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Tradizionalmente connotato per il fasto eccessivo, per la rappresentazione stravagante, per gli orpelli e la decorazione eccentrica, e in generale per una manifestazione tutta esteriore destinata a suscitare la sorpresa e la meraviglia dell’osservatore, l’immaginario barocco rivela in realtà implicazioni ben più profonde e rivoluzionarie: comporta una diversa percezione dello spazio e del tempo, e quindi del movimento, e una conseguente trasformazione delle immagini della realtà; produce una nuova iconografia dell’universo e una inedita concentrazione dello sguardo rivolto verso quella «piega dell’essere» (la definizione è del filosofo francese Gilles Deleuze, 1925-95) che è l’interiorità, dell’uomo e del mondo.
LA DEFORMAZIONE DELLO SPAZIO • Dopo che nel corso del Cinquecento, i viaggi attraverso gli oceani e le nuove scoperte geografiche avevano forzato i confini delle terre conosciute, gli uomini compiono ora un passo ulteriore, un più ardito volo del pensiero e dell’osservazione alla ricerca dei confini dell’universo. La scienza moderna decreta, nel corso del Seicento, il definitivo e irreversibile declino del disegno tolemaico del cosmo: la circolarità delle sfere celesti si dilata e si deforma nella rivelazione dell’orbita ellittica dei pianeti. Il movimento circolare, che si svolge invariabilmente e in modo uniforme intorno a un unico centro, è turbato dal riconoscimento di una nuova forza: un movimento rettilineo e dinamico che allarga i confini del cerchio, distaccandosi dal centro per spingersi oltre. Nel modo più ardito, inaugura questa tensione a travalicare il limite della sfera Giordano Bruno, che morirà alla soglia del secolo, nel 1600, e che osò immaginare e proporre una domanda decisiva: «come può l’universo essere finito?».
Di fronte alla nuova visione del cosmo, la rappresentazione dello spazio non potrà che seguire la stessa tendenza alla dilatazione e alla deformazione anche nelle sue realizzazioni estetiche. In qualche misura, questa stessa iconografia dell’universo è riprodotta negli spazi concreti e vicini in cui si svolge la vita quotidiana degli uomini: nelle piazze, che si allungano in ellissi (così per il disegno di piazza San Pietro, ma anche per la ristrutturazione di piazza Navona), o nelle piante delle chiese, che tendono esse pure a farsi ellittiche (esempi tipici sono le chiese progettate da Francesco Borromini).
Leggi l'interessante approfondimento di R. Luperini sullo spazio e il movimento nella cultura e nell'arte barocca.
DINAMISMO DELLE FORME E FUGACITÀ DEL TEMPO • Il movimento è un tema costante della percezione del mondo e quindi dell’immaginario barocco. La stessa forza dinamica che dilata le sfere celesti si trasmette alla forma, che rompe la sua staticità e si fa mutevole, cangiante, in un gioco di variazioni che inganna la vista dello spettatore, suscita meraviglia, ma non si risolve in un dato puramente esteriore. Essa rivela infatti una realtà profonda del mondo naturale, che in ogni sua forma è attraversato da un movimento continuo e continuamente muta, assumendo così aspetti sempre diversi e mai definitivi.
A questa viva percezione del movimento e del dinamismo delle forme si accompagna una lancinante consapevolezza della fugacità del tempo: in fondo in ogni mutazione, ogni volta che trapassa in un’altra, la forma originaria muore. Cosciente di un mondo in continuo divenire, l’uomo barocco ha il sentimento chiaro della fugacità dell’essere, fragile e instabile come una bolla di sapone, che insieme ad altri oggetti tipici dell’immaginario e della pittura barocca - le nature morte, i teschi, gli orologi - è una delle icone prodotte da questa sensibilità. L’interesse per le rovine, relitti di un tempo ormai trascorso, come spiega il grande filosofo tedesco Walter Benjamin (1892-1940), è il malinconico risvolto di questa angosciosa consapevolezza del «famelico tempo» (l’espressione si trova in un sonetto del più grande poeta del Seicento europeo, William Shakespeare) che divora l’esistenza.
LA FALSIFICAZIONE DELLA REALTÀ • I grandi architetti del Seicento punteranno a trasmettere il dinamismo delle forme persino alle facciate dei palazzi e delle chiese, rompendo la rigidità della materia con i giochi di luci e ombre, o servendosi della linea curva in un succedersi di porzioni concave e convesse. Naturalmente immobile, la pietra simula il movimento, crea un’illusione ottica che inganna lo spettatore, fingendo, di fronte ai suoi occhi, una realtà che non esiste. Il gioco delle illusioni, e la conseguente falsificazione della realtà, è un tratto caratteristico del Barocco, che si riproduce anche all’interno delle chiese e dei palazzi, dove gli affreschi simulano l’irruzione della natura e lo sfondamento delle strutture verso l’azzurro del cielo. Grazie all’artificio del trompe-l’oeil si può fingere l’inclusione dell’universo esterno nello spazio chiuso.
Di inganni ottici abbonda anche tanta poesia barocca, che alimenta una rete di immagini ingegnose, di finzioni, di riflessi che confondono la vista e la mente, in un gioco di specchi che sfuma i confini del reale e dell’apparente. Nella cultura moderna, tra Otto e Novecento, l’immagine riflessa nello specchio acquisterà la virtù di svelare e rappresentare il “doppio” dell’individuo, la sua dimensione interiore; ma per ora, per la sensibilità barocca, essa non è che una manifestazione esteriore, un altro degli infiniti spettacoli inscenati per ingannare i sensi.
L’ETÀ DELLA RAPPRESENTAZIONE • Il valore dell’apparenza e la falsificazione della realtà sono due aspetti della facciata, dell’esteriorità esibita. Si assiste, nel corso del Seicento, a una grande fioritura del teatro, in tutti i Paesi dell’occidente europeo e in una moltitudine straordinaria di varianti; ma lo spazio della rappresentazione non si limita al palcoscenico teatrale, perché la scena si estende e si dilata fino a comprendere l’intera realtà, come spiega bene la fortunata metafora del teatro del mondo. In una società che impone regole e codici di comportamento rigidi e raffinati, l’individuo stesso è chiamato a indossare una maschera e a interpretare il proprio ruolo, prendendo parte alla rappresentazione.
Secondo le acute considerazioni del grande filosofo francese Michel Foucault (1926-84), autore di uno dei libri decisivi del Novecento, Le parole e le cose (1966), il linguaggio stesso, per quest’epoca, non «sarà altro che un caso particolare della rappresentazione», una delle tante “maschere” con cui l’uomo si illude di arrivare alla verità. La perdita di certezze e quella sensazione di vertiginoso smarrimento che caratterizza l’uomo barocco finiscono per mettere in crisi dunque anche il rapporto tra mondo e linguaggio, ovvero quel solido legame che consente all’uno di essere lo specchio dell’altro.
INTERIORITÀ ED ESTERIORITÀ • L’esibizione e la rappresentazione non sono che gli aspetti più visibili e appariscenti della cultura secentesca, ma non devono occultare l’urgenza di un profondo misticismo e di un ripiegamento del Barocco verso gli spazi dell’interiorità. Il critico francese Jean Rousset (1910-2002) ha dimostrato come in ambito letterario il Barocco non sia solo l’epoca dell'"esterno”, e come il filone brillante della poesia dell’ostentazione conviva con una ricca lirica dell’introspezione.
Il dato nuovo, però, risiede in un’inedita scissione tra i due piani, esterno e interno. Un grande filosofo del Novecento, Gilles Deleuze (1925-95), ha individuato nel concetto di monade del filosofo tedesco Gottfried Leibniz una piena manifestazione di questo fenomeno: «risulta impossibile capire la monade leibniziana, e il suo sistema luce-specchio-punto di vista-arredamento interno, se non li si paragona all’architettura barocca [...]. La monade è una cellula, una sacrestia più ancora che un atomo: una stanza senza porta né finestra dove ogni azione è interna». Si pensi al teatro, spazio chiuso che include, rappresentandolo, il mondo esterno, o al tentativo di rappresentare l’esterno, la natura, il cielo, all’interno delle chiese barocche: domina un principio di inclusione, in virtù del quale, spiega ancora Deleuze: «tutto ciò che è dato vedere si trova al di dentro: cellula, sacrestia, cripta, chiesa, teatro, studio di lettura o di stampa».
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