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Friedrich Wilhelm Joseph Schelling nacque a Leonberg nel 1775. A poco piú di vent'anni, con il sostegno di Goethe, divenne professore all'Università di Jena. Già amico di Hölderlin e di Hegel, a Jena ebbe fecondi contatti con Novalis, Tieck e A. W. Schlegel. Passato poi all'Università di Würzburg, vi rimase dal 1803 al 1806, anno in cui egli, protestante, lasciò la città per le difficoltà di rapporti con il principe austriaco cattolico a cui la città stessa fu assegnata. Abbandonato l'insegnamento universitario, lo riprese solo nel 1820, ad Erlangen, e lo continuò a Monaco, dal 1827 al 1841, e a Berlino, dal 1841 al 1847; qui svolse opera di opposizione alla diffusione, ormai straripante, dell'hegelismo. La morte lo colse in Svizzera, nel 1854, a quasi ottant'anni.
L'arte coglie ed esprime immediatamente l'Assoluto, l'identità che è il principio costitutivo di tutto ciò ch'esiste; essa è pertanto L'arte, o l'organo, lo strumento della filosofia, che quell'identità descrive e della filosofia spiega mediatamente, col ragionamento.
L'arte è l'unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e con novità incessante attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l'inconscio nell'operare e nel produrre, e la sua originaria identità col cosciente. Appunto perciò l'arte è per il filosofo quanto vi ha di piú alto, perché essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello che nella natura e nella storia è separato, e quello che nella vita e nell'azione, come nel pensiero, deve fuggire sé eternamente.
La veduta, che in modo riflesso si fa della natura il filosofo, è per l'arte la originaria e naturale. Ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. Ma se l'enigma si potesse svelare noi vi conosceremmo l'odissea dello spirito, il quale, per mirabile illusione cercando se stesso, fugge se stesso; poiché si mostra attraverso il mondo sensibile solo come il senso attraverso le parole, solo come, attraverso una nebbia sottile, quella terra della fantasia, alla quale miriamo. Ogni splendido quadro nasce quasi per il fatto che si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dall'Ideale, e non è se non l'apertura, attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale traluce solo imperfettamente attraverso quello reale. La natura per l'artista è non piú di quello che è per il filosofo, cioè solo il mondo ideale che apparisce tra continue limitazioni, o solo il riflesso imperfetto di un mondo, che esiste, non fuori di lui, ma in lui.
(Sistema dell'idealismo trascendentale)
Sia l'arte che la filosofia, dunque, eliminano quella separazione tra mondo del pensiero e realtà sensibile, tra ciò che appartiene al soggetto e ciò che appartiene all'oggetto. Ognuna coglie nei propri modi quell'identità assoluta, sia nell'attività del soggetto che nella realtà oggettiva. Infatti l'uomo - sia esso artista o filosofo - è quell'identità che nel mondo naturale è ancora incosciente ma tende progressivamente alla coscienza, e che in lui- che è l'apice di quel mondo naturale - è giunta al compimento della coscienza. Inoltre l'artista, nel suo prodotto, «crea» una «materia vivente», spiritualizzata, permeata di ideale; e ciò egli fa in quanto «vede» la natura come materia vivente. Il filosofo, poi, che ha tesaurizzato l'esperienza artistica, «mostra» che la natura e l'uomo sono «materia vivente»; porta a livello di linguaggio «logico» la coincidenza «ontologica» di natura e spirito, di ideale e reale.
Tutto quello che, rispetto a quest'assoluto, è l'ideale, è pure immediatamente reale; e quel che è reale, è ideale nel tempo stesso.
(Bruno o del principio naturale e divino delle cose)
Se è vero, però, che l'Assoluto - principio del reale - vien dall'artista obiettivato, prodotto, espresso, rivelato nella sua opera, è pur vero che ciò non sarebbe possibile se l'artista stesso non vivesse in sé, nell'atto stesso del «creare», quell'Assoluto. Infatti c'è identità dl conscio e inconscio sia nel produrre che nel prodotto. L'artista crea In virtù di una forza che sfugge alla sua riflessione; non è da questa generata, sollecitata, determinata. Questa forza lo ispira e lo trascina - quasi contro la sua volontà - ad esprimere cose che la sua intelligenza consapevole non riesce a comprendere. Questa ispirazione, poi, viene tradotta, consapevolmente (cioè in virtù della conoscenza anche delle tecniche di produzione artistica), in opera d'arte. Sicché l'operare dell'artista nasce dall'unione di conscio e inconscio, volontario e involontario.
Già da molto tempo è stato compreso che non tutto nell'arte si può Compiere con la coscienza, che all'attività cosciente deve essere unita una forza incosciente, e che la perfetta unione e la reciproca compenetrazione di entrambe produce il vertice dell'arte.
(Le arti figurative e la natura)
Solo quando nasce da «questa forza creatrice» che è «un puro dono della Natura», l'opera - esprimendo nelle forme limitate, determinate, della materia, un ideale - testimonia che l'ideale si fa reale, e il reale si fa ideale. E se il reale costituisce la forma finita, e l'ideale l'elemento infinitamente riproducibile in infinite forme e con infinite variazioni, allora in quell'opera l'infinito diventa finito e il finito infinito. E se l'opera esprime, con l'ideale, la libera creazione dell'artista che prende consistenza nella materia, dominata dalla legge della necessità, allora essa costituisce l'unione inscindibile di libertà e necessità.