Gaetano Montefusco
Un Miracolo Italiano

Indice


 

Un problema meridionale

 

Il dissesto finanziario interessa oggi oltre 402 comuni (5% sul totale di 8.047) tra cui anche città come Napoli, Potenza e Benevento ed è necessario chiedersi come mai su 402 comuni in dissesto ben 324, pari all’81% del totale, sono situati nell’area geografica appartenuta al Regno delle due Sicilie.
E’ semplicistico, infatti, come sostengono molti, ricercare le ragioni del dissesto nella sola finanza allegra e nella "mala gestio" che hanno contraddistinto la gestione della cosa pubblica fino agli anni 90.
Se questa fosse l’unica causa del dissesto, infatti, sarebbe difficile spiegarsi come mai, con la "mala gestio" che ha imperversato, come un tornado, in tutta Italia, soltanto 402 comuni su 8.047 siano risultati penalizzati, mentre gli altri 7.645 comuni italiani risulterebbero essere stati bene amministrati. Com’è possibile che una città come Milano, capitale di "Mani pulite", dove gli imprenditori ed i politici facevano la fila per confessare a Di Pietro & Co. i saccheggi realizzati in danno della cosa pubblica, non sia stata toccata dal fenomeno?

Credo si possa convenire sul fatto che i meridionali non hanno l’esclusività nazionale del latrocinio e dell’incapacità amministrativa e, quindi, se il fenomeno del dissesto finanziario tocca quasi esclusivamente i comuni del Sud (l’unica amministrazione provinciale fallita è quella di Napoli), devono per forza esserci altre ragioni. Forse si può pensare anche ad alcune ragioni strutturali, più profonde e più antiche che potrebbero individuarsi nell’atavica povertà del Sud e nell’arretratezza storica di molte aree del Mezzogiorno.
Il desiderio dei comuni meridionali di avere fogne, acquedotti, scuole e servizi in genere, nonostante la scarsità di risorse locali disponibili porebbe essere stata, infatti, una delle cause principali del debito dei comuni.
Anche i comuni del Nord quando si dotarono, molto tempo prima, negli anni 60-70 di strutture e infrastrutture moderne si trovarono indebitatissimi, tanto che fu necessario promulgare la cosiddetta legge Stammati che prevedeva il consolidamento dei debiti degli enti locali, ma questa esperienza non toccò direttamente i cittadini degli enti indebitati essendosi fatto carico del debito lo Stato.
I comuni meridionali si sono mossi in ritardo e, al pari dei comuni del nord, si sono dotati di infrastrutture ed hanno cominciato ad indebitarsi oltre misura trovando, però, nello Stato non un aiuto ma un nemico, anche per la pavidità dei vari governi nei confronti della Lega Nord che cominciava a pretendere una maggiore autonomia finanziaria degli enti locali dall’amministrazione centrale.
Se a ciò aggiungiamo l’incapacità sistematica del legislatore, nel regolamentare la disciplina degli espropri e dei lavori pubblici,generando un contenzioso massiccio e la proverbiale lentezza della giustizia civile che ha scaraventato, sovente sulle amministrazioni, le sentenze di condanna a distanza di 15-20 anni dai fatti che generarono le liti, si vedrà che sono più di quelli che si crede, i cittadini e gli amministratori incolpevoli a dover subire le conseguenze dei comportamenti delle amministrazioni centrali e dei legislatori precedenti.
Ecco quindi che non è solo per colpa del Sud e dei meridionali se il fenomeno del dissesto si è esteso essenzialmente nelle più povere aree del Mezzogiorno e solo parzialmente alle similari aree dell’ex Stato Pontificio (10%) non interessando quasi per niente il Nord.
Ma questo deve essere un segnale d’allarme preoccupante per i politici meridionali perché ormai, grazie alla spinta della Lega Nord e ad una situazione di forte indebitamento pubblico, si è fatto strada, gradatamente, in materia di ordinamento finanziario e contabile delle pubbliche amministrazioni, un orientamento che - attraverso continue modifiche legislative - si propone di risanare l’annoso debito pubblico penalizzando gli enti locali e più in particolare i cittadini degli enti locali meridionali, che sono quelli che in concreto sono chiamati a pagarne le conseguenze economiche, non solo per il maggior carico fiscale necessario al risanamento, ma appunto anche con il mancato pagamento dei crediti per forniture.
UNA SECESSIONE ECONOMICA
Si tratta di una surrettizia ripartizione tra Nord e Sud del debito pubblico dei comuni, formatosi anteriormente al 1989, quando c’è stata la prima normativa (Decreto Legge n. 66/89) che ha posto un freno alla spesa incontrollata degli enti locali. E’ una secessione economica vera e propria realizzata a completo danno del Sud.
Trasformare i comuni in azienda diminuendo i trasferimenti erariali; bilanci senza più il paracadute statale: questa è stata l’idea di fondo che ha ispirato la tendenza legislativa in atto che, recependo la grave crisi di identità nazionale, ha intravisto in una più accentuata autonomia degli enti locali uno dei caposaldi del futuro sistema federalistico.
In sé il progetto è estremamente interessante e potrebbe portare, con le correzioni necessarie ad ogni sperimentazione, anche ad apprezzabili risultati se non si trascurasse un aspetto fondamentale, scarsamente considerato dal legislatore ma di importanza vitale per il Mezzogiorno.
Vale a dire che non si è stabilito, nè si è pensato di stabilire che questo incremento di autonomia deve essere valido per il futuro e non può riferirsi anche al passato.
Chi li paga i debiti accumulati fino al momento dell’inversione di rotta?
I cittadini meridionali. E quali responsabilità sono attribuibili a tali cittadini perché debbano pagare, senza il contributo dell’intera collettività dello Stato cui appartengono, servizi che i cittadini del Nord hanno avuto, prevalentemente, a spese della collettività?

 
Capitolo Precedente  <<    >> Capitolo Successivo