Illuminismo: la natura

 

1. La svolta della modernità

Senza il lungo processo di trasformazione del significato dato dall’uomo alla natura, la scienza della modernità non sarebbe potuta nascere, anche se forse altri tipi di scienza avrebbero avuto la possibilità di affermarsi. Questo itinerario, talora tortuoso e apparentemente contraddittorio in certi casi, vede nell’arco dei secoli XVI e XVII il suo logico e coerente compimento, principalmente ad opera di studiosi come Galileo, Newton, Descartes, F. Bacone, Gassendi e Boyle. Emerge via via un’immagine della natura molto simile a quella di un regno disordinato e caotico da porre sotto controllo, dominare e sfruttare nell’interesse assoluto dell’uomo. Si eclissa del tutto la visione greca e cristiana del cosmo, in cui il senso del limite era molto forte.

 

In questi secoli si afferma progressivamente tra i naturalisti la concezione della natura quale « realtà passiva, oscura e opaca »; nel dettaglio, tale passività era attribuita all’essenza stessa della materia e aveva come conseguenza che moto e trasformazione della natura non derivano dall’azione di caratteri o facoltà intrinseche (come affermato dal pensiero aristotelico-tomista), ma erano spiegabili alla sola luce delle leggi della collisione e del principio inerziale. Ciò costituiva l’abbandono dell’idea che la natura fosse un ente dotato della capacità di autosvilupparsi verso un fine, in armonia con quello divino.

 

Un rilievo notevole in tale processo ebbero le teorie atomistiche, anche a causa della scoperta del De rerum natura di Lucrezio, avvenuta nel 1417 (in precedenza l’atomismo era conosciuto solo attraverso la mediazione di Aristotele). Il passaggio cruciale consistette nell’inserimento dell’atomismo, originariamente ateo e quindi inaccettabile per la società cristiana, in una prospettiva creazionista: Dio è il legislatore, autore delle norme regolanti il movimento degli atomi al fine di dare luogo all’intero universo.

 

Le lontane premesse di tale rivoluzione vanno ricercate nella vittoria in ambito teologico delle teorie nominaliste affermatesi nel tardo Medio Evo, secondo le quali certi aspetti della visione aristotelica della natura, quale ente con i suoi caratteri precipui, autonomi, limiterebbero la libertà di Dio. Successivamente diede anche un consistente aiuto la dottrina protestante dell’assoluta sovranità divina e della passività dell’uomo, che fornì utili analogie a molti naturalisti: il concetto ‘Dio opera ogni cosa, gli uomini nulla’ viene tradotto nel mondo fisico in ‘Dio opera ogni cosa, la natura nulla’. Il meccanicismo insito nella nuova concezione del mondo ha quindi alcuni fondamenti ‘religiosi’ rintracciabili in alcune correnti della Riforma. Tappa successiva sarà la totale marginalizzazione del ruolo di Dio dal mondo nella forma del deismo settecentesco, secondo il quale Egli avrebbe creato il mondo e l’uomo, disinteressandosene successivamente.

 

 

2. La visione matematico-quantitativa della natura

Volendo individuare una serie di personaggi-chiave in questo processo, conclusosi con una forte concezione atomistica e meccanicistica della natura, dobbiamo risalire a Galileo Galilei (1564-1642), che pose le premesse per una messa in crisi dell’imponente costruzione dell’universo medievale. Il suo approccio alla natura è di tipo matematico-quantitativo: la qualità vi è espulsa perché giudicata inessenziale in quanto proiezione della natura umana; fondamentali sono gli oggetti materiali, non le loro relazioni reciproche ( l’influsso della luna sulle maree era considerato dallo scienziato pisano una superstizione del passato! ). Galilei rappresenta ancora un momento di passaggio, talora incoerente, tra mentalità organica e complessa (quella aristotelica) e mentalità meccanica e semplificatrice.

 

Dobbiamo al modello compiutamente meccanicista del cosmo elaborato da René Descartes (1596-1650) il raggiungimento di uno stadio coerente nel processo di secolarizzazione della concezione della natura. Il rifiuto della tradizione organica diviene totale. Il concetto aristotelico (intrinseco) di fine, confuso con quello teologico (estrinseco), fu abbandonato a favore della metafora della macchina, che comincia ad imporsi come l’unica valida. Il filosofo francese teorizzò il radicale dualismo tra res extensa e res cogitans, cioè tra materia, comprendente il corpo degli animali e dell’uomo, e pensiero, divenuto sinonimo di anima. La natura adesso è una grande macchina popolata da macchine di varia grandezza. Secondo Descartes non esisteva nessuna differenza fra artificiale e naturale, quindi un qualsiasi organismo vivente equivaleva in pieno ad una macchina costruita da un artigiano. Gli esseri umano erano per così dire ‘abitati’ dall’anima razionale, connessa con il corpo mediante la ghiandola pineale. La materia veniva considerata del tutto inerte e uniforme, pura quantità sottoposta alle leggi matematiche promulgate da Dio. Così tutti i fenomeni fisici si riducevano a rapporti numerici esatti. Con Descartes si ufficializza sempre più il concetto che l’uomo deve porsi di fronte alla natura nel solo ruolo di padrone e possessore assoluto.

 

Questo concetto fu il motivo conduttore della speculazione di Francesco Bacone (1561-1626; Novum Organum, 1620), il quale ridusse la natura a risorsa economica per l’uomo, da sfruttare senza limiti, a cui estorcere tutti i segreti, in quanto si tratterebbe non di una madre benevola ma di una matrigna, caotica e oscura. Si introduce il concetto di ‘plasmare’ l’ambiente circostante attraverso i mezzi della scienza. Nell’opera postuma Nuova Atlantide (1627) prefigura l’uomo prometeico capace di creare artificialmente animali diversi da quelli presenti in natura, rendendoli più utili all’uomo. Nasceva così l’utopia manipolativa e utilitaristica, basata sui seguenti assiomi: la natura è una grande macchina, possiede risorse infinite, inerte in sé, le sue azioni risultano prevedibili, in quanto seguono percorsi di tipo deterministico. Si ripensa e si ricostruisce una natura, alla ricerca di un potere assoluto e meccanico da attribuire, ovviamente, all’uomo.

 

Con Newton e Boyle il cerchio si chiude e infatti il meccanicismo raggiunge il suo apice di coerenza interna. Tale concezione della natura si può dire sia stata egemone fino a poco tempo fa a livello scientifico, e lo sia tuttora a livello popolare.


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