Anche nel Leopardi hanno valore le illusioni che illuminano la vita del Foscolo: la bellezza, la gloria, la patria, la libertà, l'amore, il piacere, la poesia; ma mentre nel Foscolo esse appaiono come conquiste raggiunte per mezzo di uno slancio eroico, di accettazione e di esaltazione della condizione umana, dolorosa ma ricca di dignità e nobiltà, in Leopardi sono idee nobilissime, insite nella giovinezza dell'uomo, ma destinate a venir meno, ad essere demolite dalla ragione e soprattutto dalla vita.

Il termine adesso si lega all’idea di vago ed indefinito (L’infinito) e si configura come un tentativo di sottrarsi alle leggi materialistiche della natura. Ma l’illusione manca di continuità e anche gli antichi non potevano a lungo nutrire la loro poesia di immaginazione (la parola compare non a caso per la prima volta accanto al concetto di illusione). La legge materialistica della natura matrigna (di dolore e sofferenza per l’uomo  sulla terra) e l’assenza di una fede religiosa, rendono inoperante, vuota ogni forma di illusione in Leopardi. Anche il piacere è illusione negativa, fragile, momentanea e instabile; ogni piacere consiste in un’interruzione breve del dolore. 

VITA

Nasce a Recanati il 29 giugno 1798 dal conte Monaldo e da Adelaide dei marchesi Antici. Fu un autodidatta e nella biblioteca del padre si diete ad uno studio "matto e disperatissimo"; lo sforzo notevole debilitò il suo fisico già minato e a 18 anni fu in pericolo di morte. Il suo primo carme è significativo nel titolo Appressamento della morte. Gli fu allora molto vicino l'amico Pietro Giordani, che lo introdusse negli ambienti culturali.

Momento di svolta nella sua produzione è la conversione letteraria dall’erudizione al bello, cioè il periodo in cui i suoi interessi passano dalla filologia alla poesia. Giacomo intanto si innamorò della cugina Geltrude e poi della figlia del proprio cocchiere, Teresa Fattorini, morta giovanissima di tubercolosi e per essa comporrà in seguito la lirica A Silvia.  

Nell'anno della stesura dello Zibaldone avviene la seconda conversione letteraria dal bello al vero, cioè dalla poesia di immaginazione, ricca di immagini fantastiche, a quella sentimentale ispirata alla riflessione sull’infelicità della vita. Il giovane Leopardi diventa sempre più insofferente dell'ambiente di Recanati e di quello familiare, nel quale non trova molta comprensione. E' in questo periodo, in cui il poeta è chiuso in una cupa malinconia, che risalgono le Canzoni e gli Idilli.

Solo a 24 anni riuscì a partire per Roma, lasciando finalmente Recanati, ma la città lo deluse. Conobbe vari letterati, ma non riuscì a trovare una sistemazione, per cui fu costretto a ritornare alla sua città natia, dove dovette trattenersi per circa due anni fin quando non fu chiamato a Milano dall'editore Stella che lo assunse per tradurre opere classiche. Qui si trattenne poche settimane e subito partì per Bologna dove strinse molte amicizie ed amò la contessa Teresa Carniani Malvezzi.

Leopardi comincia a ripiegarsi in se stesso e a meditare sul suo dolore che è in realtà il dolore dell’umanità intera. Numerose meditazioni filosofiche e il fatto che il Leopardi non creda in Dio, lo spingono a scrivere le Operette morali riguardanti i problemi della vita.

Dopo un altro soggiorno a Recanati il poeta si trasferì a Firenze e successivamente a Pisa dove compose A Silvia. La morte del fratello lo costrinse di nuovo a Recanati per poi tornare a Firenze e comporre i Grandi Idilli.

Conobbe un altro amore, Fanny Targioni Tozzetti (per lei scrive cinque poesie che compongono il Ciclo Aspasia), sfortunato come gli altri. Successivamente soggiornò a Roma e poi a Napoli e scrisse il suo testamento spirituale La ginestra e Il tramonto della luna per poi morire nel 1837.