La Scapigliatura e Carducci

 

Gli anni attorno alla metà del secolo sono anni di crisi: Manzoni esaurisce la stagione creativa tra il 1827 e il 1840 e la 'scuola' che lascia è di media levatura; Leopardi muore nel 1836, senza lasciare seguaci del proprio calibro. De Sanctis definì questa fase letteraria «Arcadia romantica».

 

Non è un movimento organizzato con una poetica codificata da manifesti, ma un gruppo di scrittori sorto a Milano e in Piemonte fra gli anni sessanta e settanta. Sono accomunati da una insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea (manzonismo, in particolare) e per i costumi borghesi. 

 

Fu però “un’avanguardia mancata” per mancanza di profondità di pensiero e per l’angustia di orizzonti propria del clima culturale italiano. Lo stesso linguaggio cui approdano è un “vorrei ma non posso”, cioè ottengono effetti cromatici e musicali dalle parole, ma non riescono a caricarle di echi e suggestioni come faranno i simbolisti francesi.

 

Il termine fu proposto da Cletto Arrighi nel suo romanzo così intitolato, del 1862, con un chiaro riferimento al francese bohème. È l’esempio di conflitto tra artista e società, come nel Romanticismo europeo, motivato anche con reazione alla modernità che anche in Italia si faceva notare.

 

Di fronte al progresso l’atteggiamento è ambivalente: da una parte la repulsione e la rivendicazione della Bellezza, della Natura, dell’autenticità; dall’altra la rassegnazione a rappresentare il “vero”, cioè gli aspetti più prosaici della quotidianità. Attraverso il linguaggio scientifico Arrigo Boito parla di “dualismo” fra Ideale e Vero, cioè bene e male, virtù e vizio, che mai si concilieranno, lasciando l’artista nella disperazione esistenziale.

 

Essendo forte l’influenza proveniente dal Romanticismo europeo, entrano in Italia quelle tematiche che il primo Ottocento non aveva “importato”: l’esplosione estrema dell’irrazionale, il sogno, il culto mistico della bellezza, l’esotismo. Infatti i modelli letterari sono ora i romantici tedeschi, come Hoffmann, Jean Paul e Heine, ma soprattutto Baudelaire e Poe.

 

Con la Scapigliatura si introduce in Italia il Naturalismo che era noto in Francia tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70; pur anticipando tematiche decadenti, come l’esplorazione delle zone buie della psiche e la fusione dei diversi linguaggi artistici.

 

I maggiori rappresentanti del movimento furono Emilio Praga (1839-1875) ed Arrigo Boito (1842-1918).

 

(si ringrazia Ilenia Franchina per questa sezione)


 

Carducci e il classicismo ottocentesco

Pur non essendosi mai interrotto, neppure negli anni del pieno romanticismo, il rapporto della letteratura italiana con i modelli classici riprende un certo vigore negli anni immediatamente successivi all'unificazione, soprattutto per impulso di Giosue Carducci, a detta di molti ciritici, il maggior poeta di questa stagione.

 

La sua formazione intellettuale, in un primo momento, si basa sullo studio dei classici greci e latini, di cui si serve per criticare i tardo-romantici (Prati, Aleardi, ecc.), considerati troppo vuoti e sentimentali. I versi di Juvenilia (1850-60) sono improntati a un intransigente classicismo.

Quando si dedica allo studio della moderna letteratura italiana, esalta Alfieri e Foscolo, lasciandosi altresì influenzare dal francese Victor Hugo e dal tedesco Enrico Heine, scrittori che univano letteratura e politica progressista. Ora il Carducci può criticare il Romanticismo abbandonando l'imitazione dei modelli classici. I versi di Levia Gravia (1861-71) attestano una maggiore consapevolezza artistica. 

La sua raccolta di poesie più importanti, culminata con la violenta reazione del poeta alle delusioni politiche degli anni 1867-72, è Giambi ed epòdi (1867-79). Essa (il cui nome deriva dall'antica forma metrica dell'invettiva greca, poi ripresa dalla satira latina) esprime uno stato d'animo risentito, sarcastico, satirico, con l'intento esplicito di voler persuadere il lettore che il nuovo Stato ha tradito le aspettative di coloro che l'avevano realizzato: quello Stato che, per reggersi in piedi, era dovuto scendere a compromessi con la Prussia e l'Austria. Particolarmente violenta è la polemica contro il papato. Carducci in sostanza vagheggiava una società di liberi ed uguali, disposta a concedere pochi poteri allo Stato, basata sull'ideologia populistica della piccola-borghesia radicale. Non a caso ammirava profondamente l'età Comunale. 

Secondo il Carducci di questo periodo, il poeta deve essere un uomo impegnato politicamente, moralmente responsabile delle sue azioni ("poeta-vate"). Egli manifesta chiaramente il suo forte patriottismo, che, anche se a volte cade nella retorica, è pur sempre sincero e leale. 

Relativamente alla sua concezione della natura (in parte mutuata dal Positivismo) va detto: 

 Oltre a ciò va sottolineato il suo forte amore per la poesia, specie per quella civile, che è senz'altro la più difficile da trattare sul piano stilistico, tanto è vero che i Giambi ed epòdi sono in gran parte estranei alla poesia. Sempre netta comunque è stata la sua avversione per il romanzo, ritenuto incapace di esprimere elevati valori artistici.

 

Negli anni più maturi, spenta la polemica giacobina, il Carducci perfeziona il suo stile (Rime nuove e Odi barbare) ma si involve sul piano ideologico-politico, assumendo atteggiamenti conservatori. Ora non ha più dubbi nell'appoggiare la monarchia costituzionale e il moderatismo borghese. Sul piano poetico affiorano i temi dell'evocazione del paesaggio maremmano, la virile malinconia, l'accorata nostalgia della passata grandezza.

Nella prima delle due raccolte sono svolti alcuni dei temi fondamentali della sua lirica, come il canto delle memorie autobiografiche (vedi p.es. le grandi poesie dedicate al figlio morto e ai ricordi maremmani) e il vagheggiamento delle grandi memorie storiche (in questa direzione è notevole soprattutto il ciclo dedicato all'esaltazione della civiltà italiana nell'età dei Comuni).

Nell'altra raccolta, le Odi barbare, nuovi temi si accostano a quelli ricordati, come il mito della romanità, il senso religioso di una misteriosa presenza superiore (Canto di marzo, La madre) e infine i versi in cui a una realtà precisa e solare si affianca il mistero e l'imponderabile che a questa realtà è sempre congiunto (Mors, Nevicata, Alla stazione in una mattina d'autunno). In queste raccolte, un po' decadenti, l'esigenza di perfezione formale e l'esotica nostalgia dell'Ellade sono state paragonate a identici atteggiamenti dei poeti parnassiani francesi. Già comunque nelle ultime Odi barbare e poi in Rime e ritmi (1898) si era esaurita la migliore ispirazione carducciana e prevalevano l'evocazione erudita, il paesaggio oleografico, l'eloquenza deteriore.

Nel mentre egli si ripropone di ricostituire, nella lingua italiana, i ritmi poetici della lingua latina, i temi diventano quelli della nostalgia dell'infanzia, degli affetti familiari, dell'idea secondo cui i figli pagano le colpe (politiche) dei padri, dell'amore come sensualità anche se dominato dalla ragione, della morte accettata con tristezza virile, della esaltazione della natura e della storia (quest'ultima rivissuta trasferendo gli ideali del presente nel passato, cioè in quelle epoche in cui forte era stato l'eroismo umano, il coraggio di cambiare le cose, la creatività: Roma, il Comune, la Rivoluzione francese e il Risorgimento).

Educato alla scuola di Sainte-Beuve, Carducci ha lasciato scritti critici e contributi eruditi importanti (specie di filologia) su Petrarca, Poliziano, Parini, Leopardi, ma anche su scrittori minori. Egli era profondamente ostile a De Sanctis e allo storicismo napoletano. Si deve infine ricordare che, accanto alla sua attività di poeta e di studioso, egli fu insegnante di valore, tanto che alla sua scuola si sono formati uomini come G. Pascoli, S. Ferrari e, più tardi, A. Panzini e M. Valgimigli. 

 


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