L'autore
Narratore e poeta italiano, uno dei massimi letterati di tutti i tempi nonché anticipatore delle tendenze umanistiche del Quattrocento.
Giovanni Boccaccio fu allevato a Firenze come figlio illegittimo di un mercante: fonti non molto attendibili riportano che fosse nato a Parigi, da una donna francese conosciuta dal padre in uno dei suoi frequenti viaggi di lavoro oltralpe.
Nel 1327 si recò a Napoli con il padre, socio della compagnia dei Bardi, per impiegarsi nell'attività mercantile e nella pratica bancaria. Qui venne a contatto con la vita culturale "mondana" della città, esperienza che contribuì di lì a poco ad allontanarlo dal commercio e ad avviarlo alle lettere. Affascinato dalla letteratura cortese e cavalleresca francese, che presso la corte degli Angiò di Napoli aveva in quel periodo grande diffusione e successo, Boccaccio consolidò le proprie basi di letterato leggendo (oltre ai classici latini) anche opere a fondo storico e mitologico. Il suo primo poemetto, in terza rima, risale al 1334-35. Composto secondo il modulo allora in voga della rassegna celebrativa di gentildonne nacque la Caccia di Diana.
Gli anni a seguire furono a lungo ricordati dallo stesso poeta come il periodo più felice della sua vita: il fecondo succedersi di nuove opere, l'assidua frequentazione della corte napoletana facevano prefigurare al giovane letterato un futuro di celebrità e onori. Una leggenda vuole addirittura che abbia avuto una relazione con una figlia illegittima del re, forse celata dietro il nome di Fiammetta, personaggio immortalato in varie sue opere.
Richiamato fortunosamente dal padre a Firenze nell'inverno del 1340-41, scampò alla terribile epidemia pestifera nella primavera del 1348; a lui vennero poi affidati dal governo cittadino vari incarichi diplomatici fino al suo primo incontro, nel 1350, con Francesco Petrarca, da lui ammirato e ritenuto un vero e proprio maestro. I due scrittori rimasero amici fino alla morte: Boccaccio incontrò nuovamente Petrarca a Padova nel 1351, a Milano nel 1359 e si recò a Venezia appositamente per fargli visita nel 1363.
Fu ambasciatore per il Comune della sua città presso Ludovico di Baviera nel 1351. Nel 1360 ospitò a Firenze l'amico Leonzio Pilato, insegnante di greco antico, una lingua allora pochissimo conosciuta in Italia. Grazie a lui poté leggere l'Iliade di Omero tradotta in latino. Nello stesso anno Innocenzo VI lo autorizzò al sacerdozio. Nel 1362 tornò a Napoli su invito di un amico ma, deluso dall'accoglienza ricevuta, si recò subito a Firenze e, per incarico della città, partì per Avignone come ambasciatore presso papa Urbano V.
All'inizio degli anni Settanta si ritirò nella sua casa di Certaldo, vicino a Firenze, dove visse appartato, dedicandosi quasi esclusivamente allo studio, interrotto da qualche breve viaggio (tra il 1370 e il 1371 fu a Napoli), e alla meditazione religiosa. Un incarico per lui molto importante fu quello conferitogli nel 1373 dal comune di Firenze: la pubblica lettura, con commento, della Divina Commedia di Dante. Disgraziatamente nel 1374 Boccaccio dovette abbandonare tale incarico per il sopraggiungere della malattia, che lo avrebbe portato alla morte l'anno seguente.
Le opere minori
Il Decameron non è la sola opera ad avere il privilegio di inaugurare la novella; sono infatti degne di considerazione alcune opere firmate Boccaccio, le quali indubbiamente stanno alla base di generi destinati a una lunga vita.
Il Filostrato (neologismo grecizzante che può essere parafrasato come "il vinto d'amore", 1335) e il Teseida delle nozze di Emilia (1339-1341). Sono entrambi poemetti in ottave, forma metrica particolarmente cara al Boccaccio poeta, e costituiscono i primi esempi nella tradizione letteraria italiana di romanzo in versi. Il Filostrato adotta come modello i romanzi medievali francesi, in particolare quelli ispirati alla materia del ciclo troiano: narra infatti degli amori del giovane figlio di Priamo, Troilo, per la vedova greca Criseida, prigioniera a Troia. Il Teseida deriva invece i propri contenuti dai grandi esempi epici dell'Eneide di Virgilio e della Tebaide di Stazio, contaminati però con la tradizione cavalleresca romanza, che fa sì che al tema dell'amore si affianchi, per la prima volta, quello delle armi.
Come testimonia la varietà di influenze stilistiche (dal dolce, colto e raffinato stil novo al modello petrarchesco, alla lirica toscana, passando attraverso l'esperienza dantesca in rima), Boccaccio adoperò la quasi totalità della propria vita alla composizione delle Rime. Si tratta di una raccolta non organica ricca di personaggi, soprattutto femminili, disegnati ora in modo lieve secondo il gusto cortese, ora con tratti più marcatamente popolareschi.
Il Filocolo (1336-1338) è un ampio romanzo in prosa in cinque libri, presto diffusosi in Europa. Nelle intenzioni dell'autore il titolo, secondo una costruzione lessicale grecizzante ma etimologicamente un po' approssimativa (Boccaccio infatti, come del resto molti letterati del suo tempo, non conosceva il greco), voleva alludere alle "fatiche d'amore", ovvero alle avventure di due innamorati, Florio e Biancifiore, già protagonisti di una nota leggenda medievale, che riescono a concludere felicemente la loro storia solo dopo innumerevoli traversie. Boccaccio inframmezza il racconto delle peripezie dei due giovani con ampie divagazioni erudite e colte descrizioni geografiche.
La Commedia delle ninfe (o Ninfale d'Ameto, 1341-42, secondo la fortunata titolazione quattrocentesca) appartiene al genere arcadico e pastorale. Si tratta di un testo in prosa frammisto a terzine dantesche ed è una sorta di omaggio a Firenze e alle sue donne. La tradizione pastorale traveste così la realtà contemporanea fiorentina sotto il manto dell'allegoria cortese. Anche il poema allegorico intitolato Amorosa visione (1342) impiega la terza rima, mentre l'Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44) è piuttosto un romanzo in forma di confessione sentimentale: si tratta infatti di una lunga lettera in prosa indirizzata dal personaggio femminile Fiammetta alle donne innamorate. Un'importante novità strutturale, oltre che ideologica, sta nel fatto che la donna nell'opera non è oggetto della rappresentazione, ma protagonista che parla in prima persona. Si attua così un importante rovesciamento di prospettiva: i sentimenti della protagonista, innamorata di Panfilo, che la tradisce lasciando Firenze alla volta di Napoli, sono posti in primo piano e raffigurati senza mediazioni. Il Ninfale fiesolano (1344-1346) è un poemetto idillico dedicato alla fondazione di Firenze e ricco di spunti mitologici ed eruditi. Nel Corbaccio (1365 ca.) infine, ultima opera d'invenzione di Boccaccio, il tema dell'amore diventa aspra satira contro le donne, che parte della critica ha voluto, probabilmente a torto, avesse un presupposto biografico in un non corrisposto amore senile dello scrittore.
Le ultime opere di Boccaccio comprendono una serie di testi eruditi, trattati scientifici e componimenti poetici sia in latino sia in volgare, dedicati a temi come le sventure degli uomini illustri, le donne celebri, la genealogia degli dei pagani. Di quest'ultima produzione, espressione degli interessi umanistici di Boccaccio, fanno parte inoltre un ritratto ideale di Dante (Trattatello in laude di Dante, 1351-1370 ca.) e un commento a parte dell'Inferno dantesco in forma di raccolta di materiale erudito (Esposizioni sopra la "Commedia" di Dante, 1373-1375).
La fortuna di Boccaccio
L'eredità letteraria di Boccaccio, notevolissima e immediata, si estese in gran parte anche in Europa. Qui la sua prosa venne indicata come modello da imitare per la sua classicità da Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua (1525), testo che ebbe grandissima influenza sui letterati dell'epoca e impose questo modello per la prosa accanto a quello di Petrarca per la poesia.
Indubbiamente, però, la tradizione novellistica italiana è per intero influenzata dal Decameron. Quanto all'eredità letteraria di Boccaccio all'estero, vanno ricordati Geoffrey Chaucer, che per i suoi Racconti di Canterbury (scritti tra il 1387 e il 1389) utilizzò la struttura a cornice del Decameron, e John Dryden, che fu traduttore di Chaucer, dello stesso Boccaccio e di Ovidio (Fables Ancient and Modern, 1700).