Sonno e sogno lucido

 

 

Cicogna e Cavallero [1993, p.27] sostengono che il processo elaborativo mentale, che opera nella formazione del sogno, sia il medesimo in ogni stadio del sonno. I sogni REM sarebbero più lunghi solo perché in questa fase il numero degli elementi di memoria attivati sarebbe più elevato. L’ipotesi è, dunque, che il processo elaborativo mentale sia sempre dello stesso tipo per tutta la durata del sonno, presentando differenze di ordine quantitativo e non di ordine qualitativo.

Accettando quest’ipotesi e alla luce del fenomeno studiato, se ne potrebbe inferire la possibilità di divenire consapevoli di star dormendo e dei processi elaborativi mentali del sonno per tutta la durata di esso e realizzare un lunghissimo sogno lucido della stessa durata del sonno. In realtà questo è quanto è stato dichiarato di poter fare da un soggetto studiato da Gackenbach, Moorecroft, Alexander, Laberge [1987], il quale si dimostrò capace di inviare segnali attraverso i movimenti oculari dalla fase REM, nonché dalle fasi 1 e 2 non-REM (sono state documentate segnalazioni volontarie dalle fasi 1 e 2 del sonno anche da parte di altri autori [LaBerge, Nagel, Dement e Zarcone 1981], in questi casi i soggetti non hanno, però, affermato di mantenersi consapevoli durante tutta la durata del sonno).

Alla luce di questo dato, e tenendo conto della necessità di verifiche future, il sonno perderebbe la caratteristica, tradizionalmente attribuitagli, di inconsapevolezza/incoscienza, che presuppone la perdita della capacità di sapere cosa realmente sta avvenendo. Tradizionalmente si attribuisce al dormiente l’incapacità di sapere di star dormendo. Ma l’esistenza stessa del sogno lucido e la possibilità che la lucidità si estenda a tutto l’arco del sonno si oppongono a questa tradizionale convinzione.

La caratteristica di inconsapevolezza/incoscienza non distingue, dunque, la veglia dal sonno. Cosa li distingue?

Semplificando si potrebbe affermare che il sonno sia un comportamento istintivo denotato da specifici fenomeni psicofisici, come: l’alternarsi di periodi con onde EEG ampie e lente e periodi con onde EEG di basso voltaggio e rapide; la caratteristica atonia muscolare della fase REM; un innalzamento delle soglie percettive affinché gli stimoli diventino percezioni (a prescindere dal fatto che il sognatore poi si svegli o incorpori lo stimolo nell’attività mentale concomitante)… Tuttavia il comportamento istintivo del sonno, o meglio, i comportamenti istintivi del sonno sono stati frequentemente e automaticamente associati alla diminuita consapevolezza del dormiente circa il fatto di giacere in un letto e ,appunto, dormire. McClintic [1975] così definiva il sonno: "Il sonno è la sospensione dello stato di coscienza e dei processi mentali associati ad esso". Questo tradizionale modo di concepire il sonno da parte del mondo scientifico, alla luce del sogno lucido, non è più sostenibile.

Durante il sonno si può divenire "consapevoli" dello stato di sonno. Diverse ricerche sembrano mostrare che un soggetto addormentato possa comunicare con il mondo esterno attraverso i movimenti oculari. Tale comunicazione, evidenza della raggiunta "consapevolezza" di star dormendo o lucidità, sembra, inoltre, poter aver luogo nelle due direzioni: dal dormiente all’osservatore esterno, dall’osservatore esterno al dormiente. L’ultimo caso è stato osservato da Fenwick et al. [1984], che hanno mostrato come il loro soggetto fosse capace di percepire e di rispondere attraverso i movimenti oculari a stimoli esterni di natura elettrica senza svegliarsi dal suo sogno lucido.

Dunque non possono essere presi come spartiacque di sonno e veglia né l’inconsapevolezza/incoscienza, né il criterio della perdita della capacità di percezione del mondo esterno (come, tra l’altro, è stato notato anche a proposito della selettiva capacità delle madri di percepire i suoni emessi dal proprio bambino). Cosa distingue allora il sonno dalla veglia?

Forse i due fenomeni non sono così nettamente distinguibili. Antrobus et al. [1965, pp.398-399, traduzione mia] scrivevano: "La questione -veglia o sonno- non è particolarmente utile. Anche se possediamo due parole di ordine discreto -sonno e veglia- ciò non significa che il comportamento associato con queste parole possa essere ricondotto a forza entro due categorie di ordine discreto.[…] non solo sonno e veglia sfumano gradualmente l’uno nell’altra, ma c’è solo un basso livello di consenso circa le varie operazioni fisiologiche e soggettive che discriminano tra sonno e veglia. In un certo momento, tutti i sistemi dell’organismo non sono necessariamente o tutti addormentati o tutti svegli".

La confusione è nata, a mio parere, dal fatto che spesso, in concomitanza del funzionamento istintuale e automatico di alcuni sistemi (ad esempio quello preposto all’atonia muscolare della fase REM), è stata riscontrata una diminuzione di "consapevolezza". Tale associazione –comportamento istintivo di un dato sistema e diminuzione della "consapevolezza"- è stata, col tempo, data per scontata fino a far coincidere i fenomeni. In questo modo il pensiero analitico ha perso di chiarezza, confondendo la natura dei fenomeni, e andando a studiare il sonno nei termini di inconsapevolezza/incoscienza.

Riportando il pensiero analitico, scevro da questa confusione, sul problema della distinzione tra sonno e veglia, forse potremmo osservare, come sostenevano Antrobus et al., che non esistono solamente due fenomeni –sonno e veglia- di ordine discreto, ma una pluralità di fenomeni che sfumano l’uno nell’altro. A questo punto si potrebbe parlare di una pluralità di "condizioni di funzionamento" diverse. E tale diversità sarebbe di ordine continuo. Le diverse "condizioni di funzionamento" sarebbero la manifestazione individuale o combinata dei diversi sistemi funzionali, innati o appresi, che definiscono tutta l’attività del sistema nervoso [Anochin, 1975]. Secondo Anochin il sistema nervoso funzionerebbe per combinazioni e interazioni di sistemi funzionali innati e appresi. I sistemi funzionali avrebbero in comune il fatto che la loro attività/manifestazione passerebbe sequenzialmente per le seguenti quattro fasi : a) la sintesi di determinate informazioni (afferenze) provoca la "presa di decisione" seguita b) dalla "programmazione" della risposta propria dello specifico sistema funzionale, c) dalla "realizzazione del programma, d) dalla verifica della corretta esecuzione della risposta secondo il programma.

In quest’ottica i sistemi funzionali relativi al sonno sarebbero una pluralità. Si tratterebbe di individuarli e descriverli nel loro attivarsi in modo individuale o in modo combinato. Si pensi, ad esempio, al sistema funzionale relativo all’atonia muscolare della fase REM, e al sistema funzionale relativo all’innalzamento delle soglie percettive. Nel "sogno ordinario" entrambi i sistemi funzionali sono presenti, nella paralisi notturna è presente solo quello relativo all’atonia muscolare.

Una concezione che si fondi sui sistemi funzionali permetterebbe di superare l’idea di pochi "stati di coscienza" [Tart, 1975] rigidamente separati (sogno, sonno, veglia…) lasciando aperta la possibilità di considerare la più ampia pluralità di "condizioni di funzionamento" dell’organismo. Quest’ottica permetterebbe di descrivere in termini di sistemi funzionali fenomeni ad oggi male inquadrati, quali: il sonno, la veglia, l’ipnosi, il sogno lucido, il sonnambulismo, le paralisi notturne, al di là della rigida categorizzazione odierna.

Quale è la differenza tra sonno e veglia, dunque? Da questo punto di vista sarebbero due "condizioni di funzionamento" dell’organismo diverse, implicanti sistemi funzionali in parte diversi. Si potrebbero considerare sonno e veglia come due "condizioni di funzionamento" di ordine generale che presumibilmente potrebbero essere meglio analizzate suddividendole in "condizioni di funzionamento" meno generali e più particolari.

Tale progresso verso il particolare, il procedere del pensiero analitico, chiaramente sarebbe subordinato alla bontà del processo analitico stesso: quanti più sistemi funzionali si individuassero e descrivessero, tanto maggiori sarebbero le possibilità di distinguere "condizioni di funzionamento" più particolari della veglia e del sonno.

Una descrizione in questi termini delle diverse "condizioni di funzionamento" dell’organismo potrebbe felicemente avvalersi della dimensione della "consapevolezza". La "consapevolezza", precedentemente definita come esperienza fenomenica soggettiva, sfugge alla concettualizzazione nei termini dei sistemi funzionali in quanto non presenta una specifico programma di azione/risposta.

L’utilizzo della dimensione della "consapevolezza" potrebbe funzionare come un ponte di collegamento nella descrizione delle "condizioni di funzionamento" dell’organismo, tenendo conto dei vari livelli con cui essa è presente.

In questa proposta si è consapevoli della precedentemente notata mancanza di operazionalizzazione della dimensione della "consapevolezza". Con questa ulteriore proposta, tuttavia, il problema si amplia dovendo rendere operativo il costrutto nelle diverse "condizioni di funzionamento", e non più solo durante la veglia. Come misurare il livello di consapevolezza di un sonnambulo?