Luigi
De Bellis

 


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Resultanze in merito alla Vita e al Carattere di Gino Bianchi. Con allegato

 
 

 

 
 

Ragazzo

 
     
     

 





Piero Jahier



RAGAZZO: Romanzo


I sette capitoli che compongono il secondo romanzo di Jahier risalgono agli anni 1911-1914 e, pubblicati dapprima in rivista, furono raccolti dall'autore in volume nel 1919. Una nuova edizione fu stampata a Firenze nel 1939 (a dispetto dell'isolamento cui il fascismo aveva condannato l'autore), con il titolo Ragazzo e prime poesie. L'edizione definitiva del romanzo, reintegrata dei passi censurati, è quella fiorentina del 1953: Ragazzo - Con me e con gli alpini.
Nonostante l'antipatia dichiarata di Jahier e dell'ambiente vociano per il romanzo, anche la forma dell'autobiografia per frammenti significativi comporta la struttura sostanzialmente romanzesca della Bildung: il primo titolo dell'opera doveva essere infatti Conversione al mondo, come testimonia una lettera del 14 aprile 1915 ad Alessandro Casati. L'autore ripercorre tuttavia la propria vita senza alcuna preoccupazione di realismo o di fedeltà e completezza storica; e il ricordo si rapprende in nuclei di forte significato simbolico, in quadri intensi lirico-sentimentali.
Il capitolo d'apertura «La morte del padre - pubblicato su «La Voce» nel dicembre-1914 - segnala il trauma centrale della vita del ragazzo: il suicidio improvviso del padre, pastore e membro autorevole della comunità valdese, che non perdona a se stesso il peccato d'adulterio commesso. Il dolore - perdita del modello etico, vuoto affettivo, ferita sociale - si coagula nella memoria della valle gelata tra le montagne piemontesi, dove il padre, conducendo i bambini con sé, diffonde il Vangelo di villaggio in villaggio. La fede religiosa, che ha segnato la famiglia con il carisma splendido e tremendo della predicazione, si rivela come forza estranea, distruttiva e violenta. Morto il padre, la madre ritorna con i figli a Firenze. «La famiglia povera», pubblicato su «La Riviera ligure» nel febbraio 1912, è il secondo capitolo del romanzo. La lotta quotidiana per mantenere il decoro borghese sembra incrinare gli affetti familiari: un fratello s'imbarca come mozzo, la madre, preoccupata di far durare le cose vecchie, di rivoltare i vestiti, di riciclare i cibi, assume il ruolo severo di un "principale", perché una famiglia povera con sei figlioli «è soprattutto un'amministrazione». Il ragazzo sogna un mondo «aperto tutti i giorni e non soltanto la domenica come una chiesa protestante», prova i primi turbamenti amorosi; ma, sotto i suoi tentativi di ribellione, sono ben salde le idee del passato, che seguitano a vivere in lui, come dietro le sue spalle ci sono le austere nonne calviniste con i capelli lisci ben spartiti da una riga sulla fronte. Così la lirica I quattro fratelli (1914) celebra l'affinità spirituale della famiglia che si ritrova nella vecchia casa come se il tempo non avesse cambiato la storia e sbiadito gli affetti. Il ragazzo, che è l'unico a poter frequentare la scuola, è abile a sfruttare la sua intelligenza, scrivendo, a pagamento, temi per i compagni ricchi e svogliati; con quei danari, e senza pesare sul magro bilancio familiare, comprerà i libri più amati, La capanna dello zio Tom, i Canti di Leopardi. La povertà suscita in lui i primi fermenti socialisti, le prime ingenue ribellioni contro i ricchi: siano vecchi aristocratici fiorentini chiusi nelle ville in collina o avidi macellai pronti ad approfittarsi del borsellino del ragazzo inesperto. Nei capitoli dove avviene questa scoperta del mondo esterno, «Avventura settimanale» e «Il guadagno», Jahier spinge lo sperimentalismo linguistico e stilistico a esiti antilirici, verso un realismo minuzioso e grottesco. Tuttavia la memoria è garante di un tono uniforme, affettuoso ed elegiaco, come nel Leitmotiv che apre e chiude il quarto capitolo: «Voglio bene al ragazzo che passava ogni sabato la collina...».
L'ultima sezione di Ragazzo, «Il paese», è composta di due prose, «II paese delle vacanze» pubblicato su «La Riviera ligure» nel settembre 1912, e «Visita al paese». Il borgo in Val Chisone, da cui ha origine la famiglia Jahier, è il paese magico in cui il ragazzo trascorre le lunghe vacanze estive: paese incantato dei giorni passati nei campi, in avventure fantastiche, dove si mescolano letture - Salgari, gli indiani Seminole, un misterioso giaguaro - e realtà minuta. Qui si parla francese e le tradizioni antiche della famiglia sono ben vive: le incarna l'austero zio Barthelemy, che rivela al bambino ingenuo la realtà dura del lavoro e della quotidiana fatica, il fatto che, nella vita, «la gente non si diverte». La visita al paese, che chiude il romanzo con il suo elegiaco interrogativo «Com'era il paese, com'era?», segna la fine di un'epoca e il compimento di quella conversione al mondo, cioè alla prosa L'autore torna al paese dopo anni: la casa è stata venduta, i parenti sono vecchi e malati, lo zio stenta a riconoscerlo. L'incanto dei luoghi è passato come l'incanto della giovinezza: «nulla, nulla rimasto fermo secondo il cuore - se non forse le grandi montagne.... Ma di me non vogliono sapere, mi respingono le grandi montagne... com'era il paese, com'era?».

 

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