LAVORO

La nazione più indebitata del pianeta

 

Bush chiede al Congresso 95 miliardi di dollari
Sabina Morandi - 27/2/03

 

Non è soltanto per andare incontro ai sondaggi, che danno la maggioranza dei cittadini statunitensi restii al conflitto con l'Iraq da soli, che Bush cerca spasmodicamente l'avallo delle Nazioni Unite. E non è nemmeno per la paura comprensibile di delegittimare un'istituzione che, nel bene e nel male, ha garantito un minimo di stabilità internazionale. Sotto sotto, scava scava, il vero problema è sempre lo stesso: i soldi.


Nessuna strategia
Fu proprio l'avallo delle Nazioni Unite a far sì che, nel '91, gli Usa si candidassero a "mercenari del mondo". Loro misero il grosso delle truppe, la tecnologia militare e la faccia, mentre il resto del pianeta si accollava il 90% della spesa. Del resto gli imperi hanno sempre fatto pagare ai vassalli i costi delle loro guerre di conquista. Raramente, però, si è mai vista prima un'accoppiata simile di potenza militare e dissesto economico. E raramente è stata pianificata una guerra in totale mancanza di una "strategia finanziaria" come denunciava due giorni fa Laura D'Andrea Tyson dalle pagine del Financial Times.

Certo, ogni tanto Bush batte cassa. Chiede soldi per la guerra e per la ricostruzione, per le truppe dell'invasione e per quelle che dovranno occupare a lungo la regione, visto che stavolta non si tratta di sganciare fiumi di bombe dall'alto - cosa che consentirebbe probabilmente di scacciare Saddam ma rischierebbe di rovinare le preziose infrastrutture - ma di mandare carne da macello strada per strada. Solo ieri l'amministrazione ha annunciato un supplemento di spesa di 95 miliardi di dollari, secondo quanto segnalato dal Wall Street Journal, solo per coprire le spese vive del conflitto e, si presume, per comprare gli alleati, prima fra tutte la Turchia che da sola costa 30 miliardi di dollari. Se dovessero fare da soli, gli Stati Uniti non saprebbero davvero dove sbattere la testa visto che devono ancora sganciare i soldi promessi per la ricostruzione dell'Afghanistan, circa 300 milioni di dollari ancora "fuori budget".

Ma Bush vuole i suoi conti approvati a scatola chiusa. A ogni richiesta di precisazioni da parte del Congresso il Pentagono risponde dicendo che è impossibile calcolare la durata del conflitto e che, comunque, i piani di guerra non possono essere rivelati per motivi di sicurezza. Così gli uomini dell'amministrazione - la maggior parte dei quali, non dimentichiamolo, si è distinta nell'allegra gestione che ha portato alla bancarotta della Enron - chiede allo Stato di esporsi per miliardi di dollari senza firmare neppure una cambiale.


Un po' di conti
Qualcuno ha provato a fare i conti in tasca a Bush. Secondo William Nordhaus, della Yale University, il dopoguerra costerà ben più di 95 miliardi di dollari. Fra occupazione, aiuti umanitari e ricostruzione si potrebbe arrivare a spendere fra i 100 e i 600 miliardi di dollari nel prossimo decennio. Non sorprende quindi che molti funzionari si affannino già ora a sostenere che l'Iraq dovrebbe pagare da sé i costi della propria ricostruzione, né che la Turchia sia scettica sulla solvibilità dell'impero. Del resto il "pacchetto guerra" nemmeno compare nel budget nazionale di Bush dove, invece, sono previsti altri 1.500 miliardi di dollari per coprire la riduzione fiscale promessa ai cittadini più ricchi. Anche facendo fuori ogni già fatiscente cuscinetto sociale, come i programmi di Social Security e Medicare, a Bush resta un enorme deficit destinato a durare molto dopo la conclusione della prevista guerra e dell'altrettanto prevista ripresa economica.

Anche basandosi sulle assunzioni dell'amministrazione, che continua a vedere la ripresa economica dietro l'angolo e che continua a investire soltanto in spese militari e sicurezza interna, il debito dovrebbe raggiungere i 2000 miliardi di dollari entro la fine del decennio, esattamente quanto dovrebbe stanziare il governo federale per farsi carico dei futuri pensionati, come premesso. Se poi non si prendono sul serio gli esperti di finanza creativa dell'amministrazione, il calcolo del decifit è destinato a crescere a dismisura. Come farà l'amministrazione a pareggiare l'enorme disavanzo?


Pagheremo tutti
Anche se Bush insiste sul fatto che "il destino dell'America non dipendere dalle decisioni di una ‘illusoria comunità internazionale' la Casa Bianca assume implicitamente che il resto del mondo si farà carico di una parte più o meno consistente del conto" fa notare Laura D'Andrea Tyson. "Già oggi gli Stati Uniti assorbono circa il 5% dei risparmi planetari e, ogni giorno, si fanno prestare circa 200 milioni di dollari per coprire il disavanzo". La strategia economica di Bush è destinata ad aumentare ancora questo deficit che potrebbe arrivare a risucchiare fino al 9% del prodotto interno lordo mondiale entro un decennio. "Fino a quando il resto del mondo sarà disposto a coprire i debiti Usa? Quanto ci metteranno i capitali a scappare? "

Non molto, secondo la commentatrice della London Business School, visto che gli investitori stranieri hanno già cominciato a ridurre i propri investimenti in dollari. E se la fuga di capitali dovesse continuare, il dollaro è destinato a indebolirsi ancora. Era già successo nel '91 quando però il deficit Usa non superava il 2% del prodotto interno lordo. Ciònostante Bush senior era stato costretto ad aumentare le tasse - violando la sua promessa elettorale - per rassicurare i capitali globali sul fatto che l'amministrazione stava facendo qualcosa per ridurre il proprio deficit strutturale. Esattamente il contrario della strategia finanziaria di suo figlio che sta facendo di tutto per aumentarlo, il debito.


Cancella il debito?

Naturalmente i consiglieri finanziari del presidente stanno facendo di tutto per convincere i mercati che il debito non è così importante - come alla Enron dove le esposizioni finanziarie azzardate venivano presentate come investimenti produttivi - ma certo che i costi della guerra, insieme ai regali fiscali ai super-ricchi, rischiano di rendere gli Stati Uniti insolvibili agli occhi dei capitali esteri, cosa che potrebbe facilmente innescare la spirale della recessione. Il deficit strutturale si traduce in importazioni più costose e tassi di interesse più alti che, a loro volta, penalizzano gli investimenti del settore privato, il che significa un abbassamento degli investimenti pubblici e dello standard di vita: educazione, sanità e pensioni, già fatiscenti, saranno i primi costi a venire sacrificati alle ambizioni imperiali di Bush e alla de-tassazione dei milionari - in dollari.

L'unica grande potenza mondiale si trova anche ad essere la nazione più indebitata del pianeta con delle cifre che fanno impallidire il debito dei paesi in via di sviluppo - che invece si dissanguano, solo per coprire gli interessi. Forse la potenza mediatica statunitense non basterà a convincere il resto del mondo che finanziare le sue ambizioni, anche a scapito dei propri interessi economici, è davvero una buona idea.

http://www.liberazione.it/giornale/030227/default.asp