I rapporti fra il Satyricon e il vangelo di Marco

Circa un secolo fa il Preuschen in uno studio che suscitò molte reazioni aveva evidenziato profonde somiglianze fra un passo del vangelo di Marco, l’unzione di Betania, ed un passo del Satyricon.

In esso si narra di Trimalcione il quale, durante il banchetto da lui apprestato, procede all’unzione dei convitati con il nardo, prefigurando tramite gesti simbolici le proprie esequie; di qui, data la somiglianza di questo racconto con l’episodio evangelico, ed anche a causa dello stato degli studi sulla datazione dei vangeli del tempo, lo studioso credette poter spiegare tali somiglianze ipotizzando una imitazione di Petronio da parte dell’evangelista Marco.

Senza entrare ora nella questione della datazione e della origine del vangelo di Marco, ci basterà notare che non è improbabile che Petronio nel momento in cui scrisse il Satyricon potesse essere a conoscenza di tale scritto, che secondo l’antica tradizione patristica fu redatto proprio a Roma. Uno studio di Ilaria Ramelli ha ripreso in considerazione l’ipotesi del Preuschen, ribaltandola: sarebbe stato Petronio a parodiare il vangelo di Marco, e non viceversa.

Non sarà inopportuno riprendere qui le sue osservazioni, iniziando proprio dal racconto dell’unzione.

1) Racconto dell'unzione

In Petronio, durante la cena, Trimalcione si fa recare le vesti preparate per la sua sepoltura, del vino con cui saranno lavate le sue ossa e dell’unguento; aperta un’ampolla di Nardo, unge i convitati in prefigurazione della sua unzione funebre e li invita a considerare il pasto come il suo banchetto funebre.

Nel vangelo di Marco, mentre Gesù si trova a mensa, arriva una donna con un vaso di alabastro pieno di nardo genuino prezioso, lo rompe e unge Gesù sul capo. Il Cristo dice a suo riguardo che ella sta ungendo in anticipo il suo corpo per la sepoltura.

Come si può notare dalle parti in corsivo, le somiglianze sono evidenti. Ecco in sinossi i due testi, quello del Satyricon e quello del vangelo di Marco:

“Porta anche dell’unguento e un assaggio da quell’anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa” […] Subito aprì l’ampolla del nardo, unse tutti noi e disse “Spero che possa piacermi da morto quanto da vivo”. Poi comandò che fosse infuso del vino in una brocca e disse “Fate come se foste stati invitati ai miei funerali”.

Essendo [Gesù] a Betania in casa di Simone il lebbroso, mentre giaceva, venne una donna che aveva un vaso di alabastro di unguento di puro nardo prezioso; rotto l’alabastro, lo versò sul capo di lui […] “Ciò che ebbe, ella lo fece: anticipò di ungere il mio corpo per la sepoltura”.

Trimalcione afferma di aver consultato un astrologo, che gli ha predetto la morte dopo altri trent’anni, cosa della quale egli è persuaso; poiché dunque non vi è alcuna imminenza della morte per lui, l’ipotesi della parodia del racconto evangelico non pare così azzardata.

2) Riferimento al gallo

Un altro passo della cena pare avere reminiscenze evangeliche:

“Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l’anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola” (Satyricon LXXIV, 1-4).

Mentre qui il canto del gallo è visto come presagio di sciagura, nel resto della tradizione greco-romana esso è preannunzio del giorno e della vittoria, mai presagio di morte. Nel vangelo, il duplice canto del gallo invece è indice del tradimento di Pietro prima della morte di Gesù.

La definizione petroniana del gallo come index, ovvero, in linguaggio giuridico, come denunziatore, accusatore, sembra ricordare la funzione che rivestì il gallo in Marco, ovvero quella di denunziare il triplice tradimento di Pietro.

3) Riferimento alla crocifissione

Anche il noto episodio della matrona di Efeso, pare avere altri richiami evangelici:

“Una matrona di Efeso, […] avendo perso il marito, […] seguì il defunto persino nel sepolcro. […] Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli, notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva […] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. […] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. […] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l’appeso e gli resero l’estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato […] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. […] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall’arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell’ingegno dell’avvedutissima donna, ed il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce” (Satyricon CXI-CXII).

La citazione di un governatore provinciale (Pilato?), dei ladroni crocifissi, della guardia sepolcrale e dei tre giorni nel sepolcro, e infine il tema del trafugamento del cadavere, un’accusa rivolta ai cristiani già da tempo (nel vangelo di Matteo, XXVIII, 13-15, le guardie del sepolcro di Gesù, istigate dai sacerdoti, devono dire che «i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo». […] «Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi».), ci farebbero pensare ad una parodia del racconto della morte e risurrezione del Cristo.

Una volta accettata la dipendenza Marco-Petronio, molti passi si prestano a simili letture: ad esempio la presunta allusione all’eucarestia nelle parole di Eumolpo che lascia i suoi averi a chi mangerà pubblicamente le sue carni dopo la morte (CXLI, 2).

I frammenti di Qumran

La teoria del Preuschen nasce dall'ossequio alla teoria invalsa ai suoi tempi di una datazione assolutamente tardiva dei Vangeli, che si ritenevano composti in epoca di un secolo o due posteriore a quella del romanzo di Petronio. Proprio questo punto invece è stato successivamente dimostrato infondato: negli anni Cinquanta, negli scavi archeologici condotti a Qumran, una località della Palestina sul mar Morto, venne rinvenuto un frammento papiraceo di un testo sconosciuto, etichettato con la sigla 7Q5,Il frammento 7Q5 del Vangelo di Marco e destinato a rivestire una straordinaria importanza nella questione della cronologia di composizione dei Vangeli. Infatti la datazione di questo frammento venne stabilita su base archeologica come anteriore al 68 d. C., e su base paleografica come anteriore al 50 d. C., e quando, alcuni decenni dopo il suo ritrovamento, padre O’Callaghan individuò il frammento come il testo del Vangelo di Marco 6, 52-53, fu subito chiaro che si era di fronte alla dimostrazione tangibile del fatto che la datazione tarda della composizione dei Vangeli abitualmente sostenuta nell’ambito degli studi filologici andava corretta. E’ il caso di notare che il dato così ricavato della composizione del Vangelo di Marco prima del 50 d. C. viene a confermare quanto da sempre sostenuto dalla tradizione cristiana fin dal II sec. d. C.: Papia di Gerapoli e Clemente di Alessandria, seguiti da Ireneo e Tertulliano, affermano che san Pietro sarebbe venuto a Roma agli inizi del regno di Claudio (quindi attorno al 42 d. C.), e che qui Marco avrebbe composto il suo Vangelo sulla base della predicazione dell’apostolo (cfr. Euseb. Hist. Eccl. III, 19, 15 e VI, 14, 6-9; Iren., Adv. Haer. III, 1, 1; Tert., Adv. Marc. IV, 5).

In base a quanto finora detto, quindi, le datazioni del Vangelo di Marco e del Satyricon si possono considerare assai più ravvicinate di quanto riteneva Preuschen agli inizi del secolo. A sua volta però questo ravvicinamento presuppone come valida l’identificazione dell’autore del Satyricon (e la conseguente datazione del romanzo) con il Titus Petronius Niger che fece parte dell’entourage di Nerone, e di cui lo storico Tacito in Annales XVI, 18, narra il suicidio, avvenuto tra marzo e maggio del 66 d. C. Tale identificazione dell’autore del romanzo con il personaggio tacitiano è oggi accettata dalla stragrande maggioranza degli studiosi.

Tutto ciò concorre a dimostrare la possibilità che Petronio fosse nelle condizioni di aver notizia, per quanto superficiale, del Cristianesimo, che in quel periodo era anche praticato a corte: di ciò fa menzione san Paolo in una lettera ai Filippesi (4, 22), e del resto lo stesso Tacito narra in Annales XIII, 32 la vicenda di Pomponia Grecina, una matrona con tutta probabilità cristiana che, processata nel 57  d. C. dal marito Aulo Plauzio, come era possibile nel diritto romano, per la pratica di "culti stranieri", venne assolta e nondimeno perseverava nella fede mantenendo uno stile di vita estremamente ritirato e riservato ancora negli anni in cui Petronio viveva a corte.

Tutto ciò può allora autorizzare a supporre che, rovesciando la tesi del Preuschen, non sia stato Marco ad imitare Petronio, bensì Petronio a riprendere in chiave parodistica, alcuni passi del Vangelo di Marco.


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