La Cuba di Pantalion

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La mia Cuba 4

 

Ci lasciamo Varadero alle spalle con la promessa di tornare, ma poi passiamo i giorni successivi in albergo ad organizzare la spedizione verso L'Avana.

Con una berlina noleggiata in un'agenzia vicina al villaggio, partiamo alla volta dell'Avana; siamo in sei ma ci dicono che non ci  fermerà nessuno, per cui ci avviamo all'avventura. L'autostrada (se così si può chiamare) che da Varadero porta all'Avana permette di farsi un'idea di tutto l'ambiente dell'isola: attraversa zone quasi deserte, luoghi dalla vegetazione fitta e selvaggia, paesi sperduti e presidi industriali fatiscenti. Ai suoi lati scorrono cartelloni pubblicitari che reclamizzano rum, caffè e prodotti rigorosamente cubani, che vengono fuori dalle imprese statali. A Cuba lo Stato produce e lo Stato consuma, ma non tutto quello che occorre vi viene prodotto, per cui i cubani si arrangiano come possono.

Durante tutto il tragitto, non possiamo fare a meno di notare i poliziotti disseminati lungo l'autostrada, o meglio abbandonati singolarmente ogni tot  km, distesi nei campi intenti a far scorrere il tempo. E' il primo segnale di uno sguardo discreto, ma neanche tanto, che vede nel controllo politico capillare la maniera migliore perché il turista segua binari tracciati e non venga troppo a contatto con la gente del posto. Questo lo riscontriamo anche all'Avana, con la presenza di un poliziotto ad ogni angolo di quartiere.

Se il viaggio verso l'Avana è tranquillo, l'arrivo in città ci riserva un traffico infernale, un via vai caotico, rumoroso e irrespirabile, ma anche un impatto visivo senza precedenti: centinaia di persone che vanno in mille direzioni diverse, mezzi pubblici strani per forma e colore, taxi su quattro tre e forse anche due ruote, biciclette dall'andatura fiera che occupano qualsiasi corsia della strada. Segnali dall'interpretazione incerta ci conducono a Plaza de la Revoluciòn, al Malecòn ( il lungomare della città) e a un parcheggio con tanto di posteggiatore abusivo.

Lasciata la macchina in custodia ad un simpatico cubano attempato, che ci  rilascia regolare fattura scritta a matita, ci immergiamo nell'Avana Vecchia, un misto di storia, architetture e odori compressi in vie strette ed affollate. Edifici recuperati spiccano tra edifici fatiscenti e sofferenti, auto dai mille colori solcano le strade e una folla di improbabili guide turistiche ci insegue per tutto il percorso. Seguiamo il consiglio di dire che siamo esperti del luogo, per evitare presenze ingombranti ed  economicamente esigenti. Rifiutata la compagnia di ragazzine minorenni che ci vengono incontro, possiamo ammirare la Cattedrale, la Bodeguita del Medio (dove è d'obbligo sorseggiare il moijto), il Floridita, il Campidoglio, la fabbrica dei sigari, la fortezza, ecc. 

Scesa la sera, dal momento che non siamo in albergo ma in macchina, ci cambiamo d'abito in Plaza de la Revoluciòn, destando l'attenzione di un militare, che fatto un rapido conto ci avverte che in sei in una macchina non si può viaggiare. Preso il nome del conducente, cioè il mio, si allontana innescando la perfetta macchina dell'intelligence cubana. Ma tutto si è risolve in una bolla di sapone.

Dopo una cena a base di pollo fritto sul Malecòn, partiamo alla ricerca di un night dove passare la notte. Un italiano conosciuto in aereo ci indirizza a una discoteca di nome Rio Club; dopo mille peripezie, grazie a due prostitute che abbiamo fatto salire in macchina perché ci facciano da guida, raggiungiamo il discopub. Paghiamo 5 dollari a testa per entrare e ci ritroviamo con una donna al collo ciascuno: è  un bordello! Passiamo la serata in compagnia di una marea di prostitute che si susseguono sulle nostre gambe, dandosi il cambio quando capiscono che non prenderanno un soldo da noi. (Vi confesso che se fossimo rimasti ancora a lungo in quel locale, non so quanti di noi avrebbero ceduto). Le ragazze sono stupende, ma vederle con gente di tutte le età colpisce duro. In certi momenti vorrei essere meno moralista!

L'alba ci appare sul lungomare dell'Avana, la stanchezza è tale che non c'è sintonia sui programmi. La maggioranza spinge la nostra auto verso Varadero, in albergo, anche perché i soldi ormai scarseggiano ed è ancora da compiere il rito dell'acquisto dei souvenir.

Al ritorno le strade sembrano sempre diverse ed infatti ci perdiamo. Risultato? allunghiamo di 50 km che, viste le strade cubane, equivalgono a 200 km delle nostre!

Torniamo a Varadero fermandoci più volte lungo la strada, siamo felici e allo stesso tempo malinconici. L'Avana ci è entrata nel cuore, e tornare nel nostro villaggio è come tornare in galera. Trascorriamo gli ultimi due giorni nel villaggio, e come attivisti di Greenpeace cerchiamo di dar più fastidio possibile, specialmente durante gli spettacoli del villaggio: avere 4 bar aperti 24ore/24 ci aiuta molto. Ci concediamo un ulteriore uscita a Varadero per degustare le mitiche aragoste a casa di una  famiglia cubana semplice. L'esperienza ci costa un po' di soldi la maggior parte dei quali vanno in taxi (40 euro per 8 km, andata e ritorno!). L'aver ordinato del vino è fatale, in compenso le aragoste sono abbondanti e parlano cubano.

 

La settimana è volata via, decidiamo che una grande scorta di alcolici ci aiuterà ad affrontare il viaggio di ritorno (il nostro secondo volo!). Il barman, che continuiamo a riempire di mance, ci fa il pieno con i suoi magici rubinetti: dormiamo fino a Roma!

Atterriamo a Fiumicino con una promessa: a Cuba ci torneremo!

 

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