La gioia del credere

Attendevamo sicuramente di celebrare il Natale  in un contesto più sereno, più in pace. Speravamo che il cantico degli Angeli risuonato a Betlemme nella notte santa di duemila anni orsono: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14),  avvolgesse di gioia e di speranza tutti i popoli e le nazioni anche del nostro tempo. Invece, proprio a partire da quei luoghi santi dove "il Verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14) perdura implacabile l'odio e lo spargimento di sangue.

Anche da noi, dove per grazia, non infuriano guerre, la piovra del male stende i suoi velenosi tentacoli su persone innocenti, indifese, addirittura su tanti bambini.

Si avverte attorno a noi un clima di paura e di incertezza. Non si sa in chi si possa ancora davvero confidare e sperare.

Raccolti però attorno al Presepio, giunge a noi la voce incoraggiante del profeta Isaia: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (Is 9,1).

Raccogliamo allora con riconoscenza l'esortazione di S. Leone Magno in uno dei suoi discorsi sul Natale: "Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci.

Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne".  

Il vero volto di Dio

Fissando lo sguardo pensoso sul Presepio, appare ancora nel suo sfolgorante splendore il messaggio evangelico: "E il Verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14).

Affermazione sconvolgente.

Per i Giudei era considerato uno scandalo. Per loro infatti era assurdo pensare che il Figlio di Dio si manifestasse nella debolezza di un uomo, di Gesù di Nazareth. Per i Greci, i sapienti del tempo, era una follia immaginare che Dio accettasse di degradarsi al punto da divenire uomo.

Contro tutti invece Giovanni afferma: "Il Verbo divenne carne", cioè assunse la condizione umana, debole e mortale, contrapposta alla suprema gloria di Dio.

Ma perché tale umiliazione?

Nel "Credo" recitiamo: "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo". Con parole più semplici noi possiamo esprimerci così: "si è fatto uomo per amore, perché ci voleva bene".  S. Paolo esclamava: "Mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). S. Giovanni spiega: "In questo sta l'amore; non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1 Gv 4,10).

Nel cammino della nostra vita, come il popolo ebreo pellegrinante nel deserto, siamo spesso assaliti da dubbi angoscianti. Nella malattia, nel lutto, nelle diverse prove della vita ci chiediamo: "Dov'è il nostro Dio? Si interessa davvero di noi? A che serve confidare in Lui?…"

Davanti al Presepio riscopriamo il vero volto di Dio.

In quel Bambino, scorgiamo i lineamenti del Volto di Dio, Padre di misericordia, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv, 3,16)

E allora, superando la tristezza e lo sconforto, siamo invogliati a prorompere con il profeta: "Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia… Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio" (Is 9,2,5).  

L'autentica identità dell'uomo

Davanti al Presepio ritroviamo anche la nostra autentica carta di identità. Come quel Bambino, anch'io sono fragile e debole, bisognoso di tutto e di tutti.

Eppure, dal giorno del mio battesimo, il Padre ha pronunziato anche su di me la sua parola di compiacimento: "Tu sei il mio figlio prediletto" (Mc 1,11).

Anzi, nel Bambino di Betlemme troviamo il segno di riconoscimento della dignità di ogni bambino, di ogni uomo o donna di qualsiasi razza, colore, cultura, religione…

Su questa fragile creatura che è l'uomo, Dio stesso si china, se ne cura e lo rende poco inferiore a se stesso, come canta il Salmo 8: "Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell'uomo perché te ne curi?

Eppure lo ha fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo ha coronato".

Custodiamo quindi questo stupendo progetto che Dio ha posto su di noi e rispettiamolo in ogni uomo di qualsiasi colore, cultura e condizione sociale esso sia.  

Fatevi imitatori di Dio

Così S. Paolo esortava i cristiani di Efeso: "Fatevi imitatori di Dio come figli carissimi e camminate nell'amore" (Ef 5,15).

Questa è la nostra risposta al mistero del Natale. Dio ci ha tanto amato da donare per noi il suo stesso Figlio. Non ha trovato la sua gloria nell'essere amato, ma nell'amare e nell'amare per primo.

Con S. Francesco d'Assisi chiediamo anche noi al Signore: "che io non cerchi tanto di essere amato, quanto di amare; di essere consolato quanto di consolare; di essere compreso, quanto di comprendere…" Che il Natale renda ognuno di noi "strumento della sua pace".

Buon natale di vero cuore a tutti!

don Ferdinando - Seriate

Se Dio è così

Non venitemi a dire che provate tenerezza, che vi emozionate, che sentite una sensazione languida nell'ascoltare l' «Adeste fideles». Se davvero avete preparato il Natale, se avete operato una sana resistenza all'altro natale, quello tarocco, può succedere che ora vi sentite più sconcertati di prima, fragili, leggermente destabilizzati ed instabili. Eppure liberi. Desiderosi di cambiare vita, di evitare il conformismo della fede, come urlava arrabbiato il Battista, attenti a riconoscere la presenza di Dio nei tanti profeti che Dio ci mette in mezzo ai piedi. Silenziosi e oranti, come l'acerba adolescente di Nazareth che mette il suo piccolo seno a servizio dell'assoluto di Dio. Dubbiosi e meditabondi, come lo sconfitto profeta ucciso da una donna gelosa, che si chiede che razza di Messia sia Gesù di Nazareth se, invece di bastonare i malvagi, li guarisce dalla loro violenza con l'amore. Giusti e sognatori, come l'immenso Giuseppe, il timido falegname di Nazareth che vede Dio soffiargli la ragazza, e accetta con obbedienza una realtà sconcertante. Se, almeno un poco, vi siete riconosciuti in questi personaggi, amici lettori, abbiamo qualche chance che Dio ancora nasca nei nostri cuori, abiti le nostre solitudini. Natale vero Dio, stanco di non essere capito, di essere frainteso, di essere usato, stanco di essere tirato in ballo per coprire le vergognose nudità della nostra pigrizia, esausto dall'essere tirato per la giacchetta a benedire ogni guerra, depresso per essere accusato di colpe che non ha, decide di diventare uomo, di condividere in tutto la nostra umanità, di raccontarsi. Un gesto d'amore semplice, folle, inconcepibile: Dio diventa uomo, abbandona la sua divinità. Scorda la sua onnipotenza, per sperimentare tutto il dolore che l'uomo sperimenta e la fragilità e lo sbandamento. E perché nessuno possa accusare Dio di essere diventato uomo in modo privilegiato, sceglie di diventare uomo nel più povero dei modi, nel più misero dei tempi, affidato all'imperizia di una generosa coppia di provincia, esule, costretto a nascere in un luogo sconosciuto a causa del delirio di onnipotenza di un Imperatore oppressore. Il Verbo di Dio, il sorriso della Trinità, abita il corpo del figlio di Maria. Jeoshua bar Joseph verrà chiamato, Gesù, figlio di Giuseppe, falegname a Nazareth di Galilea. Nella notte fredda del deserto, a Betlemme, luogo che ha visto nascere Davide figlio di Iesse, re potente in Giudea, in una grotta che serviva a dare riparo ai pastori, disprezzati lavoranti del tempo, sottopagati e clandestini, il Figlio di Dio irrompe nella storia, l'assoluto che neppure l'universo contiene è abbracciato teneramente da una madre tredicenne. Ecco: la storia si ferma, il tempo è compiuto, gravido, il cielo ha donato il giusto delle genti. Ora tocca a noi. La conversione del cuore. Questo è Dio, amico, il Dio di Gesù, il Dio dei cristiani, il Dio vero. Non quello piccino e meschino delle nostre riflessioni, non quello incostante e terribile delle nostre paure. Dio è un neonato con gli occhi socchiusi e la pelle grinzosa che Maria stringe forte a sé, per ripararlo dal rigore della notte, un neonato che cerca il piccolo seno della madre per essere  allattato, un neonato tenero e fragile. Siamo spiazzati, vero? Vorremmo un Dio potente, che ascolta la nostra preghiera, che esaudisce le nostre richieste, e ci troviamo un Dio che ci chiede aiuto. Vorremmo un Dio decisionista, disposto a cambiare i destini della storia, punendo i malvagi, e invece proprio i malvagi vogliono ucciderlo. Ci immaginiamo un Dio che abita nel Tempio e che viene accolto dagli uomini del sacro che, invece, non escono da Gerusalemme per andare a verificare la sconcertante notizia portata da alcuni ricchi stranieri d'oriente. Dio è diverso, amici, tutto qui.  Se Dio è così significa che ama l'umanità al punto da diventare uomo. Essere uomini è bello, essere uomini è talmente bello che Dio vuole essere uno di noi. Bello il colore della terra in primavera, il volo degli uccelli, la luce accecante dell'estate, l'odore della neve, il cibo caldo preparato con amore, l'odore del legno appena piallato, il sorriso sincero dell'amico, l'abbraccio tenero e affettuoso del padre che torna stanco dal lavoro. Questa umanità che odora di fritto e di sudore, di fumo e di paura, povera e inquieta, incerta del futuro, è il luogo che Dio abita e trasfigura. Se Dio è così significa che Dio è accessibile e ragionevole, tenero e misericordioso. Che l'idea di un Dio potente da tenere a bada, che si fa gli affari suoi, sommo egoista bastante a se stesso, è fasulla e pagana, che Dio ama, prima di essere amato, che non ti risolve i problemi ma li condivide, che ti invita a vedere le cose in modo diverso. Se Dio è così significa che ha bisogno di noi, come ha avuto bisogno di una madre e di un padre. E che io posso riconoscere Dio e servirlo in ogni sconfitto, in ogni povero, in ogni abbandonato. Che la fragilità degli uomini è il luogo che Dio vuole abitare, che, se vivo questo Natale con la morte nel cuore, allora è esattamente la mia festa, perché Dio abita anche la stalla della mia vita.