene rendendole lentamente prigioniere. Quindi, solo
attraverso un vero e proprio risveglio dello spirito e dei più intimi
recessi dei cuore la coscienza dell'uomo aprirà gli occhi. Con tali
considerazioni sono stati tre gli aspetti messi in evidenza: nella prima
situazione abbiamo un esempio di violenza domestica tipicamente
occidentale in cui ad una situazione di sofferenza e ribellione per la
donna corrisponde una perdita di libertà ed emozioni per l'uomo.
Nel secondo aspetto sono evidenziate le condizioni di vita della donna
nei paesi islamici, dove le donne sono talmente limitate nelle libertà
personali, da non avere scelta neanche sul proprio abbigliamento: devono
avvolgersi tutto il corpo in lunghi mantelli e coprirsi il volto, sono
spesso costrette a svolgere i lavori più duri e massacranti e non hanno
voce in capitolo per quanto riguarda la loro stessa vita, poiché
appartengono al marito che le acquista dal padre dopo il matrimonio.
E infine il terzo aspetto, quello sulle etnie africane e soprattutto
sull'infibulazione, la brutale e violenta mutilazione praticata alle
bambine intorno agli 8, 9 anni nei paesi Africani, in Medio Oriente e in
Asia.
Molto belle le scene che raffiguravano la vita nei paesi islamici, per
la bellezza dei colori degli abiti, le musiche e le rappresentazioni
delle enormi fatiche che le donne devono sopportare e veramente
sconvolgente la scena che rappresentava l'infibulazione: quando, in un
crescendo di musica, i personaggi hanno mimato la mutilazione su bambine
che subivano inermi, ha fatto vera
mente venire i brividi. Complimenti quindi al Paese Nuovo per la scelta
dell'argomento, per i costumi, la scena e la realizzazione.
E' stata poi la volta dei Gelso che ha
rappresentato "L'arte dell'imprevisto", analizzando la
condizione attuale dell'uomo, che è quella della continua ricerca della
razionalità che, con il tempo, è divenuta superficialità. L'uomo è
superficiale non per scelta, ma perché è oggettivamente difficile
imparare di nuovo, dopo secoli, a conoscere veramente i bisogni che gli
appartengono, per capire ciò che piace o non piace e per tornare ad
essere diverso, vivo ed autentico.
Questo punto è stato rappresentato molto bene nella sfilata dalla lunga
processione di persone incatenate che, vestite completamente di grigio e
con in mano i ferri dei mestiere" (telefonini, computer ecc.)
rappresentavano la lunga schiera di persone Inquadrate".
Tra tutti gli eventi esterni con cui l'uomo deve relazionarsi, quelli
Imprevisti", quelli che vengono a turbare in modo diretto e
immediato un equilibrio raggiunto con grande impegno e sofferenza,
obbligandolo da un momento all'altro a cominciare tutto da capo,
rappresentano per lui uno dei problemi più grandi, più duri da
superare.
Di fronte a ciò che non è stato previsto, a ciò che è non è
conosciuto, di fronte all' Indefinito" a tutto quello che non può
essere analizzato e controllato, le uniche risposte che sa dare e che ha
imparato a dare, sono la paura, il panico, l'ansia e, nella loro forma
più estrema, l'angoscia, la disperazione. Nel suo tipo di struttura
sociale si imparano così solo risposte razionali, frasi fatte. Il
prezzo da pagare è la perdita dei nostri sensi, la capacità di
percepire, di fronte ad uno stimolo esterno, le varie sensazioni da esso
trasmesse. I sensi non si usano più: quelli attraverso i quali l'uomo
si appropria della visione corretta della realtà, esprime la propria
creatività e può superare tutte le situazioni, anche le più
problematiche. Di fronte all'indefinito mentre l'uomo razionale avrà
sempre più paura, si dispererà, piangerà e compierà scelte
sbagliate, azioni violente, superficiali e sciagurate, l'uomo che sa
ascoltare i segnali dei proprio lo riuscirà a dare vita ad un nuovo
processo creativo per conoscere sé stesso e ciò che lo circonda.
Quanto detto è la spiegazione teorica che è stata rappresentata nella
realtà dal Gelso da un vivacissimo spettacolo in cui veniva descritto
il sorprendente viaggio di un pulmino carico di turisti che attraverso
"L'Arte Pratica dei Superamento dell'Imprevisto" riescono a
riaprirsi agli eventi straordinari ed improvvisi riuscendo ogni volta a
superare le difficoltà che la Vita stessa gli pone davanti. Bravissimi
tutti, ballerini, comparse, musicisti e molto belle le scene, come ad
esempio la realizzazione dei mare in tempesta.
L'ultimo Rione in gara il Marzocco che ha immediatamente colpito
per la scenografia: una bellissima tela di ragno nella quale si
muovevano i protagonisti della scena. Tela di ragno 24
come prigione, come spira vischiosa che avvinghia gli esseri disperati
che si lasciano catturare.
In "CATRAME" il tema della tossicodipendenza, dell'uso di
droghe della ricerca di una via di uscita dalle costrizioni, dai muri
soffocanti che limitano, costringono. Andare, vagabondare fa motel ed
alberghi, città e deserti, risucchiati dallo smog e dal traffico lento.
Essere in un posto senza in fondo saper perché, cercando come sempre e
come sempre trovando ... allontanarsi per uscire ma spesso andare sempre
più all'interno di ciò che già conosciamo.
Entrare in una stanza e chiudersi dentro, si può essere ovunque e da
nessuna parte.
Andare per le strade e perdere l'orientamento, disperdersi, annullarsi,
prendere le immagini e sentirsi piccolo mentre scorri e tutto scorre con
te. Stordimento ricorrente perché tutto è diverso, ma così
ossessivamente ripetuto con piccole infinitesime variazioni che dopo
poco è consueto, somigliante sempre a qualcosa di già visto di
risaputo.
Da qui partono le parole forti degli attori che realizzano con grande
incisività la situazione di un uomo che si sta perdendo.
La soluzione facile della ricerca di un laccio emostatico, di una
siringa, mentre il ritmo si fa serrato, la ricerca incessante senza
riposo nel tempo e nello spazio, cercare di dire a proposito di come,
quando...
E da questo punto le parole si rincorrono come schegge impazzite, si
cerca un punto di oscillazione dentro la finzione, sotto frammenti
d'immagini patinate, in viaggio fra catastrofi e abbagli di verità.
Un salto nel vuoto, un tuffo negato, corsa assassina e rovinosa.
Respiri, voci sincopate, congestionate in una situazione di progressiva
deteriorazione.
E poi tornare, farsi abbagliare da luci pulsanti e da sguardi di
ghiaccio, scendere nello spazio di ciò che è già stato, tentare il
viaggio ... Il sapere di rischiare, la paura dei dissolvimento dei
nulla, non cercare il possesso ma il dover essere posseduti.
Ed infine l'immersione e la contrazione, lo zero, il riavvio e ancora
bufera, via tutto, solo l'occhio è vivo ed ecco l'oggetto, l'immagine
finalmente... tutto nella ricerca di un senso ... se c'è.
E' stato veramente un avvincente susseguirsi di parole, che è riuscito
perfettamente a dare l' idea di una persona imprigionata, invischiata
indissolubilmente, nella tela dei ragno: la tossicodipendenza.
Bravi tutti davvero e complimenti al regista.
A questo punto applausi finali, e tutti si sono dati
appuntamento per le 22 sempre in via dei fossi per il verdetto finale.
Alle 21 già una moltitudine di persone affollavano il campo e
finalmente, dopo molta attesa, il Sindaco ha annunciato: Gelso! Dopo 12
anni il rione aveva finalmente riconquistato il Palio.
Subito i contradaioli festanti hanno afferrato il "cencio" ed
hanno iniziato i festeggiamenti che si sono protratti fino a tarda
notte. Veramente, a quello che ho saputo, si stanno ancora svolgendo,
perché i contradaioli hanno deciso di fare una cena per ogni anno
passato senza vittoria: totale 12 cene , perciò .... buon appetito!
E così anche quest' anno, " le luci si sono
spente" sul XXXI Palio Storico delle Contrade.
Possiamo dire che è andato tutto bene e le poche polemiche si sono
subito affievolite, quindi tanti ringraziamenti a chi di dovere, come
sempre a tutti coloro che dedicano tanto dei loro tempo a questa bella
manifestazione e un arrivederci a presto...
Al Palio 2002!
di Antonella Pratelli
da "La Comunità di Pomarance" anno XV n°4-2001
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