Episodi della lotta partigiana    

 

 

INDICE DELLA SEZIONE:

1) Le forze in campo (Anno 1943, Anno 1944, Anno

    1945.

2) La battaglia del Monte Rovaio.

3) L’uccisione del Ten.Marco : una brutta storia.

4) Le fucilazioni di Cogna

5) L’attentato ai  “Cappuccini”

6) La strage dei fascisti

7) L’attentato alla Rocca Ariostesca

8) La fuga degli ebrei

 

1) Le forze in campo

 

Anno 1943

Le prime “bande” che si costituirono pressochè spontaneamente in Garfagnana furono bande di renitenti alla chiamata alle armi.

 Esse furono:

I) - La banda di Campaiana. Si trattava di un gruppo di studenti del Liceo “Machiavelli” di Lucca che, insieme a un loro professore, Carlo Del Bianco, fin da settembre 1943 si era portata in quella località del comune di Villa Collemandina per sfuggire alla chiamata alle armi. Pur non avendo mai compiuto azioni militari, questa banda era anche armata. Pare che le armi, solo armi individuali, fossero state fornite dal  Tenente Giusti dei carabinieri di Castelnuovo, sollecitato in tal senso da un altro tenente dei carabinieri, Magherini, che aveva abbandonato il servizio e si era rifugiato a Pontecosi. Questa banda, probabilmente la prima che ebbe vita in Garfagnana, fu costantemente aiutata da un gruppo di persone di Castelnuovo, molte delle quali ritroveremo, poi,  in formazioni partigiani costituitesi successivamente. La vita di questa banda fu breve e si concluse, probabilmente, allorchè il gruppo di sostenitori castelnovesi fu arrestato nel gennaio 1944.

 

II) – Gruppo di Castelnuovo. Si tratta del gruppo di cui si è fatta menzione al n. I). Da varie pubblicazioni si ricavano i nomi di : Ezio Nari, Giuseppe Guidi, Bruno Valori, Giuseppe Asara, Oscar Luigi Calani (1), Silvano Lunardi, Sergio Rossi, Federico De Cesari. La loro attività fu di sostegno alla banda di Campaiana e di preparazione per l’organizzazione del futuro movimento partigiano. Alcuni di loro militeranno, successivamente, in bande partigiane operanti nella zona e due di loro (Valori e De Cesari) perderanno la vita nel 1944.

 

III) La “banda” di Borsigliana. Gli elementi di questa banda, di cui fu autorevole esponente, fungendo da commissario politico, il maestro Livio Pedri, fu costituita, all’inizio, semplicemente da renitenti (giovani di leva o ex militari che avrebbero dovuto ripresentarsi). E all’inizio, secondo la testimonianza dello stesso Pedri, erano anche pressochè senza armi. Solo nel maggio 1944, come vedremo, si procurarono le prime armi.

 

IV) Il gruppo “Valanga”. Anche questo gruppo si organizzò soltanto nella primavera del 1944. Tuttavia già sul finire del  1943 Leandro Puccetti, che era studente universitario, cominciò a prendere i primi contatti e a progettare la costituzione del gruppo. E fu attivo anche nell’aiuto ai prigionieri di guerra fuggiti da un campo di concentramento del modenese. Fra coloro che beneficiarono del suo aiuto ci fu il futuro comandante della “Divisione Lunense”, il maggiore inglese Antony John Oldham, che lo ripagò rubandogli la fidanzata.

 

NOTE :

 

1) - Il Calani, dovendosi recare frequentemente a Lucca a ritirare medicinali per il locale Ospedale, manteneva i contatti con il C.L.N. lucchese e trasportava anche, avventurosamente nascoste, armi per la banda di Campaiana.

 

 

 

  Anno 1944

 

Il 1944 fu l’anno in cui le “bande” si organizzarono , si armarono e cominciarono a compiere azioni offensive nei confronti dei tedeschi e degli appartenente alla R.S.I. Nacquero anche nuove bande e, infine, si tentò di dare una organizzazione unitaria a tutto il movimento partigiano non solo in Garfagnana ma anche nella Lunigiana e nella zona di Massa, Carrara e Sarzana.

 Ed ecco le formazioni e la situazione nella primavera che, con la bella stagione, consentì una migliore vita in montagna:

 

1) - La “banda Coli”, poi “banda Tony”. Nell’aprile  saliva alla sua Mezzana (frazione del comune di Careggine) il Dott.Abdenago Coli, che esercitava la professione medica a Santa Maria del Giudice (LU), e, qui, dava vita alla formazione di una “banda”, utilizzando giovani renitenti ma anche tre o quattro ex ufficiali dell’ex Regio Esercito che non si erano ripresentati alle armi (erano i due fratelli Franchi, Bruno Zerbini e, poco dopo, il Bertagni di Pieve Fosciana. Anche i castenuovesi che volevano fare questa scelta di campo accorsero a Careggine. La banda si armò e si approvvigionò saccheggiando la casermetta della G.N.R. che si trovava sul Monte Volsci e alcuni magazzini della Organizzazione Todt. Il Coli, dopo un primo periodo in cui la comandò personalmente, affidò il comando della banda prima e per un brevissimo periodo al Ten. Bruno Zerbini, poi al Maggiore inglese Antony John Oldham che aveva lasciato il Puccetti e il gruppo Valanga per unirsi alla banda di Careggine. La banda fu una delle più attive fino allo scioglimento della Divisione Lunense, nella quale era confluita, a fine novembre. Contava circa 250 o 260 uomini.                                                                                

                                                                                                                        2) – La “banda” di Borsigliana. Questa banda, della quale, oltre a gente del luogo, facevano parte elementi di Piazza al Serchio, di Sillano, di Casciana nel comune di Camporgiano e di Roggio nel comune di Vagli Sotto, si organizzò meglio nella primavera (dopo un tentativo fallito di confluire nella formazione di Pippo, alias Manrico Ducceschi) e riuscì ad armarsi recuperando nella caserma dei carabinieri di Piazza al Serchio (con la complicità degli stessi carabinieri) le armi che a fine aprile erano state lanciate dagli americani ma intercettate dalla G.N.R. Erano i primi giorni di maggio. Anche questa banda fu molto attiva ma ebbe pure delle vicende piuttosto torbide (partigiani di questa stessa banda ne uccisero il capo Tenente Marco, al secolo Giorgio Ferro, di Padova). Sopravvisse e continuò ad operare anche dopo lo scioglimento della divisione Lunense.  Contava, forse, una cinquantina di uomini.                                                                    

                                                                                                                       3) – La “banda” di Magliano. In aprile o poco prima si costituì intorno a due ufficiali inglesi fuggiti dai campi di concentramento e rifugiatisi a Castelletto nel comune di Giuncugnano-Magliano, che avevano una radio con la quale ottennero dagli americani i primi lanci di armi. La sua storia è legata, più che alle bande garfagnine, alla banda della contigua Lunigiana comandata da un certo Marini, detto Diavolo Nero.

Essa, infatti, finì per operare come distaccamento di questa banda e si chiamò “Distaccamento Franchi” dal nome di un suo uomo fucilato dalla G.N.R.  Contava circa 40 uomini                                                                              

                                                                                                                     4) – La banda di Minucciano e Gorfigliano. Si costituì ai primi di Luglio 1944, anche per difendersi dalle continue scorribande dei partigiani versiliesi e massesi che venivano a procurarsi cibo. Fu comandata dal maestro Benedetto Filippetti detto Tenente Lupo, che era stato segretario di Fascio fino al  25 luglio 1943. Essa è sempre stata computata fra le bande garfagnine, ma operò in stretto contatto con la banda lunigianese di Marini. Contava da 40 a 60 uomini.                                                                                                  

                                                                                                                        5) – Il gruppo “Valanga”. Costituitosi “sulla carta” fin dai primi mesi del 1944, salì in montagna in aprile o maggio. In giugno contava una trentina di uomini, che salirono poi a una sessantina con l’arrivo di una trentina di emiliani fuggiti dalla cosiddetta “Repubblica di Montefiorino” distrutta dai tedeschi a fine luglio. Anche questo gruppo ricorse al saccheggio dei magazzini Todt per approvvigionarsi e armarsi. Beneficiò, poi dei lanci americani di armi, esplosivi, viveri e denaro. A fine agosto subì una pesante sconfitta. Assediato sul Monte Rovaio dai tedeschi ebbe 19 morti fra cui il capo Leandro Puccetti e fu disperso. Si riprese a fatica e a fine settembre passò il fronte e si sciolse. Alcuni elementi continuarono a combattere nella “Compagnia C” aggregata alle truppe americane della Divisione “Buffalo”.                                              

 

6) – La Divisione Garibaldi Lunense.                                                 L’otto di agosto a Regnano, sede della banda Marini, ci fu una riunione dei rappresentati di tutte le bande garfagnine e lunigianesi per tentare di dare una struttura unitaria a tutto il movimento partigiano retrostante la linea “Gotica” occidentale. Malgrado un pesante rastrellamento che interruppe la riunione, la nuova struttura fu varata. Essa comprendeva tutte le bande garfagnine e lunigianesi e, in seguito, ebbe l’adesione anche della Brigata Muccini, che contava 700 uomini e dei “Patrioti Apuani” capeggiati da un ex frate di nome Pietro Del Giudice, che contava ben 1100 uomini.

 La nuova unità costituita ebbe la seguente struttura: Si articolò in quattro brigate: la I° fu la Brigata “Garfagnana” comandata dal Coli, forte di circa 350 uomini, sede Foce di Careggine; la II°  ebbe il comando a Campocecina, sul crinale delle Apuane fra la montagna carrarese e la lunigiana. La comandò lo spezzino Contri ed ebbe 500 uomini  ; la III° fu la Brigata “La Spezia”, fu comandata da Marini ed ebbe sede a Regnano in Lunigiana. Contava 350 uomini ; la IV fu , fu comandata da Bertolini ed ebbe sede a Comano nel comune di Fivizzano. Contava  300 uomini. C’era, inoltre, una compagnia comando alle dirette dipensenze di Oldham, che aveva posto la sede del comando di divisione sul Monte Tondo. Con la Brigata Muccini e i Patrioti Apuani, quindi, la divisione contava circa 3400 uomini.                                          Ciascuna brigata, poi, era articolata in battaglioni. La brigata Garfagnana ne contava quattro, di circa 80 – 90 uomini ciascuno.

Il 1° operava nel la parte Nord della valle ed era comandato da Filippetti. Esso avrebbe dovuto comprendere anche la banda di Borsigliana che, però, non accettò mai di buon grado la subordinazione. Gli altri tre erano ubicati nella zona di Careggine e operavano nella parte sud. Erano comandati: il 2° dal Ten. Bruno Zerbini, il 3° dal Ten. Giovan Battista Bertagni, il 4° da un certo Sabatini che pare fosse un sottufficiale.

 Malgrado il tentativo di darsi una organizzazione rigida di tipo militare, però, accadde che ogni banda mantenne una larghissima autonomia, per la necessità oggettiva di dare risposte immediate a situazioni di emergenza, cosa che escludeva la possibilità di poter attendere ordini dall’alto. Tuttavia il comando di Oldham fu riconosciuto da tutti (Solo il “Valanga” non intese mai di appartenere alla divisione e mantenne la sua autonomia) e le condanne a morte dei fascisti (ne furono inflitte quasi cento) furono scrupolosamente eseguite dalle varie bande.  La divisione fu sciolta da Oldham il 28 novembre, dopo il fallito attacco alle spalle delle truppe della R.S.I. che combattevano al fronte.                   

 

Anno 1945

 

Con lo scioglimento della “Lunense” si ebbe una lunga pausa invernale ebuona parte dei partigiani garfagnini passò il fronte e si rifugiò dagli alleati anglo-americani. Qualcuno, addirittura, si presentò alle truppe della R.S.I. profittando del perdono concesso ai renitenti che si presentavano e fu arruolato nell’esercito della R.S.I. Alcuni, però, non lo fecero e rimasero nascosti per qualche tempo, dopo di che tornarono ad operare. I gruppi che operarono nel 1945 furono:

 

1) – La banda di Borsigliana. Essa, dopo l’uccisione del Ten. Marco avvenuta in settembre, fu sciolta dal comandante di battaglione Ten. Lupo. Ma, dopo breve tempo, si ricostituì e si chiamò “Gruppo Arditi Marco”. La comandava un certo Aldo Pedri detto “Baffo”, che fu catturato e fucilato il 14 aprile, sei giorni prima della ritirata delle ruppe R.S.I. Il gruppo, comunque, operò fino all’ultimo, catturando e uccidendo militari isolati.          

                                                                                                                     2) – Il “Distaccamento Dini” Si costituì dopo la pausa invernale nella sona di Pontardeto (Comune di Pieve Fosciana) ed ebbe uomini che già avevano appartenuto alla banda di Careggine, specialmente del 3° battaglione di Bertagni. La sua principale attività consistè nel convincere militari della R.S.I. a disertare e nell’accompagnarli oltre il fronte, consegnandoli prigionieri nelle mani degli americani.

 

3) – La banda di Minucciano-Gorfigliano. Il Ten. Lupo, che a novembre aveva passato il fronte insieme a quasi tutti gli uomini della sua banda, nella tarda primavera (ultimi giorni di guerra) rientrò in Garfagnana e cercò di ricostituire almeno in parte la banda. Ma fu catturato, si salvò avventurosamente e non fece a tempo a compiere azioni significative.

 

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      2) La battaglia del Monte Rovaio

 

 

  Il 27 agosto una pattuglia tedesca, risalendo da Col di Favilla era giunta all'Alpe di S.Antonio ove erano accampati i partigiani del Gruppo Valanga. Una sentinella partigiana che stava a Colle a Panestra, tale Gualtiero Montanari detto Tarzan, vide o udì la pattuglia e intimò l'alt. Poi sparò e uccise un ufficiale tedesco, il Fw Rolf Bachmann (1). La pattuglia si ritirò. Erano le 23,30.

 A quel punto era chiaro che la cosa non sarebbe rimasta senza conseguenze e ci sarebbe stata reazione da parte dei tedeschi. Si è discusso molto su ciò che può essere accaduto in quelle ore. E’ evidente che i partigiani si saranno posti il problema di cosa fare.

 Pare, fra l'altro, che fossero assenti sia in comandante Leandro Puccetti che il vice De Maria.

 Avrebbero potuto abbandonare la zona e rifugiarsi in altro luogo.

 Oppure rimanere e attendere gli eventi. Ed è ciò che fecero. Ma come maturò questa decisione ? Qualcuno ha ipotizzato che l'imperizia militare abbia fatto ritenere di poter sostenere l'assalto dei tedeschi. Ma i 36 emiliani fuggiti da Montefiorino una certa esperienza dovevano averla. Altri, anche su testimonianza di alcuni sopravvissuti, sostengono che la decisione di rimanere fu presa consapevolmente per non lasciare nelle peste la popolazione civile su cui i tedeschi, non trovando i partigiani, avrebbero potuto sfogare la loro rabbia. Probabilmente c'è del vero in ciascuna della due ipotesi. La figura del comandante Puccetti, giovane idealista, e la testimonianza dei superstiti depone a favore della seconda ipotesi. Valiensi sostiene questa verità con molto calore, sostenendo che il Gruppo Valanga si adoperò sempre per evitare danni alle popolazioni.  Ma il fatto che il gruppo si                                                                               fosse attestato sul monte Rovaio, facilmente circondabile e, quindi, praticamente senza possibilità di sganciamento, sembra avvalorare anche la prima ipotesi e che essi ritenessero di poter resistere all'attacco tedesco. Forse il recente lancio di armi e munizioni li fece sentire più forti di quanto non fossero. Avrebbero, forse, potuto accettare il combattimento e, quindi, scagionare la popolazione, stando in posizione più favorevole e garantendosi delle sicure vie di fuga ?

 Non è facile dirlo e, comunque, si tratta, forse, ormai, di congetture oziose.

  Il giorno 28 trascorse tranquillo e Puccetti, rientrato verso le 16, approvò la decisione presa di rimanere sul posto per evitare guai ai civili. Dopo il ritorno all'Alpe, in località Trescala (ritorno avvenuto dopo i fatti di Pania del 13 luglio) Puccetti aveva fatto costruire quattro postazioni per mitragliatrici sul Monte Rovaio, che è un massiccio isolato a sud della valle della Turrite e a nord del Monte Piglionico. La postazione A era al centro della cresta del monte, la B (del Bovaio) all'estremità ovest, la C era al di sotto della A, nel versante sud (verso il Piglionico) e la D, quella "del Gesù", all'estremità est, sopra Colle a Panestra.

 Fu nelle prime ore del 29 , esattamente alle 3,20, che si scatenò l'attacco tedesco (secondo alcuni erano presenti anche truppe della R.S.I. ma la notizia non è documentata. Valiensi, comunque, afferma di aver visto truppe italiane in divisa grigioverde, probabilmente militi della G.N.R., che attaccarono in una zona scoperta e che furono costrette a ritirarsi). L'attacco avvenne sia da nord (i tedeschi risalirono dalla valle della Turrite Secca sottostante) che da sud (dalle pendici del monte Piglionico ove erano giunti anche provenendo da Col di Favilla).

 Una parte degli uomini del Valanga (forse una cinquantina) si era arroccata sulle quattro postazioni, armati la A e la D con Bren e Breda e dieci bombe a mano, la B e la C con la Breda e 10 bombe a mano. Bren e Breda avevano 1000 colpi ciascuno e ogni uomo aveva lo Sten. Pare che alcuni uomini del gruppo, definiti poi "volponi", non salissero sul Rovaio. Essi trovarono modo di allontanarsi e di sottrarsi al combattimento.

 I primi proiettili di una mitragliera da 20 mm giunsero dalla parte di Col di Favilla, in un paesaggio spettrale illuminato dai "bengala". Poi entrarono in funzione altre due mitragliere dalla parte opposta. Infine, all'alba, cominciò anche il fuoco di almeno un mortaio. Trescala e la postazione B resistettero poco più di mezz'ora poi gli uomini salirono sulla cresta del monte.

 La situazione della postazione C, più bassa, si fece presto critica e anche gli uomini di questa postazione si ritirarono sulla vetta del monte. Qui, disposti a piccoli gruppi, facendo fuoco con i fucili mitragliatori Bren, con le mitragliatrici Breda da 6,5 mm e lanciando bombe a mano, i partigiani si difesero strenuamente per alcune ore. Ma il monte era bersagliato con mortai (pare non si trattasse di veri e propri mortai bensì di piccoli lanciabombe) e i tedeschi, sia pur lentamente, continuavano a salire e a stringere il cerchio. Gli uomini continuavano a cadere ad uno ad uno e, a un certo punto, i tedeschi raggiunsero la cresta dopo aver distrutto la postazione D. Allora fu chiaro che non era più possibile resistere.

 Erano circa le ore 10 quando Puccetti lanciò il "si salvi chi può" e i pochi superstiti cercarono si attraversare l'accerchiamento tedesco buttandosi in un canalone scosceso sul lato nord e nascondendosi fra i cespugli. Molti morirono durante la fuga (mentre si gettavano nel canalone erano sotto il fuoco delle mitragliere), uno, Sassi Renzo, pare si sia ucciso, un altro, Olivieri Rubino, fu catturato e, pare, fucilato, ma di lui non si seppe più nulla. Tuttavia  qualcuno si salvò. Il Puccetti fu fra questi, ma aveva una grossa ferita all'addome. Un partigiano che si era salvato con lui raggiunse un paese vicino e chiese aiuto. Alcuni uomini (o forse alcune donne) andarono, raccolsero il Puccetti (ma era rimasto 36 ore nascosto in una grotta) e lo portarono in una località presso Sassi detta "Taso", poi, sotto falso nome (Pietro Marinari) e falsa diagnosi (peritonite generalizzata da probabile perforazione appendicolare), lo portarono all'Ospedale di Castelnuovo. Ma non fu possibile salvarlo e il 3 settembre morì.

  Il bilancio fu terribile. I morti partigiani furono 18 più il Puccetti, circa un terzo del gruppo (2). Dei 19 caduti 9 appartenevano al gruppo degli emiliani, 3 erano meridionali e                                                                                7 lucchesi. Tutti si erano battuti con molto coraggio. E molti furono i feriti.

  Non sono note le perdite tedesche ma pare che qualcuno abbia visto diversi caduti portati a valle dai commilitoni mentre alcuni abitanti della zona assicurano che non ebbero perdite. La verità, probabilmente, sta nel mezzo.

  Fu questo l'episodio più sanguinoso e il combattimento più impegnativo sostenuto dai partigiani in Garfagnana. E il gruppo "Valanga" visse un momento di grande sbandamento. A fatica il già vice-comandante del gruppo, Mario De Maria, riuscì a riunire a Vergemoli alcuni superstiti. Comunque il gruppo continuò ad esistere e ad operare.

 

NOTE

 

1) Ci sono incertezze su questo nome. Il Guidi, infatti, (op.cit.pag 122) riporta il nome Bachmann basandosi sul fatto che nel Comune di Molazzana risulta la morte di questo tedesco in località Alpe di S.Antonio e in data 27.8.44. Valiensi, però, assicura di aver letto sul piastrino e sui documenti del tedesco morto il nome Hotzmann.

      

(2) Ecco il nome dei caduti: Puccetti Leandro di Gallicano (LU), Bruni Ettore di Castelfranco Emilia, Sassi Renzo di Modena, Bergamini Edoardo di Bomporto (MO), Bertoni Mario di Molazzana (LU), Borro Giovanni di Barrafranca (Enna), Borsi Remo di Malalbergo (BO), Bucci Sergio di Roma, Cipriani Pasquale di Vergemoli (LU), Davini Mario di S.Maria del Giudice (LU), Francesco detto il Napoletano di Albanova (Caserta), Lorenzoni Renato di Anzola d'Emilia (BO), Olivieri Rubino di Zocca (MO), Pierantoni Walter da Bologna, Pieroni Lauro di Molazzana (LU), Puccetti Gabriele di Gallicano (LU), Rusticelli Aldo di S.Giovanni in Persiceto (BO), Tognoli Ferruccio di Malalbergo (BO), Venturelli Mario di Molazzana (LU).

 

 

 

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     3) L’uccisione del Ten. Marco : una brutta storia.

 

 Ai primi di settembre alcuni tedeschi acquartierati in località Gambarotta contattarono i partigiani tramite la maestra Satti che faceva scuola nella vicina Borsigliana e manifestarono l'intenzione di disertare e di unirsi ai partigiani stessi. Fu fissato un appuntamento in località Bozzone, ove i tedeschi si sarebbero consegnati ai partigiani. Ma era una trappola. Giunti all'appuntamento i tedeschi catturarono i partigiani che erano intervenuti, fra cui un certo Pio Pedri. Pare che, a questo punto, i tedeschi abbiano preso contatto con i parenti del Pedri promettendo la liberazione dei partigiani arrestati in cambio dell'uccisione del Tenente Marco (nome di battaglia), che era un giovane ufficiale di 22 anni nato a Padova e residente a Mestre di nome Giorgio Ferro e che era a capo della formazione.(1) Evidentemente l'accordo fu fatto e il 17 settembre Vittorio Pedri e Piero Landucci uccisero a colpi di pistola, all'Alpe di Borsigliana, il povero Ferro e un suo amico di nome Carlo Ceccato. I tedeschi, informati, dovettero essere accompagnati a  vedere il corpo degli uccisi e tutto questo traffico fece svanire la possibilità di attribuire ai tedeschi stessi la morte dei due, come era nelle intenzioni.

 Così stando le cose i due omicidi fuggirono a nord con i tedeschi.

 Il Ten. Lupo (Benedetto Filippetti), in qualità di comandante del 1ª Battaglione ordinò ad Aldo Pedri, fratello di Vittorio, di consegnare i due, ma la cosa non fu possibile per quanto detto sopra. Allora la banda di Borsigliana fu formalmente sciolta. In realtà i partigiani che la componevano rimasero "alla macchia" e, dopo poco tempo, la banda fu ricostituita col nome di Gruppo Arditi "Marco" e ne assunse il comando Aldo Pedri (Baffo) insieme ad uno studente di Metello, Franco Mondini.

 I tedeschi, intanto, avevano liberato i partigiani catturati ad eccezione di Pio Pedri e Giuseppe Landucci, che erano stati catturati armati. Tuttavia i due non verranno uccisi, come era destino di coloro che venivano catturati armati. Il Landucci riuscirà a fuggire mentre il Pedri verrà condotto in Germania da dove ritornerà a guerra finita.

 Vittorio Pedri (l'istigatore) e Piero Landucci (l'esecutore materiale) verranno processati nel 1946 per doppio omicidio e condannati a 26 anni di reclusione dal Tribunale di Lucca. Ne sconteranno nove, poi saranno amnistiati. Questo episodio fece molta impressione e gettò molto discredito sulla banda di Borsigliana e sul movimento partigiano in genere.

 

NOTE:

 

(1) Non è chiaro se Giorgio Ferro sia giunto a capeggiare la banda di Borsigliana perché inviato appositamente da qualcuno, oppure se sia giunto sulle orme dell’amico Ceccato che era impiegato della Soc.Montecatini a Gramolazzo e che, dopo aver appartenuto a un gruppuscolo costituitosi a Gorfigliano, passò nella banda di Borsigliana prima che vi giungesse il Ferro. Sembra, però, che i partigiani di Borsigliana questo Ferro non lo abbiano mai accettato di buon grado.

 

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4) Le fucilazioni di COGNA

 

Il mese di Febbraio si apre con un fatto estremamente doloroso: il giorno 1 nei pressi di Cogna, nel comune di Piazza al Serchio, nel luogo stesso dove il giorno 28 gennaio era stato ucciso in un vile agguato l'alpino Grigoli di 19 anni,vengono fucilate sei persone dagli alpini dello stesso reparto del Grigoli. Le sei persone erano state catturate nei giorni scorsi perché sospettate di essere partigiani. Erano Tardelli Adriano, partigiano di Capanne di Careggine, nato il 19.10.1896, Talani Agostino di Sillano, padre di un partigiano, nato nel 1899, Ferrari Cesare di Roggio, nato a S.Giuliano Terme il 29.3.1903, Ferrari Alfredo di Roggio, nato il 30.4.1906, Pedrini Americo di Roggio nato il 26.4.1894, Samassa Giovanni di Sillano, classe 1898.  Racconta Don Santini, parroco di Nicciano, che lui e Don Bruno li videro passare mentre venivano condotti sul luogo dell'esecuzione e Don Bruno Nobili Spinetti disse qualcosa contro gli alpini che li conducevano. Al che il Tenente che comandava il plotone ingiunse anche a Don Bruno e al suo cognato Dr. Rocchiccioli che era con lui di seguirli. C'era molta tensione e certamente Don Bruno e il cognato temettero per la loro vita.  Giunti sul luogo dell'esecuzione i condannati erano abbattuti e silenziosi. Qualcuno piangeva. L'unico che sembrò non temere il suo destino fu il Tardelli, che disse: "Fanno bene a fucilarci perché noi siamo per la libertà" . Intendeva dire, certamente, che loro erano nemici irriducibili e che solo uccidendoli li avrebbero resi innocui. Pare che dicesse anche di donare le sue scarpe a qualche poveretto.  Sul luogo, oltre al prete di S.Anastasio, Don Mentucci, c'era anche Don Gisberto Milanta di Cogna e Don Bruno. I condannati vengono confessati. Uno lo confessa Don Bruno, uno don Milanta e quattro Don Mentucci.  E siamo alla conclusione. Il tenente ordina il fuoco. Seguono due scariche e i condannati cadono al suolo. Il tenente da loro il colpo di grazia e Don Mentucci impartisce l'olio santo. Il tenente rivolto a Don Bruno dice: " I soldati della R.S.I. combattono al fronte e all'interno......" Don Mentucci non afferra le ultime parole, ma il significato della frase è evidente. Probabilmente si concludeva così: "...ci sparano alle spalle". Poi i soldati se ne vanno e i poveri resti vengono portati, dai pietosi abitanti di questa frazione, nella cappellina del cimitero di Cogna dove i familiari recupereranno la sera stessa la salma del Talani e il giorno appresso tutte le altre. Il giorno 3 a S.Anastasio vengono celebrati i funerali per tutti e sei i morti.

 

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5) L'attentato ai "Cappuccini"

 Ed ecco che il 22 settembre partigiani del 2ª e del 3ª Btg della  Brigata "Garfagnana" compirono una azione clamorosa contro il  presidio di Castelnuovo della Brigata Nera, che era acquartierata  nel Convento dei Cappuccini, su un colle sovrastante il paese.  Essi si avvicinarono furtivamente e sferrarono un attacco  improvviso gettando bombe e sparando raffiche di mitra attraverso le finestre. I brigatisti, colti di sorpresa mentre erano riuniti per la mensa, non fecero a tempo a reagire prima che i  partigiani, compiuto l'agguato, si allontanassero. Non ci furono  morti (1), ma pare rimanessero feriti una donna, Ada Satti, cognata  del Ten.Ricci Aurelio, che era il comandante del 1ª plotone della  2ª Squadra, e due uomini : Alfredo Donati e Turri Silla, il  comandante del 3ª Plotone della 2ª Squadra (il 23 ne assunse il  comando il Ten. Curzio Vivarelli).  Era, questo, il secondo attentato che gli uomini della B.N. subivano dopo quello alla Rocca Ariostesca del 20 agosto nel quale trovò la  morte il brigatista Giovanni Battaglini e, questa volta, la rabbia  esplose violenta.  Il mattino dopo giunsero uomini dal presidio di Barga e da quello di Gallicano, guidati dal Ten.Lio Rossi, decisi a reagire duramente  all'attentato.  Subito al mattino fucilarono, nei pressi del convento, Bruno Valori, un partigiano catturato il giorno avanti (2) e altre tre persone  catturate nei pressi : Duilio Cavallini di 30 anni, Edoardo  Lazzarini di 31 e Alfiero Orazzini di 23. Nel pomeriggio, poi,  rastrellando nei dintorni del paese, in località Merlacchiaia  catturarono e fucilarono altre quattro persone: i fratelli Bacci  Ottavio di 24 anni e Decimo di 20, i fratelli Guidi Fernando di 17  anni e Giovanni di 24.  Il 25, poi, venne catturato in Filicaia il partigiano Luigi Dini,  che era capo-squadra nel Btg. "Casino" (il 3° Btg)e portato a  Castiglione. Qui il giorno dopo, mentre veniva interrogato, pare da  militari tedeschi si impossessò di una bomba a mano e la fece  esplodere uccidendosi e uccidendo quelli che lo interrogavano.  E non basta: Il giorno 29, sempre a Castiglione, fu ucciso un altro partigiano, che era stato arrestato il giorno 20 perché trovato in possesso di armi e di un cannocchiale. Si chiamava Luigi Berni e  pare che il suo cadavere venisse trascinato con un autocarro fino  in località Foce di Terrarossa.  Questi fatti fecero una notevole impressione e contribuirono ad  approfondire il solco di odio fra fascisti e antifascisti.

 NOTE:

(1) Piero Sebastiani, ne LA MIA GUERRA CON LA 36° B.N. descrive la scena in modo molto drammatico e parla di “raccogliere i caduti e aiutare i feriti” (pag.63), ma non risultano atti di morte in quella data né altre testimonianze in tal senso.

(2) Pare che il Valori, il giorno 22, avesse tentato, insieme a Poli e Bertoni, di liberare un altro partigiano, il Berni, detenuto a Castiglione. La cosa non riuscì. Sulla via del ritorno attaccarono un camion tedesco ma ci fu una reazione che li costrinse alla fuga. Al Valori la fuga non riuscì e fu catturato.

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7) L'attentato alla Rocca Ariostesca

 

Il 20 agosto i partigiani misero in atto una azione piuttosto clamorosa: un attentato nella sala del consiglio del Comune di Castelnuovo. Una squadra della Brigata Nera "Mussolini" era stanziata a Castelnuovo. La comandava Turri Silla, che aveva anche assunto le funzioni di Commissario Prefettizio. Quella mattina il Turri con alcuni collaboratori si trovava nella sala del consiglio del Comune allorché una forte esplosione sconvolse la sala. Proprio sotto la pedana sulla quale stava il tavolo del Podestà era stata collocata una bomba a tempo da due partigiani di Castelnuovo (pare si trattassedi Gualtierotti Renato e del maestro Asara Giuseppe detto Pipino), che pare avessero avuto la complicità della nipote del custode, Luciana Bertolini, che era  stata  costretta a fornire la chiave. L'obiettivo era il Turri Silla, personaggio di spicco del Fascismo garfagnino.    Egli, però, in quel momento non si trovava seduto al tavolo sulla pedana e si salvò. Rimase, però, ferito insieme ad altri tre (Francesco Simonetti, impiegato comunale, Giulio Tamburi, Antonio Broglio). Morì, invece, un sergente di nome Battaglini Giovanni detto Torello. Furono operati numerosi arresti fra cui Giuseppe Asara (Pipino) e il padre Antonio, Giorgio Giorgi, Italo Rossi, Michele Bertagni, Gina Gualtierotti, Luciana Bertolini, Eugenio Pasquali,Ugo Franchi, Azelio Boschi. Pare che la Bertolini accusasse l'Asara  che confessò ma, poi, riuscì a fuggire.  Degli altri arrestati alcuni, fra cui il padre di Asara, furono subito rilasciati, altri furono incarcerati a Lucca nel carcere di S.Giorgio ove rimarranno fino all'arrivo degli americani. Non ci furono rappresaglie. Forse si tentava ancora di evitare che lo scontro diventasse troppo feroce e si voleva garantire un certo rispetto della legalità (i crimini vengono giudicati dai tribunali). Tuttavia è certo che questo episodio contribuì a far crescere la tensione e ad alimentare l'odio di parte.

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6) La strage dei fascisti

 

 Fra le vicende della guerra civile, quelle che maggiormente crearono orrore furono le uccisioni di numerosi civili fascisti, disarmati e indifesi, prelevati nelle loro abitazioni e uccisi a sangue freddo con un colpo alla nuca. Nei mesi precedenti c'erano già state alcune uccisioni, ma quella che si verifica in questo mese di Ottobre per concludersi nel mese successivo è una strage sistematica operata freddamente dai partigiani di Oldham, su suo comando.

Come ho detto si trattava di civili disarmati, alcuni dei quali avevano ricoperto la carica di segretario di Fascio repubblicano ma che, nella quasi totalità dei casi, non avevano mai svolto nessun tipo di attività antipartigiana. E che, proprio per questa loro coscienza tranquilla, non avevano ritenuto di ritirarsi a nord, pensando di non aver nulla da temere ed essendo ormai rassegnati, probabilmente, alla sconfitta. Questo fu loro fatale.

 Prelevati quasi tutti nelle loro case, furono portati poco lontano e uccisi senza pietà con un colpo alla nuca. Salvo, poi, tornare dai familiari e, fingendo di voler portare indumenti ed altro al congiunto prelevato e dichiarato "prigioniero al comando", depredare di tutto le povere famiglie. In alcuni casi (vedi, ad es., quello di Santarini Silvio di Camporgiano, alla cui casa si presentarono con dei grossi sacchi entro cui, rovesciando pari pari il contenuto dei cassetti, misero tutto quello che trovarono, compresa biancheria e indumenti femminili, lasciando così quella moglie e quei quattro figli non solo privi  del marito e del padre, ma spogliati di tutto) non si scomodarono neppure a inventare scuse. Depredarono e basta. Ed ecco nomi, residenza, luogo e data della morte:

 

 1) Nutini Ing.Giovan Battista di Camporgiano. Aveva 50 anni, era ingegnere e impresario e lavorava per l'Organizzazione TODT. Fu prelevato dai partigiani, condotto sul  Monte Tondo e qui ucciso il 6.10.44. Nel carteggio Carloni (DOCUMENTI..di O.Guidi pag.108) si parla del recupero delle salme dell’Ing.Nutini e del suo segretario (forse il Fiori?) e si dice che “entrambi sono mutilati”. Il fratello dell'Ingegnere, Avv. Michele, denunciò i responsabili e ne seguì un  processo con molto clamore ma nessuno fu condannato (VEDI NOTIZIE IN PROPOSITO)

 2) Mannaioli Giuseppe di Varliano. Fu catturato a Magliano, condotto sul Monte Tondo e qui ucciso il 7.10.44. Era un civile di 40 anni, non aveva cariche, era persona mite e tranquilla. Dopo anni di attesa, la moglie era finalmente incinta. Ma la figlia che nacque non poté conoscere il padre.

                                                                                 

 3) Fiori Giuseppe di Magliano. Era un civile di 40 anni. Fu prelevato dai partigiani, condotto sul Monte Tondo e ucciso lo stesso giorno 7.10.44 in località Boscaccio.

 

 4) Pellegrinetti Settimo di Minucciano. Era Segretario di Fascio. Già combattente nella guerra 1915/18 con gli arditi, in A.O.I. col Btg. CC.NN. “Intrepido”, in Grecia, era impiegato comunale e aveva 45 anni. Fu prelevato in casa, condotto nelle selve di Ugliancaldo e qui ucciso con un colpo alla nuca il 10.10.44 insieme al suo cane.

 

 5) Bartolomei Marcello di Sillicagnana. Era un civile di 28 anni. Fu prelevato dai partigiani emiliani, condotto a Civago e qui ucciso il 13.10.44.

 

 6) Santarini Silvio di Camporgiano. Era un civile di 61 anni. Era Ufficiale di Posta. Fu catturato nella casa di Casatico, dove era sfollato con la famiglia (moglie e quattro figli), casa che fu totalmente depredata, alla presenza dei figli terrorizzati. Fu condotto nei pressi di Casciana, in  loc. Gualcola e qui ucciso il     14.10.44.

 

 7) Del Taglia Alfredo, Segretario di Fascio di Gorfigliano, aveva 52 anni. Fu prelevato dai partigiani e condotto a Foce di Careggine dove fu ucciso il 15.10.44.

 

 8) Casotti Marino di Gorfigliano. Era un civile di 20 anni. Era stato arruolato nella X° MAS. Fu prelevato dai partigiani il 13, condotto a Roggio e qui ucciso il 16.10.44.

 

 9) Paladini Orlando (Albano) di Gorfigliano. Civile di 19 anni che, pure, aveva militato nella R.S.I. Prelevato il 13 dai partigiani col Casotti, fu condotto a Roggio e qui ucciso il 16.10.44 alle ore 19,30. Pare che questi due giovani siano stati uccisi perché accusati, ingiustamente, di aver compiuto un attentato nel quale rimase ferito il partigiano Pancetti.

 

10) Bartolomasi Marino, Segretario di Fascio di Camporgiano. Era un uomo di 42 anni, mite, claudicante per un lieve handicap. Prelevato a Roccalberti dove era sfollato, fu condotto presso Casciana in loc.Vetricia e qui ucciso il 17.10.44.

 

11) Davini Primo, Segretario di Fascio di Metra, di anni 49. Fu chiamato a Regnano presso il comando partigiano una prima volta e rilasciato perché senza colpe. Chiamato una seconda volta, egli ingenuamente andò di nuovo, fidando nella sua innocenza. Ma questa volta i partigiani di Marini (comandante della 3° Brigata) lo condussero in un vallone presso Regnano e lo uccisero il 17.10.44.

 

12) Coltelli Domenico, Segretario di Fascio di Vagli Sotto, di anni 55. Fu prelevato dai partigiani, condotto a  Foce di Careggine e qui ucciso il 22.10.44.

 

13) Grandini Saulle di Poggio, anni 55. Aveva fatto parte di un osservatorio antiaereo della GNR. Si recò spontaneamente a Foce di Careggine al comando partigiano, per ottenere il promessogli pagamento di una vitella prelevatagli dagli stessi partigiani. Ma, qui giunto, fu catturato e ucciso il 7.11.44.

 

14) Bianchi Dr.Fedele. Capitano medico in congedo, era il medico condotto di Careggine e aveva 41 anni. Il 2 o 3 novembre fu prelevato in casa dai partigiani , che lo invitarono a seguirli per curare un ferito. Condotto a Foce di Careggine, fu arrestato e chiuso in un porcile col Grandini ed altri. Il 7.11.44 fu ucciso.

 

15) Contadini Aristide, Segretario di Fascio di Careggine, fu prelevato, condotto a Foce di Careggine e qui ucciso il 7.11.44 alle ore 15 circa.

 

16) Diamantini Francesco, Segretario di Fascio di Giuncugnano, di 41 anni. Preoccupato per le feroci uccisioni avvenute nel suo comune, si trasferì a                                                                             Cascianella dove lavorava da falegname. Qui un partigiano lo invitò a Roggio ove avrebbe conferito col Maggiore Oldham. Egli vi si recò spontaneamente per chiarire la sua posizione. Pare che Oldham avesse deciso di non ucciderlo, ma furono i partigiani di Magliano, suoi compaesani, che chiesero la sua morte. E così a Roggio fu ucciso il 12.11.44.

 

17) Pierotti Oscar Ugo Silla vulgo Francesco, civile di Castelnuovo di 38 anni. Fu prelevato dai partigiani, condotto nei pressi di Cerretoli e qui ucciso il 15 novembre 1944.

 

18) Vincenti Ferdinando, maestro, ex ufficiale della M.V.S.N. e della G.N.R., aveva 29 anni ed era di Canigiano. Pare che i partigiani emiliani di Civago  (comandante "Bixio") gli avessero già estorto parecchio denaro, cosicché quando fu di nuovo chiamato a Civago, vi si recò pensando che gli sarebbe stato richiesto altro denaro. Invece questa volta, pare fosse nel mese di novembre 1944 (nell'atto di morte redatto dopo la guerra, al ritrovamento del cadavere, si parla di una data imprecisata dell'anno 1944), fu ucciso.

 

 A questi morti possiamo aggiungere il nome di un altro garfagnino, Biagioni Luigi di 22 anni, sergente della contraerea (FLAC), caduto a Bassano del Grappa il 7 ottobre. (7) Ed anche quello di Gori Alessandro, guardia forestale nato a Bibbiena ma coniugato a Sillano, sua residenza abituale, che il 21 ottobre fu prelevato nella caserma di Magnago (UD) dove prestava servizio da partigiani del luogo e ucciso nei pressi.

 Se a questi si aggiungono quelli uccisi prima e quelli che verranno uccisi dopo, si raggiunge la cifra di 52 uccisi. E', questo, il tributo pagato alla guerra civile da quei garfagnini che si erano schierati con la Repubblica Sociale Italiana. O, almeno, quelli che abbiamo potuto accertare.

 Come si vede non furono uccise donne.(Ne verrà uccisa una a guerra finita.) Alle donne fasciste o presunte tali perché fidanzate o sorelle di militari della R.S.I. venne riservato un trattamento meno feroce. Esse furono “tosate”, furono, cioè, tagliati loro i capelli. Queste “missioni” partigiane, che non richiedevano certo molto coraggio, furono duramente stigmatizzate dalla gente.

 

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