Citazioni
"La storia dell'olocausto"
Memoria per le giovani
generazioni
Jean-Michel
Lecomte Ed.
SAPERE 2000 edizioni multimediali 2002 -
Titolo originale: Teaching
about the Holocaust in the 21st century
PREFAZIONE
La Storia dell’Olocausto è parte del progetto di storia del Consiglio
d’Europa “Apprendere e insegnare la storia d’Europa del XX secolo”. Gli
obiettivi principali del progetto sono:
-
interessare i giovani agli avvenimenti recenti del nostro continente e
aiutarli ad istituire collegamenti tra le radici storiche e le sfide che
l’Europa affronta oggigiorno;
-
insegnare ai giovani a sviluppare le capacità fondamentali della ricerca
critica;
-
accentuare l’importanza di comprendere le opinioni dell’“altro”;
- incoraggiare gli insegnanti ad introdurre nella scuola una lettura
europea della storia.
“Apprendere e insegnare la storia d’Europa del XX secolo” è un progetto
di orientamento pedagogico che ha già prodotto materiali per l’insegnamento
destinati ai docenti delle scuole secondarie, agli autori dei manuali scolastici
e a coloro che elaborano i programmi scolastici, su argomenti quali la storia
delle donne, il cinema, come insegnare il XX secolo, i movimenti migratori
europei e il nazionalismo.
Dato lo sviluppo allarmante dell’antisemitismo in alcune zone d’Europa e
data l’accessibilità di siti storiografici “negazionisti” su Internet,
l’Olocausto è diventato tema centrale del progetto. Mentre alcuni paesi, in
particolare la Germania, hanno alti standard di insegnamento dell’Olocausto,
altri sono decisamente carenti sul tema.
Gli stessi insegnanti sono spesso carenti di conoscenze approfondite e, a meno
che non decidano di fare ricerche per conto proprio, non sanno come avvicinarsi
ad un argomento che supera largamente gli stessi confini della storia. A partire
dall’opera di autori universalmente riconosciuti quali Raul Hilberg, sir
Martin Gilbert, Saul Frielander e Christopher Browning, insieme con resoconti di
prima mano (tra i quali quelli di Primo Levi, di Hermann Langbein e le
interviste di Claude Lanzmann), questo libro offre agli insegnanti un corpo di
conoscenze da usare nei programmi scolastici. Una certa quantità di materiali
concettuali sulla natura e la realizzazione del genocidio in diversi paesi si
adatta ad un lavoro di gruppo con studenti più grandi che consente loro di
analizzare il fenomeno del nazismo. Le descrizioni succinte di come e dove il
genocidio si realizzò nei diversi paesi europei permette, al di là delle
particolarità localistiche, di rendere comprensibile la generalità
dell’impresa nazista.
L’autore, Jean-Michel Lecomte, insegna scienze sociali. Lavora nel settore
dell’editoria scolastica per il Dipartimento francese dell’Istruzione presso
un centro di documentazione a Digione, dove è stato responsabile di un
programma di insegnamento denominato Sur la Shoah (Sull’Olocausto),
composto da dieci volumi e da quattro poster educativi. È autore di tre volumi:
Savoir la Shoah (Conoscere l’Olocausto), Einsegner sur la Shoah
(Insegnare l’Olocausto) e Shoah et formation citoyenne (L’Olocausto e
l’educazione civica). Op. Cit. pagg. 7-8
Lettura 9
LA PERSECUZIONE DEI TESTIMONI DI
GEOVA
(Pagine 46-48)
Solo nel luglio del 1931 il
gruppo allora conosciuto con il nome di studiosi della Bibbia (Bibelforscher
in tedesco) adottò il nome di testimoni di Geova (Zeugen Jehovas). La
loro organizzazione, Wachtturm (Torre di Guardia, con sede a Magdeburgo, in
riferimento alla stessa organizzazione americana, Watch Tower) era già stata
oggetto di massacri prima del 1933, sia da parte della Chiesa cattolica, molto
ostile verso di essa, che dal NSDAP.
Dal 1933 in poi, i Bibelforscher (come continuava a chiamarli la
propaganda nazista) furono considerati fuorilegge in diverse regioni, tra le
quali il Meclemburgo-Schwerin, la Baviera, la Sassonia, la Turingia e il Baden.
Essi inoltrarono denuncie alle autorità giudiziarie, scrissero lettere di
protesta – i testimoni di Geova americani e svizzeri inviarono migliaia di
telegrammi ad Hitler e alla sua cancelleria. Dopo un breve periodo di calma
apparente, l’organizzazione venne messa al bando in tutta la Germania nel
luglio 1935.
Perché Hitler e i nazisti, che tolleravano il Protestantesimo e il
Cattolicesimo, avevano tanta ostilità nei confronti dei testimoni di Geova? La
prima ragione è che i grandi proprietari terrieri e gli industriali protestanti
e cattolici costituivano la clientela di von Papen (il cancelliere che aveva
ceduto il posto a favore di Hitler), e il regime aveva bisogno di questa gente.
Inoltre, la religione dei testimoni di Geova proibiva loro di appoggiare Hitler,
di fare il saluto hitleriano, di mandare i figli alla Hitlerjugend e soprattutto
di portare armi. Non appena il nazismo crebbe sempre più come nuova religione,
che rifiutava ogni forma di trascendenza a favore di un’adesione mistica al Führer,
e mentre le altre chiese (al massimo) si limitavano ad esili forme di protesta,
i testimoni di Geova non solo protestavano ma si opponevano al regime e
rifiutavano di obbedire. Di conseguenza, erano trattati come oppositori: i loro
libri vennero bruciati, fu loro proibito di riunirsi e di fare proseliti, venne
incoraggiata la delazione e i sospettati vennero condannati e incarcerati.
Nessuna misura ebbe l’effetto sperato: lo stato totalitario non poteva
costringerli a rinunciare ai loro principi né poteva ridurli al silenzio.
Cominciò allora a circolare una propaganda grossolana, che ritraeva i testimoni
di Geova come l’avanguardia e lo strumento del complotto mondiale degli ebrei
– un’accusa che si reggeva sul riferimento comune al Vecchio Testamento e a
Geova e sul fatto che alcuni dirigenti di Torre di Guardia erano ex ebrei.
Proliferarono falsi documenti e teorie pseudoscientifiche.
Divenne allora possibile il processo di deportazione nei campi di
concentramento, cioè dell’internamento arbitrario e del ciclo di persecuzione
che conduceva allo sterminio. Anche se non costituiva un genocidio, perché i
testimoni di Geova non si consideravano un razza ma semplicemente una
confessione religiosa, il loro sterminio fu chiaramente un crimine contro
l’umanità. Fu, tuttavia, una rarissima categoria di persone che si
ritrovarono a poter scegliere, individualmente, una via di fuga dallo sterminio
e dal campo di concentramento: sarebbe stato sufficiente rinunciare alla loro
fede e abbracciare la religione di Hitler. Vennero regolarmente esortati a farlo
nei campi, ma i loro continui rifiuti gli valsero nuova brutalità.
François Bedarida valuta che furono uccisi tra i 2000 e i 3000 testimoni di
Geova, su un totale di 10.000 nella sola Germania.
La figura di Carl von
Ossietzky
Intellettuale, pacifista convinto e testimone di
Geova, Carl von
Ossietzky scrisse molte opere di protesta contro l’aggressione nazista e le
persecuzioni. I suoi libri erano in cima a quelli che furono bruciati. Nel 1935,
tuttavia, la Lega tedesca dei diritti umani lo propose per il Nobel per la pace.
Le lotte tra le fazioni che tendevano a influenzare la commissione per
l’attribuzione del Nobel finirono per congelare il premio per l’anno 1935.
Il premio fu consegnato a von Ossietzky solo nel novembre 1936, quando era già
stato internato in Germania.
«Arrestato alla fine di febbraio, Carl von Ossietzky fu internato nella
prigione di Spandau e poi trasferito nei campi di Sonnenburg, Esterwegen e
Dachau. A Dachau vinse la sua ultima battaglia morale, rifiutando la rinuncia
alla sua fede e di abbracciare il nazismo. Il maresciallo Goering in persona andò
a trovare quel prigioniero, per comunicargli che aveva vinto il premio Nobel per
la pace. Goering disse che von Ossietzky era libero di recarsi in Svezia per la
cerimonia della consegna del premio, a condizione di non pronunciare più
critiche contro il nazionalsocialismo. Von Ossietzky ci pensò su e rifiutò la
proposta. Non andò mai in Svezia. Restò nel campo di concentramento. Era una
vittoria morale – la sua vittoria.
Il discredito che questo caso gettò sulla Germania e le pressioni
internazionali a favore di von Ossietzky ebbero l’effetto della sua
liberazione – una liberazione pressoché simbolica, perché, già sofferente
di tubercolosi, fu portato in un ospedale dove morì il 5 maggio
1938.»(9). Op. cit. pagg. 46-48
NOTE:
9) Guy Canonici, Les Temoins de Jéhovah face à Hitler, Albin Michel, Parigi 1998, pp.382-83.
Una singola rettifica per una storia che è e rimane comune. di Claudio Vercelli
La notizia riportata a pag. 48 del libro di Jean-Michel Lecomte, La storia dell’Olocausto. Memoria per le giovani generazioni, Edizioni Sapere 2000, Milano 2002 in ragione della quale il premio Nobel per la pace 1935, il tedesco Carl von Ossietzky, sarebbe stato membro della Congregazione dei testimoni di Geova, non risponde alla realtà dei fatti.
L’autore
del volume ha commesso, con tutta probabilità, un errore di interpretazione
delle fonti dalle quali ha raccolto le informazioni necessitantigli per la
redazione del testo. Nel libro di Guy Canonici, Les
Témoins de Jéhovah face à Hitler, Albin Michel Ed, Paris 1998,
focalizzato sulle persecuzioni e sulla deportazione dei testimoni di Geova
durante il periodo nazista si fa menzione, nell’ultimo capitolo, di Carl von
Ossietzky e di Thomas Mann. Di essi si parla come di vincitori morali ma anche
come di “testimoni” del proprio tempo e della ferocia del regime hitleriano.
Lecomte confonde il richiamo a tale status con quello dell’appartenza alla
denominazione cristiana. Una sorta di bisticcio linguistico e fors’anche di
incomprensione del dettato altrui. Peraltro la letteratura della Congregazione
menziona la bella e cristallina figura di Carl von Ossietzky sia in due articoli
di “Golden Age” (il 7 di novembre
del 1934 e il 10 marzo del 1937) che nell’edizione del 15 maggio del 1940 di
“Consolation”. Egli è presentato
come uno “scrittore tedesco pacifista” – altro elemento, quest’ultimo,
che può aver contribuito ad ingenerare confusione in Lecomte, poiché i
Bibelforscher erano dichiaratamente e ostentatamente posizionati contro ogni
forma di guerra e di milizia armata – e come un “coraggioso giornalista”.
In
sua memoria possiamo, per sommi capi, richiamare gli aspetti più significativi
della sua breve ed intensa vita. Nato ad Amburgo nel 1889, redattore del
settimanale tedesco Die Weltbuehne (“Il
palcoscenico del mondo”), è per tutti gli anni venti uno degli intellettuali
più in vista nella Germania della fragile Repubblica di Weimar. Dalle colonne
della rivista, insieme ad un nutrito gruppo di amici, colleghi e collaboratori
egli si impegnò a più riprese a favore dello sviluppo della democrazia, contro
l’ascesa del nazismo e, in quanto politicamente posizionato in prossimità
della Spd - il partito socialdemocratico tedesco – contro la sua
burocratizzazione, a favore dell’unità d’azione delle sinistre, di cui pur
non condivideva molte idee. Sinceramente animato da uno spirito universalista e
internazionalista, si qualificò ben presto per il suo rigorosissimo pacifismo e
per il manifesto antibellicismo.
Von
Ossietzky, formatosi come commentatore di politica estera in altre due testate,
il Berliner Volkszeitung
e il settimanale liberale Das
Tagenbuch, collaborò a lungo in qualità di segretario alla Deutsche
Friendengesellschaft, una associazione pacifista presieduta da Ludwig Quidde
(premio Nobel per la pace nel 1927). Tuttavia, malgrado questa vocazione
inesaurita al tema della pace, il campo dei suoi interventi spaziò sui più
svariati temi riguardanti le libertà politiche, sociali, culturali e così via.
Facile immaginare una qualche forma di simpatia per le minoranze religiose, tra
queste gli stessi testimoni di Geova. Nei dibattiti pubblici si
contraddistingueva per la lucidità di analisi e la determinazione nel portare
avanti le proprie opinioni. Non a caso comprese fin dall’inizio i rischi che
incombevano sul suo paese e il pericolo che il movimento nazista rappresentava
per il popolo tedesco e per l’Europa intera. In anni in cui la Germania era
attraversata da tensioni di ogni genere ed i gruppi della destra radicale si
scontravano quotidianamente in piazza con quelli della sinistra comunista, la
posizione di von Ossietzky, pur dotata di una elevata caratura morale e pur
essendo espressa con una grande forza intellettuale, non riusciva ad avere un
grande seguito. Fu anche per questo motivo che all'ascesa di Hitler al potere il
regolamento dei conti per parte dei nazisti non si fece attendere. Già nel
novembre del 1931, prima ancora della vittoria da parte del dittatore, il
tribunale di Lipsia aveva condannato lo scrittore per il reato di alto
tradimento, essendosi egli espresso contro il riarmo dell’aviazione tedesca,
parte integrante del programma segreto – ed illegale, in virtù del Trattato
di Versailles – di ricostruzione dell’esercito tedesco. Von Ossietzky, benché
debole di salute, affrontò con determinazione il carcere, evitando la via
dell’espatrio. Liberato con l’amnistia del dicembre del 1932 fu riarrestato
di lì a poche settimane dai nazisti, oramai vincenti e dilaganti, durante la
retata di oppositori politici che questi ultimi fecero nella mattina del 28
febbraio 1933, il giorno successivo all’incendio del Reichstag, il parlamento
germanico. Prelevato dalla sua abitazione dalla polizia segreta, portato nella
prigione di Berlino, fu in seguito internato in due dei primi campi di
concentramento – Sonnenburg prima, Esterwegen-Papenburg poi – ove,
sottoposto al duro regime di detenzione e ripetutamente vessato e maltrattato,
subì un infarto.
Mentre
si trovava in tali condizioni, Berthold Jacob, suo amico e compagno di tante
battaglie, avanzò la proposta di candidarlo al premio Nobel per la pace. Il
cristallino pacifismo di von Ossietzky lo rendeva ideale destinatario
dell’ambito riconoscimento. La posizione dello scrittore era al contempo
semplice e rigorosa: l’opzione contro le armi non si rifaceva al pacifismo
tradizionale – astratta petizione di principio condizionata dalla realpolitik
– ma all’intransigenza di chi riteneva che l’astenersi dall’usare
strumenti di offesa, così come il rifiutarsi di militare in un esercito,
dovesse essere l’elemento su cui misurare il resto delle scelte politiche
personali. Insomma, un punto di partenza e non di arrivo; quindi, nella sua
intima natura, qualcosa di inderogabile, inalienabile e imprescindibile.
La
campagna per il Nobel prese forma e sostanza a Parigi. Nel 1934 von Ossietzky fu
ufficialmente candidato e l’anno successivo gli fu conferito ufficialmente il
premio, mentre si trovava in un Lager. Affetto da una devastante tubercolosi,
oramai agli sgoccioli di una vita così vivace ma anche tanto breve, si vide
rifiutare il rilascio dal campo. Il governo tedesco chiedeva che egli declinasse
la nomina, cosa che lo scrittore, malgrado tutto, si rifiutò di fare. Il
ministro della propaganda nazista, Joseph Goebbels, dinanzi alle proteste
internazionali dichiarò che von Ossietzky era “libero” di recarsi in
Norvegia per ritirare il premio ma documenti della polizia segreta,
successivamente venuti alla luce, hanno dimostrato che le disposizioni imposte
dal regime erano di ben altro genere. Liberato infine nel 1936, ma sottoposto ad
un stringente regime di controllo poliziesco, morì due anni dopo, minato nello
corpo come nello spirito. Alla stampa tedesca fu fatto divieto di commentare il
conferimento del Nobel. Lo smacco per Hitler fu tale che egli dichiarò che da
allora in poi la Germania nazista non avrebbe più accettato qualsivoglia premio
per la pace. Cosa in sé comprensibile, se si pensa che di lì a non molto
l’intero paese sarebbe stato trascinato in una guerra mondiale, tanto barbara
quanto tragica.
Claudio Vercelli
Claudio Vercelli, storico e pubblicista, è ricercatore presso l’Istituto di studi storici Salvemini di Torino dove coordina il progetto di ricerca e formazione sugli “Usi della storia, usi della memoria”.
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