LAVORO Venticinque anni di guerra contro...lo Stato Sociale.
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Il potere conduce ormai da venticinque anni un'accanita guerra sociale, che prende a bersaglio il Welfare State: una guerra per ritornare a un mitico ordine antico, in cui le leggi naturali del mercato dovrebbero funzionare senza intralci, e perseguire gli interessi personali garantirebbe il "bene comune". Orchestrata sotto pressione della finanziarizzazione del capitale, questa controrivoluzione conservatrice si è impegnata a liberare il capitale da qualsiasi controllo ne limitasse la mobilità, a riorganizzare l'economia in funzione delle aspettative a breve termine degli investitori, a indebolire organizzazioni e dispositivi di legge a protezione dei lavoratori salariati, e a imporre la disciplina di marcato all'insieme delle relazioni sociali. L'hanno legittimata campagne condotte da "istituti di consulenza", finanziati a colpi di centinaia di milioni di dollari dai poteri economici. I loro ideologi hanno monopolizzato i dibattiti pubblici con vaste campagne pubblicitarie, denunciando ininterrottamente come intralcio alla libertà individuale ogni soluzione collettiva dei problemi dei lavoratori. «In nome di questa libertà di scelta si sono giustificate tutte le misure tendenti a bloccare le politiche sociali, nonché le campagne in favore della privatizzazione delle pensioni, della sanità, dell'istruzione stessa» (cfr. I. Richet, Les Dégats du libéralisme. Etats Unis: une socieété de marché, Textuel, Parigi, 2002; da questa fonte provengono i dati forniti). Un modello che ha come esclusiva giustificazione l'accumulazione privata della ricchezza si è sviluppato a un ritmo fulmineo.
Di tali profitti, tuttavia, non hanno goduto i dipendenti. Prima che un'indagine della commissione di vigilanza sulle operazioni borsistiche facesse crollare il corso delle azioni, i proprietari della Enron si sono liberati delle loro stock-oprions per circa un miliardo di dollari, mentre gli impiegati, incoraggiati a investire i loro fondi pensione in azioni della società, con divieto di disfarsene prima di parecchi anni, perdevano il loro posto di lavoro… e tutti i loro risparmi destinati alla pensione.
Questa realtà è frutto di un terribile deterioramento dei rapporti tra capitale e lavoro, articolatosi intorno a quattro assi principali: 1) una politica rigidamente monetarista, tendente a ridurre l'inflazione e a garantire i redditi del capitale finanziario, che ha comportato una duplice recessione la quale, a sua volta, ha portato con sé una drastica ristrutturazione dell'apparato industriale; 2) misure di deregolamentazione del mercato del lavoro, per consentire maggiore mobilità del capitale e maggiore flessibilità della forza lavoro; 3) una politica fiscale regressiva in favore dei redditi da capitale; 4) attacco alle organizzazioni e ai programmi di protezione dei lavoratori dalle incognite del mercato. Queste politiche sono state avviate sotto Carter, alla fine degli anni 1970, si sono notevolmente sviluppate con le presidenze di Reagan, Bush padre, e Clinton e continuano oggi con Bush Jr. Le politiche liberiste si sono impegnate a ristabilire la "semplice concorrenza" del mercato, unica fonte di "equa distribuzione". Hanno aggredito i "costi del lavoro" e hanno ricercato lo sviluppo delle condizioni più favorevoli per gli investimenti. «Delocalizzazione e deindustrializzazione sono allora diventate le parole chiave di questa strategia». Il 53% dei posti di lavoro soppressi non è più stato ricostituito. Anche la legislazione del lavoro è stata presa di mira. Almeno un terzo dei posti di lavoro coperti da contratti sindacali collettivi sono spariti. I dispositivi che consentivano ai sindacati di non essere denunciati, in quanto organizzazioni che infrangono la libera concorrenza, sono stati abrogati; si è vietata la distribuzione di volantini davanti alle fabbriche per convocare uno sciopero, mentre certi datori di lavoro venivano autorizzati a licenziare scioperanti che invitassero i colleghi a interrompere il lavoro. Si è messo in moto un vero e proprio arsenale giuridico. Aziende che ottenevano contratti dallo Stato federale sono state esentate dall'obbligo di rispettare la legge sul salario minimo; sono state ridimensionate le disposizioni che favorivano l'occupazione delle minoranze, come pure quelle sulla sicurezza e l'igiene sul posto di lavoro. È stata abrogata la legge, in piedi ormai da 70 anni, sul divieto del lavoro minorile. I datori di lavoro sono stati autorizzati a denunciare un contratto collettivo prima della scadenza, al fine di ottenere concessioni sulle condizioni di lavoro e sul salario. Si moltiplicano le griglie salariali a doppia velocità. I nuovi entrati percepiscono a volte solo il 55% del salario dei "vecchi". I padroni possono licenziare senza alcun timore, se la domanda si contrae, per poi tornare d assumere. Da 20 anni si assiste a un aumento terribile delle malattie professionali e degli incidenti sul lavoro. Sono stati ridotti i controlli e le imprese fanno pressioni perché non si dichiarino malattie e incidenti. Gli organismi ispettivi sono, del resto, stati sostituiti sotto Clinton da consultazioni senza il minimo valore cogente per le aziende.
Un'ampia campagna di discredito ha portato a varie offensive contro diversi programmi sociali. Considerando l'assicurazione contro la disoccupazione troppo costosa e tale da scoraggiare l'occupazione, Reagan ha imposto allo Stato un interesse del 10% su ogni prestito al Tesoro federale per sovvenzione del programma disoccupazione. Ha anche reso più rigide le condizioni di accesso. Dopo tali riforme, solo il 38% dei disoccupati era coperto dall'assicurazione. Dal gennaio del 2002, 11mila lavoratori perdono quotidianamente questo loro diritto. I principali programmi di sostegno ai poveri sono stati smantellati. La campagna aveva l'obiettivo di screditare il concetto stesso di diritto sociale e di responsabilità sociale dello Stato. E qui sono entrati in gioco sul terreno mediatico gli istituti di consulenza, a dimostrare come la povertà sia il risultato piuttosto di patologie individuali che non di condizioni sociali e come l'intervento dello Stato non faccia che incoraggiare la fragilità morale di tutta una fetta della popolazione. Forte di tutto questo, Clinton si spingerà più avanti di Reagan. Limita la concessione del sussidio sociale a cinque anni nell'arco dell'intera vita. Gli Stati si vedono diminuire le sovvenzioni del 25% per attuare programmi assistenziali, tanto che, quando ha esaurito i fondi non accetta altra gente. Ogni beneficiario adulto, pena la perdita del sussidio, deve lavorare dopo due anni di partecipazione al programma in un posto di lavoro dipendente privato, o in un programma organizzato dalle locali autorità. Non si versano più prestazioni a una donna che abbia un altro figlio quando già "gode" del sussidio. L'impiego di gente così assistita nella pulizia di strade e parchi ha permesso alla città di New York di risparmiare 500 milioni di dollari. Anche gli imprenditori privati ne hanno approfittato: nel 1993, il 36% delle famiglie povere contavano un salariato a tempo pieno, mentre oggi sono il 44,5%. Bush jr. conta di estendere questi dispositivi e si compiace del loro successo. Affronta inoltre la privatizzazione delle pensioni di anzianità e persegue lo smantellamento del servizio sanitario pubblico e la privatizzazione dell'istruzione. Sono del resto abrogati, o lasciati nel dimenticatoio, anche i de-bolissimi dispositivi di lotta contro le discriminazioni razziali.
Ma l'offensiva non si ferma qui! Le grandi imprese hanno letteralmente colonizzato la sfera pubblica. Controllano i masss media, finanziano i partiti dettando loro i programmi. Malgrado ciò, qualche resistenza si organizza, si sviluppano movimenti sociali. A poco a poco, si va formando "un'altra America". Reddito di inserimento, aiuto alimentare ai candidati all'asilo, giustizia più celere, eliminazione del diritto alla disoccupazione, incoraggiamento al risparmio, pensione privata… Lentamente, ma decisamente, queste politiche vengono introdotte in Europa e guadagnano terreno… L'ideologia dei salariati e degli assistiti responsabili delle loro condizioni, che quindi devono dimostrare i loro meriti per aspirare a prestazioni sociali, squalifica i diritti sociali e la legittimità delle lotte e fa passare chi ha un salario per un privilegiato, e gli assistiti per individui di dubbia moralità, da rendere attivi con programmi obbligati. I movimenti sociali, e la sinistra radicale, riusciranno a invertire la marcia della locomotiva? (Da La gauche, quindicinale belga) |