Articolo di Pietro Citati

 

 

Corriere della Sera, 10 settembre 2002

 

ULISSE Una bugia e nasce l’Occidente

 

Citati racconta in un nuovo libro le avventure dell’eroe dalla «mente colorata»

 

ITACA - Qui, e in nessun altro luogo, poteva concludersi il viaggio. Il ritorno all'isola di Ulisse segna la fine dell'odissea letteraria di Pietro Citati, che era sulle tracce del suo eroe ormai da troppi anni. Per lui era giunto il momento di sperimentare l'aria autentica di questo mare, toccando con mano il luogo omerico dove la storia si è conclusa. Da qui, Itaca, il nostro infaticabile Odisseo, l'eroe dell'Occidente cantato da Omero, era salpato per Troia e qui inflessibilmente era scritto che dovesse tornare. Qui Ulisse l'ingannatore, il timorato degli dei che si sottomette al destino, l'amante avventuroso, il mago, lo scienziato sperimentale, il narratore fascinoso, il vendicatore spietato, il rabbioso difensore della patria e della proprietà privata, il nostalgico custode degli affetti coniugali, rivede la terra dove lo aspetta Penelope. La sua isola, misterioso punto di attrazione degli avvenimenti dopo la fine della guerra di Troia, luogo del destino in cui ogni cosa converge, è il centro di tutto.
Naturalmente l'isola di oggi è assai diversa da «quella». Ci sono ancora le scogliere a strapiombo che Citati costeggia in barca, le sottili spiagge sassose, le calette segrete dall’acqua violetta. Ma sarebbe arduo individuare «il porto scavato da Forco, vecchio dio del mare, fra le coste scoscese che arrestano le onde»; o «la punta con la grotta delle ninfe, piena di crateri e anfore di pietra, dove le api stipano il miele e gentili creature semidivine tessono drappi dai bagliori marini»; e tanto più difficile lasciare impronte sulla sabbia della riva in cui i Feaci depositano Ulisse la notte del ritorno. Oggi Itaca vive il suo trantran turistico, a un tiro di schioppo da Cefalonia; le antenne paraboliche informano i suoi abitanti del campionato italiano di calcio; e nessuna nebbia pietosa, come quella suscitata da Atene nell'Odissea quando Ulisse vi rimette piede, impedisce di riconoscerne bellezze e mediocrità. Ma che importa, questa è l'atmosfera che Citati aveva bisogno di respirare prima di affidare all'immaginazione dei lettori La mente colorata , che, oltre a essere un attributo della personalità di Ulisse, è anche il titolo del suo saggio.
Vediamo di chiarirne il significato, girovagando con Citati fra le stradine di Ithàki, senza lasciarsi distrarre dalle insegne dei Caffè Polifemo e delle Circe’s Boutique, allegre incarnazioni del puro kitsch turistico. «Essere colorati - spiega Citati - vuol dire possedere una mente variegata, mobile, intricata, capace di volgersi da tutte le parti e di non stare mai ferma. Una mente cangiante o "polytropa"; legata all’idea della metamorfosi, dell'inganno, del teatro e della maschera, del viaggio e del mistero, del superamento dei limiti. Essere colorati , una definizione che risale al settimo secolo prima di Cristo, significa essere come Ulisse: è con la sua figura che incomincia la modernità». Chi è il contrario di Ulisse? Achille, naturalmente. «Colui che non accetta i limiti, proprio come gli eroi romantici, e di conseguenza soccombe. Il padre della poesia epica, come Ulisse lo è invece del racconto. Il personaggio che prende di petto gli ostacoli e fugge la menzogna».
Il nostro Ulisse invece, come si sa, a partire dal cavallo di Troia non è rimasto secondo a nessuno, in tema di menzogne. Ma non trattiamolo da profeta della moderna doppiezza, perché anzi Citati si guarda dal condannarne le bugie: «Dice spesso la verità ma preferisce la finzione e, come ogni narratore, predilige i trucchi e le maschere». Inutile negare che proprio queste caratteristiche affascinano Citati, quando descrive il suo eroe come «un abilissimo retore, colui che possiede il miele dell'eloquenza e la dolcezza del linguaggio, tanto che non ci lascia dormire e costringe i Feaci a restare svegli tutta la notte per ascoltarlo. Anche noi possiamo dire, oggi, che i veri racconti risvegliano in noi quella tensione e inquietudine, alludendo a una realtà più lontana che non possiamo afferrare».
Sbagliato, dunque, sottoporre Ulisse a giudizi morali: non si può far sedere sul banco degli imputati il dio Ermes, inventore del linguaggio, dal quale l’eroe greco discende. Meglio, molto meglio meditare sulla singolare attualità del suo mondo: «Il politeismo - ricorda Citati - abita ancora fra noi. Anzi - aggiunge - io credo che gli dei greci siano morti solo in apparenza. Ognuno di loro incarna una forma dello spirito e anche fra i nostri amici e conoscenti, se vogliamo, possiamo riconoscere chi è apollineo, chi ermetico, dionisiaco, afroditico. Attenti, però, a non banalizzare: ciascun dio greco non si esaurisce in un tipo, ma contiene molti aspetti contraddittori. Prendiamo Apollo, ad esempio: è smisurato eppure invita tutti alla accettazione della misura; pecca, è impuro eppure insegna il valore dei riti e della purezza».
Questa molteplicità contraddittoria è incarnata da Ulisse, secondo Citati, al massimo grado. E' come se attraverso di lui parlasse il mondo moderno, «per sua natura colorato, multiforme, capace di accettare tutte le tradizioni proprio perché in grado di moltiplicare i colori della mente». Ma l'altra faccia di Ulisse, e con lui della modernità, è quella opposta: «dura, compatta, forgiata nella sopportazione del dolore, capace di sopravvivere a tutti i disastri per giungere a una conoscenza più profonda».
Ecco, qui si trova la fonte d'ispirazione più profonda del saggio. La mente colorata di Citati è soprattutto il tentativo di tradurre in racconto, più che in raffinata analisi letteraria, la storia del vero eroe occidentale, dal quale noi tutti discendiamo. Ambizione estesa anche all'architettura formale dell'opera, che imita l'Odissea nei molti riflessi e sfumature, nei temi che si inseguono, più volte annunciati, abbandonati, ripresi e finalmente risolti.
Tra le pagine non mancano le sorprese, a partire dal ruolo centrale, anzi addirittura dominante riconosciuto a Penelope: «L'unica in grado di interpretare la scienza dei segni nascosti su cui si reggono i rapporti fra gli individui e capace di insegnarla a Ulisse. E' lei l'autentica eroina del poema: le lodi di Ulisse sono cantate dai poeti, quelle di Penelope direttamente dalle Muse».
Ma naturalmente il vecchio Odisseo non passa mai in secondo piano: «Durante le sue peregrinazioni sperimenta il mondo fantastico di Calypso, di Circe o delle Sirene, però decide di vivere nei limiti della realtà e rifiuta speranze o utopie impossibili. Non vuole diventare immortale, come Achille, e la riconquista di Itaca equivale per lui al ritorno nella realtà. Finita per sempre l'età dell'oro, il tempo in cui gli dei passeggiavano tra gli uomini mostrando il loro autentico volto, Ulisse desidera soltanto la sua patria, la sua donna, il suo letto. In questo se ne riconosce la grandezza. L'unica legge cui vuole sottomettersi, a Itaca, è quella della natura, per la quale tutto nasce e muore all'infinito, secondo le leggi del ciclo naturale». Inafferrabile Ulisse: umile di fronte al destino, però anche feroce nel vendicarsi contro i Proci, quando questi attentano alla famiglia e alla proprietà. «Sua moglie, il suo vino, i suoi maiali, i suoi montoni: nasce da qui il sentimento sacro del possesso che avrebbe poi sempre distinto l'Occidente».
Ma anche senza farne un antenato dei giustizieri, si coglie in Ulisse e nel suo biografo, il senso di un'attualità scottante, di un coinvolgimento profondo nelle sorti del nostro mondo. Citati ha preso posizione di recente contro «l'antisemitismo che ci perseguita da 2500 anni», arrivando a sottoscrivere pubblicamente un appello perché un confine preciso separi i contendenti, arabi e israeliani, in Medio Oriente. La sua fede nella mente colorata lo spinge a rifiutare gli integralismi religiosi, soprattutto quelli che si esprimono nelle «adunate di piazza», e ad auspicare «una migliore conoscenza delle reciproche ricchezze, come nel Medio Evo, quando cristianesimo, islam ed ebraismo avevano tra loro un rapporto vivente». Senza contaminazioni o confusione, però: Citati apprezza la metafisica «perché risveglia in noi il senso del molteplice» ma è convinto che «ogni religione debba seguire la sua via».
Esiste poi un'ultima lettura possibile dell’Odissea: proprio questa, probabilmente, ha condotto Citati a Itaca. E’ come se per qualche via segreta l’isoletta greca fosse collegata alla lontanissima Manhattan. «Il senso vero dell'11 settembre non va cercato nell'intolleranza islamica. Bin Laden e i suoi alleati hanno imitato la civiltà occidentale, scambiandola con le sue forme più superficiali: spettacolo, consumi. E' per noi, invece, che quel disastro segna un cambiamento: ha messo in luce che l'idea del progresso e dei consumi illimitati è giunta alla fine. Dobbiamo sperare in un’epoca più moderata, sobria, ragionevole. Abbiamo vissuto per trent'anni nell'irrealtà dello spettacolo. Ora dobbiamo adattarci ai limiti della realtà. Come Ulisse, dobbiamo ritornare a Itaca, a casa».

Il libro di Pietro Citati, «La mente colorata», ed. Mondadori, pagine 322, euro 17,60


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