Luigi
De Bellis

 


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Le case della Vetra

 
 

Nel grave sogno

 
 

 

 
     
     

 





Giovanni Raboni



NEL GRAVE SOGNO: Raccolta di poesie


Comprende liriche scritte dal 1965 al 1981, che sono state incluse in Tutte le poesie (1951-1993).

Sono in tutto, sedici composizioni, alcune delle quali articolate in episodi o "momenti". Con un tono narrativo volutamente attenuato, attento a dissimulare più che a rivelare, e una poetica incline alla incertezza e alla precarietà dell'esistenza, Raboni esamina l'ambiguo tema della chiusura, subìta e accettata, dell'individuo alla vita sociale (spesso l'uomo è descritto nella solitudine del proprio «appartamento»): «Passa, dicono, le giornate / con addosso un pigiama, una vestaglia. A chi / gli consiglia, d'uscire, di muoversi, altrimenti / i muscoli, alla sua età, si atrofizzano, le giunture / si bloccano, risponde / con un dolce, lento sorriso» (L'appartamento).
A questo nucleo fondamentale si legano, attraverso i motivi della casa, delle vicende private e degli avvenimenti quotidiani, i terni complementari della vecchiaia, della morte e della lenta scomparsa dal mondo: «frugavo a cuore stretto in un pattume / di indumenti slavati, / di fodere lacere, di coperte militari / da una strana risacca sbattuti sui barconi. / E i corpi, dov'erano i corpi?» (Sogno di via dei Serpenti).
Nella pacata musica di questi versi si coglie il lento articolarsi di un pensiero che dalla condizione dell'individuo-poeta (e dalla domesticità degli eventi descritti) si sposta a quella dell'individuo-uomo: «radioso, l'uomo malato, il ragazzo malato che cerca di dribblare / lo stopper della morte / con il numero fantastico dei minuti in un giorno, / dei giorni in una vita...» (Interni clinica, 2). L'intento risulta pertanto quello di ridurre progressivamente, in modo sempre più chiaro, la distanza tra il canto lirico e la riflessione politico-sociale, mirando a un velato e inavvertito superamento simbolico. Ecco quindi che il reiterato motivo della casa diviene «il guscio d'uovo» della vita intima che tende sempre più a sgretolarsi, e l'individuo appare estraniato dalla realtà: «Nel corridoio dove / c'è troppa luce arranca, si puntella, / trascina le ciabatte - un vecchio! un vecchio! - assorto / nei bisbigli, braccato dagli spifferi...» (Frasi); «Ci siamo, mia gioia, mia coperta d'agnellino. / È fradicio, s'appanna / e uno o cosa m'aspetta / per traghettare di là, di là / nel poco delle trafitture» (Berceuse). Nell'ultima poesia (una suite ispirata a un famoso quadro di Jan van Eyck, l coniugi Arnolfini) la drammaticità del malessere è espressa dal tema delle «nozze»: «Dunque non ha finestre la camera nuziale. / ... / Con fini / ceree falangi predica, prepara / la consunzione dei velluti, la posizione / futura degli scheletri» (Le nozze).
Il soggetto, preso nella rete di riferimenti ambientali, sociali e biografici, da cui, peraltro, resta emarginato, perde qualsiasi consistenza. La sua voce non ha voce, il suo ruolo si riduce a quello di testimoniare la muta scomparsa della propria individualità senza poter reagire: «siamo in molti a pensare che non c'è / modo di imballarlo come si deve / un oggetto così fragile, così breve, e così / c'è poco da sperare / nella salvezza del guscio d'uovo» (Il più freddo anno di grazia); «Mi figuro il paesaggio invernale: / la luce muove le sue penne esterne / rigando duramente i vetri; / il male appena sveglio nelle pance matura» (Cassazione, sequenza Aurora).

Gli antecedenti letterari più probabili vanno da Eugenio Montale a Giorgio Caproni, includendo tuttavia anche poeti della cosiddetta "linea lombarda". La pluralità di registri linguistici passa da moduli estremamente colloquiali e informali a espressioni del linguaggio burocratico o sportivo (in particolare quello calcistico): «non sarà, / mi dico, così diversa la morte, / questa tua per esempio, alla moviola, / corteggiata, covata come un uovo» (Interni clinica, 1). Tale continua varietà di forme fa si che i nuclei lirici si trovino mescolati agli inserti discorsivi e ragionativi.
Di Raboni così scrisse Vittorio Sereni, nel recensire la nuova raccolta: «Oggi la sua arte più che dal menzionare e considerare il dato di origine, episodio, emozione o affetto che sia, prende le mosse dalla cancellazione dello stesso, serbandone o recuperandone solo le tracce, le scaglie, i riflessi, per ricomporli in un quadro diverso. Tutto resterebbe nell'informe senza l'intervento di una sorta di musica che magari forzando la sintassi non si applica, come troppo spesso impone il vezzo di presunte novità, allo scempio delle parole. Un rischio di tenerezza straziata si distende, non livellando o uniformando ma lasciando aperture in una ricca varietà di esiti singoli, sulle poesie con cui il libro si articola».

 

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