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3. La metafisica e la teologia naturale

La soluzione del problema metafisico per san Tommaso costituisce il fondamento indispensabile, il presupposto necessario di tutta la speculazione filosofica. La trattazione di questo problema, perciò, occupa la sua indagine in tutte le opere, come elemento inscindibile di tutti i problemi filosofici, di tutti i settori del sapere non solo naturale, ma anche della Rivelazione. Proprio per questo si dice giustamente che san Tommaso è genio eminentemente metafisico che completa, approfondisce e supera lo stesso Aristotele. Tutto il problema metafisico infatti, è semplificato e trattato da Tommaso, alla luce della nozione di essere, che la ragione possiede come prima conquista, sia di sé che di ciò che la circonda.

Siamo già di fronte a una profonda innovazione del problema che non ci può permettere di ripetere, con molti critici, che la metafisica di Tommaso altro non è se non una elaborazione di quella di Aristotele. Se tutta la scienza metafisica per Tommaso è fondata sulla nozione di essere, ne consegue la necessità di una coscienza metafisica; perciò per apprendere e individuare l'oggetto sarà necessaria la coscienza del soggetto apprendente ed individuante. Come si vede Tommaso non considera l'oggetto come qualcosa di assolutamente indipendente dal soggetto, ma lo giudica in relazione al soggetto, cioè in rapporto alla coscienza con cui detto oggetto è appreso e giudicato; il primo principio della metafisica tomista è sintesi di soggetto e oggetto, quale prima autorivelazione della ragione che si apprende come coscienza dell'essere in quanto verum, cioè intelligibile; la verità, infatti, è per san Tommaso percezione intellettuale dell'adeguamento del soggetto conoscente all'oggetto conosciuto: "adaequatio intellectus ad rem" o "adaequatio intellectus et rei" (Summa theologiae, I, q. 16, a. 1). Perciò errano coloro che giudicano il pensiero dell'Aquinate alla luce di un arido oggettivismo, ignorando la ricchezza e la fecondità del soggetto, quali il genio di Agostino aveva saputo valorizzare e Tommaso ha fatto sue.

L'essere e l'essenza

Per Tommaso la realtà è l'essere degli enti; non solo l'opaca e insignificante presenza del singolo ente quale mi appare nelle sue manifestazioni fenomeniche, percepite dai sensi, ma l'essere in quanto tale, cioè la realtà appresa e intesa razionalmente in un "quid" che è e, per il fatto che è, esiste. Dalla coscienza ontologica perciò abbiamo l'essere come primo valore metafisico e l'esistenza quale effetto immediato e necessario di essa. La coscienza ontologica, dunque, è la valorizzazione dell'essenza aristotelica, mediante l'"actus essendi" che per Tommaso ne è la base, il fondamento: l'atto di essere, infatti, è l'essere stesso come atto; nei suoi confronti, la potenza che lo riceve e lo limita è appunto l'essenza; di qui che tra l'essere e l'essenza di un ente concreto debba esserci una specifica distinzione. Tale distinzione è necessaria per comprendere la diversità di valore che intercorre tra l'essenza (astratta) di un ente e la sua concreta esistenza; infatti non tutti gli enti, per il fatto che si apprendono come possibili in base a un'essenza astratta conosciuta, hanno di fatto l'esistenza, in quanto questa è una determinazione attuale percepita dalla coscienza ontologica tramite i sensi; quindi è un aspetto particolare dell'ente che connette l'oggetto al soggetto che l'ha appreso come ente, cioè come essenza che si dà nella realtà, in base alla nozione di essere, nozione universalissima e trascendente che sostanzia la coscienza soggettiva. L'esistere dunque, non è l'essere, ma ne è una determinazione, una particolare attuazione che la ragione coglie e giudica attraverso i sensi che lo avvertono.

Le categorie

Come abbiamo visto, l'essenza per san Tommaso è quello che era per Aristotele, ossia "ciò che una cosa è", mentre l'esistenza è attività di ciò che è, atto di essere; così la sostanza si può dire sinonimo di ente, in quanto è considerata "ente in sé esistente" mentre l'accidente è ciò che non ha in sé la ragione di essere; perciò "accidens est ens in alio". La causa è l'origine dell'ente mentre l'effetto ne è il prodotto; il fine è il motivo fondamentale di tutti gli atteggiamenti esistenziali dell'essere, nelle sue determinazioni sia generiche che specifiche; tali determinazioni, per san Tommaso, sono appunto le categorie.

L'essere dunque è la "prima notitia" metafisica della realtà, sia soggettiva che oggettiva, intesa come nozione originaria della mente che crea la coscienza ontologica. Non si tratta di una concezione dell'essere statica, alla maniera di Parmenide, ma di una visione metafisica realistica, con fondamento logico nella prima evidenza del senso comune, che è quella del mondo come insieme di enti diversi; la nozione tommasiana dell'essere non esclude insomma la molteplicità del reale. L'essere infatti è conosciuto da noi come "esse commune rerum", l'atto fondamentale e originario che cogliamo come elemento comune di un insieme innumerevole di enti, tra i quali noi stessi e le cose che apprendiamo per mezzo della sensazione. In tal modo tornano a risplendere di nuova luce il concetto socratico, l'idea di Platone, l'essenza aristotelica e la verità agostiniana, in una sintesi metafisica che rivela l'armonia e il progresso con cui san Tommaso contribuisce alla storia del pensiero.

Sicché il mondo della nostra esperienza è costituito da una molteplicità di enti; ciascuno di essi risulta composto di materia e di forma: di materia, intesa come capacità o potenzialità a divenire; di forma, come attuazione di detta capacità o possibilità.

Ogni ente, nella sua individualità e perfettibilità, è ordinato alla realizzazione di sé, anche in rapporto con gli altri esseri. Si tratta di una molteplicità di esseri di cui la ragione non solo constata l'ordine e l'armonia, ma cerca l'origine, cioè la causa, per possederne il valore. Ora il molteplice, essendo per sua natura contingente, deve postulare l'Uno necessario; vi deve essere cioè un principio trascendente e assoluto il quale, oltre a costituire l'efficienza e il fine di tutti gli esseri, come aveva insegnato Aristotele, deve esserne, per san Tommaso, causa libera, assoluta ed eterna, che lo produce dal nulla e lo governa con quella sapienza e armonia con cui si manifesta.

Gli enti molteplici di cui è costituito l'universo sono distinti l'uno dall'altro per la loro individualità, caratterizzata dalla propria natura ontologica di materia e forma; sicché il principio della individuazione dell'essere è, per san Tommaso, "materia quantitate signata", cioè la determinazione quantitativa che la materia riceve dalla forma: "materia quae sub determinatis dimensionibus consideratur". Ciò riguarda la metafisica del molteplice cosmico, cioè la cosmologia; il mondo però è considerato da san Tommaso come un organismo in cui ciascuna parte, pur avendo ordine e individualità per sé stessa, contribuisce efficacemente all'armonia e perfezione dell'insieme.

Queste sostanze, al pari degli esseri cosmici, postulano metafisicamente una causa da cui hanno avuto il loro essere. Tale causa non può essere un cieco impulso, inteso come animazione della materia: se così fosse non ne potrebbe risultare ordine e perfezione; né può essere una natura materiale, giacché si confonderebbe con il molteplice, e non potrebbe essere causa delle sostanze immateriali; non può essere neppure una potenza misteriosa, immanente negli esseri. inaccessibile alle capacità razionali, poiché è proprio la ragione a rendersi conto dell'impronta razionale e trascendente di cui è sostanziato l'intero universo. Ne consegue che il molteplice, sia materiale che spirituale, è effetto di una causa, o meglio è opera di un Essere incausato e causante, trascendente e personale, la cui natura contiene in sé in modo eminente, infinito ed eterno, tutto il valore ontologico e perfettivo che la ragione riscontra nell'insieme degli esseri molteplici. Siamo giunti così al culmine del problema, alla ricerca cioè dell'Essere-causa, dell'Uno-principio, donde ha origine il molteplice degli enti e anche il fine del loro dinamismo. Tale indagine ci trasferisce dal problema metafisico a quello teologico, rimanendo, s'intende, sempre nel campo della ragione naturale.

Dio è l'Essere come Soggetto e Persona, "ipsum esse subsistens", "ens participialiter sumptum", che liberamente crea e perciò trascende l'universo: è causa assoluta a cui ciascuna realtà deve la sua esistenza e tutte le sue perfezioni, sia attuali che possibili. Ossia, "ens" come participio presente del verbo "esse"; qui san Tommaso si rifà sempre, nei suoi scritti, a come Dio si è rivelato a Mosè (cfr. Libro dell'Esodo, 3, 14) dicendo che il suo nome proprio è "Colui che è" (in ebraico Jahvè); dai primi filosofi cristiani (che abbiamo studiato nel cap. VI) ai grandi dottori scolastici, la metafisica ha come fulcro speculativo, assolutamente originale rispetto ai Greci, l'autorivelazione di Dio, quella che Etienne Gilson chiama la "metafisica dell'Esodo" (cfr L'esprit de la philosophie médiévale, Vrin, Parigi 193 l; God and Philosophy, Yale Univ. Press, New Haven 1939). La sua natura è infinita e onnipotente, la sua essenza è perfezione in atto, perciò nel suo essere non si può dare alcuna distinzione tra essenza ed esistenza. Tale distinzione infatti, è necessaria per spiegare la costituzione ontologica degli enti molteplici e finiti, ossia "entia nominaliter sumpta", nei quali l'essenza indica la potenza, e l'esistenza esprime l'attuazione di tale potenza; ma in Dio non può aver luogo alcuna potenza, in quanto la sua essenza è atto purissimo, cioè perfezione totale e inesauribile eternamente in atto.

Ma - si domanda giustamente Tommaso -, come si spiega la creazione? Se Dio è purissimo atto, semplicità assoluta, come può produrre l'essere di enti materiali, limitati, diversi tra loro e, si può dire, contrastanti con la natura del Creatore? La sapienza classica in genere, specialmente con Platone e Aristotele, aveva affermato l'eternità del mondo, ma rimaneva la difficoltà metafisica secondo la quale non si può ammettere l'eternità di enti per loro natura contingenti, mutabili e corruttibili, poiché l'eternità è immutabilità, incorruttibilità, necessità e perfezione. Né d'altra parte il mondo può essersi dato da sé l'esistenza, giacché ogni effetto dipende da una causa che l'ha prodotto e il contingente non può essere causa di sé stesso; rimane da vedere come ha fatto Dio a crearlo. La creazione è attività libera, propria alla natura divina, con la quale, ab aeterno, si hanno dal nulla le creature. Dio non genera il mondo, non produce gli esseri derivandoli (come immaginava Plotino) dalla sua essenza spirituale, ma li trae dal nulla con l'atto eterno del suo pensiero onnipotente; perciò si spiega come la natura cosmica, pur essendo diversa da quella spirituale, sia anch'essa effetto della creazione, della perfezione e della provvidenza di Dio. Sicché la creazione di cui parla la Rivelazione, esaminata alla luce critica della ragione, costituisce per san Tommaso un valore positivo della ragione, una conquista irrinunciabile del pensiero. Ciò non significa che l'Aquinate voglia razionalizzare la fede, sottoponendola e costringendola indebitamente al vaglio della comprensibilità meramente razionale, ma si tratta di una elevazione delle facoltà umane, con la quale la ragione acquista sempre più coscienza del suo valore non contrastante ma in relazione intima con le verità eterne che Dio ha rivelato all'uomo.

Le cinque "vie" per arrivare alla certezza metafisica che esiste Dio come prima Causa efficiente e finale

Alla stessa maniera san Tommaso procede per provare l'esistenza di Dio; a tale proposito osserva che l'argomento di sant'Anselmo (cfr cap. IX) non costituisce una prova vera e propria dell'esistenza di Dio, poiché in esso non viene distinto metafisicamente l'essere logico (o possibile) da quello reale (o sussistente). Non a priori dunque ma a posteriori si può provare l'esistenza di Dio, precisamente attraverso cinque argomenti, le celebri "cinque vie", che si richiamano in parte al processo dimostrativo aristotelico e che sono elencate nella Summa theologiae, 1, q. 2, a. 3 come cinque diversi argomenti (nella Summa contra gentiles san Tommaso adopera invece solo l'argomento del divenire, della causalità, dei gradi di perfezione e dell'ordine: manca la "terza via").

1) La prima via riguarda il moto, ossia il movimento a cui tutte le cose sono soggette e che implica un "motore", ossia una causa motrice: "Se dunque l'ente da cui una cosa è mossa - insegna san Tommaso - è a sua volta mosso [cioè, è soggetto al movimento], è necessario che sia mosso da altro e questo da altro ancora: ma non si può così procedere all'infinito, perché allora non vi sarebbe un primo motore e per conseguenza non vi sarebbe nessun motore, in quanto i motori secondi non muovono se non sono mossi dal primo [...]; perciò è necessario giungere a un primo motore non mosso da altro: in esso tutti riconoscono Dio". Qui, come nelle altre "viae", il punto di partenza della dimostrazione non è di tipo "fisico" (in senso moderno, cioè limitato ai corpi materiali e alla loro valutazione in termini di scienza sperimentale) ma di tipo metafisico: il termine "motus", applicato - come fa san Tommaso - a tutti gli enti in generale, indica il "divenire", il passaggio dalla potenza all'atto, ossia la condizione metafisica di base di ogni ente limitato e contingente, quali sono assolutamente tutti gli enti creati: solo Dio infatti è l'Essere perfetto che non "si muove", nel senso che non può né perdere né acquisire una sua perfezione entitativa. Fatta questa precisazione si capisce che le obiezioni moderne alla "prima via" che mettono in questione la concezione del "moto" in senso fisico (cioè secondo quello che le scienze fisico-matematiche considerano moto nel tempo e nello spazio) si basano su un fraintendimento: san Tommaso non parla solo di moto "locale" (nel luogo e nel tempo) né in generale di moto "fisico", ma di moto in senso metafisico, che è una evidenza di senso comune, perché tutti si accorgono che le cose cambiano incessantemente, in tutti i sensi. Si tratta insomma dell'evidenza da cui partiva Eraclito quando ricordava che tutti gli enti dell'esperienza subiscono il movimento.

2) La seconda via ha per oggetto la causa efficiente e consiste in uno sviluppo dell'argomento del motore immobile; tutto il creato infatti è ordinato da una connessione di cause efficienti, le quali, a loro volta, essendo effetti di altre cause, l'una connessa all'altra, richiedono necessariamente un principio efficiente che non sia effetto di altri e sia causa prima di tutte: "Dunque è necessario - insegna san Tommaso - porre una prima causa efficiente che tutti chiamano Dio".

3) La terza via è connessa alle prime due e riassume l'esigenza metafisica secondo la quale la contingenza degli enti implica l'essere necessario, e non un necessario relativo ma un necessario assoluto: "Perché - afferma san Tommaso - bisogna porre qualcosa che sia necessario per sé e non abbia in altro la causa della propria necessità, ma sia causa della necessità degli altri".

4) La quarta via si occupa dei "gradi dell'essere", e così dalle perfezioni limitate si giunge a quella infinita; ogni essere infatti contiene un grado di perfezione rispondente alla sua natura: "Esiste dunque qualcosa - insegna san Tommaso - che è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione di tutti gli esseri che noi chiamiamo Dio".

5) La quinta via ha per oggetto l'ordine sapiente che tutti gli enti, sia razionali che irrazionali, esprimono, essendo per natura diretti sempre a un fine che indica bene e perfezione: "Ora - conclude san Tommaso - le cose prive di conoscenza non tendono al fine se non sono dirette da un essere, conoscente e intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è dunque un essere intelligente da cui tutte le cose naturali sono ordinate a un fine, e questo essere noi lo chiamiamo Dio".

L'esperienza comune è il punto di partenza delle "vie"

Come si vede, il processo dimostrativo tomistico è caratterizzato da una base oggettiva ed empirica che lo differenzia da quello dell'agostinismo (sant'Agostino, sant'Anselmo, san Bonaventura, ecc.). San Tommaso infatti non accetta la possibilità di una conoscenza di Dio per immediata e mistica intuizione, ma procede secondo una indagine schiettamente razionale nella quale i dati fondamentali dell'esperienza sono gli strumenti di cui la ragione si serve per acquistare la coscienza critica dell'esistenza di Dio. Con ciò non si può affermare che l'Aquinate non abbia fiducia nella contemplazione mistica; questa per san Tommaso sarà efficace come coronamento ed elevazione, allorché la ragione dal suo livello naturale si trasferisce coscientemente e liberamente nel livello divino, non più attraverso l'esperienza, ma per mezzo della Rivelazione e della fede; a prova di ciò basta sapere che san Tommaso è uno dei più grandi mistici della storia.

Lo schema logico delle "cinque vie" conferma che si tratta di un'argomentazione a base fortemente empirica e pertanto capace di ottenere il consenso di chiunque comprenda l'universalità e l'evidenza degli aspetti che san Tommaso prende in considerazione per cercarne filosoficamente il fondamento. Ecco come Battista Mondin presenta tale schema logico, basato su quattro momenti: "1) Si attira l'attenzione su un determinato fenomeno (il divenire, la causalità secondaria, la possibilità, i gradi di perfezione, il finalismo); 2) si evidenzia il suo carattere relativo, dipendente, causato, vale a dire la sua contingenza: ciò che è mosso da altri; le cause seconde sono a loro volta causate; il possibile riceve l'essere da altri; i gradi di perfezione ricevono la perfezione da un massimo; il finalismo richiede sempre intelligenza, mentre le cose naturali in sé stesse ne sono prive; 3) si mostra che la realtà effettiva, attuale di un fenomeno contingente non si può spiegare facendo intervenire una serie infinita di fenomeni contingenti; 4) si conclude dicendo che l'unica spiegazione valida del contingente è Dio: Lui è il motore immobile, la causa incausata, l'essere necessario, il sommamente perfetto, l'intelligenza ordinatrice suprema" [BATTISTA MONDIN, Il sistema filosofico di Tommaso d'Aquino, II ed., Massimo, Milano 1992, p. 195]. Da questo schema logico deriva che ciascuna "via" e tutte le "vie" nel loro insieme, pur essendo una rigorosa e geniale dimostrazione metafisica, confermano ed esaltano la certezza che di Dio hanno tutti gli uomini per via del senso comune; tale certezza è intuitiva e universale (sia pure non espressa o male espressa), ma pur sempre basata su una inferenza, non sull'evidenza immediata di Dio. Infatti san Tommaso, prima di esporre le prove dell'esistenza di Dio ha cura di ribadire che noi non possiamo avere una conoscenza di Dio immediata, ma dobbiamo partire da ciò che è immediato - il mondo, le cose dell'esperienza conosciute attraverso i sensi - per arrivare con il ragionamento all'evidenza (mediata, appunto) di una prima causa trascendente, che è l'Essere sussistente. San Tommaso rifiuta dunque ogni ipotesi di ontologismo; ma, se si comprende bene la differenza tra "evidenza immediata" e "evidenza mediata da una inferenza", si comprenderà anche che quest'ultima può essere non solo scientifica (cioè consapevole, rigorosa e capace di dialettica per convincere gli altri) ma anche spontanea, intuitiva, popolare, comune a tutti (come è appunto la certezza del senso comune), e quella prima non fa che confermare questa seconda. Su questo punto, insomma, non c'è sostanziale disaccordo tra san Tommaso e san Bonaventura.

Dio è conosciuto, sia pure imperfettamente, nella sua essenza, grazie all'analogia dell'essere

Dio dunque esiste, noi lo conosciamo certissimamente come l'Essere, in quanto è Lui la causa che crea dal nulla l'universo e lo governa con ordine e amore infinito. Ma che cosa si può sapere intorno alla divina essenza? Come può la ragione umana comprendere la natura di Dio? Tale pretesa non contiene forse l'errore dell'antropomorfismo? E come può l'uomo ragionare di Dio senza evitare il pericolo di tale errore? Sarà forse costretto a concludere con l'agnosticismo, rifugiandosi poi nel misticismo irrazionalistico? San Tommaso, come già si è osservato, non ha queste preoccupazioni, e dimostra con semplicità e chiarezza come il pericolo dell'antropomorfismo e lo scoglio dell'agnosticismo teologico possono essere nettamente eliminati con la dottrina dell'analogia.

Per l'intelligenza di tale dottrina è necessario anzitutto tenere presente la triplice distinzione di termini, o concetti, che caratterizza le relazioni tra gli esseri, il loro genere e la loro specie, cioè il triplice concetto di equivocità, univocità e analogia:

a) il termine equivoco riguarda il concetto che si applica a più esseri con significato del tutto diverso, come per es. il termine "gallo" attribuito all'abitante della Gallia e il termine "l'orsa" riferito alla costellazione, sono termini diversi e contrastanti (quindi equivoci) da quello che si riferisce a due animali, il gallo e l'orsa, propriamente detti.

b) il termine univoco è quello che conviene a molti esseri in modo identico, come ad es. il termine di animale bruto a ciascun animale e il termine di uomo a ciascun individuo razionale;

c) il termine analogico è quello che si applica a molti esseri con un modo di significare che è in parte equivoco e in parte univoco; si tratta di "termini medi - aveva insegnato sant'Alberto Magno - tra quelli univoci e quelli equivoci, e sono attribuiti agli oggetti secondo la sostanza, rispetto a uno a cui sono proporzionati".

Ciò premesso, san Tommaso esclude che si possa parlare di Dio in senso equivoco (contro l'agnosticismo) o in senso univoco (contro l'antropomorfismo); rimane perciò il senso analogico, con cui si giunge alla coscienza della essenza divina indirettamente, secondo l'analogia che si può stabilire criticamente per via di affermazione, rimozione ed eminenza. Tali modi di concepire analogicamente Dio - che san Tommaso riprende dallo Pseudo-Dionigi (cfr cap. IX, 1) - consistono concretamente in questo:

I) affermazione significa considerare che ogni creatura contiene un complesso di perfezioni, come l'essere, l'esistere, la vita, l'intelligenza, la libera volontà, la bontà, la bellezza, ecc.; queste perfezioni sono valori positivi che la creatura non si può dare da sé, ma li riceve dall'autore che dal nulla l'ha creata. Ora, siccome nessuno può dare ciò che non ha, ne consegue che Dio deve avere in sé almeno quelle perfezioni di cui sono fornite le creature;

II) rimozione significa che, negli enti, oltre alle perfezioni si notano le imperfezioni, caratterizzate dal limite metafisico al quale sono soggetti, come la finitezza, la potenzialità, la gradazione (da quelli meno perfetti a quelli ontologicamente più perfetti). Queste imperfezioni sono dovute al fatto che tutte le creature per natura sono soggette alla causa che le ha tratte dal nulla, cioè a Dio. Sicché tali imperfezioni devono essere rimosse dalla nozione della natura divina, in quanto Dio è atto purissimo, Essere metafisicamente per sé sussistente;

III) eminenza vuol dire che, se le perfezioni degli esseri creati sono proporzionate al loro limite e al loro grado di essere, è evidente che nella natura divina si devono trovare in grado eminente, cioè illimitate e infinite, secondo l'infinità e l'eternità di Dio stesso. Da ciò si deduce che Dio va concepito come "Colui che è", cioè pienezza di essere, di vita, d'intelligenza, di libera volontà; è tutto l'amore, tutta la giustizia, tutta la potenza, tutta la sapienza, la verità assoluta.

Su queste basi critiche - la teologia razionale, che giustifica al livello scientifico le certezze del senso comune, che costituiscono già di per sé i necessari "praeambula fidei" - l'Aquinate costruisce l'edificio della teologia soprannaturale (da lui denominata "sacra doctrina") alla luce della Rivelazione nonché delle dottrine dei Padri e di tutta la tradizione cristiana, con tale coerenza e profondità da divenire nei secoli, fino a oggi, la guida riconosciuta dei teologi.

Analogia di attribuzione e di proporzionalità

San Tommaso distingue una duplice forma di analogia: di attribuzione e di proporzionalità. L'analogia di attribuzione intercorre tra realtà che possono essere designate con uno stesso termine, ma in ciascuna delle quali la nozione significata dal termine si trova in modo del tutto diverso, in quanto in una di tali realtà la nozione stessa si trova intrinsecamente e formalmente, mentre in tutte le altre realtà si trova in modo estrinseco e solo in dipendenza da quella unica cosa e in ordine ad essa; quest'ultima si chiama "analogato principale" mentre le altre realtà si chiamano "analogati inferiori". L'esempio classico è quello della salute, nozione analoga che viene attribuita in maniera propria all'essere vivente (analogato principale) e in modo subordinato e derivato ai cibi, all'aria, agli esercizi fisici, ecc. (analogati inferiori). è, chiaro che il rapporto tra l'ente analogato principale e gli enti analogati inferiori è un rapporto di causalità estrinseca (efficiente e finale): nell'esempio che abbiamo fatto, certi cibi e certi esercizi fisici vengono detti "sani" in quanto causano (contribuiscono a causare o mantenere) la sanità dell'uomo (cfr Quaestiones disputatae de veritate, q. 21, a. 4; In I librum Sententiarum, d. 19, q. 5, a. 2). L'analogia di proporzionalità si verifica invece tra termini che hanno come referente degli enti che posseggono tutti intrinsecamente la nozione indicata nel termine stesso, sia pure non in modo identico ma solo somigliante; l'analogia di proporzionalità, a sua volta, si suddivide in "propria" e "metaforica" (quest'ultima è usatissima in poesia, ma anche nel linguaggio comune, come quando l'aggettivo "ridente" si applica a una cittadina). Il caso più importante in cui il linguaggio umano fa uso dell'analogia di proporzionalità propria è quando si dice che il mondo e Dio "sono": le cose create e il Creatore hanno in comune l'essere, anche se "sono" in modo diverso; li unisce una somiglianza proporzionale propria, avendo con l'essere un intrinseco rapporto di possesso, quantunque in gradi e in modi del tutto diversi (Quodlibetales, 9, a. 3). "La dipendenza causale - osserva Raimondo Spiazzi - è il fondamento ontologico che rende possibile l'analogia di attribuzione nell'ordine gnoseologico; la trascendenza delle proprietà analoghe - che si infrangono nei diversi termini proporzionali costituendoli in reciproche somiglianze - è il fondamento dell'analogia di proporzionalità nell'ordine gnoseologico. Se noi possiamo stabilire dei rapporti o proporzioni o analogie tra la creazione e Dio è perché nella realtà stessa esistono dipendenze e somiglianze: fondamenti di analogia" [RAIMONDO SPIAZZI, Natura e grazia: fondamenti dell'antropologia cristiana secondo san Tommaso d'Aquino, Ed. Studio Domenicano, Bologna 1992, p. 46].

Fecondità filosofica del principio di analogia

Gli studiosi contemporanei hanno riscoperto nel principio tomasiano di analogia un fecondo indirizzo metodologico, ossia "un modo di argomentare rigoroso che, in forza di quell'intellettualismo possibile grazie all'analogia e che si colloca agli antipodi del razionalismo, non elimina il mistero (come giustamente pretende la sensibilità contemporanea) ma non rinuncia neppure a usare discretamente della ragione anche a quei livelli superiori che si rivelano decisivi per dare significato alla vita umana. [...] In altri termini, l'atteggiamento filosofico tomasiano, adeguatamente essenzializzato, sembra in grado di contribuire a gettare un ponte tra i due filoni fondamentali del pensiero contemporaneo tra i quali c'è scarsa comunicazione: da un lato il filone empiristico e dell'analisi linguistica, con la sua esigenza di chiarezza, di rigore e di rapporto con le scienze; dall'altro il filone del pensiero esistenziale ed ermeneutico, con la sua domanda di profondità" [ANGELO CAMPODONICO, Alla scoperta dell'essere: saggio sul pensiero di Tommaso d'Aquino, Jaca Book, Milano 1986, p. 205]. San Tommaso al riguardo si esprime invero in modo assai esplicito, distinguendo ciò che del mistero ci è permesso di conoscere in virtù dell'analogia e ciò che invece rimane inconoscibile: "Per mezzo degli effetti - egli scrive - noi sappiamo che Dio esiste e che Egli, in quanto causa di tutti gli enti, è del tutto trascendente rispetto a essi e del tutto diverso. Questo è l'estremo e più perfetto esito della nostra conoscenza nella vita presente, e per questo dice giustamente Dionigi nella Teologia mistica che noi ci uniamo a Dio senza poterlo conoscere; infatti, di Lui sappiamo bene che cosa non è, ma non possiamo capire affatto che cosa sia in positivo. Per questo stato nostro di ignoranza riguardo alla conoscenza più sublime [sublimissimae cognitionis ignorantia], la Scrittura dice che Mosè si avvicinò alla nube impenetrabile nella quale era Dio" (Summa contra gentiles, III, c, 49).

 

 

1. Classificazione delle opere

2. L'aristotelismo di Tommaso e i rapporti tra ragione e fede

3. La metafisica e la teologia naturale

4. L'antropologia

5. La gnoseologia

6. Morale e politica

7. La pedaoggia

8. Proiezione del tomismo nella filosofia dei secoli successivi