Le Ultime lettere di Jacopo Ortis: è un romanzo epistolare; il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista scrive all'amico Lorenzo Alderani. Non è solo un'opera nichilistica (nichilismo = negazione della realtà); vi è una ricerca di valori positivi quali la famiglia, gli affetti, la tradizione culturale italiana, la poesia. L'opera è scritta in prosa aulica con una complessa sintassi.

Intreccio: un giovane si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro; la morte, intesa come distruzione totale e "nulla eterno", è l'unica via che si offre per uscire da una situazione negativa.

 

Le Odi (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, All'amica risanata): al centro di entrambe vi è il vagheggiamento della bellezza femminile; ricorrono continui rimandi mitologici, lessico aulico e sublime. La prima ode conserva un carattere di omaggio galante alla bella donna, mentre la seconda ode vuol essere un discorso filosofico sulla bellezza ideale.

 

I Sonetti: sono più vicini alla materia autobiografica, caratterizzati da un forte impulso soggettivo; vi sono però fitte reminiscenze di altri poeti (Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni). I temi trattati sono l'esilio, il conflitto con il "reo tempo", il nulla di eterno come unica alternativa, l'impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia, l'illusione della sepoltura "lacrimata".

 

Le Grazie: l'opera è articolata in 3 inni dedicati rispettivamente a Venere, dea della "bella natura", a Vesta, "custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili" e a Pallade, "dea delle arti consolatrici della vita e maestra degli ingegni". Le grazie sono dee intermedie tra il cielo e la terra, che hanno avuto il compito di suscitare negli uomini i sentimenti più puri ed elevati attraverso il senso della bellezza e portandoli alla civiltà.

Foscolo mira ad una poesia allegorica personificando in figure le idee astratte in modo che queste agiscano più facilmente sui sensi e sull'immaginazione.

 

I Sepolcri: poemetto di 295 endecasillabi sciolti, sottoforma di epistola poetica indirizzata all'amico Ippolito Pindemonte. L'occasione fu una discussione avvenuta con questi originata dall'editto napoleonico cui si imponevano le sepoltura fuori dei confini delle città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi. 

Pindemonte, da un punto di vista cristiano, sosteneva il valore della sepoltura individuale, mentre Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva negato l'importanza delle tombe poiché la morte produce la fatale dissoluzione dell'essere.

La morte e il nulla eterno sono superati dall'Illusione di sopravvivere nell'affetto dei propri cari.

La prima parte del carme è ispirata agli affetti umani, poi la visione si allarga. Il contrasto tra realtà ed illusione, tra ragione e sentimento non è vinto completamente. 

Il poemetto si conclude con un inno alla poesia che farà vivere in eterno i sentimenti umani, tramandando ai posteri quel mondo di valori e di ideali che noi abbiamo saputo creare.

 

   

ANALISI DEL TESTO vv. 23-52 DE " I SEPOLCRI "

 

 

                   Ma perché pria del tempo a sé il mortale

             invidierà l'illusïon che spento

      25   pur lo sofferma al limitar di Dite?

             Non vive ei forse anche sotterra, quando

             gli sarà muta l'armonia del giorno,

             se può destarla con soavi cure

             nella mente de' suoi? Celeste è questa

      30   corrispondenza d'amorosi sensi,

             celeste dote è negli umani; e spesso

             per lei si vive con l'amico estinto

             e l'estinto con noi, se pia la terra

             che lo raccolse infante e lo nutriva,

      35   nel suo grembo materno ultimo asilo

             porgendo, sacre le reliquie renda

             dall'insultar de' nembi e dal profano

             piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

             e di fiori odorata arbore amica

       40  le ceneri di molli ombre consoli.

                   Sol chi non lascia eredità d'affetti

             poca gioia ha dell'urna; e se pur mira

             dopo l'esequie, errar vede il suo spirto

             fra 'l compianto de' templi Acherontei,

       45  o ricovrarsi sotto le grandi ale

             del perdono d'Iddio: ma la sua polve

             lascia alle ortiche di deserta gleba

             ove né donna innamorata preghi,

             né passeggier solingo oda il sospiro

      50   che dal tumulo a noi manda Natura.

                   Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

             fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti

             contende.

 

vv. 23-29: Qui inizia la ribellione della Speranza, dell'Illusione che l'uomo, pur sapendo con la ragione che la Tomba non serve a niente, col cuore vuole sperare di non morire del tutto, restare vivo nel ricordo, per le imprese fatte. 

"Ma perché l'uomo deve togliersi, prima del tempo, l'illusione che una volta morto, lo fa un pò fermare prima dell'Al di là? Non vive anche dopo morto, quando non vedrà la luce, se questa luce può dare a lui l'affetto degli amici e dei parenti?"

 

vv. 30-41: "E' Divino questo scambio di affetto fra i vivi e i morti (quindi per prima cosa i Sepolcri servono a mantenere vivo il ricordo del morto); e per questo il vivo vive col morto e il morto col vivo, se la terra che lo raccolse da bambino, lo raccoglierà anche da morto, difendendo il suo cadavere dalle tempeste e dai piedi del volgo e una pietra (lapide) conservi il suo nome e un albero (arbore) profumato gli dia ombra (al femminile, dal latino, per un senso di dolcezza)".

 

vv. 42-51: "Solo colui che non lascia amici ha poca gioia della tomba; e se pensa dopo il suo funerale, si vede nell'Inferno o nel Purgatorio; ma lascia la sua polvere alle erbacce, dove nessuno andrà a pregare, né un passeggero solitario vedrà il sospiro che la natura ci manda dalla tomba. Però una nuova legge (Editto di Saint Cloud, in Francia del 1804) impone di seppellire i morti in cimiteri comuni fuori delle città e sottrae ad essi la possibilità di avere una lapide col loro nome".

 

(Le tombe, inutili ai morti, alimentano nei vivi l'illusione della sopravvivenza di coloro che furono cari, danno l'unica forma d'immortalità che l'uomo possa attingere: l'affettuoso ricordo degli altri uomini. Si stabilisce così un ideale colloquio fra i vivi e gli estinti, illusorio, ma tuttavia espressione di quella "corrispondenza d'amorosi sensi" che è la più divina dote dell'uomo, il vincolo che tiene unita la società e il fondamento primo d'ogni civiltà).