Formazione











La collocazione della F presenta per lo più i seguenti tipi di soluzione:
· l'identificazione simpliciter di F e educazione;
· la riduzione della F ad una "regione" dei fatti educativi (più o meno legati alla socializzazione lavorativa e alla professionalità);
· l'aggregazione nella F di alcune attività a basso contenuto educativo (come l'addestramento, il riciclaggio, l'aggiornamento, il perfezionamento, ...) o impropriamente educative;
· l'omologazione della F al dispositivo pedagogico delle attività formali di educazione degli adulti;
· il riporto della F all'orizzonte "nobile" dell'educazione permanente.
· Ciascuna di queste soluzioni ha delle giustificazioni, ma ciò dà luogo ad una polisemia che può essere osservata sia sul piano etimologico che in quello storico, in ciascuna delle grandi aree culturali della ricerca educativa.
Tentativi di definizione certamente non mancano, formando un elenco lunghissimo. Nell'area francofona ad esempio é assai noto lo sforzo di Goguelin di sintetizzare la rete semantica della F attorno a quattro poli principali, dati dai verbi educare, formare, istruire e insegnare. Il polo formare, in equivalenza con creare, comporre, concepire, costituire, "introduce ... l'idea di trasmettere, non solamente delle cognizioni, ma anche di modellare un certo comportamento. Inoltre l'immediata vicinanza suggerisce, dapprima mediante creare e concepire, e poi, mediante il nesso esercitare/formare, la possibilità di una formazione per ripetizione e 'facendo'"(Goguelin, 1973, p. 13-14).
Dopo aver analizzato le relazioni tra gli altri poli, l' Autore conclude che "formare evoca un intervento profondo e globale che provoca nel soggetto uno sviluppo nei campi intellettuale, fisico o morale, così come un cambiamento nelle strutture corrispondenti a questi campi, in modo tale che quello sviluppo non sia più un'aggiunta applicata alla struttura esistente, ma sia integrato in nuove strutture" (cit., p. 16). Anche definizioni più recenti (cfr. Ferry, 1983) riprendono sostanzialmente questo schema che é ormai generalizzato. Possiamo pertanto accettare in prima approssimazione la classificazione di Leif (1974) secondo cui la F ha essenzialmente in pedagogia due accezioni:
· azione di sviluppo (di un essere umano su un piano fisico, intellettuale, morale, sociale) e risultato di tale azione;
· bagaglio di conoscenze teoriche, pratiche, indispensabili al l'esercizio di una professione o di un ruolo sociale.
Un ulteriore referente nell'area francofona, agganciabile alla prima accezione di Leif, é riscontrabile nel polo animazione/animare. Specialmente dopo il 1968, questa accezione é stata assunta da quella parte della riflessione pedagogica "militante" che si è posta il problema del cambiamento strutturale e/o della coscientizzazione politica. L'incidenza di questa valenza "politica" della F, dopo le delusioni delle speranze utopiche o rivoluzionarie é meno rilevante, ma continua ad ispirare molte pratiche di animazione socio-culturale.
Il lessico pedagogico non prescinde tuttavia da ciò che nel linguaggio ordinario può essere inteso per F. Qui il termine si é ormai diffuso in rapporto alla crescita delle occasioni di istruzione ricorrente e di aggiornamento professionale. La sua evoluzione semantica é recentemente passata da un senso prossimo a istruzione, preparazione (compresa la versione di addestramento, presente nell'inglese training) ad un senso più ampio che tende a sottrarre spazi allo stesso termine di educazione, data la maggiore polivalenza dimostrata (cfr. Fassin, 1986).
Ciò non vale ugualmente per tutte le aree culturali. Ad esempio esso non ha corrispettivi "unitari" nella lingua inglese che ricorre ad un misto di education e di training, esprimendo così anche la relativa indistinzione che la diffusività sociale delle pratiche formative ha comportato. Di qui la consuetudine del ricorso ad aggettivazioni o complementi, la cui frequenza maggiore riguarda la distinzione di un ambito "professionale" da uno "extraprofessionale". Nonostante la generalizzazione solo recente, sul piano storico il concetto di formazione vanta una "anzianità" rispettabile: etimologicamente esso si collega alla parola latina forma (erede di quella greca "morphé"); ma sostanzialmente si rifà alle idee di paidéia (greca), informatio (latino-medievale), Bildung (moderna).
La Bildung ne rappresenta il referente più vicino: essa indica (Berti, 1982) un processo di sviluppo interiore di tutte le capacità umane nell'integrabilità culturale. Nella tradizione di quest'ultimo concetto e in particolare nell'uso pedagogico inaugurato nel XVIII secolo (cfr. Bombardelli, 1985), si possono trovare presenti in nuce le valenze principali della F, come dare forma e prender forma, e il loro risultato globale nella persona. Nella crisi della Bildung (si pensi tra l'altro alla critica di Nietszche) fino alla sua recente riabilitazione ad opera di alcuni epigoni della Formazione di Francoforte, si possono ritrovare alcune delle questioni di fondo che affollano oggi la scena della F: il rapporto con i saperi, con i valori, con il lavoro (si pensi alla riflessione di Kerschensteiner), il ruolo dei soggetti. Fino a che punto spingersi in questa "genealogia"? Il concetto di F appare infatti nella cultura moderna in modo multitopico: é presente ad esempio come termine in Marx, Freud, Wallon, Piaget, e si diffonde paradossalmente al progressivo vacillare della forma di riferimento. Il concetto di F é utilizzato nelle problematiche evolutive di apparizione, di produzione, di emergenza di forme, mentre quello di forma si riferisce piuttosto a qualcosa di dato, di statico (cfr. Pineau, 1983).
Nella tradizione pedagogica, il concetto di F mantiene questa oscillazione semantica: da un lato esprime un polo "demiurgico" o "vitale" (dare la forma, creare, costituire, comporre, concepire). Qui troviamo anche il termine di creazione che comprende implicitamente l'idea di globalizzazione, totalizzazione, unificazione: la F non si fa dal niente, ma "mettendo in contatto" differenti elementi. Dall'altro, attesta anche un superamento di questa connotazione analitica o determinata ad extra; rinvia ad un livello più fondamentale di esperienza, quello dell'incompiutezza dell'uomo, per cui non esiste apriori una forma donabile dal di fuori, dall'esterno. La "forma" dipende dall'azione del soggetto stesso, attraverso un'attività di costruzione permanente: la F tende ad essere letta come funzione dell'evoluzione umana, come formarsi.
1. Con una metafora, si potrebbe dire che il concetto di F ha antenati illustri, ma ne ha perso il ricordo o non vi si riconosce più. La parentela tra gli antenati e i loro eredi veri o presunti non é poi così sicura. Fuor di metafora, un esame degli slittamenti semantici della F porterebbero a concludere più per la discontinuità che per la continuità della categoria nel discorso pedagogico.
2. Un primo elemento di differenziazione é certamente il venir meno di un orizzonte unitario di riferimento ideale o storico (come era la polis greca, l'humanitas latina, la Kultur moderna, ma anche lo Spirito o la Professione).
3. La crisi degli universalismi etici e culturali nel '900 ha costretto la F, quale processo di realizzazione compiuta di una forma, quella dell' "uomo", a fare i conti con la molteplicità e la contraddittorietà dell'evoluzione sociale e individuale. Un modello univoco di "uomo", modello di forma "buona", sembra negato dalla variabilità degli ideali e dei sistemi di significato; i luoghi della sua costituzione (la Verità, il Bene, la Trascendenza, lo Stato, la Società, la Persona, la Scienza, la Libertà, ...) non sembrano così autoevidenti; i "diritti" dell'uomo non appaiono così cogenti. La F, come processo di partecipazione ai saperi, si trova a fare i conti con la frammentazione e gli specialismi, le gerarchie della sua organizzazione contemporanea, le procedure della sua legittimazione. La F, come processo di avviamento e "manutenzione" di ruoli professionali e sociali, si trova a fare i conti con le istanze di flessibilità, di competitività, di efficienza. La F, come processo di sviluppo personale, si trova di fronte le difficoltà dei soggetti a garantire la propria "continuità" individuale, nella pressione delle interazioni ambientali e sociali, a reggere alla complessità.
4. Un terzo elemento di distanza deriva dalle trasformazioni di tipo epistemologico avvenute nella pedagogia, in particolare a seguito della "positivizzazione" della ricerca educativa. L'uso delle indagini multidisciplinari e sperimentali, l'operazionalizzazione dei concetti e degli obiettivi, hanno o ridotto la presa di nozioni ad altro grado di generalità o rispecificato il loro significato rispetto ai contesti di origine, depotenziandone la carica prescrittiva. La rilevanza assunta dalla ricerca "sperimentale" (rilevanza per noi auspicabile), ha talora congelato o declassato problemi legati al senso e alle finalità della F. Tali questioni sono tuttavia scarsamente evitabili, come dimostra la stessa esperienza formativa, sempre collocata in un contesto socio-culturale e non solo operativo. Possono essere letti in quest'ottica allora le evoluzioni parallele dei concetti di educazione permanente e di educazione degli adulti (o di educazione ricorrente): il primo assume oggi una valenza di ideale regolativo, di principio, l'altro assume una valenza più fenomenologica e operatoria.
5. Tutte queste oscillazioni hanno indotto alcuni Autori a segnalare l' "uso abusivo" del termine F nei contesti di educazione degli adulti (cfr. Dominicé, 1984). Secondo costoro, la F non va scambiata con le azioni più o meno programmate di educazione degli adulti, ma appartiene in proprio solo a colui che si forma, come espressione del suo processo di socializzazione e di evoluzione personale.
6. L'azione di F non si esaurisce nell'atto pedagogico (la relazione formatori/formandi) né nella comunicazione didattica e formativa. Essa deve fare i conti con la moltiplicazione dei piani e dei destinatari, degli obiettivi e degli effetti, ben oltre il terreno del corso. Le decisioni metodologiche si trovano pertanto di fronte una serie di opposizioni già istituite all'apertura dell'evento formativo. Essi concernono in particolare:
7. la separazione tra saperi, azioni e atteggiamenti (Honoré, 1980). Una prima questione deriva dal fatto che la F riguarda contemporaneamente diverse aree di apprendimento, per cui una divisione metodologica ispirata alla tripartizione degli obiettivi in sapere, saper fare, saper essere, può risultare artificiosa. ciò non toglie che questa categorizzazione sia servita a far superare l'accademismo didattico, a sperimentare nuove modalità di insegnamento/apprendimento orientate al "compito" (17), a distinguere con più precisione l'intenzionalità dominante negli interventi formativi (sensibilizzazione, aggiornamento, formazione psicosociale, ...). Una seconda questione riguarda il rapporto con i saperi istituiti, oggi sempre più formalizzati e detenuti da élite ristrette, in particolare le conoscenze di tipo tecnologico e scientifico. Qui la F si trova di fronte il dilemma di ratificare (come nel caso di adulti con basso livello di scolarità) le differenziazioni esistenti o di favorire l'accademismo e la dipendenza. ciò comporta un'ulteriore fonte di problematizzazione per le metodologie "non direttive" che privilegiano le relazioni e l'espressione personali rispetto al confronto con i saperi (i "contenuti").
8. La separazione tra luoghi formativi e luoghi sociali. La F rappresenta una "sospensione", un "ritiro" dagli usuali luoghi di lavoro e di vita; essa consente talora (ad esempio nelle iniziative di tipo residenziale) un ritorno a forme di rapporto tipiche dell'età infantile (genitori/figli) o scolare (maestro/allievo), offrendo inoltre spazi inediti di "libertà" da vincoli organizzativi e sociali (obblighi, responsabilità). Non a caso in F si fa largo uso delle simulazioni (18). Ciò pone molti problemi per il "ritorno" alla realtà quotidiana, vista spesso come più difficile e/o più frustante, come si può osservare nelle azioni formative di lunga durata o negli stage "in alternanza". Di qui allora l'orientamento più recente di prevedere esperienze di apprendimento non finalizzate alla soluzione di problemi-tipo (casi, problem/solving), ma alla creatività cognitiva in situazione di grande incertezza (come avviene appunto nelle situazioni ordinarie). Vanno in questa direzione ad esempio le tecniche di problem finding, come l'Action Learning (cfr. Revans, 1978, 1982) usata nella formazione manageriale.
9. Nel campo dell'educazione degli adulti con basso livello di scolarizzazione ciò viene tradotto invece nella enfatizzazione posta sulla produzione più che sulla fruizione delle conoscenze, valorizzando al massimo l'esperienza degli individui e dei gruppi (cfr. S. Meghnagi, 1986).
10. La critica della separazione tra F e l'organizzazione sociale cui essa si rivolge é stata particolarmente approfondita dalla corrente teorica dell' "analisi istituzionale", le cui proposte operative non sono tuttavia andate oltre la destabilizzazione temporanea degli assetti gerarchici e organizzativi (Bolle de Bal, 1982).
11. La separazione tra i tempi di F e i tempi di vita. Si tratta anzitutto del rapporto tra formazione iniziale e formazione ulteriore, cioé di come giudicare le acquisizioni pregresse, come garantire il continuum dell'esperienza, come favorire i processi di riflessività, come e che cosa far apprendere prioritariamente ai diversi pubblici della F. In secondo luogo della sequenzialità da dare ai momenti formativi: interventi intensivi o ricorrenti, di quale durata, con quali formule di alternanza, di preparazione, di ripresa ("pre-corso", "richiami", ...).
(U.M.)






F
Home Page Sintesi Percorsi