La Poetica di Aristotele

 

 

La riscoperta della Poetica di Aristotele

 

La filosofia aristotelica arriva al Medioevo mediata da altri autori. Fino al XII secolo la conoscenza che l’Occidente aveva dei testi di Aristotele era legata alla traduzione e ai commenti fatti dal romano Anicio Manlio Severino Boezio (480 circa - 524). In Oriente, al contrario, lo studio della filosofia aristotelica aveva un enorme rilievo ed è infatti attraverso autori arabi quali Avicenna (980-1036) e Averroè (1126-1198) che il pensiero aristotelico penetrò nella cultura dei poeti e degli studiosi occidentali, anche se poi, proprio a causa dei suoi mediatori, entrò in conflitto con la filosofia cristiana (sarà san Tommaso d’Aquino, 1224 circa - 1274, a risolvere il conflitto e a conciliare fede cristiana e aristotelismo).

 

La Poetica, scritta probabilmente tra il 334 e il 330 a.C., appartiene alle opere esoteriche e come tale ne condivise il destino. Anche la conoscenza dei contenuti dell’opera avvenne attraverso quella medesima mediazione che si è vista per le altre opere aristoteliche. La Poetica non fu mai studiata durante tutto il Medioevo e neanche nel corso del primo Umanesimo: fu portata all’attenzione degli studiosi tardo-umanisti solo con la traduzione latina di Giorgio Valla pubblicata a Venezia nel 1498. Questa edizione costituì il primo passo verso una profonda diffusione delle idee aristoteliche di poetica e di retorica, stimolando così la riflessione teorico-critica.

 

La traduzione latina curata da Giorgio Valla suscitò un interesse per la Poetica molto vivace e ben presto si susseguirono molte traduzioni che promossero tanto la diffusione del testo quanto la discussione dei tanti argomenti da esso trattati. A dieci anni di distanza, nel 1508, Aldo Manuzio pubblicava l’originale testo greco della Poetica di Aristotele. Questa edizione contribuì ulteriormente alla capillare diffusione delle idee di Aristotele. Proliferarono traduzioni e commenti. Il testo aristotelico fu di nuovo tradotto in latino, tra il 1527 e il 1536, da Alessandro de’ Pazzi, con la collaborazione del figlio Guglielmo, il quale dette alle stampe il volume solo dopo la morte del padre (1536). L’edizione portava il titolo di Aristotelis Poetica in latinum conversa. Le traduzioni latine lasciarono presto il posto a quelle in volgare, più esattamente a quelle in "lingua volgare fiorentina" quando, nel 1549, la Poetica venne tradotta da Bernardo Segni (Rettorica e Poetica di Aristotele tradotte in lingua vulgare fiorentina). La Poetica di Aristotele divenne allora un punto di riferimento irrinunciabile, e nuovo, capace di innescare una dialettica tanto vivace da far parlare, già dopo il 1536, di un nuovo orientamento del pensiero estetico.

 

Il contenuto della Poetica

La Poetica è una delle opere esoteriche che sono state conservate grazie all’edizione di Andronico (vedi 1.1). La sua datazione non è certa; molte sono le ipotesi avanzate, ma la più attendibile è quella che colloca la Poetica nell’ultimo periodo dell’insegnamento ateniese di Aristotele, cioè tra il 335 e il 323 a.C. Si pensa che nei primi anni di questo periodo Aristotele abbia trattato di poetica nella scuola e quindi scritto l'opera tra il 334 e il 330 a.C.

È Aristotele stesso, in apertura di opera, a indicarne i contenuti:

 

Della poetica in sé e dei suoi generi, e qual funzione abbia ciascuno di essi: come debbano essere costituite le favole se si vuole che l’opera del poeta riesca perfetta; inoltre, di quante e di quali parti ogni singolo genere si compone; e similmente, di tutti gli altri problemi che rientrano in questo medesimo campo di ricerca, ecco gli argomenti di cui voglio trattare [...].

Aristotele intende trattare prima dei principi della poesia in generale, poi dei diversi generi poetici. Purtroppo però il testo giunto fino a noi (quello riscoperto ed edito in traduzione latina da Giorgio Valla) si conclude con le parole "E così, dunque, della tragedia e dell’epopea [...] basti oramai quello che ho detto. [Diciamo ora] dei giambi e della commedia [...]" (Aristotele, Poetica: 101). Questa affermazione, insieme ad altri riferimenti alla commedia interni al testo, fa pensare che un secondo libro della Poetica, dedicato proprio a quell'argomento, sia andato perduto.

 

In sostanza, dunque, ciò che è pervenuto della Poetica di Aristotele e che è raccolto in un solo libro, può essere schematizzato così: i capitoli 1-5 trattano della poesia in generale, del suo fine e dei suoi principi; i capitoli 6-22 trattano della tragedia, cui è dedicata la massima parte della trattazione; infine, nei capitoli 23-26 si parla dell’epopea quasi come in una sorta di appendice alla sezione sulla tragedia. Nel tessuto dell'opera sono trattati anche argomenti più specifici con riferimenti agli altri generi poetici.

 

Fondamentale nella discussione estetica del periodo rimane la posizione assunta da Aristotele in relazione alle unità di tempo, luogo e azione nella fabula poetica.

 

I commenti durante il Cinquecento

 

Lungo tutto il Cinquecento continuano a proliferare le traduzioni, ma la necessità di discutere il contenuto e l’importanza del testo aristotelico porta gli studiosi a pubblicare edizioni commentate. Alla pubblicazione del testo originale e delle traduzioni latine e volgari, infatti, seguirono quelle di numerose edizioni commentate, che riportavano, cioè, accanto al testo e alla sua traduzione, una spiegazione e interpretazione del contenuto dell’opera.

 

Le prime, uscite a distanza di brevissimo tempo l’una dall’altra, furono quella di Francesco Robortello, edita a Firenze nel 1548 (Francisci Robortelli utinensis in librum Aristotelis de arte poetica explicationes), e quella di Vincenzo Maggi e Bartolomeo Lombardi, pubblicata a Venezia nel 1550 (Maggi e Lombardi, Vincentii Madii Brixiani et Bartholomaei Lombardi Veronensis in Aristotelis librum De Poetica communes explanationes, 1550). La quasi contemporaneità delle due edizioni diede origine a un’aspra polemica tra gli autori.

 

Neanche un ventennio più tardi, una nuova serie di commenti sancì la sempre maggiore importanza assunta dalla Poetica, che venne "vulgarizzata et sposta", nel 1570, da Ludovico Castelvetro (Poetica d’Aristotele vulgarizzata et sposta); "annotata", nel 1572, da Alessandro Piccolomini (Annotazioni nel libro della Poetica d’Aristotele); quindi commentata e parafrasata da Pietro Vettori (Petri Victorii Commentarii in primum librum Aristotelis de arte poetarum) e Lionardo Salviati (Parafrasi e commento della poetica di Aristotele) negli anni immediatamente successivi.

 

Il confronto continuo con la Poetica di Aristotele è dunque per tutto il Cinquecento, e anche oltre, il punto di partenza, e a volte di arrivo, di questa riflessione e non solo per le traduzioni e i commenti. I commenti diventano anche un modo per prendere posizione nella riflessione poetica del tempo: diverse interpretazioni del testo di Aristotele, infatti, costituiscono diverse risposte alla medesima esigenza di tracciare regole per i generi letterari e la poesia del Cinquecento.

 

 

La rinascita del dibattito teorico

 

Per tutto il Medioevo fin quasi alla fine dell’Umanesimo i testi di riferimento per gli studi teorici di poetica e retorica furono la Lettera ai Pisoni, di Orazio (meglio nota con il titolo di Ars Poetica), alcuni scritti di Cicerone, soprattutto il De Oratore, e l’Institutio oratoria di Quintiliano. Il pensiero aristotelico intervenne a fondo su questo contesto teorico e contribuì alla formulazione di una filosofia estetica che nel Cinquecento ridefinì se stessa in un diverso rapporto con i modelli classici e con la consapevolezza di una propria peculiare modernità.

La nascita di una nuova letteratura affidata ad autori coscienti di una voluta novità prevedeva, da una parte, il riuso, finalizzato alla rinascita, degli insegnamenti della letteratura antica, ma dall’altra, e prima di tutto, una legittimazione della poesia. All’attività estetica, proprio in virtù della sua funzione pratica e della necessità di porsi sul piano della comunicazione e del linguaggio umano, viene ora attribuito un carattere conoscitivo. La poesia, come la filosofia, viene riconosciuta come una forma della ricerca della verità. Il principio aristotelico dell’imitazione, che distingue tra imitazione dell’universale-ideale e imitazione del particolare (definendo anche i diversi ambiti disciplinari della poesia e della storia), sancisce il ruolo della poesia come arte conoscitiva, indirizza la querelle per il fine della poesia verso il prodesse (= essere utile) piuttosto che il delectare (= piacere) e rinvigorisce la discussione sulla definizione dei generi letterari. Il dibattito teorico è stato molto vivace soprattutto per quanto riguarda la specifica discussione sul comico e la commedia. Le questioni appena elencate diventano allora fondamentali anche per capire il dibattito integrativo nato intorno alle teorie del comico.


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