home

I "passi" di Famiglie Insieme

Anno 2004 - 2005

Anno 2005 - 2006

Anno 2006 - 2007

Anno 2007 - 2008

Anno 2008 - 2009

Anno 2009 - 2010

Anno 2010 - 2011

Anno 2011 - 2012

Anno 2012 - 2013

Anno 2013 - 2014    

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2013-2014

“Le dieci parole dell'amore”
 

 

12 ottobre 2013 Io sono il Signore Dio tuo
9 novembre 2013 Non avrai altri dei di fronte di me
14 dicembre 2013 Non avrai altri dei di fronte di me
11 gennaio 2014 Ricordo di don Giovanni Sansone
22 febbraio 2014 FilmInsieme: La leggenda del Santo bevitore
8 marzo 2014 Non nominare il nome di Dio invano
10 maggio 2014 Ricordati di santificare le feste
28 maggio 2014 FilmInsieme: Monsieur Lazhar

 

 

  Indice anno
 

Io sono il Signore Dio tuo

12 ottobre 2013

d.G.i

La rivelazione di Dio nella storia introduce all'accoglienza e alla comprensione della sua infinita trascendenza che è, nello stesso tempo, infinita condiscendenza. La rivelazione dell'Essere e del Nome è dirsi Essere Vivente e santo nel dono di se (Es. 20; Dt 5): "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti; conosco la sofferenza. Sono sceso per liberarlo (Es. 3,7-8).

Nella rivelazione del Nome di Dio c'è perciò l'affermazione della:

  • esistenza di un Essere sovranamente trascendente e misericordioso;

  • che si fa presente facendosi vicino al suo popolo e per sempre;

  • che dispiega la sua potenza d'amore nell'agire liberatore;

  • e la sua volontà di istituire una relazione permanente con il popolo a cui si svela perché sia "suo" (Ger. 11,4);

Da questa affermazione nasce la certezza della sua unicità:

  • "Io sono colui che sono"

  • Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra di Egitto, dalla casa di schiavitù.

Il profilo del Decalogo indica l'orizzonte in cui Dio invita a leggere le dieci parole non come precetti isolati l'uno dall'altro, ma come strumenti e segnali dello sviluppo della relazione di Dio con il suo popolo, e viceversa nella reciprocità. Una relazione che non è l'espressione d una legge naturale universale, pensata e istituzionalizzata filosoficamente, ma si radica nella storia di un popolo, liberato dalla schiavitù e messo in condizione di avere la gioia, di godere la libertà nella terra ricevuta in dono per grazia ("quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guardati dal dimenticare il Signore tuo Dio"). L'opera di Dio è significata concretamente nel dono della terra.
Il Decalogo, per conseguenza, non è l'imposizione di un "dovere" di obbedienza, ma il "dono", la "gioia" di "poter" vivere l'obbedienza riconoscente per il dono gratuito della libertà nella terra della libertà.
Questa libertà è sempre minacciata e in pericolo se non è condivisa e costruttrice di comunione fraterna. Come per dire che la libertà avuta in dono a sua volta va donata. Così il popolo e il singolo credente garantiscono al prossimo, con la propria permanenza nella terra della promessa, con il proprio sì, la promessa di Dio.
La libertà che nasce dall'accoglienza delle dieci parole non è solo per l'anima, ma anche per il corpo, non solo per il popolo ma per i singoli, non solo spirituale ma anche sociale, economica, politica.
E' una condizione di grazia per entrare e restare nella libertà, conquistata e donata da Cristo (Gal. 5,6).
"Il Signore ci ha ordinato di mettere in pratica tutte queste prescrizioni, perché temiamo il Signore nostro Dio per il nostro bene, tutti i giorni, e per conservarci in vita, com'è avvenuto oggi (Dt. 6,24).

 

"Io sono il Signore tuo Dio"

Scopriamo, nella fede, che il riconoscimento del Dio unico che deriva dalla voce che esprime la Parola nel libro dell'Esodo, al Dio che avviene nella storia, è la garanzia della libertà dell'uomo. Io posso riconoscere Dio come tale, e questa è l'adorazione nel senso più intimo e radicale che apre all'accoglienza e a lasciarlo agire nella sua libertà sovrana. L'impegno per la dignità e i diritti dell'uomo, quello per la giustizia, nascono da questa adorazione. Gesù propone con decisione il Nome di Dio, con l'atteggiamento e la visione positiva del Deuteronomio: "amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l'anima, e con tutte le forze (Dt. 4,5)
Proponiamoci, con l'aiuto dello Spirito di fare con le riflessioni su questo amore delle dieci parole non un'occasione di tipo culturale, ma un cammino per la fede che si va maturando nella concretezza della vita quotidiana. Gesù condensa i riconoscimenti di Dio nella preghiera dell' "Abba", con la conseguenza della preghiera di adorazione e dell'obbedienza, nell'apertura ai grandi spazi della sua paternità universale. Propone la sua relazione con il Padre nella formula semplice del Padre Nostro: "sia santificato il tuo Nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà". Il suo sguardo è verso l'alto con l'invocazione di Dio come Padre, è uno sguardo in avanti con la santificazione del Nome, e la venuta del Regno, è infine uno sguardo alla lode e alla riconoscenza per la libertà dal male. Entrando in questa relazione filiale, potremo vedere e sperimentare le dieci parole non come una costruzione giuridica e moralistica nel "dover essere", ma come uno spazio di libertà, una possibilità dio "poter essere".

L.a

Come proposta di lavoro per gli incontri di quest'anno . Penso sia il caso di utilizzare sistemi alternativi come un programma alla televisione. Documentarci quindi senza stare ad aspettare che altri ci versano il contenuto della riunione. Altrimenti non riceviamo dagli incorri quello che gli altri ci possono dare. Deve essere un cammino comune da fare insieme, per crescere insieme.
 

C.o

Ho incontrato per lavoro una signora che ha scritto un libro sulla "Coppia che scoppia". Ha raccolto testimonianze e le ha inserite nel libro. C'è una concezione della libertà del tutto deformata. Noi crediamo di essere liberi solo se riusciamo ad ottenere determinate cose. E' difficile vedere i comandamenti come un segno di libertà. Occorre vederli nel segno dell'amore. Ai nostri figli diamo suggerimenti che vengono presi come limitatori di libertà.
La libertà e l'amore viaggiano su linee parallele; il problema è capirli, e non è facile.
 

S.a

La libertà è un punto di arrivo successivo. Quando vivo i comandamenti mi sento libera. Siamo poco comunicativi nell'amore e non si percepisce la libertà.
C'è anche un modo nuovo nei giovani di vivere il cammino. E' una generazione che vediamo lontana dalla chiesa. Il pericolo è quello di un'omologazione al resto del mondo che nascondono ai genitori e non lo fanno vedere.
 

L.a

Più che essere ciechi è la rabbia che non ci fa vedere le cose nel verso giusto. Ma cerco di troavre la forza con l'aiuto sel Signore per superare la rabbia. I figli, si può dire, "seguono" i comandamenti ma sono lontani dalle istituzione della chiesa.
Quando ero giovane anche io ero distante dalla chiesa; poi crescendo mi sono riavvicinata ed ora la preghiera mi dà molto conforto.
 

F.o

Il tema scelto per quest'anno mi ha sconvolto perché è un tema bello ma bisogna incarnarlo. Dobbiamo verificarlo e comunicarlo. Possiamo farlo se lo viviamo. La domanda fondamentale è "Io sono il Signore tuo Dio": è vero questo per ciascuno di noi? Nel corso dei fidanzati proponiamo ad uno dei primi incontri una domanda: a che punto è la nostra fede?. Chiediamocelo anche noi nel corso di quest'anno come corrispondiamo all'amore di Dio.
Papa Francesco ci ha più volte rivolto l'invito: "siete a posto con la vostra coscienza?" Lo sforzo che dobbiamo fare e di capire a che punto siamo nel nostro cammino, utilizzando la meditazione e i tempi di silenzio.
 

F.a

Faccio parte di una generazione che ha seguito l'impostazione di famiglia. Però è certamente dopo che mi sono posto le domande e ho confermato la scelta a cui la mia famiglia mi aveva instradata. I nostri ragazzi, quindi, se riusciranno a ritrovare la strada, saranno ancor più artefici della loro scelta. Il seme è stato gettato e darà i suoi frutti a tempo. Queste scelte devono partire da una volontà di approfondimento.
 

L.o

Il tema è bello. L'affermazione "Io sono il Signore tuo Dio" è l'affermazione universale dell'uomo di fede. Come dice il profeta Baruc, io cercherò in questo mese di fare memoria dei momenti in cui ho brillato, per ringraziare il Signore.
 

D.a

Mi sono trovata anche io ad essere cristiana per tradizione familiare. Mi sono spesso chiesta se fossi nata in una famiglia diversa. Perché tante volte non riesco a vivere la mia scelta per egoismo o per fretta. Sento forte la necessità di essere amata ma quanto di quest è vera fede?
Per me è difficile parlare in gruppo: ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. E' necessario parlare dell'amore di Dio non solo come singolo ma anche come coppia. Ci sono dialoghi, discussioni su come vivere ciascuno ed insieme la vita di fede.
 

C.o

I ragazzi vedono la chiesa come potere e da questa vogliono stare lontani. Quando si cade in un errore e bello capire di poterlo evitare la volta successiva Guardiamo prima noi e poi gli altri. I dieci comandamenti non cambiamo ma forse è il nostro modo di vederli che deve essere modificato.
 

B.a

I dieci comandamenti sono qualcosa che abbiamo imparato a memoria e quindi ormai diamo per scontati che li viviamo in modo corretto. Io avuto il dono di aver partecipato ad incontri che mi hanno dato modo di realizzare consapevolmente la scelta di fede.Questa proposta di riflettere per un tempo lungo mi sembra importante che venga realizzata da ciascuno portando il suo contributo come frutto della propria esperienza personale.
 

 

  Indice anno
 

Non avrai altri dei di fronte a me - parte prima

9 novembre 2013

d.G.i

Non avrai altro dei di fronte a me (es. 20,3; Dt. 5,7)

"di fronte", "davanti a me" è forse un espressione che rimanda al momento del culto, per dire che il credente, nel momento dell'incontro con il Signore non può avere che Lui davanti agli occhi.
E quando affronta gli eventi dell'esistenza, altro Capo.

Il Signore vuole che Israele non segua altri dei, ma adori soltanto Lui.
Nel tempo del politeismo, ad ogni esperienza religiosa si deve un nome, un volto, una raffigurazione, come una pluralità di figure "divine", intese come possibilità diverse di incontrare la realtà unica di Dio.
Con il primo comandamento è proibito ad Israele di cercare per l'incontro con Dio altre vie che non siano quelle proposte da Lui stesso, che è la liberazione dalla schiavitù.
Dice il profeta Osea: "IO sono il Signore Dio tuo fin dalla terra d'Egitto; fuori di me tu non conosci altro Dio, fuori di me non c'è salvatore (Os. 13,4).
Perciò già nel sec. VIII a.C., Israele aveva certezza di dover adorare solo Javhè, e molto probabilmente custodiva questa certezza, teorica e pratica, già da prima.

Grandezza e difficoltà nella scelta di fede del monoteismo teorico e soprattutto pratico, ieri come oggi.

  • quali sono le difficoltà per le scelte di fede?

  • come ci aiutiamo nel custodire la certezza di fede?

  • il contenuto della fede incide sulla vita concreta?

  • come crescere nella fede?

S.Agostino: "Concedimi un po' di questo tempo per le mie meditazioni sui misteri della tua parola.
Non voler chiudere la porta a chi bussa...
Che io ascolti la voce della tua lode, a te mi disseti e contempli le meraviglie della tua parola, dal principio quando creasti il cielo e la terra, fino al momento in cui regneremo con te in eterno nella tua città santa (Confessioni 11,2,3)
 

d.G.i

Quest’anno scopriamo la luce dei comandamenti, colta personalmente, per crescere ed essere aiutati nel cammino della vita.
L’indicazione del rapporto con Dio, esclusivo, ci viene dal culto ebraico: quando si andava al tempio, si pensava solo a questo, si lasciava tutto, per essere nudi. Il fare ruba il tempo alla preghiera. Il rapporto con Dio è relazione (Cacciari) e Lui è geloso del rapporto col credente, che non deve cercare le strade della sua conoscenza per altre vie che non siano quelle rivelate da Lui stesso. Alcune forme di ricerca sono vane; ognuno di noi ha avuto insegnamenti e testimonianze: siamo fedeli a quello che ci è stato dato? Il nome del Signore non deve essere spezzettato, come avveniva nel politeismo. Se credo in Dio, non ho altro se non quello che mi sta dicendo. Se pensiamo a Maria, siamo aiutati a capire i suoi “sì”, dall’Annunciazione alla desolazione ai piedi della Croce

F.o

La realtà, la società attuale non riconosce automaticamente Dio, non aiuta nella sua ricerca; ciò può essere occasione di una maggiore consapevolezza e autenticità nella fede, ancora troppo devozionistica; sarebbe bello poter comunicare l’esperienza di fede anche tra di noi in questi incontri, in una comunione d’anima. Così come dovrebbe essere più naturalmente nella coppia e nella famiglia, in una sorta di “vasi comunicanti”. Pur vivendo nella diversità di scelte, si scopre l’arricchimento che viene da questa comunione.
 

E.o

Bisogna incontrarsi e incrociarsi in questa esperienza di fede. Ricorda la testimonianza avuta dal padre, da piccolo. La fede è caratterizzata anche da cadute, ma l’importante è rialzarsi. Si è molto aiutati dall’assiduità nella preghiera.
 

F.o

Vivere la fede significa attivarsi. Dai primi tre comandamenti, dall’amore verso Dio scaturiscono anche gli altri comandamenti. La realtà della vita di fede ha uno scopo e una meta, come ci ha detto d. Giovanni, che ha raccontato di un moribondo che l’ha salutato dicendo: “ci vediamo dall’altra parte”
 

B.a

Si sperimenta il fallimento se ci facciamo altri dei, al posto di Dio; è un porre qualcos’altro al centro della vita; se invece ricerchiamo Dio, si vive tutto meglio, e si scopre l’armonia
 

F.a

Esperienza forte vissuta nell’incontro del 26 ottobre u.s. tra il Papa e le famiglie: momento di intensa partecipazione, in cui il Papa ha dato tre indicazioni per la vita di tutti i giorni, nella coppia e in famiglia: saper dire “permesso”, “scusa” e “grazie”
 

L.y

si ha il pudore delle parole; una vita vissuta con coerenza è testimonianza di fede. Chiedo al Signore che io pronunci non una parola in più, non una in meno. Non si deve ricercare affannosamente un dialogo fatto di parole
 

F.o

Dobbiamo cogliere la grande indicazione alla semplicità dataci dal Papa: non sofismi o elucubrazioni nella vita di fede; le indicazioni date per la famiglia valgono anche per il rapporto con Dio: sapergli dire grazie, chiedergli il permesso di fare la sua Volontà, chiedere scusa per la nostra debolezza, e ricominciare.
 

S.a

Spesso si ha l’impressione di una vita sfasciata, dove manca l’armonia. Si corre il rischio di anteporre il pensiero di se stessi, come una sorta di idolatria, non seguendo quindi il I° comandamento; ha l’esperienza di aver fatto prevalere il senso di giustizia, senza affidarsi al Signore. Invece, vivere guardando le situazioni  con gli occhi di Dio rende la vita veramente armoniosa.
 

 

  Indice anno
 

Non avrai altri dei di fronte a me - parte seconda

14 dicembre 2013

 

L'incontro è stato animato da una coppia di amici, sposati da 24 anni con cinque figli, che hanno voluto condividere con noi il loro cammino fatto di difficoltà e riavvicinamenti, proprio nella luce della ricerca del Dio, nostro padre.

Lui:
Ho 51 anni; il Signore si è presentato improvvisamente un giorno in cui pensavo di farla finita dopo l'ennesima sconfitta al gioco di azzardo. Fidanzati per 4 anni, molto travagliati: i suoceri non volevano lui, semplice impiegato con la passione del calcio. Litigavamo molto. Il Signore ci ha portato al matrimonio così come aveva pensato da sempre per noi. Giocavo d'azzardo e pagavo i debiti sfruttando anche l'ufficio cassa, dove lavoravo. Non vedevo sbocchi per uscire da questa schiavitù, non gustavo la bellezza della vita, insensibile a tutto. Un giorno decisi di suicidarmi. Mia moglie mi ha aiutato a rialzarmi. Questa è stata la prima grande esperienza di Gesù vivo in mezzo a noi. Nonostante la mia ignoranza nella fede mi affidai a Lui completamente forse anche vigliaccamente. Non è stata una magia, ma qualcosa che ho pagato sulla mia pelle. E' stata una grazia quella di esserci ritrovati in una comunità tra fratelli che non ci hanno mai giudicato ma accolti. Il cammino successivo mi ha mostrato tutte le mie debolezze. La famiglia di origine, litigiosa e violenta (sono il quinto di sei fratelli maschi). Due fratelli vivono ancora in un contesto senza Dio e senza pace. Altre situazioni di soldi, sesso e possesso. Una tappa molto importante fu quella di testimoniare in comunità la vittoria di Gesù nella nostra vita. Ho avuto anche una relazione con un'altra donna di cui poi mi pentii. Confessai il tradimento a mia moglie. Avevo bisogno di una umiliazione forte; mia moglie maturò il perdono.
Quello che rimane è la testimonianza che Dio si è rivelato Padre, Creatore; ha ricreato la mia vita e noi siamo qui per dire che quello che oggi ci unisce, che ci ha restituito dignità è Dio. Sono felice di raccontare la nostra storia e manifestare la nostra gratitudine.

Lei: Io avevo basato la mia vita su di lui, contrastata dai miei familiari. Gesù mi ha detto di perdonare, a Lui mi sono affidata per avere la forza di farlo. IL Signore mi ha fatto la grazia di diventare un'altra persona; ho capito di dover rimanere vicino a lui che mi aveva fatto tanto male. Il perdono è un dono soprannaturale.

Lui: Non mi ha mai rinfacciato il male che le ho fatto, anche nei momenti di stanchezza. Questa grazia viene da Dio. Oggi ci sono tante divinità, per me esisteva il dio denaro, la lussuria, il gioco: su questo ponevo tutte le mie sicurezze. Oggi abbiamo la certezza che non c'è altro Dio all'infuori di Lui.
Le conseguenze si sono riflesse sui nostri figli, sempre presenti nei momenti difficili. Chiedendo perdono ai nostri figli, manifestando le debolezze, il Signore mi restituiva tutta la dignità e la forza che non mi erano mai appartenute. Il cammino continua; il Signore ha fatto di noi creature nuovo, anche grazie alla comunità con la quale abbiamo condiviso la nostra vita.
 

F.o

Noi vi ringraziamo perché vi sentiamo nostro fratello legati da tanto affetto. Questo incontro con il Signore è stato preparato, la grazia vera è stata la perseveranza
 

d.G.i

La fede nel Dio unico comincia ad avere spessore quando entra nella vita concreta
 

S.a

Quando si tocca con mano il perdono di Dio nasce la libertà
 

T.o

Chi veramente ha ricevuto una grande grazia è stata la moglie. La testimonianza silenziosa della moglie è il più grande riconoscimento. Lui ha ricevuto una sovrabbondanza di amore.
 

F.a

Il ruolo della comunità che accoglie e non giudica. Questo ci chiama a interrogarci e ci responsabilizza.
 

F.o

L'importanza del gesto di amore che trasforma le persone
 

P.a

Dipendenza dal lavoro. Michele non p mai a casa, sono io che porto avanti il progetto del nostro matrimonio, il nostro aver costruito la casa sulla roccia
 

P.o

E' lo stare insieme, è il parlare insieme che ci fa crescere.
 

F.o

Bisogna riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita. Saper condividere anche con i figli momenti di preghiera.
 

d.G.i

Se veramente si vive il "Non avrai altro Dio", se si porta nel concreto: "Signore cosa vuoi che io faccia?" Immediatamente si arriva al prossimo. L'amore nel Dio unico si incarna nell'amore ai fratelli. Nel capitolo 54 di Isaia, il Signore ci dice di allargare i cordoni della nostra vita. Tutti possiamo avere sottili idolatrie, bisogna mettersi davanti a Dio dicendo: "Tu sei l'unica ragione della mia vita". Il Signore risponde. La parola che viene da Dio è: "Vai da tuo fratello".
 

 

  Indice anno
 

Non nominare il nome di Dio invano
Ricordo di don Giovanni

11 gennaio 2014

 

Il cammino di quest'anno è stato sconvolto dall'improvviso ritorno alla casa del Padre di don Giovanni, nostra guida spirituale da molti anni. Non abbiamo voluto rinunciare al nostro incontro programmato ma ciascuno ha portato il suo ricordo della figura paterna di don Giovanni.
Gli appunti che seguono, presi durante l'incontro, vogliono essere una breve sintesi di quanto ci siamo fraternamente comunicati. 
 

M.o

Sarebbe per tutti difficile iniziare questa sera. Introduco io, come ho fatto altre volte, ben sapendo che non ci sarà don Giovanni a sostenermi. E’ difficile, dicevo, ma come ha scritto Fulvio in una email qualche giorno fa “dobbiamo stare insieme”. Ci sentiamo sbandati, dispersi, senza una guida. Fulvio ci ha paragonati ai discepoli dopo l’Ascensione.
Ma nel rispetto e nel ricordo di don Giovanni, proseguire i nostri incontri, come se lui fosse ancora con noi, è continuare a seguirlo. Lunedì scorso, quando siamo arrivati in chiesa dopo aver ricevuto la notizia, qualcuno ha detto: “se abbiamo capito qualcosa, dobbiamo amarci di più”.
Ecco quindi che stasera dobbiamo continuare il nostro percorso avendo ancora di più don Giovanni come riferimento, in modo da comprendere come dobbiamo proseguire.
Come vi ho ricordato nella mia email-invito, il comandamento su cui meditare stasera è “Non nominare il nome di Dio invano”. E non penso di fare una forzatura se subito viene in mente un’applicazione diretta alla sua figura: ogni parola di don Giovanni è stata sempre ispirata a parlarci di Dio, in maniera appropriata, senza sbavature. Il nome di Dio dalle sue labbra non è mai uscito invano, ma ha portato sempre frutto a chiunque lo abbia ascoltato. E speriamo, anzi ne siamo certi, che dopo l’ascolto siano sempre seguiti i fatti, le azioni, a completamento dei suoi suggerimenti.
Stasera vorremmo che ciascuno proponesse un suo ricordo, una preghiera, così come tanti avrebbero voluto farlo martedì durante i funerali. Già si stanno attivando inizative da più parti per raccogliere i suoi scritti o i ricordi di ciascuno di noi e renderli disponibili a tanti. Ma non è l’iniziativa che conta, è piuttosto il ricordo che portiamo dentro di noi e che cercheremo di mantenere vivo anche con iniziative di vario genere.
Io propongo di incominciare il nostro incontro rileggendo il brano del Cantico dei Cantici che è stato proclamato durante il suo funerale.
Lilly ci ha detto che don Giovanni le aveva confidato tempo fa di desiderare proprio questa lettura per la liturgia dei suoi funerali. Ascoltandolo, diventa per noi un suo lascito, un testamento che dobbiamo fare nostro per conoscerlo ancora di più.

Ora l'amato mio prende a dirmi:
«Àlzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!
Perché, ecco, l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico sta maturando i primi frutti
e le viti in fiore spandono profumo.
Àlzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto! (CdC 2,10-13)

 

L.y

Come Maurizio ha detto e come ho raccontato già molte volte, un giorno tempo fa eravamo con don Giovanni insieme ad altre persone. Mi venne da dire: "Don Giovanni, nella realtà delle cose è possibile che sarai prima tu ad andare via. Ma se dovesse essere il contrario, vorrei che per il mio funerale fosse scelto il brano del Cantico dei Cantici "Alzati amica mia!" Lui mi guardò un po' sornione e mi disse: "Ma questo è quello che vorrei anche io!" Così mi è sembrato giusto proporlo per la celebrazione di martedì scorso.
Per ricordare la sua figura voglio raccontare il legame che, tramite me, c'è stato tra don Giovanni ed una persona molto anziana che da tempo vado a visitare. Una persona molto colta, che nella sua vita ha sofferto tanto. Dopo aver conosciuto don Giovanni ed aver con lui intrapreso un dialogo profondo, mi ha rivelato una volta: "Conoscevo il Cristo e le scritture, molto della nostra fede a livello culturale, ma don Giovanni mi ha portato questa comprensione dalla mente al cuore, presentandomi il Cristo in maniera diversa”.
A me don Giovanni ha fatto capire cosa significa quando diciamo "Gesù è morto per noi, è morto per ognuno di noi". Perché ho visto che nel rapporto personale lui sapeva mantenere un legame intenso, unico con ciascuno, quel legame personale che Cristo ha con ciascuno di noi.
 

C.o

Anche io voglio sottolineare il legame personale che legava tanti di noi a don Giovanni. Un legame che si può esprimere con "Solo per te". Quando ci sono stati i funerali , nel volto di ciascuno ho visto questo rapporto personale che lo legava a don Giovanni. Io ricordo con meraviglia che, quando mi incontrava, mi chiedeva dei miei figli ricordandone il nome. E non poteva essere che questo avvenisse solo con me. Con ciascuno aveva questa capacità di rapporto diretto ed intenso.
 

F.a

Stasera penso che molti ripeteremo la stessa cosa. Io ricordo che non c'era bisogno di raccontare la propria storia, perché da parte sua c'era un seguirti nella tua vita , un esserne parte conoscendone ogni aspetto.
 

F.o

Credo di non aver paura di ripetere le cose. Conosco don Giovanni dal '64. Gli inizi non sono stati semplici, in seguito c'è stata una crescita. Inizialmente due vite parallele: i ragazzi di don Giusto ed il gruppo che si andava formando intorno a don Giovanni. Allora iniziò a circolare la parola "comunità". Qualcuno considerava strano questo termine o equivalente a qualcosa di non ortodosso. Don Giovanni ha preso l'eredità di don Giusto, facendo fiorire una primavera per la chiesa di Napoli. Abbiamo anche avuto in quei tempi la visita di qualche osservatore del vescovo, per rendersi conto di cosa succedeva a Piedigrotta. Nel suo stile, sempre presente ma mai protagonista, ha saputo aspettare che i tempi maturassero. Pian piano s'è creata una convergenza di vedute.
Per il Sinodo della chiesa di Napoli, che fu preparato in tutte le parrocchie, don Giovanni chiese alle persone più vicine di incontrarsi per prepararsi al sinodo. E' stato l'inizio della collaborazione dei laici, che mettevano a disposizione il loro punto di vista per programmare insieme. E' stato il primo embrione del consiglio parrocchiale; una delle indicazione del sinodo fu la creazione dei tre centri pastorali da affidare ai laici e la parrocchia di Piedigrotta , per merito di don Giovanni, si trovò già preparata per avviare questa esperienza. Don Giovanni lo avviò poco prima di andare via a Roma per diventare padre visitatore dell'ordine.
Anche don Giuseppe, che venne a sostituirlo, come don Giovanni nel presentarsi disse: "aiutatemi a fare il parroco". E così quell'esperienza, appena iniziata, ebbe modo di continuare e crescere.
Nel periodo a Roma don Giovanni non ha fatto mancare l'affetto e la vicinanza alla parrocchia di Piedigrotta. Ma quando nel 2000 è ritornato, ho trovato in lui una tale disponibilità ed una tale presenza da entrare in tutte le realtà che si erano formate: Famiglie Insieme, Andare Oltre, Mamme Cristiane. Lui aveva piacere a stare con noi. E' diventata in ogni gruppo una presenza insostituibile.
Così il mio rapporto con lui è cresciuto di intensità tanto da essere realmente uno per l'altro. E voglio qui ricordare due messaggi che ha lasciato a Famiglie Insieme, come compendio del tanto aiuto che ci ha dato:
il primo a Roccamonfina nel 2006, quando dette l'indicazione del “ Magis”, del fare di più, del non accontentarsi di quello che abbiamo puntando sempre al di più che ci aspetta;
il secondo, con la sua insistenza a sollecitarci a non essere fruitori ma protagonisti. Ognuno dovrebbe avere questa tensione giorno per giorno nella sua vita.
 

S.a

Venendo in bicicletta mi sono passate tante immagini per la testa. I discepoli si dicono "dove andremo". Sembra non vero che lui non ci sia. Essere qui in tanti stasera dimostra veramente il grande affetto che legava ciascuno di noi alla sua persona.
Conservo con cura un messaggio che lui mi mandò tempo fa: "Grazie, veramente grati nel cuore per il dono di esserci incontrati. Buon Tutto."
Un giorno incontrai Pier Paolo nella chiesa del Casale, la mia parrocchia. Cercavo un posto dove portare i miei figli che avevano da poco fatto la prima comunione, ma forse cercavo anche qualcosa per me. E Pier Paolo, dicendomi che avevo bisogno di un padre spirituale, mi indicò la parrocchia di Piedigrotta.
Oggi dico che io ho perso più di un padre, un padre spirituale. Don Giovanni è stato per me un anello di congiunzione con il Signore. Tramite le sue parole, io riesco a ricongiungermi a Dio. Pensando alla scala di Giacobbe, così come se ne parla nella Bibbia, penso che don Giovanni sia stato per me quella scala. Ci siamo accorti negli ultimi tempi che il corpo di don Giovanni era stanco. Ma quello che mi porterò sempre nel cuore è quel suo ripetermi, specie nell'ultimo mese, "ti voglio bene".
Il giorno dell'Epifania dovevo riconsegnargli un libricino che mi aveva prestato; ora è rimasto a me. Io credo poco alle cose casuali e considero questo un regalo che lui mi ha fatto. Il nostro piccolo gruppetto deve continuare ad incontrarsi, per una fedeltà che continua e che non deve venire meno.  
 

L.a

Avevo 15 anni quando l'ho conosciuto. Dopo 5 anni, tramite lui, ho conosciuto un cammino che sto continuando a condividere con lui. Il vangelo che abbiamo proclamato al suo funerale era il vangelo dell'unità; era il suo cammino spirituale a trasformarlo in un uomo capace di farsi vuoto per accogliere la vita di chi gli era davanti.
Abbiamo avuto modo di mantenere vivo questo rapporto, anche quando lui non era a Napoli. Negli ultimi quattro anni ho avuto modo di incontrarlo ogni giorno. Lui aveva la capacità di prendermi e portarmi nel positivo. Sentivo che lui si sapeva fare piccolo per me, come ha fatto Dio che si è fatto piccolo nel grembo di una donna.
Questi quattro anni sono stati una grazia, perché nella reciprocità ci aprivamo l'un l'altro. Ho avuto la grazia di ricevere tanto da lui. Non so esprimerlo in modo corretto, perché è stato un vissuto. E lui mi ha sempre sostenuto a vedere il positivo, con il peso di un corpo che, visto anche con sguardo medico, ogni giorno cedeva un pò di più, mentre lo spirito cresceva.
L'ultimo giorno che l'ho incontrato era molto debole. Ma, dal punto di vista medico, niente lasciava pensare a quello che è successo.
Ci siamo lasciati come al solito. Ho vissuto questo rapporto intensamente, ma non mi accorgevo della profondità che ero riuscita a raggiungere nell'incontro con lui. Solo quando ho saputo che non era più con noi, ho raggiunto un punto di dolore a cui non credevo di arrivare. Un punto di dolore che mi ha fatto urlare.
Dalla sera che lui è partito, ho recuperato quel rapporto, perché viviamo nella comunione, perfetta per lui, ancora imperfetta per me; il suo corpo era qui ed ora non c'è più, ma il suo spirito era ed è in ciascuno di noi.
Su questa sedia, dove lui di solito si sedeva, ci sono tre garofani rossi. Il movimento dei focolari ha questo simbolo quando una persona lascia questa terra: i garofani sono quelli che Chiara Lubich poté offrire al Signore il giorno che si offrì a Lui.
Questi fiori dunque non sono per ricordare chi non c'è più, ma per dire grazie della presenza di questa persona tra noi, che ora aiuterà il cammino di tutti i gruppi che lui ha ispirato.
 

G.o

Ricordo un episodio forse banale per sottolineare la disponibilità che aveva, che gli faceva mettere sempre in secondo piano la sua persona.
Non molto tempo fa è venuto a casa a visitare i miei genitori. Quando è arrivato, l'ascensore era guasto e noi abitiamo al sesto piano. Per mantenere fede all'appuntamento preso, è salito e sceso per i sei piani del palazzo, una fatica per lui certamente non di poco conto.
Ogni mia rimostranza per aver fatto una tale fatica, è stata liquidata con la frase: "tua madre mi aspettava".
Ed ora, se trovo l'ascensore fermo, non posso non pensare a questo gesto che mi fa salire in silenzio. sopportando la fatica, così come ha fatto lui.
 

MR.a

Quando ci incontravamo il suo saluto era sempre: "che bello vederti qui". Era lo spalancarsi di una porta per accogliermi. Quello che mi resterà, a parte la sua dimensione spirituale, è il calore delle sue mani quando andavo a confessarmi. Di mia mamma ricordo il calore del suo corpo, quando la sollevavo nel letto negli ultimi tempi della sua vita.
Di don Giovanni ricorderò il cambiamento nei suoi occhi quando, terminati i saluti, incominciavamo la mia confessione: erano un completo svuotarsi per far posto a chi era davanti a lui.
 

B.a

Ho conosciuto don Giovanni che ero una ragazzina. Mi ero allontanata dalla chiesa dopo tre anni in un istituto di suore. In casa c'era mia madre, molto tradizionalista, mentre mio padre si era allontanato dal frequentare la chiesa. Io ero piuttosto disorientata. Arrivai a Piedigrotta e mi feci una chiacchierata con "questo" parroco e rimasi folgorata. Ne parlai con mia madre che cominciò a venire anche lei a Piedigrotta. Infine mio padre venne anche lui, dicendo " ho trovato il sacerdote che dico io!". La vita della mia famiglia è stata trasformata da don Giovanni.
Noi esseri umani non riusciamo a capire i segnali che ci manda Dio. La potenza di don Giovanni è essersi fatto tramite per farci comprendere la volontà di Dio.
Don Giovanni è diventato la mia guida spirituale, ma anche il mio migliore amico. A lui ho confidato tutti i fatti miei, a cominciare dalle stupidaggini di una ragazzina di 16-17 anni. Lui aveva un rispetto ed un'attenzione come se fossero cose serie.
E' stato per me un padre. Con don Giovanni ho salutato i miei genitori; si era intanto trasferito a Roma, ma è stato capace di essere presente a tutti gli eventi importanti della mia vita.
La mia determinazione ad avere un figlio, pur sapendo i rischi, mi era venuta dalle tante conversazioni con lui. Quando si è annunciata Emanuela, ero assillata dai consigli di chi mi era intorno. Ho avuto una lunga telefonata con lui che era a Roma. Lui non diceva mai cosa fare, ma ascoltava e poi diceva poche e semplici parole. Dalle sue parole, ho avuto il consiglio giusto per portare avanti la mia gravidanza fino alla nascita di mia figlia.
 

L.y

Non voglio tirare già una conclusione. Abbiamo visto come ci sia tra noi una comunanza di esperienze. Se abbiamo capito quello che lui voleva dire, dobbiamo essere attenti a quello che viviamo. Dobbiamo prestare attenzione all'accoglienza del nuovo. C'è voluto del tempo, ci diceva Fulvio. A noi tocca darci questo tempo per trovare una sincronia con il nuovo. Ognuno di noi è insostituibile. Ricordo quando venne il momento per me di sostituire Mena nel gruppo delle Mamme Cristiane. Fu don Giovanni a dirmi: "Dio ci ha dato un talento, non devi sostituire nessuno, tu dai il tuo”.
Se facciamo paragoni, tutto crolla. Tutti abbiamo sottolineato l'accoglienza che don Giovanni era capace di donare. Dobbiamo portare accoglienza a chi viene. Il gruppo viene costruito sulla libertà di accoglierci e di condividere.
 

L.a

Dobbiamo chiedere con fiducia lo Spirito Santo. Se chiediamo ci viene dato qualcos'altro, così come Gesù ci ha promesso. Noi dobbiamo mettere la nostra parte: dobbiamo pregare di più lo Spirito Santo. Anche se in momenti diversi, possiamo insieme pregare lo Spirito per invocare l'aiuto a saper continuare in questo percorso. Una preghiera insieme, che sia un "consensum". Dobbiamo accogliere il nuovo, dobbiamo anche condividere l'unione dei gruppi, così come stiamo facendo stasera.
 

F.o

Voglio ritornare sulla parola insostituibile. Non si può sostituire una persona. Cammino molto e da lunedì quando cammino mi chiedo come farò. Non dipende da noi, se ci misuriamo con le nostre forze non ci è possibile. E' una tentazione di cui don Giovanni sarebbe il primo ad essere scontento, perché privilegiamo la persone e non quello che passa attraverso la persona. La parola di vita di questo mese è "Cristo è l'unico fondamento" E' quindi Lui quello che una persona tenterà di proporci. Dobbiamo trovare questa forza, perché abbiamo bisogno di camminare insieme nello stile di don Giovanni , senza fare paragoni, accogliendo il nuovo che viene. Dobbiamo far vivere Gesù Cristo che è sempre vivo ed è mediato dai suoi ministri.
Mi sono permesso di fare il paragone con gli apostoli, perché sentivano realmente questa mancanza. Questa mancanza venne riempita dallo Spirito. Noi abbiamo bisogno del Consolatore che ci aiuta. Lo Spirito ci deve indicare la novità che dobbiamo accogliere.
 

F.a

Il vangelo di qualche giorno fa diceva di Gesù che cammina sulle acque, raggiungendo gli apostoli sulla barca. Agli apostoli intimoriti Gesù dice: "Non abbiate paura, sono io".
Quando ho avuto la notizia ho subito detto "come faccio" e poi mi sono vergognata perché ho pensato solo a me stessa. Siamo persone adulte, eppure ci sentiamo sbandati. In questi giorni ho avvertito molto il desiderio di stare con voi: queste pillole di ricordi che ciascuno sta offrendo a tutti noi, mi aiutano a riprendere il cammino.
 

B.a

Un'altra cosa che voglio ricordare, che veniva fuori dalle chiacchierate con don Giovanni, era di prendere sempre il meglio dell'altro. Di qualsiasi persona in relazione con te prendine sempre il meglio, mi diceva. Se stasera siamo qui in tanti, così legati l'uno all'altro, è perché c'è stata la sua capacità di trasmetterci la voglia di tessere un legame. Stiamo insieme perché abbiamo compreso il meglio dell'altro.
Quando abbiamo iniziato il percorso dei fidanzati, fu don Giovanni a chiedere a me ed a Pino di darci da fare e disse: affiancatevi a Fulvio e Linda. Mi sembrava una proposta fuori dal mondo, ma aveva ragione lui.
 

S.a

Uno degli insegnamenti più grandi che lui ci ha donato è la sua profonda umanità, che nasce dalla conoscenza assoluta della Parola.
Noi dobbiamo saper masticare la Parola, da cui nasce l'unione, l'amore. Il tesoro più grande che ci lascia non è la conoscenza intellettuale e culturale della Parola, ma la profonda comprensione e la capacità di viverla.
 

 

Abbiamo terminato l'incontro intonando insieme il Veni Creator per chiedere allo Spirito Santo che ci renda capaci di proseguire il cammino che don Giovanni ci ha indicato in questi anni:

Vieni, o Spirito creatore,
visita le nostre menti,
riempi della tua grazia
i cuori che hai creato.

O dolce consolatore,
dono del Padre altissimo,
acqua viva, fuoco, amore,
santo crisma dell'anima.

Dito della mano di Dio,
promesso dal Salvatore,
irradia i tuoi sette doni,
suscita in noi la parola.

Sii luce all'intelletto,
fiamma ardente nel cuore;
sana le nostre ferite
col balsamo del tuo amore.

Difendici dal nemico,
reca in dono la pace,
la tua guida invincibile
ci preservi dal male.

Luce d'eterna sapienza,
svelaci il grande mistero
di Dio Padre e del Figlio
uniti in un solo Amore.

Sia gloria a Dio Padre,
al Figlio, che è risorto dai morti
e allo Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli.

Amen.
 

 

  Indice anno
 

Non nominare il nome di Dio invano

8 marzo 2014

d. F.o

Siamo abituati alla dicitura che abbiamo imparato a memoria nel catechismo: "Non nominare il  nome di Di invano".
Ma il testo è un po' diverso. Nella forma che conosciamo ci viene in mente subito: non bestemmiare.
I dieci comandamenti, chiamati anche "le dieci parole dell'amore" ci vengono dette nella forma negativa e non in quella positiva. Sono un indice minaccioso puntato verso il colpevole. La negatività del linguaggio che esprime il "non fare!"
E' un espediente di matrice semitica per esaltare l'incisività e la lapidarietà delle cose. E' fatta per dare semplicità e chiarezza.
Gli studi biblici parlano del senso positivo  dei comandamenti e vengono perciò chiamati " le dieci parole dell'amore".
Nascono dalla coscienza che Dio ha preso a cuore il suo popolo. Non è il popolo che prega Dio, ma Dio che scende a liberarlo.
Il popolo fa esperienza di di essere amato da questo Dio sconosciuto. Ci vorranno i quarantanni del deserto per riconoscerlo di nuovo.
Scopriamo invece il senso positivo: leggiamo la Bibbia, libro dell'Esodo capitolo 20: " Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano". Anche nel Levitico c'è un uguale formulazione ma con parole diverse.
Si pensa subito alla bestemmia che è invece assente nel vicino oriente.
Il nome nella cultura semitica dice la persona. Invano in ebraico si dice LASAW che si traduce anche con "il vuoto", che si può mettere in relazione con l'idolo.
L'idolo è la proiezione dei bisogni dell'uomo. L'uomo è l'immagine di Dio. Quindi usare il nome di Dio per esprimere altre cose è vuoto. Il peccato è più grave della bestemmia perché vuol dire annullare Dio.
E' chiamare il Dio che fa da tappabuchi, il Dio che risolve i problemi, che deresponsabilizza dalla vita.
Dio invece è il tutt'altro, è l'oltre. E' la grandezza, è la santità di Dio che non è a nostro uso e consumo.
Nel Padre Nostro Gesù chiede: sia santificato il tuo nome.
Abbiamo fatto le Crociate con "Dio lo vuole" che non è una bestemmia ma un usare il nome di Dio.
Diciamo spesso "E' la volontà di Dio" perché non sappiamo cosa dire. Anche nella preghiera possiamo usare questa espressione.
Gesù specifica il comandamento invitandoci a credere che il nome è in relazione con la persona. Gesù ci ha detto che è venuto a portare a compimento la legge.
Dio in Cristo si è fatto relazione e nella relazione si è fatto santità, alterità, diversità.
Il santo non è la perfezione della vita ma il cammino verso Dio
I santi sono coloro che sono capaci di amare come Gesù, seminatori di gioia come lo Spirito Santo.
Santità vuol dire compiutezza. Il compiuto non è staticità di contemplazione ma vita che si fa dono, che si mette in relazione.
Alterità è un amore che è altro. Dio ama i giusti ed i peccatori.
Diversità: altro da tutt'altro, unico per essere ciò che sei.

 

Non nominare il nome di Dio invano, significa non nominare Dio per i tuoi scopi. Non vanificare il nome di Dio, perché usandolo per noi gli cambiamo il nome, gli facciamo fare a Dio quello che non è.

 

M.o & F.a

Per introdurre la discussione su questo argomento abbiamo pensato di leggere quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica dice appunto sul secondo comandamento per fare insieme alcune riflessioni.
Nel catechismo leggiamo: “Il secondo comandamento proibisce l’abuso del nome di Dio”. E ad esempio di questa affermazione vengono considerati 3 casi:

• Le promesse fatte ad altri nel nome di Dio
• La bestemmia “parole di odio, di sfida, di rimprovero nel parlare male di Dio”
• Le imprecazioni, quando cioè si usa il nome di Dio senza arrivare alla bestemmia, ma con mancanza di rispetto.

Ci sembra che il riferimento al secondo comandamento in questi termini sia molto immediato. Se ciascuno di noi fosse chiamato a fare un esame di coscienza sul rispetto del secondo comandamento andrebbe subito ad esaminarsi su questi punti. E’ anche vero però che a volte l’educazione ricevuta e l’ambiente in cui viviamo ci tengono lontani dal cadere in queste tentazioni. L’imprecazione a volte diventa quasi un parlare comune, un intercalare, senza una vera intenzione di mancare rispetto.
C’è un secondo aspetto che viene richiamato nel catechismo e su cui vorremmo trattenerci per richiamare la nostra attenzione su come viviamo questo comandamento.
Il Catechismo ci ricorda che il Battesimo è conferito “nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” e quindi il nostro nome è un richiamo continuo al sacramento ricevuto. Ma ci ricorda anche che il cristiano inizia la giornata segnandosi con il segno della croce “nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”
A questo proposito vogliamo soffermare la nostra attenzione con 3 diverse situazioni esempi che possono avviare la nostra discussione e darci la possibilità di un confronto.
Per primo pensiamo alla religiosità della gente nelle feste popolari e nel culto verso santuari ed altre manifestazioni. Viene da ricordare che spesso mafia e camorra hanno utilizzato ed utilizzano queste feste non solo come fonte di guadagno ma anche per ribadire il proprio dominio ed il rispetto dovuto ad un “boss” della zona.
Questo magari sembra lontano da noi, ma anche noi, nel nostro “piccolo” possiamo fare un uso improprio della nostra religiosità, chiamando a conferma o sostegno delle nostre scelte Dio Padre, la Madonna, un santo in maniera non idonea. E’ su questo che dobbiamo riflettere perché la nostre fede ritrovi una semplicità che sia segno delle nostre scelte sincere.
Una seconda considerazione riguarda il periodo natalizio; il Natale è diventato per molti aspetti tutto fuorché il Natale. Sentire alla televisione slogan come: “Natale è...” accanto a nomi di prodotti reclamizzati è certamente un abuso del nome di Dio che nel Natale viene celebrato per il suo condividere la nostra natura umana.
Anche qui siamo chiamati a rivedere le nostre scelte. Vivere nelle festività natalizie un clima di legami familiari e di amicizia che sottolinei la gioia della festa è certamente un dato positivo. Diventa negativo laddove il clima stesso ci porta lontano dal suo vero significato. Io resto sempre molto male, e purtroppo anche quest’anno, quando il cenone della vigilia ci impegna e ci coinvolge al punto da sentirci troppo stanchi per partecipare alla messa di mezzanotte. Mi sembra un segnale che il cenone sia più importante della celebrazione eucaristica.
I segni del Natale quindi ce ne devono ricordare il vero senso ma non portarci distanti, utilizzando la festa per altri scopi.
Infine una terza considerazione riguarda il nostro rapporto con la Chiesa e in particolare con la parrocchia. Molti di noi sono impegnati in attività di catechesi o semplicemente partecipano alle attività della parrocchia. Ma quante volte questo impegno diventa solo un affermare le proprie capacità dando più importanza alla preparazione che non a quello che occorre fare. In altre parole c’è il rischio di utilizzare il nome di Dio in un impegno che però diventa quasi competizione tra chi è più bravo. In molte parrocchie viene contestato questo atteggiamento, presente certamente anche nella nostra.
Ma anche qui, guardiamo a noi stessi; a come sappiamo dare il nostro contributo solo e semplicemente per la testimonianza che vogliamo dare, spogliandoci da tutto quello che non è strettamente necessario alla realizzazione dello scopo.
Ovviamente altri esempi potrebbero arricchire questa panoramica. Abbiamo voluto solo dare un avvio alla discussione suggerendo un percorso di interpretazione di questo comandamento, senza fermarsi ad una lettura immediata e superficiale.
 

F.o

L'ho sempre visto in maniera riduttiva perché la bestemmia è scagliarsi contro Dio. Io devo invee riconoscere il mio Dio.
 

S.a

La mia esperienza: a 17 anni sono stata attratta dalla profondità delle parole e poi dal carisma della comunità di Sant'Egidio per l'aiuto ai poveri ed agli emarginati in forma di servizio.
Bisogna stare attenti a capire quanto, sia nel fare sia nell'ascoltare si vive l'"invano" o la sequela al Signore.
 Nel fare c'è un grande carisma ma c'è il rischio di abbandonare altre cose.
il cammino con il Signore, l'ascolto, il condividere è un calarmi in un servizio nella mia vita.
Il tutte le cose che faccio, è il rapportarmi continuamente nel Signore che mi sembra di non usare il nome di Dio invano.
Vanifichiamo il nome di Dio quando le nostre azioni sono compiute invano senza vedere la meta.

 

P.a

Cosa significa fare la volontà del Signore? Gesù ci ha detto ama il prossimo come te stesso. Bisogna attualizzare nel concreto, mettersi in gioco. La scelta dei miei figli, sono lontani dalla frequentazione, ma nel loro modo di agire mi sembra che abbiamo trasmesso loro dei valori.
 

d. F.o

La nostra esperienza cristiana è fatta di religione. Quando si romperà la religione, ritornerà la fede
 

T.o

Io sono convinto che tante realtà che sembrano solo del fare sono invece realtà di condivisione. Dobbiamo essere convinti che il Signore è presente anche in realtà laiche che agiscono per gli altri.
Gesù nell'Eucarestia ha parlato di condivisione: quindi in tante realtà laiche dove la chiesa non è presente, Gesù è presente.
 

F.o

Voglio calarmi nella realtà di tutti i giorni. C'è un abuso del nome di Dio anche tra le confessioni cristiane. Quante cose che si vestono di religiosità nominano il nome di Dio invano. Come i farisei che facevano una cosa ma non ci mettevano il cuore. Non dobbiamo dimenticare che vogliamo fare le cose nel nome di Dio. Dio si rivela a chi lo fa entrare. Dobbiamo imparare queste piccole cose per fare entrare Dio nella nostra vita. Accogliere il seme che viene in te in modo che il nome di Dio non venga pronunciato invano. Se ti viene da un altro p forse perché ti viene da Dio.
Noi possiamo far vivere il nome di Dio perché insieme nella coppia ne abbiamo ricevuto uno. Dobbiamo capire il significato dei sacramenti che abbiamo ricevuto. Dobbiamo ricordarci nei momenti nell avita familiare che stiamo vivendo il nostro sacramento.
Il Signore ci dà la grazia di conoscere persone che non nominano il nome di Dio invano. CI sono persone che ci sono accanto che fanno la volontà di Dio e ce la fanno trasparire.
 

 

  Indice anno
 

Ricordati di santificare le feste

10 maggio 2014

T.o

L’incontro di oggi sul terzo comandamento “Ricordati di santificare le feste” ci riciama alla mente la gioia vissuta il mese scorso nel celerare insieme la nostra festa.Ho trovato una riflessione su questo comandamento di padre R. Cantalamessa ()

Ci dobbiamo quindi chiedere: cosa significa per noi pggi questo comando “Ricordati di santificare le feste” rispetto a quello che era il percorso del popolo ebreo fino a gesù quando lo scopo della comunità divenne l’ incontrarsi per leggere insieme i testi sacri e celebrare a Pasqua.
Cosa vuol dire “rendere sacra una festa”
La cultura di oggi è che anche la festa deve diventare un giorno normale. C’è più la voglia dell’evasione. Anche i ragazzi sono portati a fare interminabili notti del sabato sera per cui la domenica diventa il giorno del dormire. Santificare, invece,è portarsi uori dall’ordinarietà. Anche nel mondo del lavoro c’è da scontrarsi con la realtà per cui si è imersi inun situazione convulsa. Ti viene chiesto di astrarsi per ritornare dentro te stesso.
Nella nostra esperienza vissuta il mese scorso, c’è sata una dimostrazione che un momento di festa si è reso sacro. Era una comunità che partecipava alla festa della nostra famiglia. Don Giovanni ci aveva spinto a trasformare la festa della nostra famiglia in festa della comunità. Ci ha fatto scoprire una comunione ma anche una sacralità.
Che cosa è sacro? E’ una cosa che non si può violare; per noi è stata un cosa che ora ci appartiene e che nessuno potrà toglierci. Non è stata più la nostra festa ma la festa di tutti.
 

L.a

Non dobbiamo ostacolare che la bellezza di Dio si manifesti attraverso di noi. Il matrimonio è uno di questi momenti. Il mondo moderno non crede più a niente. Noi dobbiamo testimoniare la bellezza del matrimonio. Partecipai ad un in incontro con mons. Paglia, anni fa, quando era delegato per l’ecumeniso. Fece una relazione sul significato di questo comandamento. Mi colpì una cosa a cui non avevo mai pensato: stando nella nostra casa noi facciamo tante cose nella domenica, a volte per avvantaggiarsi sugli altri giorni; questo non è giusto perchè ogni istante della domenica dovrebbe essere dedicato a Dio. Io, per quanto posso, cerco di non fare niente che sia legato al lavoro quotidiano, per dedicare il tempo non solo alla preghiera ma anche al rapporto con gli altri della famiglia, a volte difficile negli altri giorni, o agli amici, le relazioni.
 

P.a

Molti sono portati ad andare via dalla famiglia; invee bisognerebbe dedicare il tempo alla famiglia. Il Signore lo incontriamo anche stando insieme.
 

F.a

Ha senso anche come testimonianza è come apertura che per te è importante. Tutti i comandamento appaiono nella loro forma come degli imperativi. Questo sembra più un’esortazione . E’ come se fosse messo in conto che dobbiamo lasciare spazio al Signore. Invece anche la preghiera è relegata in un momento veloce.
 

F.o

Santificare significa vivere con Di, mettere Dio al primo posto. L’aspetto del rapporto diretto con Dio. Il senso della festa tra ebrei e cristiani è diverso. Per gli ebrei la festa è più cultuale . Per i cristiani invece è anche il giorno della comunità. Per rendere reale il giorno del Signore occorre vivere nella comunità in cui l’eucarestia è il momento culminante. Occorre riscoprire il momento dell'eucarestia come momento di incontro. Occorre fare dell'eucarestia domenicale un momento bello Una comunità matura dovrebbe avere cuore tutta la celebrazione e tutte le celebrazioni. Nel futuro, dobbiamo essere coscienti, i sacerdoti non basteranno per soddisfare le richieste di oggi e dovremo, noi laici, farci carico di questo.
 

S.a

Il “ricordati” è anche nel vivere un’attesa durante la settimana, perchè tutti sono chiamati a vivere questa tensione. C’è un’atmosfera più forte nella comunione con il Signore.
 

T.o

Santificare è eliminare le preoccupazioni. Siamo chiamati a liberarci da questo. Voglio ricordare l’episodio del vangelo di Marta e Maria. Gesù dice a Marta che non ha capito la scelta di Maria. Maria si dedica all’incontro con Gesù, che non gli arà tolto (le mie parole non passeranno…). E’ questo il santificare: avere il tempo di uscire fuori dall’ordinario. Dobbiamo tirarci fuori dalle preoccupazioni. Da lì dobbiamo recuperare le forze per ripartire di nuovo. Possiamo richiamare qui anche il significato del giorno ‘primo’ ed ‘ottavo’ dato alla domenica, inizio fine del nostro percorso. La domenica diventa momento privilegiato.
 

G.i

A volte non si ha l’atteggiamento di voler stare insieme: il santificare la festa non deve essere un dovere ma un piacere di stare insieme.
 

 

 

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2012-2013

“La fede, vissuta nella coppia e nella famiglia”
 

 

13 ottobre 2012 Guardiamo alla famiglia a cinquant'anni dal concilio
10 novembre 2012 Il Matrimonio nel disegno di Dio
15 dicembre 2012 A Betlemme la storia di Natale (Lectio divina)
12 gennaio 2013 Il matrimonio nel Signore
26 gennaio 2013 FILMINSIEME: FIREPROOF
9 febbraio 2013 Il consenso del matrimonio, la promessa
9 marzo 2013 Preparazione al Pasqua - "Cristo risorto fondamento della nostra Fede"
13 aprile 2013 La fedeltà nell’amore coniugale
11 maggio 2013 La Chiesa domestica
8 giugno 2013 FILMINSIEME: La bottega dell'orefice

 

  Indice anno
 

Guardiamo alla famiglia a cinquant'anni dal concilio

13 ottobre 2012

 

Dalla costituzione dogmatica "Lumen Gentium" (LG,11)

Il sacerdozio comune esercitato nei sacramenti
I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio. Da questa missione, infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno, quella sacra in modo speciale.


d.G.i

Un sacramento per significare e partecipare il mistero di unità e fecondità che è il rapporto tra Cristo e la Chiesa.
Stiamo leggendo, in quest'anno B del ciclo triennale, il capitolo 10 di Marco con le esigenze forti del vangelo su indissolubilità, bambini, denaro. L'insegnamento di Gesù sul divorzio suscita paura in molti credenti, i divorziati ed i risposati; induce molti a sentirsi esclusi da Dio, trattati duramente dalla Chiesa.
Le domande che vengono poste a Gesù non sembrano puntare alla scoperta delle verità profonde del matrimonio, sembrano puntare a legittimare il "permesso" dato da Mosè per la "durezza del cuore", espressione che nella Bibbia significa indurimento del cuore, resistenza a Dio.
Gesù va oltre, all'intenzione originaria del Creatore, "all'inizio". Cosa vuole Dio dal matrimonio dell'uomo e della donna? Questo conta per Gesù, perché  corrisponde al bene dell'uomo.
Che cosa permette all'uomo e alla donna di diventare una cosa sola, non solo socialmente, giuridicamente, ma insieme, in profondità? Gesù non da un comandamento, ma ricorda che Dio ha creato l'uomo e la donna a sua immagine e l'uno per l'altro. Lo scopo della creazione è questa unità. Così partecipano all'unità di Dio.
Questo è il dono immenso che Dio fa all'umanità. Vivendolo si realizza la scopo di tutta la creazione, come dirà Paolo in Efesini.
Perciò l'unione fisica dei due richiede anche l'unione spirituale. Perciò l'uomo non può dividere quello che Dio ha unito.
questo è il matrimonio compiuto con il si della creatura al Creatore. Altrimenti si cade nell'estraneità, nell'adulterio del cuore prima che del corpo.
E' bello quello che diceva Martin Buber quando parlava del senso della vita come ricerca della scintilla del divino che è nell'altro sotto la scorza delle abitudini della vita. Il dinamismo dell'amore dovrebbe giungere a dire nel tornare a casa a chi è in attesa non "sono io" ma "sono tu!"
Questo è il più profondo desiderio dell'uomo.

Questo il dinamismo della santità coniugale che dice l'unità di Dio.

Gesù dona questo insegnamento sulla strada verso Gerusalemme, dove sarà chiamato a dare la vita. Ne parla come Figlio che non desidera latro che fare la realizzazione del volere del Padre per il bene dell'uomo. In lui non c'è accusa di colpa e di peccato per chi si trova in situazioni difformi. Sulla croce il suo progetto andrà in pezzi, perché rifiutato e fallito. Perciò porta nel suo morire tutti i matrimoni che vanno in pezzi. E li affida ai credenti nel sacramento e alla sua proposta di santità che si apre per annunciare che nessuno resta escluso dalla misericordia che sa accogliere da Dio la vocazione all'amore anche quando si sperimenta l'essere andato in pezzi del progetto di vita e quando si fa fatica a trovare nell'altro la scintilla dell'amore.

Quest'anno, dedicato alla fede da riscoprire e professare, vogliamo vivere gli incontri per approfondire la vocazione alla santità nella vita di coppia e di famiglia.


C.n & E.o

Vi raccontiamo la nostra esperienza di partecipazione al convegno di Milano del giugno scorso su "La Famiglia: il Lavoro e la Festa". Era un'esperienza da non perdere anche in mezzo alle tante difficoltà che hanno caratterizzato la vita della nostra famiglia quest'anno. Eravamo la famiglia meno numerosa, che aveva fatto il viaggio più breve. Una grande grazia ed un'accoglienza particolare dei milanesi che hanno accolto con gioia nelle loro case famiglie provenienti da tutte le parti del mondo.
Il pomeriggio per arrivare al luogo dell'incontro con il papa, è stato un viaggio faticoso ma che ha coinvolto anche i ragazzi. Quando poi arrivi, vedi da lontanissimo un punto bianco che è il papa. Certo diverso da come lo si vede seduti comodamente a casa; ma l'emozione è diversa. Grande è stata anche l'emozione quando il papa ha citato dei brani del testo che abbiamo seguito durante l'anno. Ci siamo sentiti preparati e pronti a quest'appuntamento che ha rappresentato il termine del cammino del nostro anno.
L'incontro di Milano è arrivato per la nostra famiglia nel momento  migliore perché  uscivamo da tre mesi faticosi. Ha rappresentato un momento di ritrovo della famiglia unita.
Poi abbiamo fatto subito dopo l'esperienza di Medjugourie. Anche lì c'è una montagna da scalare che rappresenta veramente il cammino quotidiano. Quella salita è dura ma finisce ed invita a sperare che sia lo stesso per le fatiche che ogni giorno abbiamo di fronte.
Enrico era scettico per l'appuntamento. Riteneva una cosa difficile da credere. Poi invece è stato più lui ad avvertire una presenza vera. Nel buio della notte non si vede niente, ma si è sentita una presenza.
Ora il nostro cammino riprende. Abbiamo avviato un gruppo parallelo a Cercola e speriamo che con il vostro aiuto saremo capaci di portarlo avanti.


F.o

Ci siamo sentiti rappresentati da voi al convegno di Milano. E' bello far parte di un corpo che partecipa alla coralità.
Ho temuto l'argomento di stasera che potesse sfociare in una serie di lamentele di quello che potevano essere le aspettative del Concilio e che poi sembrano non realizzarsi. Credo invece più che mai opportuno fermarsi sulla riscoperta del sacramento del matrimonio che nel Concilio ha avuto tanta parte e risonanza.
Dobbiamo chiederci come rivitalizzare il giorno per giorno della nostra vita matrimoniale. Come ritrovare i momenti lieti. Il matrimonio è una corda a tre capi di cui un capo è Dio. Ed ecco l'esperienza di stasera nella capacità di essere partecipando anche a cose diverse che però ci lega. Ci è a cuore il bene di tutte le famiglie anche se lo facciamo in maniera separata.
Se siamo impegnati a coinvolgere gli altri, saremo impegnati per primo a coinvolgere noi stessi. Sentirsi chiamati per qualcosa è un fuoco che ci brucia dentro; e questo fa bene prima cosa a noi. Se si risponde a questo fuoco che arde dentro di noi, ci si viene ricompensati dalla grazia.
Sappiamo che c'è anche la croce che Dio ci propone; dobbiamo riscoprire la forza della grazia sacramentale; anche nel matrimonio si vive la croce con le tante famiglie rotte e disunite. Occorre vivere ed essere presenti vicino a chi soffre per questa disunità.
 


R.a

Di fronte a grosse difficoltà è difficile mantenere un legame neutro. C'è una leggerezza generale nell'affrontare il sacramento. I genitori spesso non sono i maestri dei figli. Per la catechesi è quasi togliersi un pensiero quando si arriva a portarli al sacramento della eucarestia. Occorre invece ripartire da una riscoperta dei sacramenti.

 

  Indice anno
 

Il Matrimonio nel disegno di Dio

10 novembre 2012


d.G.i

La salvezza delle persone e della società è strettamente connessa con una felice situazione familiare... che non dappertutto brilla (G.S. 47).
E' la realtà del nostro tempo che la Bibbia conosce e non nasconde: un ideale altissimo e le ombre, che oscurano l'ideale.
Didattica e pedagogia nei testi e nelle vicende descritte, perché Dio possa condurre l'uomo, attraverso storie positive e negative, all'annuncio altissimo del N.T.. Un cammino graduale che guardiamo stasera con l'A.T. ed a gennaio con il Nuovo.
La Genesi presenta come una "spina dorsale le famiglie di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, sottolineando più il piano di Dio su di esse che l'esemplarità coniugale dei singoli, come in Abramo e Agar; in Giacobbe e le due mogli Lia e Rachele più altre di secondo grado, Zippa e Bila; in Davide, attratto dal fascino femminile e debole con i figli. L'A.T., però, presenta famiglie che vivono il matrimonio in modo esemplare, come nel libro di Rut, in quello di Tobia e Sara, nel dramma della madre dei sette figli uccisi al tempo di Antioco IV. L'insieme di queste pagine luminose ed intrise di miseria umana, è il segno del "filo d'oro" che lega l'ideale e la realtà, per portare alla scoperta del pensiero di Dio che permane e si ripropone come una nostalgia che spinge ad accoglierlo e praticarlo.
I profeti utilizzano l'allegoria nuziale che resta anche nei tempi pi duri, per ravvivare la vocazione a testimoniare l'amore "per sempre": così Osea, Geremia, Ezechiele. E così fanno il Libri "sapienziali" che presentano sia la figura forte e dolce della moglie virtuosa (Sir. 26) sia quella distorta dell'uomo infedele che si inganna "chi mi vede?" (Sir. 23,18). Il Cantico riporta il dialogo d'amore tra due fidanzati che si cercano reciprocamente con gioia e trepidazione, come un' "inconsapevole" profezia del sogno di Dio per l'uomo e la donna chiamati ad essere "immagine e somiglianza di Lui" in consapevole atteggiamento di dono senza fine "mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l'amore (Ct. 8,6-7).
E' un messaggio profondo che fa capire la vocazione a vivere l'esperienza umana come luogo, ambiente, della rivelazione dell'amore "per sempre"
Da questa lunga storia di ombre e luci emerge una visione alta dell'amore di coppia, tale da corrispondere al progetto originario di Dio.
Ne parlano i due racconti della creazione:
a) la tradizione jahvista (sec. X a.C.)
testimonia la riflessione ebraica: l'uomo è chiamato ad uscire dalla solitudine, cose che gli animali non gli possono dare. La donna perciò viene creata dal'uomo, perciò dignità, dialogo, amore. Da questa uscita nasce il primo canto nuziale "questa volta essa è carne della mia carne"; in cui l'autore vuole esprimere l'unità della coppia, pur nella distinzione delle persone.
"Per questo..." i rapporti e gli affetti da cui si è ricevuto l'essere e il vivere vengono relativizzati, perché si manifesti il fine dell'unità. Il matrimonio"per sempre" è chiamato ad essere il segno dell'unità primordiale, alla quale è chiamato tutto il creato, come dirà il N.T.
b) la tradizione sacerdotale (VI sec, a.C.)
esprime in modo ancora più solenne la chiamata all'unità. Dio crea "ad immagine e somiglianza"; perciò l'uomo e la donna saranno pienamente tali solo se saranno "maschio e femmina". In questa dualità possono diventare immagine di Dio, non isolatamente.
La "dialogicità" dei sessi diversi apre il dono, all'amore, alla fecondità, e realizza visibilmente l'immagine di Dio, che è l'amore.
La tradizione sacerdotale sottolinea la procreatività pur non tacendo l'aspetto unitivo. E' l'equilibrio tra i due aspetti che deve segnare per sempre il matrimonio come Dio lo ha concepito nel suo disegno originario.
Il dramma della disunità, con la deresponsabilizzazione, le accuse reciproche, diventa violenza sui valori dell'unità e della procreazione, con le conseguenze che esplodono nell'attualità.
E' il dolore dell'attesa che si compie la redenzione del mondo.
Come coronamento della creazione, Dio ha donato la vita all'uomo, maschio e femmina. Li guardò, li benedisse, pieno di commozione e affetto, come succede davanti a due ragazzi innamorati. Li benedisse! E' la storia del suo amore eterno.


T.o & R.a

Siamo convinti che c'era un disegno di Dio sul nostro matrimonio, perché abbiamo iniziato molto presto. Abbiamo percorso insieme un cammino e siamo arrivati. Ma vogliamo tornare proprio al nostro matrimonio. Abbiamo ripensato al brano che scegliemmo per la celebrazione e che non è tra quelli che normalmente si propongono come lettura.
Noi abbiamo scelto il brano dei discepoli di Emmaus. L'ultima frase dell'omelia che Sandro pronunciò fu: "cominciate questo viaggio, ma veniteci a raccontare quello che state sperimentando nella vostra vita". Era quello per noi il modo di andare incontro agli altri.
Nella vita di coppia abbiamo cercato di camminare insieme in modo che tutte le decisione siano di coppia e non del singolo.
Abbiamo cercato anche di creare un percorso che si è allargato quando sono arrivati i figli.
Ci sembra a volte di ripercorrere il cammino dei discepoli di Emmaus, che non riconoscono Gesù che cammina con loro.
Il nostro impegno di fede di accompagnare i giovani fidanzati che è stato molto più arricchito rispetto a quello che si riesce a dare.
C'era anche una provocazione: sembra che il matrimonio ha perso il suo valore. Occorre parlare del "per sempre".
La crisi dipende dal fatto che vogliamo avere un senso di libertà. Il progetto dell'uomo è un progetto limitato perché appena non si realizza uno degli obiettivi che si sono posti, allora tutto va a rotoli.
Il progetto di Dio non si realizzerà mai e noi siamo in un divenire. Su questo ci si può interrogare perché dobbiamo guardare a qualcosa che sembra non si possa raggiungere mai.
Si vive la crisi del "per sempre" perché nelle coppie giovani si tende a relativizzare prendendo quello che mi va bene al momento.
C'è nei giovani "tatuati" un segno di qualcosa che deve rimanere "per sempre"; c'è quindi un valore che che non riusciamo a vivere, un desiderio di qualcosa che deve durare anche se poi non riusciamo a viverlo.


L.a

Più che una logica economica siamo stati invasi da un individualismo esasperato. Più "libertà di" piuttosto che "libertà da". Si ha paura di perdere al propria libertà e non si fa spazio nella coppia. Il peccato originale è la voglia di imporre la propria libertà.
Abbiamo anche la responsabilità di trasmettere questa visione ai nostri figli. Far vedere ai figli di saper perdere la propria libertà per far spazio all'amore di coppia.


F.o

Amore e responsabilità, un libro di papa Giovanni Paolo II: l'altra persona è un fina e mai un mezzo. Se è quindi un fine non può che realizzarsi tramite un progetto.


d.F.o

Non è un progetto ma una vocazione: il progetto sembra bloccante, quasi come una paura della verità. Con i giovani c'è in preparazione uno spettacolo. Fare una domanda a papa Giovanni. Nel guardarmi intorno, nessuna verità mi convince come si può dire che Gesù è la verità.
I giovani sono allergici alle parole dogma, verità perché hanno paura di non essere più liberi.
L'immaturità è dei 40-50 enni, perché dovrebbe essere loro il modello di vita.
Non essendoci certezze non ci sono verità. Questo progetto di Dio diventa il mio progetto. Dio mi limita perché non mi permette di realizzare quello che voglio fare.
Bisogna creare un concetto di vocazione al matrimonio. Dio chiama i due ad essere d'esempio.

C.e

Quando due persone si sposano, anche se sono fedeli al progetto, può capitare che non riescono a conoscersi fino in fondo.

M.o

Ho ripensato che tempo fa parlando con qualcuno mi fece notare che ogni coppia che si forma, non è l'unica combinazione che si può realizzare. Ciascuno di noi potrebbe realizzare una coppia perfetta anche con un persona diversa da quella che abbiamo scelta per la nostra vita. Eppure quando ci siamo scelti, noi crediamo realmente che questo è quello che il Signore Dio voleva per noi, che questo è il disegno che Dio aveva realizzato per noi. In questo quindi dobbiamo sentirci veramente chiamati a realizzare quel progetto che non si realizza una volta per tutte, ma che viene ogni giorno completato, con un lento lavoro di aggiustamento, miglioramento, completamento.

F.o

Sto pensando alla preghiera che proponiamo ai giovani che si preparano al matrimonio: "il dono di Dio".
Il matrimonio cristiano si pone soem punto di riferimento. Questo modello di vita non è più quello normale. Il legame "per sempre" fa paura. La nostra società ammette anche la convivenza, si può anche vivere in questa maniera. Si arriva la matrimonio con tanti condizionamenti. C'è un'industria del matrimonio che ci spinge a fare il matrimonio.
Dobbiamo invece far vedere la bellezza della nostra fede e la bellezza del matrimonio. E' una vita che si realizza e non un vincolo. Restiamo nella bruttezza se non facciamo vedere questa bellezza.

Guardiamo anche agli avvenimenti di questi giorni. In America, il discorso del presidente Obama che ha detto: "Non ti ho mai amata così tanto e sono contento che la Nazione si sia innamorata di te". L'ha fatto forse per "ruffianeria" ma ha dato il senso della coppia. Questa è una testimonianza dell'importanza della presenza dell'esistenza di una coppia.

M.a

Occorre associare la vocazione al matrimonio alla vocazione al sacerdozio. Nel matrimonio c'è la missione durante il cammino a due. Durante il cammino esistono le cose positive ma anche quelle negative. Vedo che intorno a me si perde la capacità di superare le difficoltà. Il senso della missione. Non si può abbandonare l'impresa alle prime difficoltà. Il matrimonio è una missione.

S.a

E' una domanda che rivolgo a tutti: ho sempre creduto, ho sempre avuto il dono della fede. Ma nella mia vita ho dovuto vivere momenti difficili. Mio fratello ha perso la moglie dopo un anno di matrimonio seguito ad un lunghissimo fidanzamento. E' rimasto solo con la figlia di pochi mesi. Aveva una fede forte condivisa insieme alla sua compagna. Ora è arrabbiato con Dio per questa vita distrutta. Questa rabbia nasce dalla perdita di un progetto. Come si può reagire a queste situazioni.

d.G.i

Solo il Signore che ha dato la vocazione è capace di capire perché poi l'ha tolta. C'è un passaggio nella vocazione che richiede tanto silenzio. Dice la Bibbia: Dio è un Dio geloso, la prima vocazione è quindi il racconto con Dio. Quando Gesù è morto sulla croce ha chiesto aiuto al Padre perché si è trovato a vivere la perdita di tutto quello per cui era venuto.
Rivediamo il capitolo 16 di Ezechiele con la rappresentazione di un amore che sembra perduto e invece si rivela fedele.

B.a

Sono colpita. Ho ripensato alla nostra unione. Mia madre mi diceva spesso: Ti sposerai con una persona più grande di te che, più matura e che ha passato una prova di vita, una prova di difficoltà.
Una sera mi trovai per caso vicino a Pino. Nessuno dei due doveva essere lì in quel momento, veramente stavamo lì per caso.
Ci sono voluti poi 16 anni per raggiungere il matrimonio. E lo abbiamo deciso quando abbiamo avuto la consapevolezza di dover essere l'uno per l'altra.
Il progetto di Dio è andato avanti e si è concretizzata anche nell'arrivo di Emanuela che non doveva proprio essere messa in considerazione.
Nella nostra partecipazione di nozze abbiamo messo  una frase di Charles de Focault: "Ed è per noi un'esigenza d'amore, il donarci"

 

  Indice anno
 

A Betlemme la storia di Natale

15 dicembre 2012

d.F.o

Dal Vangelo di Luca (2, 1-20)
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l'un l'altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

 

Atto primo: Maria e Gesù

Salire a Betlemme che è per antonomasia la città di Davide - città di Dio
Ora è BETLEMME la città di Davide (storica) che diventa la CITTA' DI DIO perché qui nasce il Figlio di Dio

Gv.4,20-23: I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano.

Gv.2,19-21: Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Ap.21,22 In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio.

MEDITAZIONE:

Il viaggio di Gesù avviene dentro la storia. Su tutta la terra c'era il dominio del'imperatore Augusto. Quello che racconta Luca non è una storia ma "la" storia.
Tutto il mondo conosciuto era sotto un imperatore: Augusto, colui che viene adorato come un dio. Abbiamo un signore ed un dio, signore della terra adorato come u dio.
L'angelo del Natale annuncerà la nascita di un Signore e di un Dio, "Nuovo Signore" e "Nuovo Dio".
 

Giuseppe sale dal Nord al Sud da Nazareth a Gerusalemme. "Sale" perché l'andata di Giuseppe non è un andare geografico ma teologico. Betlemme si trova vicino a Gerusalemme. Il pellegrinaggio è in salita perché occorre incontrare Dio. Il centro della città di Dio viene spostato da Gerusalemme a Betlemme. Il centro diventa Betlemme perché è la città di Davide, chiamata, scelta, eletta, amata, santa. Betlemme è la nuova Gerusalemme dove Dio abita.
Il luogo di Dio non è il tempio o il monte ma la persona, l'uomo Gesù. Qui è dove ora abita Dio. Dio non va trovato nel tempio ma in spirito  e verità.
Noi siamo chiamati ad incontrare Dio nella persona di Gesù.
Coincide la storia dell'uomo con la storia di Dio: " si compirono per lei i giorni del parto"; Dio non è fuori dalla storia ma dentro la storia.
"Primogenito": nel greco del nuovo testamento viene dato il significato ebraico/aramaico; con i termine primogenito viene designato il figlio e fratelli e sorelle sono tutte le persone del clan.

Ricaviamo due insegnamenti teologici:
1) E' il primo, l'unico, l'autentico discendente promesso a Davide.
2) da Esodo 34,19: ogni primogenito è mio dice il Signore, cioè consacrato a Dio. In greco consacrato è Christos.

"Lo avvolse in fasce": anche qui il termine usato è per dire che quel bambino che nasce è proprio un uomo. Anche gli angeli diranno "brefis" (feto appena partorito). Luca ci vuole dire che è un uomo come noi. Tutti i vangeli sottolineano molto i tratti umani d Gesù. Nella cultura greco-orientale l'icona è Maria distesa ed il bambino che giace in un sepolcro. Luca sottolinea in modo particolare la presenza delle fasce perché anche nel sepolcro Gesù è avvolto nelle fasce e Giovanni nel sepolcro vide le fasce ed il sudario e "vide e credette".

"Per loro non c'era posto nell'albergo": si intende qui il caravan serraglio dove si fermavano le carovane. Possiamo trarne un significato teologico: non c'era posto per il figlio di Dio nella casa degli uomini.
Quindi: Quale Dio sto adorando?, quale monte sto cercando?

 

 

Atto secondo: Angeli del Natale

GLORIA a Dio e PACE agli uomini. Nella notte del natale il cielo tocca la terra e la terra alzo lo sguardo al cielo da dove verrà la salvezza annunciata, attesa e sperata.

Lc.3,21-22 Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Mt.17,5 Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

Is.6,3 Proclamavano l'uno all'altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria».

Lc.19,38 dicendo:
«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!».

MEDITAZIONE:
Sono angeli un po' particolari che parlano tanto e poi cantano. In altri brani gli angeli sono solo presenza ed il solo Gabriele parla con gli uomini.
La presenza degli angeli nella Bibbia è la rivelazione di Dio nel mondo. Quando c'è una manifestazione della divinità di Gesù ci sono gli angeli: nascita, resurrezione, ascensione e nella prospettiva del suo ritorno.
I pastori erano in un atteggiamento di veglia, non dormivano. Dio si rivela di solito nel sonno ma qui i pastori sono svegli  e l'annuncio che gli arriva e proprio perché sono svegli. I pastori erano considerati fuori dalla società religiosa: erano ignoranti perché non andavano mai alla sinagoga, inadempienti perché non salivano mai al tempio a leggere il libro sacro. Dalla società civile, invece, erano ritenuti ladri e briganti: tutti si tenevano lontano dai pastori.
Per Luca invece i pastori sono i piccoli; a questi il terzo vangelo dedica particolare attenzione considerandoli i prediletti di Dio. Sono i piccoli ai quali sono annunciate "queste cose".
Il racconto della nascita in Luca è come un overture di un brano sinfonico dove vengono accennati i temi che poi avranno sviluppo nel vangelo.
Che cosa dice l'angelo ai pastori? L'angelo fa un annuncio, porta una buona notizia. La buona notizia è: "E' nato!" L'angelo che porta l'annuncio porta anche la gloria di Dio che inonda di luce gli scartati dalla società, i pastori che ora vengono illuminati rispetto al resto del mondo.
Il timore è il modo in cui la persona reagisce alla chiamata del Signore (come fa la Madonna all'annuncio dell'angelo).
Non temete! Vi annuncio una grande gioia. Noi siamo chiamati ad essere portatori di gioia. L'anno della fede ci spinge ad avere la gioia e di portarla agli altri; la gioia semplice di chi si lascia amare da Dio.
Una grande gioia che sarà di tutto il popolo, non è solo per voi. Il motivo della gioia è che è nato Gesù nella realtà umana; è nato il nuovo cesare ed il nuovo Augusto.
Il segno che viene dato - troverete un bimbo in una mangiatoia - è completamente diverso dai simboli del potere e della dignità regale. All'annunciazione, l'arcangelo Gabriele aveva detto: "sara il figlio dell'altissimo".
Gesù che nasce è colui che risorgerà e sarà il Signore della storia. Un bambino avvolto in fasce ha bisogno di tutto e giace in una mangiatoia segno della povertà. Solo con la fede si può comprendere che Lui è il nuovo Cesare augusto; ma anche noi abbiamo la tentazione di volere un Cesare Augusto terreno.
Nell'annuncio che fanno gli angeli c'è un parallelismo tra cielo-terra e gloria-pace. Da quel momento gloria di Dio e pace agli uomini sono inscindibili. Gli angeli infatti non fanno un auguri ma affermano una realtà: è gloria a Dio, è pace agli uomini.

Dal termine greco endochia (favore, benevolenza), gli uomini hanno il favore di Dio, sono benvoluti da Dio. Questo è il vangelo, la buona novella, la novità: il punto culminante dell'amore di Dio è il bambino in fasce.
 

 

Atto terzo: Pastori

I pastori andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
C'è un'urgenza in questo nostro tempo, il coraggio di partire per nuovi eventi sostenuti dalla fede di un annuncio sconvolgente. La comodità e il ripetitivo non è per coloro che seguono il Vangelo di un Dio fatto uomo.

 

Gv. 3,16-17: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Lc. 7,14b-16: Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo».

MEDITAZIONE:
Protagonisti del terzo momento sono i pastori. Protagonisti non solo della scena perché iniziatori della trasmissione della buona novella, del vangelo. Gli angeli non ci sono più, son venuti solo ad annunciare.
I pastori dicono "muoviamoci". Nella nostra fede siamo chiamati a muoverci. Se ne andarono"senza indugio"; cosa muove questi pastori? la curiosità. Abbiamo noi una sana curiosità nella nostra fede? O meglio una esagerata curiosità nella nostra fede?
L'insegnamento dei pastori è che non c'è tempo da perdere!

Quando loro trovano quello che gli hanno detto credono che è vero, non è stato un sogno.
Quindi: vanno, trovano, vedono, credono; quattro termini fondamentali per la nostra fede.
Andare quindi, cercare, partire, trovare; il nostro cercare non è senza scopo, senza meta. Carlo Carretto ci dice: ho cercato ed ho trovato.

Noi cristiani, seguaci di Gesù troviamo se cerchiamo; altrimenti vuol dire che non sappiamo cercare.

Nella sacra scrittura Gesù dice: a chi mi cerca io mi faccio trovare.
Vedono: non è un vedere fisico, ma un vedere oltre il segno tanto che riconoscono. Riconosco che quel bambino è il Kyrios, il Salvatore. Gesù si fa trovare nella nostra vita, se lo cerchiamo. Ed è con la nostra ricerca che si relaziona con noi ed in questo momento si rivela. In questo  momento mi guarisce, mi rende santo; in questo momento cerco, trovo, riconosco.
Il Natale quindi è una continua nascita.
I pastori non possono tenerselo dentro, vanno a raccontarlo. Noi invece spesso abbiamo il pudore di raccontare. Ci dovremmo vergognare delle cose che vanno male, non di quelle che vanno bene. Siamo miopi a non vedere quello che Dio ci dona. Immaginiamo cose grandi da fare. I pastori, invece, sono i veri primi apostoli che vanno a raccontare quello che avevano sentito e visto. Loro sono stati rivestiti della gloria di Dio e loro sono la gloria di Dio. I pastori si fanno annunciatori.

Betlemme (casa del pane)
Nasce a Betlemme colui che sarà il pane; Gesù è il nostro pane quotidiano, colui che sostiene la nostra vita, ora e adesso.
L'anno della fede deve nascere dalle piccole cose, la preghiera insieme, la vittoria sul pudore di dirselo l'un l'altro, il coinvolgere i figli. Anche se questo non si può realizzare in pieno, la proposta va lanciata, occorre avere il coraggio di proporre.
Chiediamo che Dio possa aprire una strada nuova nella nostra vita di famiglia. Quante volte diciamo non c'è niente da fare. Se Dio avesse detto: non c'è niente da fare, Betlemme non sarebbe stata il centro del mondo.
La preghiera e l'incontro con Dio fa grandi miracoli anche sulla fede dei nostri figli e di chi ci è intorno.

 

 

  Indice anno
 

Il Matrimonio nel Signore

12 gennaio 2013


d.G.i

Nel Nuovo Testamento la visione del matrimonio è tutta sotto il segno del comandamento "nuovo" di Gesù, dell'amore reciproco.
Per conseguenza parole apparentemente sorprendenti e dure, come "capo della moglie", "sottomissione", "ubbidiente" non indicano rapporti servili, di dipendenza giuridica, ma piuttosto la disponibilità reciproca, frutto ed espressione dell'aver fatto proprio quello che Gesù manifesta come desiderio profondo, la ragione del suo dire la vita. Dopo la lavanda dei piedi dice testualmente "vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi (Gv. 13,15), e incalza: "come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv. 13,35). Il suo sogno traspare dalla sua preghiera di quella notte "tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano essi in noi" (Gv. 17,21). Tutto il vivere cristiano è, in qualsiasi forma si svolga, nel segno della vita trinitaria, e teso a raggiungerla.
Gli autori del Nuovo testamento si rifanno al pensiero di Gesù come chiave per penetrarlo e comprenderlo e viverlo. Si può sintetizzare così:

  • il matrimonio entra nel disegno primordiale del Creatore, che esige l'indissolubilità che realizzi e manifesti l'unità;

  • la legge di Mosè che prevedeva il ripudio non era accondiscendenza di Dio, ma durezza di cuore del popolo chiuso nella proposta di Lui;

  • perciò il passaggio ad altre nozze è adulterio. Così Gesù in Mt 19,2-9.

Alla luce di questo pensiero emergono le conseguenze nella vita dei Cristiani in Cor.7, Ef. 5, Col.3, che sono di S.Paolo e 1 Pt.3;

  • marito e moglie hanno gli stessi diritti e doveri; perciò devono sentirsi parte l'uno dell'altro, non sono più ma non solo essere;

  • Paolo si rifà al comando del Signore "ordino non io ma il Signore" per ribadire l'impossibilità del divorzio, prevede la possibilità della separazione, ma riproponendosi il traguardo della riconciliazione (1 Cor. 7,2-10)

  • il matrimonio è segno sacramentale dell'unione di Cristo con la Chiesa (Ef.5,21-33; Col.3,18-19; 1Pt.3,1-8)

Alcuni spunti di riflessione vengono in rilievo:
Tutto è sotto il segno dell'amore, per cui l'essere sottomessi l'uno all'altro non è indice di passività, di possessività, di annullamento della persona che si sottomette. C'è dunque una strada da percorrere, che coinvolge ogni membro della famiglia, anche il marito che viene detto "capo" della vita familiare. Una dipendenza che mostra nella reciprocità la forza liberante del Vangelo.
Il rapporto marito-moglie, per i cristiani che sono legati nel sacramento, deve guardare e modellarsi al rapporto Cristo-Chiesa, che è nel suo senso più profondo rapporto di amore nuziale: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (v.25).
Che cosa significa? Solo che il rapporto Cristo-Chiesa è il modello di amore reciproco degli sposi? Oppure, altre a questo, significa che Cristo entra nell'amore umano dei battezzati, lo fermenta dal di dentro, lo purifica da tutte le inevitabili scorie di egoismo e di predominio sull'altro per renderlo segno e riflesso della sua nuzialità verso la Chiesa, a sua vota riflesso della Trinità? S.Paolo pensa e propone proprio questa vocazione altissima del matrimonio. Perciò il "matrimonio nel Signore" immerge nel mistero di Dio che, per poter portare alla salvezza, penetra l'umanità come uno sposo con la sposa, e la rende Chiesa, sposa di se.
Il Matrimonio "nel Signore" perciò non è mai una realtà privata, ma è espressione dell'ecclesialità matura nella fede; deve servire alla crescita della Chiesa di cui è inizio, "ecclesiale", nella quale gli sposi sono chiamati a creare rapporti di fede e di amore tra di loro e con i figli, ma amore che abbia caratteristiche di gratuità e di misericordia, di comprensione e di solidarietà, caratteristiche mostrate da Gesù nel suo incontro con l'umanità.
E' in questo che si esprime la sacramentalità del matrimonio cristiano, che è fonte e tesoro a cui attingere per vivere nell'amore.
Quando la lettera ai Colossesi parla di vivere per il Signore e non per gli uomini (Col.3,23) vuole prospettare questa profondità di cuore e di consenso a Dio, al suo progetto di unità.
L'amore umano diventa rivelazione del nome di Dio. E' Dio che fa questo, lo rende possibile alla piccolezza dell'uomo viene da pensare che la famiglia non esisterebbe se Dio non lo facesse. E viene da dirgli di si.

 


 

La novità del Nuovo Testamento la si trova proprio nell'ultimo discorso di Gesù: è la preghiera rivolta al Padre "ti chiedo che siano una cosa sola". Il sogno del Signore è la vita che lui è venuto a portare, la vita della Trinità. La conseguenza è il comandamento nuovo, il comandamento dell'amore. L'amore scambievole è alla base di tutti gli insegnamenti del Vangelo.
Le parole sull'indissolubilità del matrimonio nel discorso sul divorzio, in Mt. 19, non sono un linguaggio giuridico. Viene dall'aver fatto proprio la legge dell'amore reciproco. "Per sempre" diventa un obbligo morale non una costrizione. Il sottomettersi non è una diminuzione ma è un'esperienza d'amore.
Il sogno del Signore è l'immagine della lavanda dei piedi e questa non si riferisce solo al matrimonio ma in tutti i modi in cui il cristiano deve vivere la fede.
Se uno accetta questo coinvolgimento si può capire che il matrimonio entra nel disegno primordiale ed esige l'indissolubilità.
La legge di Mosè non è stata un'accondiscendenza ma la conseguenza della durezza del cuore degli uomini. Ogni altra unione è un adulterio.
Da questo segno nascono alcune conseguenze: marito e moglie hanno gli stessi diritti e doveri (Cor. 7); S.Paolo ha conosciuto il Signore dopo lo scontro/incontro con la gente e quando parla del matrimonio dice: "non io ma il Signore ve lo dice", parlando dell'unità.
In questo periodo stiamo facendo uno sforzo con il gruppo dei separati per credere che c'è un "oltre" del Signore perché attraverso le cose negative può far sperimentare che esiste un amore che ci può sostenere.
Non scandalizzarci dei fallimenti ma avere la chiarezza che sotto l'amore tutto avvolge; non c'è annullamento della persona ma invito a proseguire su una strada di positività, anche se faticosa.
C'è una strada da percorrere che coinvolge tutti i membri della famiglia. Il rapporto Cristo/Chiesa è così profondo da esprimere un significato nuziale. 
Che significa: "ha dato se stesso per la chiesa"? E' solo un segno di modello, è solo un'esortazione alla bravura, alla pazienza, alla sopportazione? O significa che Cristo entra nell'amore umano dei battezzati, lo purifica, lo vivifica.
Il Cristo ha usato nella dinamica del rapporto di amore per la chiesa la stessa logica e dinamica della logica sessuale. Cristo "penetra" la chiesa per vivificarla.
C'è la tenerazza, c'è la compassione, la convivenza: nel Cantico dei Cantici tutto ciò non rimane astratto o devozionale ma assuma forma viva e concreta.
Chi vive il matrimonio ha la sacramentalità di Gesù fatto uomo sposando l'umanità
Il matrimonio nel Signore non è un fatto privato; la Chiesa è una cosa bella che il Signore ha pensato.

 

P.o
 

Ho avuto momenti di fede contrastati che col tempo sono cresciuti. La mia realtà, nella mia infanzia, mai avrei immaginato di trovarmi una compagna. Pensavo ad una vita libera. Nel tempo ho capito che il Signore mi aveva messo a fianco una persona. Poi l'arrivo di Emanuela è stato un segno del Signore. Il nostro matrimonio è cresciuto nel gruppo, che ci faceva crescere.
 

B.a
 

E' stato molto importante riceve quest'invito stasera. Ci è stato di stimolo perché non amiamo parlare in pubblico. Ci avviciniamo ai 25 anni di matrimonio ed è anche un momento per riflettere. Scegliemmo il vangelo di Matteo: "Non che dice Signore, Signore!" Ed la parabola dell'uomo saggio che costruisce la casa sulla roccia. Il nostro desiderio è stato quello di costruire una casa sulla roccia non solo per noi ma anche per chi ci stava intorno. Tutto questo è stato possibile dalla presenza del Signore e dell'amore. Abbiamo avvertito la sua presenza. IL segno più forte è stato la nascita di Emanuela. Una cosa che sembrava impossibile è stato invece così naturale. Il Signore ha trovato il modo di farsi presente in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la presenza del Signore personificata in tante persone che in mezzo a noi ci hanno aiutato a portare avanti il nostro disegno.
Più si va avanti negli anni, più ho bisogno della mano di Pino e Pino non ha più la forza di un tempo. Riusciamo comunque a trovare il modo di fare, casomai in altro modo. Noi abbiamo la certezza che il Signore è con noi. Noi abbiamo due binari paralleli, ognuno nella sua direzione. Quello che ognuno fa, lo fa per l'altro. In questo, il nostro parallelismo trova la congiunzione nell'altro. Quello che facciamo sempre insieme è la partecipazione al gruppo di Piedigrotta ed a quello dei piccoli fratelli. E' il punto nel quale ci troviamo in perfetto accordo.
 

C.o
 

Siamo sposati da 26 anni; con grande semplicità facemmo la funzione in Chiesa. Sono stato sempre un credente ma con dubbi e perplessità. Grazie al gruppo di Piedigrotta ho ritrovato un cammino diverso. Il Signore ci ha aiutato con la sua riservatezza a ritrovare e trovare una strada.
 

F.o
 

Una serata piena di stimoli. Un anno fa uscì un libro: "Sposati e sii sottomessa", scritto da un giornalista che sostiene che la sottomissione fonda il matrimonio perché la donna che è più forte è capace di sostenere la famiglia. C'era un film negli anni '60 (Il padre di famiglia) con Nino Manfredi; un capofamiglia che non realizza niente dei sogni che aveva, ma che si rende conto che senza la moglie non funziona niente. Il capo è chi si mette al servizio. Racconto un'esperienza personale: per Linda e me è stato fondamentale il cammino nel Signore anche nel fidanzamento. Questo cammino fu segnato dalla presenza di un sacerdote che ci aiutò a percorrere con tappe mensili un cammino di revisione ed a verificarci, prima in coppia e poi singolarmente.
Poi lo abbiamo continuato anche dopo il matrimonio ed anche con le figlie per un periodo di tempo. Questo cammino ci ha aiutato ad accettare ed a cogliere le diversità che ci sono tra noi con rispetto reciproco nelle decisioni personali. Se abbiamo capito l'importanza del rapporto con il Signore, diventa importante come momento fondamentale, come esercizio periodico. Il rinnovo delle promesse viene fatto ogni momento.
Dall'altra parte c'è invece la vocazione alla separazione. Ho imparato molto dalle persone separate e fedeli al matrimonio. Ora i vescovi lo propongono anche negli incontri dei fidanzati. La sacralità del matrimonio è sottolineata e compresa da chi ha perduto questa realtà, ha perduto questa bellezza.
 

M.a
 

Il nostro cammino è stato diverso perché quando ci siamo sposati non c'erano i corsi di preparazione. A me è sembrato che il nostro incontro  è stato voluto dal Signore.  C'era una radice forte che ci diceva di fare il matrimonio in chiesa anche se non c'è stato nessuno che ci ha guidato. Il Signore stesso ci ha guidato ed abbiamo avuto forte la volontà di dare al nostro matrimonio l'importanza massima.
Solo dopo abbiamo iniziato a partecipare ad un gruppo vocazionale che ci ha avvicinato alla parola di Dio e abbiamo ora la necessità di partecipare perché insieme siamo aiutati a crescere.
 

F.a
 

Il nostro percorso è stato stimolo ad altri. Abbiamo avuto la fortuna di avere una guida che ci ha aiutato a crescere insieme. Abbiamo il ricordo della figura di un grande saggio, persona impegnata, ma che era sempre capace di manifestare la sua presenza. Tutto questo come un dono particolare. Con lui abbiamo trascorso una giornata in preparazione al nostro matrimonio. In quel giorno ci sembrò condensato tutto quello che era stato un percorso di tanti anni. Queste scelte ti accompagnano per tutta la vita. Sono la base di quello che siamo riusciti a fare in tanti anni.
 

d.G.i

In ognuno di voi c'è una storia ed una presenza, la presenza della madre chiesa che ci accompagna e ci guida.
La sacramentalià è per costruire l'ecclesialità: vivere nel Signore significa aiutare, condividere.
Ci sono tante crisi non risolte: l'identità della donna, la relazione con i figli; nella coniugalità si perde la libertà; nell'esperienza di tanti essere sposati significa meno essere.
 

P.o
 

Abbiamo visto varie famiglie che si sono sposate e si sente sempre la presenza che viene dall'alto anche in coppie che si professano atei.
 

 

  Indice anno
 

"Il consenso del matrimonio, la promessa"

9 febbraio 2013


d.G.i

  • Dopo la riflessione sul sogno di Dio Creatore, "maschio e femmina li creò... i due saranno un'unica carne (Gen.2) a novembre;

  • Dopo l'annuncio del Nuovo Testamento "amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa (Ef.5), a gennaio;

  • guardiamo il si al progetto di Dio che si fa vita umana nel dono del sacramento, del lato del consenso, della promessa di matrimonio.
     

  • Qual'è il significato specificatamente cristiano del matrimonio? (C.d.A. 735) Gli sposi sono ministri del sacramento e destinatari che ricevono un dono. Con una scelta libera, ispirata dall'amore, impegnano la loro persona e per l'intera esistenza con un consenso che è progetto di vita e donazione personale e reciproca. La promessa contiene l'impegno alla fedeltà per tutta la vita, di amarsi ed onorarsi, di accogliere i figli con responsabilità. Questo consenso è il sacramento. Il Signore lo abita con il suo Spirito perché esprima, contenga e comunichi l'amore di Cristo per la Chiesa. Consacra i due sposi come coppia, non come singoli, e dona loro una specifica vocazione alla santità, che è una delle vie per vivere il vangelo.

  • Questo impegna ad un cammino quotidiano. L'amore coniugale si costruisce giorno per giorno. Non si resta fedeli, ma lo si diventa continuamente con rinnovata attenzione e progressiva integrazione delle capacità vitali. Al di là della sfera istintiva ed affettiva, vi sono interessate molte altre esperienze: casa lavoro, vita ecclesiale e sociale, avvenimenti e scelte quotidiane, disagi e difetti, gioie e amarezze. Prima però bisogna crederci, almeno con la stessa convinzione, che ci rende pronti a ricominciare con l'educazione dei figli dopo ogni insuccesso, e con la stessa tenacia con cui cerchiamo di perfezionare la nostra abilità lavorativa. Anche nel rapporto di coppia occorrono responsabilità, fedeltà agli impegni presi, spirito di sacrificio. Le tensioni non mancheranno mai, ma il superamento è sempre possibile. "...Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d'ora innanzi è il matrimonio che sostiene il vostro amore (D.Bonhoeffer, CdA 1057).

  • Tertulliano, nella lettera alla moglie scrive:
    Come descrivere la felicità di quel matrimonio che la Chiesa sigilla, l’offerta eucaristica conferma, la benedizione garantisce, gli angeli annunciano in cielo, il Padre approva? Neppure su questa terra, infatti i figli si sposano rettamente e giustamente senza il consenso del padre. Quale giogo è mai quello di due fedeli uniti in un’unica speranza, in un solo desiderio, in un unico rispetto, in un solo servizio!
    Essi sono fratelli l’uno per l’altro e si servono reciprocamente; nessuna distinzione tra carne e spirito. Anzi sono veramente due in una
    carne sola,e dove la carne è una , uno è anche lo spirito. Pregano insieme, insieme si inginocchiano, insieme digiunano; si ammaestrano
    l’un l’altro, si esortano l’un l’altro, insieme si sostengono. Sono uguali nella Chiesa di Dio, uguali nelle angustie, uguali nelle persecuzioni, uguali nelle consolazioni. Nessuno ha segreti per l’altro, nessuno evita l’altro, nessuno è per l’altro di peso. Visitano liberamente i malati, danno sostentamento ai poveri. Le elemosine sono fatte con libertà e i sacrifici senza conflitti, le incombenze quotidiane non conoscono impedimenti. Il segno di croce non si fa di nascosto, il saluto non causa trepidazione, la benedizione non la si deve dare in silenzio. Tra di loro risuonano salmi e inni; insieme lodano il Signore, meglio che possono. Cristo vede queste cose e se ne rallegra, invia loro la sua pace. Dove vi è una tale coppia, là anch’egli si trova; e dove è lui non vi è posto per il male.


F.o

Ricordiamo la promessa che ci facemmo il giorno del matrimonio, ma preparare questo intervento di oggi è stata una riscoperta ed una sottolineatura dei verbi. Recentemente il verbo "io prendo te" è cambiato in "io accolgo te"; un cambiamento importante: "prendo" ha un significato materiale, "accolgo" è quello che facciamo nelle nostre case, ed impegna di più la sfera personale ed affettiva. Sono 36 anni che ci conosciamo tra fidanzamento e matrimonio. E' una presenza che mi ha accompagnato . Un'accoglienza reciproca che ci fa camminare insieme. Condividere anche le decisioni importanti da prendere nel mondo del lavoro.
Il verbo "promettere" ha diversi oggetti che lo seguono: promettere di amare, in genere si riduce l'amore al trasporto. Ma c'è di più: amare significa avere quella premura, vicinanza, è un promettere di accogliere e non cacciare più. E' un patto subordinato perché non si parla di dovere ma di amore.
Essere fedele è interpretato spesso in senso riduttivo; se un altro ha un problema, il problema diventa mio, anche questa è fedeltà. Non nascondiamoci perché le discussioni ci sono, ma onorare significa anche ffermarsi in tempo per evitare che si arrivi a parole che pesano. L'amore va coltivato e difeso.
In tutto questo la fede aiuta, anche con la preghiera insieme. La condivisione della fede aiuta molto e dà una spinta in più.


A.a

La parola che più ha caratterizzato la nostra vita insieme è il rispetto per il lavoro dell'altro in modo da far partecipare l'un l'altro al proprio campo di attività. Rispetto anche per le nostre famiglie di origine. Ognuno ha il suo carattere e non siamo perfetti. Nel corso del tempo le discussioni sono diventate più costruttive, si riesce ora più facilmente a trovare un punto di accordo. L'affidarsi da forza per sostenere i periodi difficili


F.o

Chi incontra i fidanzati vorrebbe portare esperienze di questo tipo. Il rinnovo delle promesse dovrebbe essere 24 ore su 24. E' ua cosa che va fatta. Fare il rinnovo delle promesse durante la liturgia è importante ma solo come celebrazione di quello che dobbiamo fare ogni giorno. Sottolineo il termine fedele che non è solo il tradire ma avere fede, poter contare sull'altro. C'è una fede da riscoprire non solo nel Signore ma anche nell'altro.
Si può promettere l'amore. E' l'altra sfida che lanciamo ai ragazzi , l'amore sentimentale, l'amore dello stare insieme e l'amore donazione, Sono i tre segmenti dell'amore che proponiamo ai fidanzati. Benedetto XVI ha distinto questi tre elementi - eros, filia, agape - che si trovano in Dio come espressione della sua entità.
L'amore di fedeltà esiste: in ospedale si vedono esempi di assistenza tra marito e moglie che danno grande testimonianza. Onorare ha un significato importante perché racchiude tutto. L'importanza del patto: per dare importanza al patto  occorre un testimone; nel matrimonio è Gesù il testimone ma nello stesso tempo è chi sostiene il pato. Le difficoltà che arrivano sollecitano a riscoprire il patto. Il libricino "In due - i 5 segreti", seguito dai giovani sposi nel loro cammino porta questi argomenti: il patto; la comunicazione; la comunione d'animo; l'ora della verità; il colloquio nella coppia e tra le coppie.


G.i

I coniugi devono essere diversi! Anche nella Genesi Dio ci dona questa complementarietà, ti dono quello che tu non hai. Occorre quindi accettare la diversità, ed è questa la scommessa del matrimonio. Le discussioni fanno bene. E' difficile accettare le decisioni dell'altro perché per semplicità si vuole arrivare alla soluzione più facile. Occorre la forza di essere capaci di ascoltare l'altro

 

  Indice anno
 

"Cristo risorto fondamento della nostra Fede"

9 marzo 2013


d.G.i

"Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. (1 Cor. 15,17).
La Resurrezione di Gesù è la questione, è la difficoltà, è il dubbio.
Ci guida il vangelo di Luca sulla resurrezione. Traduzione in modo letterale, dal greco.

Ora il primo dei sabati, all'alba profonda, vengono al sepolcro portando gli aromi che prepararono. Ora trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro. Ora, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. E avvenne, mentre erano senza via d'uscita circa questo, ecco che due uomini stettero davanti a loro in veste sfolgorante Ora, mentre esse venivano prese da timore e chinavano i volti verso terra. Dissero loro: Perché cercate il Vivente con i morti? Non è qui, ma è risorto. Ricordate come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo del Figlio dell'uomo che deve essere consegnato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso e al terzo giorno alzarsi? E si ricordarono delle sue parole. E, ritornate dal sepolcro, annunciarono tutte queste cose agli Undici e a tutti gli altri. Ora erano Maria, la Maddalena, e Giovanna e Maria di Giacomo; e le altre con loro. Dicevano agli apostoli queste cose, e parvero loro come deliranti queste parole, e non credevano loro. Ora, Pietro alzatosi, corse al sepolcro, e, curvandosi, vide le sole bende, e se ne andò presso di sé meravigliandosi di ciò che era avvenuto.

 

Il primo dei sabati: Luca ci racconta di 7 sabati: 1) Gesù a Nazareth che proclama lo Spirito sopra di se, 2) a Cafarnao guarisce l'indemoniato che faceva la professione di fede, 3) camminando nei campi di spighe e proclamandosi Signore del sabato, 4) nella sinagoga dove guarisce un uomo con la mano paralizzata, 5) guarisce una donna curva, 6) guarisce un idropico, 7) la sepoltura.

Gesù è l'inviato del Padre, pieno di spirito santo ed annuncia la novità di Dio. C'è da cambiare il modo relazionarsi ed è finito quel tempo e ne deve iniziare un altro. E lo fa vedere con questi gesti: i segni della guarigione per arrivare a fare la professione di fede.
Con la sepoltura un mondo vecchio muore e le cose nuove ricominciano. Il settimo giorno Dio si riposò. Il settimo giorno è il riposo di Dio nell'uomo.
Il riposo sabbatico è il tempo della contemplazione non solo riposo dal lavoro ma riposo per contemplare il lavoro che abbiamo fatto. E' anche la festa del riposo dell'uomo di Dio. Dio è il senso di tutto. Questo settimo giorno è la fine ma anche l'inizio dell'ottavo giorno, il giorno dei figli di Dio, dove la porta è sempre aperta.
E' il giorno nuovo, il giorno senza tramonto, perché la luce è il Cristo risorto. Siamo nell'alba dove c'è buio e non ancora luce, stato del non più ma del non ancora. Le donne ritornano al sepolcro perché erano le stesse che erano sotto la croce, spettatrici della deposizione nel sepolcro; è importante che vedono dove l'avevano deposto.
Il sepolcro è la fine del cammino di ogni uomo; portano gli aromi che avevano preparato. Nel mondo semita gli aromi sono espressione di omaggio, rispetto ed onore per la morte. E' quindi onore al defunto.
La morte è la signora di tutti "Nulla homo po' scappare" (san Francesco) ed anche il figlio di Dio ha preso la morte. Gli amori sono il segno dell'amore dello sposo.
Arrivano al sepolcro e vedono la pietra già rotolata, non come invece riporta Matteo. Quella pietra che aveva chiuso tutto nella morte è ora rotolata via: qualcosa è successo! Nella tradizione si pensa anche che il corpo sia stato portato via. Quindi la prima scoperta della Pasqua è la pietra che è stata rotolata via.
Entrarono e non trovano il corpo, seconda sorpresa: le donne erano andate per trovare il corpo e non avrebbero immaginato che questo non c'era più. E' un dato fondamentale: il corpo non c'è più. Non è questo che crea la fede nella Pasqua. E' il contrario: siccome il corpo non c'è più, posso credere nella Resurrezione. L'assenza del corpo non è creazione della fede pasquale ma condizione della fede pasquale. Occorre leggere il vangelo pensando di trovarsi personalmente in quella situazione. Così il vangelo non è la lettura di un racconto ma è la vita perché io sono protagonista.
La traduzione letterale dice: "erano senza via d'uscita". Nella vita di tutti il giorni arrivano gli imprevisti; la reazione di queste donne è rimanere sospese. Ci può essere la possibilità che il morto non c'è perché è vivo. Non è un contemplare un Gesù morto e risorto. La nostra fede è entrare nel mistero, non basta credere.
La morte si è trasformata in vita; non è automatico che un morto risorga; non è automatico che nella vita ci sia l'impossibile che diventa possibile come accade nella resurrezione.
Ci sono due uomini con una veste splendente segno della divinità. Luca annuncia quello che aveva già detto nell'Annunciazione: "Nulla è impossibile a Dio". Bello ma impossibile da credere, ci vuole tutta la fede di Maria.
L'impossibile non è l'incarnazione ma la resurrezione. La verità che cambia la mia vita è che io sono destinato alla vita eterna.
Vuol dire vivere la vita non solo con la speranza ma con la certezza. La mia resurrezione non è solo dopo la morte ma già quando io comincio a credere nel battesimo. L'ottavo giorno è il giorno della vita nuova in Gesù Cristo.
Il battesimo mi ha cambiato perché Gesù vive in me. San Paolo nella 2a lettera ai Galati dice: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me".

Io sono creatura nuova: Cristo vive in me! Io sono risorto nell'acqua battesimale e posso rivivere continuamente nella partecipazione eucaristica.
Sono l'uomo nuovo che non ha più come signore la morte ma la vita.

I due uomini che appaiono in bianche vesti completano l'annuncio dell'Annunciazione. Sulla croce Gesù dice: "Tutto è compiuto", cioè che il Signore ha portato tutto a pienezza che è la morte e la resurrezione.

Queste donne hanno timore e si prostrano. "Perché cercate il vivente con i morti?" IL vivente è destinato ad uscire dalla morte e vivere nella gloria. Come gli apostoli tutti possiamo constatare che quella tomba è vuota. Al Santo Sepolcro si va a trovare l'assenza di Gesù: "Non è qui!"
Quando la fatica, il lutto, il dolore bussano alla nostra porta questo è l'annuncio:" Non è qui!". E' difficile annunciare questo ai funerali ma questo è l'annuncio. Non cercate al cimitero chi invece vive già nell'eternità

Le donne devono fare una cosa importante, il ricordare; lo Spirito Santo è l'inviato di Gesù come Paraclito, colui che fa ricordare e comprendere.

La resurrezione di Gesù ci dice che il male è stato sconfitto e per chi vive è in Cristo il male non può avere potere su di lui. Se il male esiste è perché noi non consentiamo che Cristo viva in noi.
Il racconto del vangelo è sviluppato attorno al mistero dell'eucarestia. Il mistero della fede è quello che annunciamo nella Messa. Non abbiate paura, è la paura che fa fare il male.
Perché al sepolcro ci sono solo donne? Nella cultura ebraica le donne non erano abilitate a testimoniare. L'interpretazione teologica che Paolo ci dice è che Dio ha scelto ciò che è ignobile  e disprezzabile per rivoltare il mondo. Sono tutte donne perché Dio sceglie le cose impossibili.
Un'altra interpretazione invece è che è solo la sensibilità di una donna può cogliere l'impossibile. L'annuncio della resurrezione è quello di una nuova nascita. Per le donne è un dono di Dio saper cogliere la bellezza, la tenerezza, la novità.
Colei che sembra la vincitrice, la morte, ora è vinta.
Gli apostoli non credono alle donne. Pietro si alza (se vuoi accogliere la resurrezione devi alzarti e muoverti), va al sepolcro, si curva (umiliazione, umiltà: non accogli l'annuncio della resurrezione se  non ti fidi di chi l'ha visto), vede solo le bende ed il sepolcro vuoto e da questo credette.
Pietro ritorna dal sepolcro nella vita concreta della casa: l'annuncio della resurrezione va vissuto non al sepolcro ma nella casa, nella vita concreta di tutti i giorni.
 

 

  Indice anno
 

"La fedeltà nell'amore coniugale"

13 aprile 2013


d.G.i

"Sia benedetta la tua sorgente,
e tu trova gioia nella donna della tua giovinezza:
cerva amabile, gazzella graziosa,
i suoi seni ti inebrino sempre,
sii sempre invaghito del suo amore!" (Pr 5,18-19)

 

 

Nella Bibbia esodo e alleanza sono iniziative di Dio verso il suo popolo, nome e volti nuovi nella sua identità che si va svelando nell'esperienza umana. Dio è la liberazione, Dio è l'amore da sempre e per sempre. Egli rivendica con forza questa identità: è "fedele". Il tipo di intervento che porta Israele dalla schiavitù alla libertà è raffigurato come un riscatto che genera un diritto di esclusività sul "suo" popolo, e in questo la coscienza di "appartenenza" al "suo" Dio.
Con un'altra immagine ardita, Dio afferma di essere "geloso", non ammette una fedeltà parziale, condivisa con altre appartenenze e spiritualità. Ma un altro tratto caratteristico dell'identità di Dio è la misericordia. I profeti ne hanno ripetutamente testimoniato.
Osea si riferisce ripetutamente alla relazione uomo-donna per evidenziare queste caratteristiche: le radica nelle immagini dello sposo affezionato e tradito (2,4-20), di un padre amoroso e non corrisposto (11,1-9), ma lo fa in clima e prospettiva di speranza, perché prevale la misericordia. La fedeltà di Dio, perciò, perdona e recupera.
L'esperienza del popolo si arricchisce nei secoli per i sempre nuovi interventi divini di misericordia e di nuovi inizi.

Gesù fa suo, in modo originale, questo messaggio sulla fedeltà di Dio. Dio è il Padre, l'Abbà misericordioso.
Dalla relazione con Lui hanno origine fiducia e speranza per l'esistenza umana anche se segnata dall'infedeltà e dal peccato (Lc 6, Lc 15). IL "per primo" dell'amore di Dio che, in Gesù, perdona e riconcilia a Sè il mondo, è un filo d'oro che segna la dottrina del Nuovo Testamento. Gesù esorta ad avere continua fiducia nel chiedere perdono delle proprie infedeltà, senza "stancarsi" (vedi papa Francesco).
E ripropone il volto misericordioso di Dio nel Padre Nostro.

L'angolazione della fedeltà, contemplata e voluta nel "come" di Dio con il suo popolo, di Cristo con la Chiesa, introduce il matrimonio nel mistero stesso di Dio. Prima di nome giuridico, comportamento etico, la vita del "matrimonio nel Signore" è proporsi, ogni giorno in modo nuovo, l'impegno dell'appartenenza e della misericordia da rinnovarsi nel perdono.

 


C.e

Facciamo parte di questo gruppo ed il Signore ci chiede di conoscerci di più e quindi di amarci. Portare le nostre esperienze è un aiuto per gli altri. Ed ognuno di noi deve dare il proprio contributo a sostegno degli altri.Dal dolore dei fratelli nasce la condivisione e la preghiera insieme. Quando ci siamo conosciuti non ci è sembrato subito che il Signore doveva vivere insieme tra di noi. Poi successivamente abbiamo cercato di coinvolgere nel nostro rapporto anche Dio ma anche di non far intromettere altri. Se Dio ci ha donato la possibilità di stare insieme , noi dobbiamo portare avanti il progetto di Dio.
Il nostro corpo cambia e sfiorisce ma il progetto resta e possiamo e dobbiamo portarlo avanti.
 


M.a

Affrontando questo tema mi sono sentita prima smarrita ma poi ho chiarito le mie idee e voglio condividere con voi quello che il Signore mi ha donato.
Prima di fidanzarmi ho molto frequentato gruppi religiosi. Quasi mi coinvolgevano integralmente, ma mi ha comunque permesso di fare un cammino personale tale da chiedere al Signore luce per individuare la mia strada.
Vedevo nei miei fratelli più grandi quelli che già si erano creati una famiglia. Non ho sentito una voce che mi chiamava ma sentivo forte invece una tensione ad avere una famiglia e dei figli. Pensavo quindi a vedere chi poteva condividere con me questa scelta.
Ho capito quindi che ero chiamata per formare una famiglia e quando ho conosciuto Carmine ho visto che potevo con lui condividere queste scelte. Abbiamo subito coinvolto le nostre famiglie di origine nelle nostre scelte.
Affidiamo anche i nostri figli al Signore nella speranza che anche loro sappiano trovare la loro strada.


B.a

E' un po' difficile continuare questo incontro perchè la cosa bella che c'è tra noi è la semplicità del mettere in comune il proprio animo. Insieme a voi ho fatto un grande cammino. In questi mesi abbiamo parlato di fedeltà anche preparandoci a celebrare il nostro 25° di matrimonio. L'infedeltà fisica è una parola che non esiste nel nostro vocabolario, ma l'infedeltà al progetto è più possibile, fedeltà ad essere fedeli alla persona che abbiamo conosciuto. Cambia il carattere, ci si trasforma, ma è bello essere fedeli alla persona scelta.
E' la grande sofferenza di coppie che si separano. Se abbiamo l'aiuto del Signore a portare avanti la nostra vita anche nelle difficoltà perché questo aiuto non va anche ad altri? Cosa manca loro?


S.a

Mi sono sentita un po' in difficoltà quest'anno perché il tema è molto legato alla vita coniugale. Sono quindi sempre venuta con il pensiero di testimoniare la mia esperienza.
Quando mi sono sposata ero convinta che la mia vocazione era il matrimonio. L'ho fatto con normalità Ero sicura anche come scelta pensando ad una fedeltà scontata, all'essere fedele e non perché passasse attraverso la fedeltà al Signore.
Il Signore mi ha fatto capire la fedeltà al matrimonio proprio quando sono rimasta sola. E l'appartenenza al Signore che continua per me ad essere un rapporto tra due. La fedeltà ad un marito che c'è ma non ho fisicamente vicino, passa attraverso la fedeltà al Signore.
Quando mi sono trovata sola, speravo di crearmi una nuova vita. Ma l'assenza di questa realtà è stata superata dall'essere stata catturata dal Signore. Le difficoltà possono essere superate se si vive con forza l'appartenenza e la fedeltà al Signore. E' quindi importante ritagliarsi dei momenti di solitudine e di rapporto personale con il Signore. per ricominciare.
Ho quindi un desiderio che parte dal cuore che il Signore sia capace di catturare le persone perché essere catturati da lui fa superare tutto il resto.
I corsi pre-matrimoniali devono andare nella profondità per far capire cosa significa il sacramento e la concretezza del sacramento stesso.
Questo gruppo mi ha dato tanto come nel comprendere le dinamiche familiare con i figli e specialmente nella capacità di vivere la normalità anche nella mia situazione. Appartenere a questo gruppo è un dono del Signore per accompagnarni in questo mio cammino.


B.a

C'è bisogno di fare un esame di coscienza anche nella nostra partecipazione al gruppo che è "famiglia di famiglie". Ognuno di noi è responsabile dell'altro e deve farsene carico


F.o

Fedeltà non è solo non tradire ma è la fedeltà ad un progetto. Nel progetto non ci sono solo marito e moglie ma anche i figli. Anche nella separazione si può vivere la fedeltà se si continua ad essere fedeli ad un progetto.
Il rischio di identificare la fedeltà con la consuetudine. Silvana diceva che c'è un aspetto dinamico. Il dinamismo è rimanere fedeli e riproporsi con un'altra iniziativa che può sembrare diversa ma che invece è sempre nella forma originale.


R.a

Pensando ai corsi per i fidanzati, molti si separano perché ci si prepara alla fedeltà interpretandola solo nel rapporto fisico. Non viene abbastanza presa in considerazione la fedeltà al progetto, ad allontanarsi dalla solitudine, a dire si tutti i giorni.


F.o

Il termine fedele solitamente viene attribuito a colui che ha fede; invece nella nostra accezione va interpretato come colui che dimostra la fede. E' quindi molto importante sia credere nell'altro sia essere credibile.Non è solo una forza umana; può esistere nell'uomo ma è difficile che avvenga. Come è difficile mantenere un patto, una parola data. Bisogna riscoprire una fede nell'umano ma anche nel trascendentale. Nella vita civile un patto si sancisce davanti ad un notaio. Nel matrimonio esiste un garante che è la comunità ed è il Signore. Abbiamo fatto un patto che è la nostra promessa di matrimonio: amarsi ed onorarsi, accogliere i figli ed educarli nella fede.
Il patto fondamentale è: io sono disposto a dare la mia vita per te? Da questo deve scaturire di prendersi cura ogni giorno dell'altro. Nella fedeltà ci si aiuta e non si pretende dall'altro. Il rischio è di chiedere all'altro di essere fedele. Gesù ha perdonato Pietro che lo aveva rinnegato tre volte.
Il contrario è l'accoglienza per ricominciare insieme. Anche nella consuetudine è possibile ricominciare. Dio è sempre disponibile a ri-accoglierci e da lui dobbiamo prendere l'esempio

 

  Indice anno
 

"La chiesa domestica"

11 maggio 2013


d.G.i

Questa sera non è prevista una coppia che avvii la discussione ed è quasi un segno della provvidenza perché insieme dobbiamo capire cosa significa essere chiesa domestica.
Dalla Lumen Gentium:

"I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio..... In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede." L.G. 11.
In nota a questo paragrafo si riporta la frase di S.Agostino che dice: "Non dono di Dio soltanto la continenza, ma anche la castità dei coniugati".

E' l'anno della fede e facciamo un atto di fede in questa vocazione alla santità di chi sceglie il matrimonio. S.Paolo in alcune sue lettere saluta i cristiani che si radunano nella casa di ...
Gesù pensa ad una chiesa fondata sulla casa (immagine della casa sulla roccia). Ma la chiesa ha bisogno di un luogo dove la si può vedere e questo non è il tempio ma la casa domestica.
La grazia del sacramento dona la condizione perché la  famiglia possa essere concretamente segno e riflesso dell'amore trinitario, di diventare annuncio del Vangelo, buona notizia che suscita speranza, "chiesa domestica". La trasmissione della fede è frutto della relazione reciproca in cui tutti e ciascuno sono destinatari e personalmente responsabili gli uni degli altri.
La famiglia e la chiesa non hanno vocazione diversa. La chiesa ha la vocazione dell'unità della famiglia che si riscontra nell'unità della singola famiglia. Come S. Paolo scrive alla chiesa di Roma: "Offrite i vostri corpi come sacrificio gradito a Dio.

Le caratteristiche della chiesa domestica:

  • le offerte a Dio del culto spirituale, con la ricerca dello spazio di preghiera e di formazione: con la disponibilità rinnovata ogni giorno nell'amore a stare insieme, nella fatica e nel riposo, nella sofferenza e nella gioia.

    Guardarsi negli occhi e dirsi: " tu sei la mia santità". Quando diciamo parole che ci sembrano troppo spirituali è perché desideriamo un atteggiamento troppo monacale. Trovare Dio cercando l'altro fa della vita degli sposati un sacrificio gradito a Dio. Non si vuole togliere valore al culto spirituale ma questo è uno strumento che appartiene al tempo. Gli strumenti sono importanti, le preoccupazioni sono da vivere, gli impegni da mantenere ma il fine è l'amore.
     

  • il segno del vangelo nella speranza che non si arrende, che sa accantonare il proprio interesse per ascoltare, accogliere, accompagnare.

    La speranza è la più piccola delle virtù ma la più tenace. L'amore che non si arrende e non quello che rimanda è segno della speranza. Una speranza da vivere a porte aperte. Capita di trovare persone che raccontano la bellezza della vita, vissuta in qualche casa dove si vive il vangelo. Ricordare nella preghiera i figli che sono nati prima nel cuore di Dio che nei nostri corpi.
     

  • il segno della carità, con le modalità proprie, la disponibilità a prendersi cura dei più deboli, a condividere il dono ricevuto con quanti sono nella debolezza, che patiscono la solitudine e il fallimento.

    Nella mia vita di sacerdote ricevo la confessione dove si sente la difficoltà di farsi comprendere da chi non vive la vita matrimoniale. E' quindi buono che la famiglia, che vive questa esperienza si faccia carico di questa vicinanza; nei confronti dei separati ha la competenza anche umana per parlare di chi soffre. Poi il sacerdote benedice ed assolve. La coppia sposata ha un valore più grande del sacerdote. Il Signore ci sta facendo vivere la diminuzione della vocazione sacerdotale per farci sperimentare altre forme di vocazione perché sia presente nel mondo laico.
    I coniugi non vivono la recita delle lodi ma vivono la realtà dell'unione. Nasce quindi la voglia di interessarsi non dei fatti ma della realtà delle famiglie che  vivono intorno a noi.
     

  • la missionarietà, nella coscienza di dover essere l'ambiente in cui il Vangelo è reso credibile, che permette di riconoscere la Chiesa nel mondo.

Domandiamoci se queste caratteristiche ci appartengono, come famiglie e "famiglie insieme". "Tra la grande Chiesa e la "piccola chiesa" si realizza ogni giorno, in forza della presenza dello Spirito, uno scambio di doni, che è reciproca comunicazione di beni spirituali" (Giovanni Paolo II).
La unisce in un infinito atto d'amore da Dio per l'umanità, la tensione per il mondo bisognoso di trovare e ritrovare i rapporti che danno vita.
 


F.o

Nei giovani sposi anche la fede può essere un motivo di divisione tra i coniugi. E' la vita comune che santifica.
Nella relatà della separazione c'è una realtà di chiesa domestica. Anche la chiesa vive il dolore della separazione. Dobbiamo riconoscerne la dignità.
Negli incontri prebattesimali affidiamo ai genitori un copito di educatori molto importante. Questo ministero fondamentale lo diamo a tutti ed anche incontrando genitori che vivono situazioni particolari non possiamo rifiutare questo affidamento. E' quindi strano che escludiamo queste persone che vivono situazioni non "normali" mentre nello stesso tempo gli affidiamo questo compito. Qualcosa non quadra. Sono quindi le coppie sposate che, accogliendo le coppie che vivono situazioni "non regolari" si fanno carico di accompagnarli nel percorso di crescita dei loro figli.
 

 

 

 

 

Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2011-2012

"Famiglia, vigna del Signore"
in preparazione al convegno "La Famiglia: il Lavoro e la Festa"

 

8 ottobre 2011 La famiglia genera la vita
12 novembre 2011 La famiglia vive la prova
10 dicembre 2011 L'Emmanuele : come facciamo in modo che Dio sia con noi, nella nostra famiglia?
14 gennaio 2012 La famiglia anima la società
28 gennaio 2012 FILMINSIEME: The blind side
11 febbraio 2012 Il lavoro sfida per la famiglia
10 marzo 2012 La riconciliazione in famiglia
14 aprile 2012 La festa tempo della famiglia
28 aprile 2012 FILMINSIEME: La nostra vita
12 maggio 2012 La festa tempo della comunità

 

  Indice anno

 

La famiglia genera la vita, la complicità nella coppia

8 ottobre 2011

  a. partire dalla verità trinitaria della professione di fede: "Dio è agape", "Dio è amore".
Il mistero stesso di Dio che si rivela nella storia è condensato ed espresso in queste confessione di fede (1 Gv. 4,16) che si potrebbe esprimere così: Dio è dedizione gratuita, incondizionata, inesauribile e definitiva di se nella reciprocità del Padre e del Figlio, vissuta e partecipata agli uomini nel soffio dello spirito.
Questa è la spiegazione piena di Dio che si mostra in Gesù Crocifisso e Risorto.
Perciò, nella fede, è la verità ultima dell'umanità.
Quando, nell'ottica della fede cristiana, riflettiamo sul "dove" e sul "come" la vita è generata, dobbiamo fare riferimento a questa verità ultima che la Bibbia indica nell'espressione "facciamo l'uomo a nostra immagine, seconda la nostra somiglianza".
Si può intendere "immagine" in senso iniziale, di spirito, e 2somiglianza" in senso dinamico, di divenire, in crescita. Perciò l'attenzione a calare il dove ed il come trinitario nel noi e nell'oggi della vita quotidiana.

b. La crisi della relazione tra le persone, a cominciare dalla relazione uomo-donna, la crisi della comunicazione tra generazioni, e la crisi della comunicazione della fede appaiono connesse perché il processo di modernizzazione della società rifiuta la religiosità ritenuta non idonea a trasmettere i valori attuali che non vengono pensati derivabili o conciliabili con la dogmaticità della fede.
La relazione tra chi trasmette e che riceve è come un "nervo scoperto" per la vita sociale e per la missione della Chiesa (cfr. P.Coda, Della Trinità, 2011 p.56).
Come sempre nella storia i tempi di crisi si possono rivelare i tempi di nuove opportunità. Così si capisce che occorre imparare a testimoniare la relazione vissuta con la luce della verità di Dio, nell'esistenza concreta liberata da rapporto con Lui. E insieme per trovare nella comunione fraterna il più di forza per farlo. Perciò la Chiesa parla di "spiritualià di comunione come di un vero atteggiamento fondamentale per essere credibile nell'oggi. Tradizione, fraternità e missione sono congiunte e l'una non si può dare senza l'altra.

c. Questo tocca da vicino la vita della coppia e della famiglia. Dai testi biblici (Gen. 1,27;2,18-24) l'essere amore di Dio che si dona gratuitamente è affidato all'uomo e alla donna non come un limite ma come una pienezza. Sono creati individualmente, distintamente, ma in relazione per costituire una coppia; l'uno e l'altra "somigliano a Dio" nella missione reciprocamente vissuta, in cui ciascuno scopre la dignità del proprio essere stato pensato e amato come dono per l'altro. Lasciandosi guidare da Dio sono se stessi, e permettono a Dio di "dirsi" in loro. Quei termini "non è bene che l'uomo sia solo", "un aiuto", "unica carne" nell'unità del cuore e dei corpi, vanno al di là del conoscersi, del riconoscersi l'uno per l'altro, dal lasciarsi attrarre, dal congiungersi nella tenerezza. Sono termini che rimandano ad una logica che è quella dell'essere se stesso di Dio Trinità. Bisogna entrare in questa logica e volerla attuare con la grazia del sacramento e con la generosità umana, come in una "complicità" di condivisione, di allenamento, di pazienza, evitando ogni scorciatoia individualistica che farebbe tornare al "vivere per sé".

d. La bella esperienza di Raimondo e Maria Scotto in Città Nuova 10.9.2011 scrivono: "Parlare oggi dell'Eucarestia ci sembra molto importante, perché esiste in essa una modernità insospettata, capace di offrire risposte all'umanità di oggi".  E riferiscono le parole di Sergio ed Enrica: "Non volevamo assoggettarci a un matrimonio, difficile, triste, senza luce. E' stata forte la tentazione di troncare....ma sentivamo che non era questa solo la soluzione. Il percorso è stato lungo e difficile. Abbiamo avuto il coraggio di mettere in comune con altre famiglie le nostre difficoltà. Ma chiave di volta è stata la riscoperta di Gesù nell'Eucaristia. Abbiamo capito che egli aveva qualcosa di nuovo da dirci, che voleva essere coinvolto nel nostro amore".
 

C.n A volte ci sembra che non ci sia tra noi una complicità perché siamo diversi, uno severo, l'altro più permissivo. Ma è l'alleanza di Dio con il suo popolo che ha dato il suo figlio per noi ci deve inspirare la logica della complicità dell'unione.
Nel nostro piccolo, tra i nostri amici abbiamo visto che alcuni non hanno saputo mantenere l'unione per la mancanza di comunicazione, di complicità. Riscoprire questo desiderio di ricercare nell'altro un completamento. Anche con i figli è importante parlare anche se si ripetono cose simili.
Generare la vita è condividere le scelte, aprirsi. Non si può insegnare ai figli di aiutare un compagno se poi non riusciamo a sentire vicino una persona che ha bisogno. La nostra terapia è partire con il camper; ci fa ritrovare uniti come realtà di famiglia. In famiglia è faticoso incontrarsi e staccare è importante.
 
E.o A volte ci sembra che non ci sia complicità perché manca il dialogo, manca il tempo. Nel dialogo anche prendere decisioni difficili risulta meno complesso. 
Generare la vita è un continuo divenire nell'educazione che occorre dare ai figli.
E' anche uno sguardo all'esterno con coloro con cui la famiglia si confronta.
 
F.a Se si sta bene in coppia si restituisce ai figli i momenti vissuti bene insieme. Per complicità non bisogna intendere avere la stessa idea, perché all'interno della famiglia c'è la coppia ed all'interno della famiglia esiste il singolo. E' importante l'intesa, raggiungere l'intesa.
 
L.a Ora che i figli sono in età più che adolescenti abbiamo capito che dobbiamo lasciarli per avere i nostri spazi per poter comunque vivere momenti per noi senza farci condizionare dai loro no. Così nascono momenti per noi anche di divertimento per condividere la nostra unione.
 
d.Fo Trovare il tempo per se è importante. Spesso la coppia solo quando è veramente adulta ed i figli sono grandi si accorge di aver riacquistato i momenti per se ma siamo anche di nuovo soli. Anche qui quando si parla si arriva sempre all'argomento dei figli. Facciamo lo sforzo di prendere in mano la nostra coppia, la nostra realtà, come inizio e principio della famiglia.
 
G.i La complicità è prendersi a braccetto. I figli confrontando la differenza tra i due genitori scoprono le diversità nella vita a cominciare dalla famiglia. La complicità è quindi accettarsi nella propria diversità. Abbiamo storie diverse, uno pensa in un modo uno in un altro ma la nostra unione è prima di tutto accettare la diversità dell'altro. Per instaurare e mantenere il dialogo ci vuole tempo e pazienza.
 
C.o Ci sentiamo e siamo completamente diversi e continuamente nella necessità di confrontarci. Ma da questo sentiamo che nasce la nostra unione.
 
S.a L'esperienza sofferta di una donna sola accettando che è giusto che i figli vivano la propria vita. Ritrovarsi da sola è scoprire anche la complicità con il Signore, con fatica e sofferenza. Io vivo questa mancanza, ma penso che nella coppia bisogna legarsi nella complicità anche lanciando uno sguardo a Dio.
Io vivo il problema opposto di tutti voi; non vivo la differenza, non ho un confronto; ma continuamente mi confronto con il Signore. Mostrare l'unità della coppia agli occhi dei figli ha un valore non paragonabile alla testimonianza del singolo.
C'è un bisogno estremo di essere aiutati dall'altro, riconoscere i limiti e gli sbagli ed essere aiutati a comprendere; la diversità è una grazia per la vita di coppia perché aiuta a riconoscere gli sbagli. Quando mi metto in dialogo con il Signore io a volte pretendo di essere ascoltata ed aiutata. Questo deve essere realizzata nella coppia e ricevere gratuitamente il dono dell'altro.
 
T.o La complicità è puntare all stesso obiettivo. Pensiamo a cosa si intende essere complici in una rapina; è quindi il raggiungimento di un obiettivo e non una omologazione.La famiglia che genera la vita deve avere un respiro più ampio. Sembra che con i figli facciamo i più grandi insuccessi. La famiglia che genera la vita ha un obiettivo più grande: testimoniare la solidità di un rapporto di amore. Occorre interpretare il "generare la vita" con una visione più ampia. Mi sembra limitante racchiuderci nei limiti della nostra famiglie.
 
d.G Un detto rabbinico dice: "Nella mancata della Torre di Babele, Dio voleva sottolineare l'importanza della diversità"
Il figlio quindi vedendo la diversità nei genitori sarà capace di attivare un giudizio positivo. E' una domanda non facile che gli sposi devono chiedersi ogni tanto a che punto siamo e se dobbiamo ripartire.
 

 

  Indice anno
 

La famiglia vive la prova, abitare le difficoltà

12 novembre 2011

 

'Fino a quando, Jahweh, mi dimenticherai per sempre?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
Fino a quando nell'essere mio proverò affanni,
tristezza nel mio cuore ogni giorno?' (salmo 13).

E' un esempio di preghiera 'dolente', che nasce da una sofferenza, la lebbra, da cui deriva la ripugnanza e l'esclusione sociale; dice sofferenza fisica e morale, sfiducia per gli amici che parlano e rifiuto di Dio che tace (Giobbe).
Accostarsi 'in punta di piedi' al mistero dell'uomo sofferente: il suo grido di dolore è il suo modo di comunicare e domandare aiuto. Il pensiero di essere destinatario di una percezione di Dio, della malattia come conseguenza del peccato, si insinua, corrode la certezza, toglie la pace. L'esperienza trasmessa dalla Bibbia dice che, anche nelle situazioni più tragiche, resta nel cuore umano un anelito di speranza:
         Non abbandonarmi, Signore,
         Dio mio da me non stare lontano;
         occorri in mio aiuto, Signore mia salvezza (salmo 38).

L'esperienza della sofferenza/prova nell'ambito della vita di coppia e della famiglia, permette di essere 'aiuto di Dio' per chi soffre. Ma occorre la disponibilità ad 'abitare la difficoltà', senza esorcizzarla ad ogni costo, partendo non dalla propria capacità ma dalla fede nell'amore che - abbiamo detto l'altra volta - genera la vita attraverso la famiglia e la custodisce in essa anche nei momenti di prove fisiche o morali, partendo da Gesù rivelatore nell'amore.
L'amore eterno disceso tra noi, quando vuole chiamarsi, si chiama spesso 'Figlio dell'uomo'. Quando guardiamo il Cristo in croce, bisogna essere capaci di leggere tutto ciò che ci si trova: c'è tutto il dolore umano, il dolore della carne, del corpo, il dolore della disperazione del cuore abbandonato: 'mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?'. Ma egli ha voluto essere così totalmente come noi che ha voluto esserlo nel punto dove il dolore ci fa dire l'assurdo, Gesù è così quello che riassume tutto il dolore del cuore e del corpo, quello di tutta l'umanità e di tutti i secoli. Dobbiamo essere i credenti di questa fede vivente (Abbè Pierre, 1972).
Prima di tutto in Gesù uomo si vede che non si innervosisce della sofferenza e l'accoglie in se come qualcosa che lo riguarda e chiama a dire si. C'è una verità umana di debolezza, di cui non si vergogna, nell'agonia, come era stato durante il ministero: stanchezza, sonno, entusiasmo, dolore.... Gesù ha pregato per la fine della sua sofferenza con il desiderio di essere esaudito. In lui c'è veramente l'accoglienza di questa dimensione umana e oscura della sofferenza/prova, del limite nella comprensione di essa, del bisogno di fraternità, 'venite con me', 'state vicini a me', del bisogno di essere sostenuto dalla condivisione.
La condivisione è perciò la condizione per abitare la prova. Gesù non si pensa mai solo. Fino ad oscurare, si direbbe a rinunciare, alla relazione con il Padre che è sua natura. Mai dice 'Padre mio' ,a 'Padre nostro'. Questi si stupisce della mancanza di quella condivisione che ha vissuto ('con un bacio tradisci?' dice a Giuda, come per dirgli 'perché hai covato dentro, perché non me l'hai detto?'), 'ecco io ve l'ho detto ora, prima che avvenga'.
Di Lui è detto che quando era nell'orto del 'frantoio', venne letteralmente frantumato dal peso fisico e morale, ma sperimenta il conforto di un angelo. Se spogliamo gli angeli di tutte le piume di cui li abbiamo rivestiti, scopriremo che compete a noi la responsabilità di essere angeli della sofferenza dell'altro, di far si che l'altro possa sperimentare non solo compagnia e aiuto materiale, che pure sono gesti importanti perché concreti, ma l'essere veramente presente di Dio Amore, che è fonte di pace.
Gesù dice che questo amore non esime dalla sofferenza, ma domanda un modo di rapportarsi tra colui che soffre e chi gli sta vicino nella comunità fraterna che illumina anche i passaggi della vita più oscuri e difficile da comprendere.
Allora può avvenire lo svelamento del desiderio di Dio di incontrare la propria creatura non più da lontano, ma da vicino, nella reciprocità. Come testimonia Giobbe che, alla fine della sua prova, che non è la morte ma la vita ritrovata, può dire 'io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i mie occhi ti vedono'.
Imparare a guardare il tempo della prova come un tempo di compimento, in cui l'amore si sta affinando.
 

P.o Abbiamo condiviso le nostre sofferenze dopo esserci incontrati da lontano. Abbiamo avuto l'aiuto nel momento delle difficoltà degli amici che ci sono vicini.
 
B.a Da quando sono nata c'è una schiera di angeli che pensa a me. Di tutte le prove che ho avuto non ricordo il peggio ma sempre che ne sono uscita meglio di prima. Quando penso alla mia infanzia, penso all'Ospedale di Bologna come un luogo bello della mia vita. La difficoltà vissuta quest'inverno è stato il segno di un cambiamento. Dopo anni di matrimonio ci si arruginisce, ma quando c'è un problema si scopre che tutto questo ha poco valore. Se ci si affida, finiscono le difficoltà.
Nel prendere decisioni importanti abbiamo capito come collaborare e venirci incontro. Prepararsi a poter condurre questi incontri è il momento di poter riflettere e fermarsi a meditare. Quando ci sono discorsi seri, fermarsi e guardare l'altro nel rispetto. Per Pino non era la paura della malattia ma la paura di non poter dare una mano a chi gli sta vicino. Eravamo distanti nelle posizioni nei confronti di nostra figlia, ma parlandone prima tra di noi, siamo riusciti a farle fare scelte con la sua testa anche se ispirate da noi. Le difficoltà ci sono, ma si possono superare e soprattutto prenderle come allegria.
 
L.o 'Abitare la difficoltà' mi dava l'idea di un corpo e di uno spazio. Nella difficoltà si attiva l'orecchio perché tendo a sentire ed ascoltare l'altro, la vita. Tutto si muove indipendentemente dalla mia persona. Nel lavoro ho sentito chi urla e chi è in silenzio. Ho seguito il caso di una ragazza polacca che nel silenzio si è uccisa a pochi ne hanno parlato. Il silenzio è il momento di maggiore sofferenza. Anche una vagito di un bambino accende la vita quando si è in difficoltà.
 
F.o Ringrazio gli amici per la testimonianza. E' importante la condivisione nelle difficoltà. Ci siamo promessi nel nostro matrimonio di essere uniti nella buona e nella cattiva sorte. Le grandi difficoltà fanno relativizzare anche le piccole difficoltà. Leggevamo con Linda sul sintonizzarsi alle difficoltà di Dio. Può sembrare rassegnazione nell'atteggiamento nel 'sia fatta la tua volontà'. La fede ci dice che sono immensamente amato da Dio. Bisogna sintonizzarsi cercare il momento della preghiera. Ognuno deve cercare la possibilità di mettersi in sintonia. Gesù si offre sulla croce e ci insegna ad offrire la nostra sofferenza. Mi ha colpito molto il film 'L'olio di Lorenzo'. Quando l'ambiente scientifico dice: 'lei si arroga il diritto', lui risponde: 'si, perché mi prendo la responsabilità di dire quello che ho capito'.
 
S.a La difficoltà di trovare un'armonia con la sofferenza che dura nel tempo. C'è una sofferenza per cercare di capire questo mondi dell'handicap, in una scuola incapace di capire questo mondo in difficoltà. Più sono nella scuola e più me ne vergogno. Nei licei c'è quasi un disprezzo degli insegnanti nei confronti di un certo tipo di ragazzi. Se non avessi lo sguardo fisso sul Signore avrei mollato tante volte.
Voi mi aiutate a vivere queste difficoltà nella solitudine. Io non posso condividere. Quando la difficoltà è enorme non si ha tempo neanche di staccare. Ci si abitua a vivere la comunione col Signore anche se non ci sono momenti di sosta.
 
F.o B. Ho sentito da don Mazzi: 'Dio ha dato all'uomo l'ottimismo, l'uomo ha scoperto il pessimismo'. Scoprire la virtù della speranza. Molto spesso il pessimismo lo creiamo noi.
 
P.o P. Voglio rapportare la sofferenza con la speranza. Come si può sopportare la sofferenza. L'uomo ha scoperto il pessimismo perché non si ha più fiducia nel prossimo.
 
P.a Il dono che Dio ci fa è la capacità di affrontare la sofferenza. Il miracolo del Signore non è la guarigione comprensione di quello che viviamo. Ringrazio il Signore per questo dono.
 
R.a Noi vorremmo aiutare le persone che sono in difficoltà, ma spesso non abbiamo questi mezzi.
 
G.o Al di là della fede è un esempio di civiltà essere vicino a chi soffre.
 
S.a Il miracolo è saper stare vicino alla persona malata ottenendo la trasfigurazione del malato. In alcune situazioni non si può fare niente. Occorre stare vicino per amore.
 
E.a La sofferenza in famiglia. Quando si è coinvolti da soli non si può essere capaci di sostenere la prova della sofferenza. Nelle prove che ho avuto quest'anno ho sentito che le persone intorno mi hanno sostenuto; dal loro sostegno ho trovato il coraggio di azioni che da sola non sarei riuscita a compiere. Quando c'è da prendere decisioni gravi, chi è direttamente coinvolto spesso non è d'aiuto. E' il coinvolgimento della cerchia di amici che ti sostiene che permette la capacità di condividere e decidere. La fede in Dio deve essere alimentata e manifestata da chi ci è vicino
 

 

  Indice anno
 

L'Emmanuele : come facciamo in modo che Dio sia con noi, nella nostra famiglia?

10 dicembre 2011

  L'incontro di dicembre di Famiglie Insieme è stato dedicato ad una meditazione sul Natale sul tema: "L'Emmanuele : come facciamo in modo che Dio sia con noi, nella nostra famiglia?"

Di seguito un breve resoconto estratto da appunti presi nel corso dell'incontro e rivisti da don Franco.

L'Emmanuele è Dio con noi: Egli che è oltre lo spazio e il tempo perché E' volle abitare il tempo e la storia come spazio di vita.  La volontà di Dio di entrare nel tempo, di costruire la storia creando l'uomo che è al di fuori di Lui e che è finitezza e debolezza. Dio, che non ha spazio né tempo, ha deciso di voler abitare il tempo e lo spazio.
Ha quindi scelto, per entrare nel tempo, la dimensione della finitezza divenendo uomo: questo è il grande mistero del Natale. entrando nella finitezza CRISTO conduce l'uomo ad essere nuovamente partecipe della santità di Dio. Lo ha fatto prima facendo la creazione e poi creando l’uomo ha costruito una relazione con qualcuno fuori di lui.

Nell’inno ai Filippesi, al capitolo 2 versetti 6-7  Paolo dice:

....Egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.

Perché ha fatto questo?

Dice il Salmo 8

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?
Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.

Dio nasce bambino, bisognoso di tutto: incarna la figura del debole che deve tornare alla santità (vocazione  all'infinito) attraverso la relazione con Dio, colui che alita nelle narici dell'uomo e, attraverso lo Spirito Santo, crea una relazione che è, prima di tutto, la relazione Trinitaria tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.
L'uomo che è in relazione con un Dio trino è l'interlocutore di Dio: la relazione tra l'uomo e Dio è innanzitutto una relazione d'amore Dio alitando nelle narici dell’uomo il suo spirito di vita, rende l’uomo essere vivente e diventa interlocutore di Dio. La vita cristiana innanzitutto non è preghiera o pratica di pietà, ma relazione con Dio, STORIA D?AMORE.
Cristo incarnato, morto e risorto, riporta la carne a Dio. Nel Vangelo di Giovanni si leggere che "il Logos si è fatto carne e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi": Dio ha, perciò,
assunto la carne, con la risurrezione e il ritorno al Padre porta la carne degli uomini in Dio.
Dio compie ciò "nella pienezza dei tempi" (come si legge nei "Galati 2,4"). E la pienezza dei tempi è quella che si realizza in ciascuno di noi ogni volta che facciamo risorgere Gesù, ogni volta che viviamo il CHAIROS, ossia, il tempo nel quale accade qualcosa, il tempo che si caratterizza per la sua qualità. Il Signore, infatti, ci chiama a vivere questo tempo, ci chiama ad essere protagonisti con Dio. 

Nel tempo del CHAIROS si colloca l'Emmanuele: il Natale è tempo di concretezza, è l'incarnazione di Dio con il quale posso entrare in relazione. Dio dà qualità alla mia vita con il Natale. Dobbiamo quindi cercare una vita non più vissuta con il “tirare avanti”, ma una vita da protagonista. Dio vive il CHAIROS. Dio viene a noi per farci vivere il CHAIROS: la relazione che quando si rompe con il peccato.
Dio prende per mano, con pazienza, l'uomo: lo accompagna. Lui è alla porta e bussa. Dio non fa violenza all'uomo. Gli dona la fede che dà spessore alla vita  e si fa  compagno di viaggio. È Dio che si avvicina, Dio non pretende che io lo raggiunga, è lui che va alla velocità del mio passo (Osea 11,3b ci dice: “ho preso Israele per mano”). Dio non fa mai violenza.

Nella Lettera agli Efesini 1,3ss si legge che gli uomini sono Santi ed Immacolati nell'amore di Dio e per Dio: noi siamo figli adottivi di Dio che ci ha pensato prima della creazione del mondo. Siamo chiamati a vivere come figli di Dio, a vivere il CHAIROS e non a farci trascinare dalla vita, ossia dal CRONOS. L'oggi di Dio coincide con l'oggi dell'uomo collocato nella storia e nella sua famiglia. 
Il Natale è tempo di attesa. Attendere vuol dire mettere una meta. Ma chi farà luce nel cammino verso questa meta? La pubblicità di oggi vuole che l'uomo non attenda niente, che sia plagiato. Dio, però, vuole che l'uomo viva il CHAIROS e non il CRONOS. Dio, perciò, è garante del matrimonio sacramento dell'amore di Cristo per la Chiesa ed è reciprocità e santità in Dio/famiglia. Dio entra in famiglia. E la famiglia cosa attende? I figli attendono le carezze; i coniugi attendono le carezze che non sono e non devono essere scontate. L'uomo, vivendo il CRONOS, diventa vittima della stanchezza che è un peccato e combina guai: non permette di far entrare Gesù che ... spiazza, perché è vita.

Le domande che l'uomo si deve porre sono: Quanto CHAIROS ritaglio per me? Per volermi bene? 

L'Emmanuele è venuto per amarti, ma tu ti ami?
Quanto tempo dono al partner? Il tempo quello importante: il CHAIROS non il CRONOS.
Quanto tempo dono ai figli? (E soprattutto ai figli adolescenti che hanno bisogno sia di CHAIROS che di CRONOS?)
Quanto CHAIROS dedico alla preghiera? Non alla recita delle preghiere, ma un tempo per me insieme con Dio.

Gesù nelle analisi del male è stato sempre terribile ma nello stesso tempo pieno di comprensione verso le persone che sbagliano o fanno esperienza di peccato e di male. Così ricordiamo gli incontri con l’adultera, Zaccheo, la peccatrice.

Quanto prego con il partner? E quanto pudore c'è nel pregare con il partner?

La preghiera è il respiro della famiglia. La famiglia ha bisogno del respiro della preghiera: perché la famiglia è chiamata ad essere l'incarnazione dell'Emmanuele.

Al percorso catechistico dei fidanzati iniziamo gli incontri chiedendo “A che punto è la nostra fede?”. La fede non è fatta di cose da fare ma di relazione con Dio. La mia fede deve essere basata sulla conoscenza personale di Gesù.

Il tempo del Natale è il tempo dell'accoglienza dell'Emmanuele. Tra le tante attrazioni del Natale, riesco ad accorgermi che nasce il bambino? Accogliere è un atteggiamento dell’animo. Il dono più apprezzato è quello che esprime l’amore dell’altro per me.
La nostra società ci sta educando che tutto deve essere basato sulle mie aspettative.
Quando siamo chiamati a prendere le decisioni ci chiediamo cosa direbbe Gesù, cosa il vangelo mi suggerisce.
Dio è con noi, siamo anche noi con Dio? L’Emmanuele sia il benvenuto nella nostra famiglia. Dio vuole stare con noi perché ha bisogno di noi come noi di lui.

Sono tanti i gesti che possono arricchire il nostro Natale come punto di partenza per una vita nuova: l'accoglienza del fratello, l’apertura di nuove relazione, fermare la corsa, non rimandare a domani l’incontro che ci può cambiare.
Mettiamo in essere segni di riconciliazione e di pace. Intensifichiamo la vita di preghiere, celebriamo il sacramento della riconciliazione, riuscendo anche a comprenderlo meglio nella sua profondità. Non c’è da preoccuparsi di cosa ho fatto e di cosa non ho fatto ma ricercare la riconciliazione con Dio.

Infine celebrare L’Eucarestia. Nella solidarietà e nella condivisione mi accorgo che l’Emmanuele viene per me ma anche per tutti.
L’Emmanuele prende casa con noi e nelle nostre famiglie.

Lo spirito del Natale deve essere accompagnato dal sacramento della RICONCILIAZIONE (vissuto non come lavatrice, ma come momento di relazione con Dio), dalla COMUNIONE, dalla SOLIDARIETA' (Noi verremo giudicati per i gesti d'amore: nelle persone io incontro Dio) e dalla CONDIVISIONE ("Siate svegli" perché Dio viene a noi personalmente ed in comunità).

N.B. Per quanto riguarda il Sacramento della Riconciliazione nel periodo della Quaresima in parrocchia ci saranno 5 Catechesi per Adulti.
 

 

  Indice anno

 

La famiglia anima la società
La nostra corresponsabilità nella realtà in cui viviamo

14 gennaio 2012

  Nel discorso della montagna, Gesù annuncia e spiega la sua logica con quelle che vengono ricordate come le antitesi del Vangelo di Matteo
Fermiamo l'attenzione su tre espressioni di questo discorso:

1. Avete visto che fu detto... ma io vi dico.
Dobbiamo domandare al Signore la luce di grazia che è donata da questo insegnamento, che non è frutto di una logica umana, e che richiede un impegno di mente e di cuore per decidere di non restare prigionieri della logica del passato: quella che abbiamo “inteso” (espressione che può indicare condivisione di pensiero e di comportamento). E’ la rivelazione di una gratuità che riguarda il pensiero che deve essere modificato secondo ilpensiero di Dio.
Sono parole rivelatrici della “perfezione del Padre” che è la ragione ultima della creazione dell’uomo “a somiglianza di Lui”.
Se vogliamo accogliere queste sfide delle antitesi, dobbiamo essere purificati da quella logica da considerare il vangelo un’utopia. Bisogna purificare la mente dai pensieri di sfiducia, di convenienza che annullano la verità rivoluzionaria dell’ “io vi dico”. Sono parole che illuminano anche la mia vita familiare, i rapporti affettivi, la tensione alla gratuità, l’educazione ad amare senza possedere l’altro, la tentazione di pensare la famiglia come un microcosmo che, chiuso in se stesso, non vede e non si apre, oppure lo fa solo con i gradevoli “quelli che vi amano”.
La vita di coppia non è sociologica ma è il sogno di Dio di essere comunità.
Se all’origine la relazione della prima coppia realizza il disegno della creazione dell’uomo e della donna come “ad immagine di Dio”, allora la relazione di ogni coppia è l’antidoto, l’anticorpo che guarisce dalle tossine della dissomiglianza, in se stessi e nella società. La relazione di ogni coppia non finisce in loro stessi ma è aperta per guarire la società. Il “ma io vi dico” dovrebbe costituire il metro su cui misurarsi. Faccio questo per amore o per vincere l’altro. La luce da cui lasciarsi illuminare nella quotidianità. E l’esperienza da rimuovere nella preghiera è la santità coniugale.

2. Siate figli del Padre vostro che è nei cieli.
Bisogna assumere uno stile di vita, nella verità di se stessi, perciò le virtù personali che possono trasparire e trasmettere le virtù sociali.
Il rapporto virginale di Maria non rimuova la tenerezza e la dedizione all’altro. E’ un rapporto con la società che dice il “ma io vi dico”, l’oltre di Dio. Forse, in modo particolare, il testo del vangelo spinge alla domanda sul rapporto con la logica del prestigio, del guadagno, dell’uso del tempo. Forse, nella nostra situazione cittadina e di quartiere, ci dovremmo impegnare per testimoniare la “sobrietà felice”. Una sobrietà che non si esprime nella modalità accigliata, amara, di chi sente le circostanze come costringenti a vivere in maniera diversa da come piacerebbe.
Una sobrietà che sia testimonianza di libertà dalla schiavitù delle cose, e di gioia che da quella libertà nasce e si diffonde.
Forse è proprio la famiglia il luogo, l’ambiente per educarsi, nell’ascolto reciproco a saper discernere serenamente la distinzione tra “realtà ultime e realtà penultime (Bonhoeffer) e a trovare le conseguenze altrettanto serenamente.

3. Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Guardare alle famiglie ferite, come primo mondo a cui la sacramentalità della relazione coniugale cristiana è inviata per il bene della società.
Con atteggiamenti concreti che vanno dall’accorgersi, al coraggio di farsi vicini, “approssimarsi”, accogliere facendo proprie le loreo piaghe, anche coinvolgendo i figli perché partecipino alla carità familiare.
 

 

  Indice anno

 

Il lavoro sfida per la famiglia
“Educarsi all’equilibrio ed alla sobrietà”

11 febbraio 2012

 


Le radici bibliche
L'attività umana è molto presente nelle pagine della Bibbia. Tuttavia il termine "lavoro" non può essere cercato nel senso che la società industriale e le scienze del lavoro propongono. La Bibbia parla del Regno di Dio, fa conoscere Gesù Figlio di Dio. Il lavoro appartiene all'esistenza della creatura-uomo, perciò è una componente della sua vocazione e Dio. Non dobbiamo cercare nella Bibbia le citazioni per supportare le varie visioni del lavoro, ma lasciarci guidare da essa alla sempre migliore scoperta del suo sostegno nel riferimento dell'uomo a Dio. Le applicazioni saranno la conseguenza della visione antropologica proposta dalla scrittura.

Il lavoro nella Genesi cap. 1-2
Sei giorni di lavoro, uno di riposo, come un ritmo dell'armonia che è Dio in se stesso e che si riflette nella bellezza del creato e dell'armonia cosmica: "Dio vide che era bello". IL settimo giorno non è di lavoro, ma di compimento. Lavoro e riposo, un ritmo dinamico e vitale. Nel settimo giorno Dio non sta in ozio, ma opera la consacrazione dell'armonia che per sei giorni è in cammino verso il compimento, che così è il primo ed anche l'ultimo (ottavo giorno). Così il racconto della creazione include in se il lavoro ed il riposo. Dio non lavora per poter riiposare e non riposa per poter lavorare di più! Lavora e riposa per consacrarsi alla benedizione. Qeusto significa che l'essere dell'uomo, "immagine" di Dio, indica alla sua coscienza il ritmo lavoro-riposo: "Crescete, moltiplicatevi, riempite la terra, prendetene possesso". Perciò all'uomo "fatto a somiglianza" è affidato il compito di armonizzare il mondo, e la benedizione è sull'uomo che lavora e genera. Il lavoro non è fine a se stesso ma è necessario per realizzare l'uomo come immagine di Dio.
Così i due ritmi, di Dio e dell'uomo si incontrano nel settimo giorno ed è festa ed è incontro con Dio che "parlava con l'uomo nel giardino alla brezza del giorno (Gen. 3,8). Tutto il caos primordiale appare armonizzato, diventa giardino, prima che la disarmonia rientrasse con il peccato e con la pretesa di costruire la casa pre gli uomini senza dialogo con il Creatore, e con la conseguenza della tragedia di babele e della dispersione seguita alla pretesa di uniformare gli uomini con la violenza.
L'alleanza del Sinai popone il lavoro come comando di Dio, a cui l'uomo è chiamato ad obbedire, mentre il riposo del sabato è necessario perché il lavoro sia vissuto inseime con il Creatore.
I profeti insisteranno fortemente sul valore dell'alleanza combattendo l'idolatria del fare, del denaro, del prestigio che è presente anche nell'osservanza esteriore e ostentata del riposo.
Nei libri della Sapienza è ribadita la tensione verso l'armonia della creazione che il solo criterio del lavoro non basta a procurare: solo chi rispetta Dio ed evita il male sarà sapiente nel senso pratico del termine.

Il Nuovo Testamento
La parola di Gesù a Betania (Lc.10) indica che il lavoro di Marta è pieno di affanno, senza gioia, considera ogni cosa di uguale importanza, fino a sottovalutare l'ascolto della Parola. Gesù dice "per la vostra vita non affannatevi", "il Padre sa che avete bisogno", "cercate prima di tutto il Regno" (Mt.6). Gesù vuole che il discepolo si senta innanzitutto membro della famiglia di Dio e perciò libero dalla tensione alienante di produrre e possedere. E' la comunità che roconduce alla scoperta della dignità dellavoro, che fa compiere il passaggio del "devo" all' "io posso". La preghiera di Gesù con la richiesta del "pane nostro" spinge a vedersi "fatti" dai fratelli e "facitori" di essi.
Perciò S. Paolo dirà "se uno non vuole lavorare, nemmeno mangi (2Ts 3,10). E' un monito ai cristiani perché vivano il lavoro nella loro condizione di vita, evitando il cattivo comportamento dei fannulloni "con onore" dinanzi ai non credenti.
Mostra se stesso come esempio "ricordate le nostre fatiche e i nostri stenti, lavorando giorno e notte per non essere di peso a nessuno di voi".
"Mettere a profitto il tempo presente" (Ef.5,15) e la sua proposta alta. Quando il lavoro è il fondamento dell'esistenza la vita è sempre un futuro. Il presente non è più il tempo dell'esistenza, ma rimane sempre un tempo di preparazione. E' a questo punto che nasce l'angoscia di non aver lavorato abbastanza e di dover lavorare di più per costruire il futuro, come dice l'insonnia dell'uomo della parabola che vuole costruire nuovi magazzini per il raccolto (Lc.12). Mettere a profitto il presente significa mettere al  primo posto la "civiltà dell'amore" e non "la civiltà del lavoro". Allora si può sperimentare quella "sobrietà felice" in cui ferialità e festa sono una cosa sola.
Il lavoro è il fondamento su cui si fonda la vita familiare, che è un diritto naturale ed una vocazione dell'uomo. E', in un certo senso, la condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia, perché questa esige i mezzi di sussistenza che in via normale l'uomo acquista mediante il lavoro (Laborem excercens 1981, n.10).
 

M.o I prossimi appuntamenti nel cammino che stiamo facendo sono la famiglia nei confronti del lavoro e della festa.
Ci descrivono, come nel racconto della creazione, l'opera di Dio che "lavora" alla creazione del creato fino all creazione dell'uomo a sua immagine e somiglianza e poi si riposa contemplando e benedicendo quanto aveva realizzato.
Dovrebbe essere le stesso moto di azione della famiglia dedita al lavoro ed al riposo nei ritmi giusti per l'uno e per l'altro.
Eppure nel tempo in cui viviamo, am forse ogni tempo ha avuto problemi similari, sia l'uno (il tempo del lavoro) sia l'altro (il tempo del riposo) subiscono attachhi ed offesi. Il lavoro che deve essere una risorsa della famiglia molto spesso manca, è precario, è sottopagato o al contrario è così soprautilizzato da invadere tutti gli altri tempi inclusi quelli del riposo.
Proponendo il tema del lavoro, risorsa e sfida per la famiglia, siamo coscienti di incamminarci in un terreno difficile dove le problematiche contingenti possono prendere facilmente il sopravvento. D'altra parte non vogliamo fare qui un discorso torico m apiuttosto prendere coscienza della nostra esperienza nei confronti del lavoro, delle sue difficoltà ma anche dei modi in cui moltio spesso ci poniamo in maniera scorretta nei confronti del lavoro.
Allora pensiamo di farci guidare nella nostro confronto, dal libretto di preparazione al convegno di maggio/giugno a Milano che ha tracciato il nostro cammino per quest'anno.
Alcune di queste domande sto cercando di proporle insieme all'invito per l'incontro che invio ogni mese.
Sono domande, penso, che ci spingono a guardare al rapporto lavoro-famiglia al di là dei problemi contingenti, pur se gravi, per molti in questo periodo.
Certo non risolvono i problemi nè cambiano la situazione ma ci permettono di confrontarci e di migliorare il nostro rapporto con i problemi che ci circondano.
 

1. Ringaziamo il Signore per il lavoro che ci consente di mantenere la nostra famiglia?
2. Quale relazione intercorre fra il nostro essere lavoratori e la nostra vocazione di coniugi e genitori?
3. I lavori domestici e la cura dei figli sono condivisi da entrambi?
4. Ci confrontiamo sulle nostre esperienze di lavoro?
5. L’esercizio della professione entra in conflitto con i nostri legami coniugali e familiari
6. Nelle nostre comunità cristiane vi è attenzione ai problemi del lavoro e dell’economia?
7. Quali forme di idolatria del lavoro sono presenti nella società in cui viviamo?
8. Quale ruolo educativo possono svolgere la famiglia, la scuola, la parrocchia nel formare i giovani al valore della laboriosità e della responsabilità sociale?
9. Come recuperare oggi la solidarietà nel mondo del lavoro? Quale aiuto può fornire la Chiesa?
 

F.o Il lavoro è una necessità e in certe situazioni si finisce col pagare una colpa non nostra davanti a scelta sbagliata. La provvidenza è l'unica risposta al problema. Volevo evidenziare anche il lavoro come necessità ma necessità per l'essere.
Dio ha avuto necessità di fare qualcosa di curare. Il non fare nulla è non consono alla dignità umana.
Da questo discende una dignità che hanno tutti i lavori. Un mondo uguale sarebbe molto triste, il mondo ha bisogno della complementarietà. Il lavoro come realizzazione personale. Ed in questi serve ad indirizzare i giovani.
 
C.a L'essere umano si lamenta sempre. Dobbiamo anche abituarci ad accontentarci. Ringraziare il Signore per quello che abbiamo.
 
F.o La dignità del lavoro è una cosa essenziale. Dare motivazione a quello che si fa. Ne deriva l'etica che significa fare bene quello che si fa.
Il primo impatto che ho avuto nel mio lavoro di medico è il distacco dal lavoro. Così si capisce perché il lavoro domestico dovrebbe essere valutato perché non è pagato. Non è il lato economico che dà valore al lavoro. C'è un discorso di compartecipazione dove non è il padrone che deve guadagnare di più ma è la condivisione che dovrebbe guidare. Ricordiamo l'economia di condivisione di Chiara Lubich.
 
V.o Andrebbe fatta una riflessione dove troppo spesso l'imprenditore pensa solo a licenziare le maestranze quando c'è una crisi. Se creo lavoro non posso ragionare solo in termini di profitto. Noi meridionali pensiamo al lavoro come fatica piuttosto che come strumento di benessere, senza considerare anche la dimensione etica.
 
B.a Mi ritengo una persona fortunata perché ho fatto quello che volevo fare: l'insegnante. Lavoro molto spesso disprezzato, considerato male perché solo con 18 ore in classe. I lavori sono di pari dignità. Nella scuola ho cercato ed ottenuto un ottimo rapporto con il personale ATA. Ho avuto la fortuna di andare a lavorare con gioia.
 
V.a Mi sento fortunata del lavoro anche se mi devo con persone psichicamente labili. Gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale: quello di insegnare il rispetto e la crescita dei ragazzi. Come genitori demandiamo alla scuola che invece non è sempre capace di realizzare il progetto.
 
T.o Rapporto tra lavoro e famiglia. Come è devastante perdere il lavoro così è devastante quando il lavoro diventa un'idolatria. Può capitare di ritornare a casa quando i figli si sono già addormentati. Si pensa di lavorare per il futuro e si perde invece il presente.
 
C.a Sto vivendo la situazione del lavoro con il marito lontano che la famiglia siperde. E' difficile affrontare questa situazione perché dipende dal carattere. Lavoro per vivere e non vivo per lavorare. Anche se ci metto l'anima ho sempre pensato che non posso rinunciare alla famiglia ed al lavoro.
La donna pensa di più a famiglia e lavoro. La donna non finisce mai di lavorare. L'uomo invece pensa solo a lavorare. Mentre lavoro penso anche alla mia famiglia, cosa occorrre fare a casa, cosa devono fare i figli: sono al lavoro ma anche nello stesso tempo a casa.
 
F.a E' anche un problema di indole. Una volta era una suddivisione di ruolo. La donna è capace di condividere i due mondi è un fatto di natura e di mentalità. I figli sono aiutati a crescere perché comprendono che c'è una difficoltà.
 
C.a E' crescere insieme nella famiglia. Non ti viene neanche di raccontare, quando mio marito ritorna nel week-end. Mi sento una donna separata.
 
G.i Io lavoro fuori. Se stessi a Napoli senza lavoro non mi sentirei a mio agio. Il mio pensiero fisso non è il mio lavoro ma il pensare a cosa faranno i miei figli nel futuro. Lavoro per preparare a loro un futuro.
 
L.a I mezzi moderni di comunicazione ci offrono di poter essere vicini anche quando c'è distanza. Non è la lontananza che divide ma la capacità di comprendersi.
 
d.G.i Non si può guardare a questo tipi di problematiche in maniera solitaria e di solitudine. Occorre parlarne all'interno della coppia.
La comunità cristiana deve prendere coscienza del mondo che è fuori; non si può dire: "Andate in pace" alla fine della messa, se non si porta nel mondo la pace ricevuta. I doni ricevuti appartengono all'umanità. Chi ha il compito regale di accorgersi dai beni, alla raccolta dei fedeli non può essere destinato ad altro che non alle necessità della comunità perché sono beni della comunità.
 
R.a Etica del lavoro e nel lavoro. Ho dovuto affrontare nel recente passato il sistema sanitario e ho trovato un amancanza di etica totale, con assenza di valori umani; l'etica andrebbe insegnata prima di intraprendere una professione. Se perdi di vista i valori umani non puoi lavorare bene ma diventi una macchina fabbrica soldi.
 

 

  Indice anno
 


La riconciliazione in famiglia
 

10 marzo 2012

 


I punti dell’incontro di preparazione alla Pasqua sono stati:
- il Mistero Pasquale
- la Riconciliazione in Famiglia.

Il Mistero Pasquale ruota attorno alla morte e alla resurrezione di Gesù che, come scrive Paolo ai Corinzi, per alcuni è follia, mentre per altri è salvezza.

Dio si presenta nella forza della sua debolezza - la morte in croce - e agli uomini non rimane altro che essere con Lui o essere contro di Lui.
Per chi è con Lui, la Sua morte in croce è il dono supremo dell'amore di Dio: Gesù dona la sua vita e con tale gesto il fine del Padre è stato portato a compimento proprio perché la morte in croce ha la sua conclusione nella RESURREZIONE.
Ed è proprio nell'atto della Resurrezione che Dio appare vincente in quanto vince la morte e il peccato e supera la dimensione della debolezza che è rappresentata dalla morte in croce del Figlio.
Attraverso tale morte del Figlio, Dio si presenta come perdente e l'uomo arriva così a pensare di poterlo annientare perché ritiene che la croce rappresenti la morte della dignità della persona.

Ma la RESURREZIONE al giorno d'oggi cosa rappresenta per gli uomini?
Rappresenta un misto di sentimenti come la compassione, la pietà, la commozione e l'emozione.
E a far smuovere questi ultimi due sentimenti sono i vari modi di rappresentare la morte di Cristo: la Via Crucis del Venerdì Santo o anche il film di Mel Gibson "La Passione".
L'uomo credente prova i suddetti sentimenti per il fatto che l'Uomo Innocente - Gesù - prende su di sè tutta l'ingiustizia del mondo e, di conseguenza, la sua morte appare ingiusta.
Ma da questa "ingiustizia" scaturisce la Fede del credente.

La Pasqua di Resurrezione è momento di riconciliazione con se stessi e con chi ci sta accanto: la morte e la resurrezione di Gesù che cosa rappresentano per me? Che senso ha la mia vita e che senso ha la mia morte?
Se si ha Fede, il senso del vivere è dato dal significato che si dà alla morte.

Oggi, però, tale concetto tende a sfuggire perché è venuta meno la relazione con gli altri e la società tende a dare più valore all'autorelazione.
I giovani non credono nel loro futuro matrimoniale e nei figli.
L'esperienza degli adulti non serve ai giovani.
La società di oggi è una società che ha perso dantescamente la "diritta via". E'una società che non riflette a fondo sul senso della Pasqua e sul significato della resurrezione e dell'incarnazione di Gesù.
Gesù risorto rappresenta:
- l'unicità e l'irripetibilità della persona di Dio;
- la pienezza della vita, della storia d'amore di Dio con l'umanità; è il punto culminante del progetto di Dio
- il passaggio qualificante della vita durante il quale l'uomo capisce chi è veramente: in quel momento la sua vita non è una vita nuova, ma una vita rinnovata;
- la pienezza dell'identità dell'uomo nell'eternità.

La Pasqua cancella il peccato.
La Pasqua rappresenta la vita e il momento dell'individuo che entra pienamente nella sua vita.
E' Pasqua ogni volta che si entra nel percorso della riconciliazione.

Il mistero della Pasqua consiste:
- nel farsi prossimo a Dio che si è fatto prossimo all'uomo attraverso la morte in croce del Figlio;
- nel vivere il chairos che è vissuto come un dono prezioso;
- nell'abbraccio e nella tenerezza di Dio nel momento in cui suo Figlio è in croce per portare a compimento la volontà del Padre;
- nel comprendere che Dio invita l'umanità ad andare oltre e a non fermarsi davanti all'appesantirsi delle cose della vita;
- nel passaggio di Dio nella storia che ha reso nuovo (e rende ad ogni Pasqua) ciò che già esisteva: Dio diventa sicurezza, si mette in dialogo con l'umanità e con il singolo individuo con il linguaggio giusto in modo da essere accettato, compreso per potersi incarnare;
- nel coraggio di morire per poi risorgere.

La resurrezione è quindi riconciliazione sia nella singola persona e sia nella famiglia: la persona riconciliata in Dio è in grado di riconciliare la famiglia che vive nel caos.
Il processo di riconciliazione può essere ilustrato attraverso la riflessione su tre parabole:
1) la parabola del Figlio Prodigo o del Padre Misericordioso o del Padre Prodigio d'amore
2) la parabola della pecorella smarrita
3) la parabola della moneta perduta.
Dio cerca e lavora con fatica ed impegno affinché nell'uomo si realizzi la riconciliazione con Lui: Dio non si dà pace fino a che tutti non sono a casa - proprio come fa il pastore con la pecorella smarrita - per essere cullati da Lui.
La Resurrezione è, perciò, opera di Dio, di quel Dio della Genesi che non fa soffrire la vergogna ad Adamo ed Eva nel momento in cui scoprono di essere nudi e offre loro le vesti per coprirsi.
L'uomo vuole la libertà ed impazzisce per ottenerla: su tale desiderio si sofferma la parabola del Figliuol Prodigo che, inizialmente, in nome della libertà non tiene conto degli affetti ed è disposto a vivere e sbranare subito la sua libertà, non a gustarla.
La parabola della moneta è incentrata sul tema della riconciliazione in famiglia e su quello della maternità di Dio ed è suddivisa in tre momenti:
1) Luce
2) Ricerca
3) Festa.
La donna perde una moneta tra le dieci monete che ha.
La donna accende la luce e la trova in casa.
La donna metaforicamente perde la preziosità della famiglia, ma la luce della famiglia, Gesù, vince il buio.
La luce/Gesù fa vedere il bello e il brutto e metaforicamente ciò sta a significare che la luce/Gesù fa vedere quello che unisce la famiglia, ma che all'uomo sfugge molto facilmente perché per lui è più facile vedere quello che non va e "crogiolarsi" nel buio.
La luce della riconciliazione, però, segna l'inizio della vita rinnovata dal rapporto dell'individuo con Dio, quel Dio che addormenta l'uomo per fargli scoprire, quando riapre gli occhi, che la donna è carne della sua carne, ossa delle sua ossa, ossia il suo completamento.
La donna trova la moneta e fa festa: la conclusione del cammino di riconciliazione è festa, è condivisione.
La festa diventa la garanzia che Dio non si è stancato dell'uomo.
La condivisione rende partecipe l'altro all'aver permesso a Dio di entrare nella mia vita, nella mia famiglia e di rinnovarmi.
 

 

  Indice anno
 


La festa, tempo della famiglia
 

14 aprile 2012

 


1) Cercare nella radice biblica il senso di un giorno che è stato dimenticato come "giorno di festa" ed è stato definito "tempo libero" in chiave più di individuazione che di spazio per il rapporto. a cominciare familiare ed ecclesiale.
Per i cristiani il settimo giorno vive il suo compimento nella domenica "giorno del Signore" per il ricordo e la presenza di lui.

Gen. 2, 1-4
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.
Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro.
Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.


La Genesi dice che il riposo è compimento dell'opera creatice di Dio. L'uomo, creato a sua immagine, è chiamato a vivere il compimento. Perciò deve trovare un "tempo per Dio", da vivere nel rapporto personale con Lui e prolungarlo nel rapporto umano.
Nel tempo che viviamo, il fine-settimana perde sempre più il carattere religioso e relazionale, per diventare uno spazio sempre più affollato di cose di tipo consumistico.

Es. 20, 8-11
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te.
Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.

Contribuire, come famiglie, a riscoprire la festa come occasione di incontro e reciprocità non solo nei momenti liturgici ma anche nelle relazioni affettive - dando a questi due aspetti del giorno festivo il senso del sacro che l'alleanza intende in Esodo 20 - comporta una vera riscoperta di quello che vale di più. "Non è tanto Israele che ha custodito sabato, ma è il sabato che ha custodito Israele", è stato detto nella tradizione ebraica. Non solo la partecipazione all'Eucarestia con la comunità, non solo l'atto di culto, ma la testimonianza della fraternità nel farsi prossimo; non solo la sospensione del lavoro ma la casa, quest'ambiente che è formativo per natura sua e sarà sempre ricordata dai bambini. E, in modo particolare, il rapporto di coppia che è per natura sua, altamente pedagogico.

At. 2, 42-47
Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.

2) Il comandamento di santificare il sabato: E' un segno dell'alleanza con Dio, che riguarda tutta la creazione, fino alla terra che ha il suo riposo ogni settte anni e al giubileo, il ricordo della libertà dono di Dio libera dal rischio dell'idolatria dei beni, e dello stesso lavoro che può rendere e far sentire schiavi mentre Dio propone la libertà del servizio.
L'unità, l'incontro tra il lavoro e la festa, tra la dimensione dell'efficienza e quella della gratuità, la vita si trasforma in luturgia. Si può sperimentare una libertà che toglie al lavoro il peso della schiavitù per essere liberi per Dio e per gli altri.
questo è il frutto dell'incontro con Dio nell'Eucarestia che, perciò, resta al centro della vita cristiana, incontro "tra la nostra povertà e la tua grandezza", "noi offriamo le cose che ci hai dato, tu donaci in cambio te stesso".
Questo cuore della fede diventa così cuore della festa, introduce la presenza di Gesù Risorto in mezzo ai discepoli che vivono la famiglia.

1 Pt. 3, 1
Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati

3) La "santificazione reciproca"
 

 

  Indice anno
 


La festa tempo della comunità
 

12 maggio 2012

 


don Sandro Canton ci ha portato la sua esperienza nella missione di SAFA, nel Centro Africa:

Parlare della Famiglia e dell'Africa è qualcosa di dirompente; la famiglia è il luogo della vita, il luogo dove l'individuo incontra il mondo. Si vive in Africa in ambietni molto limitati ele persone si spostano difficilemnente. La famiglia quindi è il luogo privilegiato dove si cresce e si vive. I legami "familiari" vanno al di là della parentela del sangue ed è quindi difficile capirne la terminologia. Non deve perciò sorprendere che l'adozione internazionale di bambini che giungono in Europa è diretta soprattutto ai paesi del sud america e dell'Asia. In Africa un bambino orfano è subito preso in carico da quel cerchio più grande di questa famiglia allargata per cui subito c'è una forma di responsabilità e di cura di un bambino rimasto orfano.
I legami pertanto di diffondono in una forma allargata al di là del cerchio familiare. Esiste un mondo di solidarietà che va al di là di tutti i legami. Da qui scaturisce anche il concetto della festa che appartiene a tutti . Gli eventi, tristi o lieti, delle singole persone appartengono a tutti e vengono partecipati da tutti.
Anche il momento della morte diventa un momento di festa per una diversa concezone della morte. Il ricordo del defunto viene vissuto nella danza, nel canto, nello scambio dei servizi necessari al momento. Diventa pertanto obbligatorio partecipare a questo momento di dolore per ricordare il defunto e trasformarlo in momento di festa e di gioia per far continuare a vivere non solo nel ricordo ma inun apresenza viva. La festa quindi è terapeutica perché aiuta a vincere il dolore ad aprire il villaggio all'accoglienza.

Un'altra differenza nella concezione della festa sta nel legarla non alle cose ma alla presenza delle persone. Per cui è necessario manifestare la gioia anche se le cose non ci sono perché la festa non è legata alle cose. La festa aiuta quindi le persone a credere ed essere convinti che occorre ringraziare per quel poco che si ha;, perché è comunque un dono ed in ogni caso non è quello che si ha che genera la festa, la cindivisione con gli altri. La festa è quindi una possibilità di trasformarsi. Essa ha origini laiche ma assume anche una valenza religiosa. Gli stesi riti che troviamo nei villaggi vengono celebrati in chiesa perché è quello il modo di condividere. La festa, ogni festa dura a lungo, perché a tutti va dato il modo di portare la loro carica, la loro partecipazione.

Il lavoro invece per l'Africa è solo sopravvivenza. Non ci sono investimenti, non ci sono attività. Anche quello che arriva dall'esterno è riservato a pochi, perché pochi hanno quel minimo di istruzione che gli permette di accedere a ruoli differenti.
Per gli altri quel poco che c'è legato alla terra ed alla sua coltivazione al piccolo mercato.
E viene spontaneo chiedersi come si può fare festa quando non c'è lavoro e quando spesso per giorni non si mangia. E' proprio la concezione della festa che ha salvato la ritualità e l'importanza della festa in Africa. Perché non si fa festa per quello che si ha, ma si fa festa per le persone che ci sono intorno, e le persone ci sono.
In Africa non esistono persone senza Dio. La presenza di un Dio è fortemente sentita: non succede niente che Dio non l'abbia voluto; e per gli africani è immediato dire: se l'ha voluto Dio è un bene per noi.
Nessuno ha saputo definire la festa africana. E' qualcosa che è dentro ciascuno ed investe tutti. Mi è capitato di partecipare ad una festa a cui non ero stato invitato: è stat una festa di accoglienza, un apresenza gradita da condividere con tutti.
In Africa non ci sono ricorrenze fissate: è la vita che determina il momento della festa. E nessuno ne deve essere escluso. Da qui discende che nessuno vie solo: se qualcuno rimane in solitudine è coinvolto dagli altri per evitare la sua solitudine.
Viene da chiedersi come è possibile continuare a credere nella vita quando si sta anche per giorni senza mangiare.
Le modalità della festa sono quasi sempre le stesse: l'africano parla col corpo, con la danza, con la musica, con la sessualità. Il movimento del corpo fa gioia e non c'è intenzione cattiva. Tramite tutto quello che il corpo possiede, si esprime la gioia, la si comunica agli altri.

Questa concezione della vita non è una fuga dalla realtà. Qui da noi non si parla più di vita eterna, non si parla più di resurrezione. Non ragioniamo più con la visione dello spirito ma solo con quello di material che possiamo toccare.
La gente dell'Africa non sa dire molte parole ma sa molto bene ascoltare. Da qui nasce spontaneo e acquista spessore il concetto di ospitalità. Una persona che venne a trovarci si accorse che nel cortile di un villaggio c'erano delle galline anche se i bambini della famiglia erano particolarmente denutriti;la risposta è che le galline sono per l'ospite, anche se i propri figli sono denutriti. Dall'ospitalità nasce la gratuità perché se ho aiutato gli altri, sarò a mia volta aiutato.

Ecco che tutto cambia significato, anche il sacramento del matrimonio non è l'unione della coppia ma l'unione delle famiglie perché la forza della coppia genera vita che si allarga alla famiglia. Dobbiamo quindi curare i rapporti personali perché produrranno vita.
Bisogna avere cura nella provvidenza e non temere chi ci può portare via il tempo. Noi siamo gelosi del tempo. Occore avere tempo anche per fare festa. In Africa sanno aver cura del tempo. Un loro proverbio dice: voi avete l'orologio noi abbiamo il tempo.

La popolazione di SAFA risponde an una realtà di innocenza. I bambini sono capaci di gioia perché hanno un modo spontaneo di relazionarsi. Noi abbiamo perduto l'innocenza ed è inevitabile che questo succeda. E' faticoso prendere coscienza di sè ma non dobbiamo scoraggiarci. Siamo arrivati a questo punto non perché non amiamo la festa ma perché si cambia. Occorre quindi moltiplicare i punti di incontro per poter dire l'uno all'altro il proprio pensiero.

Dobbiamo smettere di sostituire le persone cose, dare importanza a queste dimenticando i rapporti umani. Devo parlare son una persona non con una cosa inanimata. Dobbiamo guardare alla vita.
Anche il tempo ha la sua importanza e dobbiamo imparare a recuperarne l'importanza. Cosa chiediamo ai sacerdoti? Il tempo. Noi siamo contenti quando qualcuno ci può dedicare del tempo.
Dobbiamo essere capaci di recuperare i valori della solidarietà e della condivisione. Le persone che vengono in Italia a costo di grandi sacrifici, mettendo da parte per anni i soldi e rischiando la vita, quando riescono a guadagnare qualcosa cosa fanno? Mandano i soldi alla famiglia in Africa. Dobbiamo quindi pensare di dedicare del tempo agli altri altrimenti non potrò mai cambiare. Nel reciproco stimarci si costruiscono le realtà vere della solidarietà.
Anche qui da noi ci sono molti esempi di reciproca comprensione. La solidarietà non è un valore cristiano ma esiste da sempre. Gesù Cristo non ha "inventato" la solidarietà ma ha incarnato i valori esaltando i valori buoni ed indicando come da evitare quelli cattivi.
Festa quindi non è solo gioia ma partecipazione alla vita.
Nel racconto del vangelo sono andato alla festa storpi e zoppi perché gli altri non avevano tmepo impegnati nelle cose del mondo.
 

F.o

C'è tanto da imparare perché c'è una religiosità innata che noi abbiamo perso, c'è una semplicità che invece ora noi non abbiamo più. Noi non sappiamo far festa, abbiamo perso la voglia di fare festa. Le nostre comunità evolute perdono la dimensione della gioia. I problemi economici ci sono ma in quella società si può lavorare più facilmente rispetto alla nostra società.

S.a

La ricchezza dell'Africa è nella loro povertà: il contrasto tra il non avere nulla e la voglia di stare insieme. Proiettandolo nella nostra società sembra impossibile ritornare alla loro semplicità 

L.a

Abbiamo perduto la festa perché abbiamo perduto la dimensione del nostro essere. Siamo il risultato di una cultura religiosa anomala. Ringraziamo piuttosto il Signore perché ha messo al mondo persone che vivono questa realtà. Noi non ci accorgiamo che non abbiamo la gioia. Non ascoltiamo le voci profetiche che parlano al nostro mondo.

I.a

Uno degli elementi fondamentali nella mancanza di gioia è che abbiamo messo al centro le cose e non le persone: l'avere invece di cercare e trovare la gioia dell'inconro. Ci condiziona e ci rende più difficile la gioia dell'incontro.

M.o

Quanto ci ha raccontato Sandro non mi sembra una condizione diversa rispetto a quello che si raccontava della vita italiana degli anni '50. Pasolini la chiamava la mutazione sociologica. E' un passato che sembra remoto ma non lontanissimo. E' la vita del vicolo.

T.o

Se non riusciamo a gioire anche l'avere le cose non ci rende gioia. Mi spaventa di più perché non siamo capaci di fare festa perché non sappiamo più condividere le cose. Facebook è uno strumento di comunicazione che ci rende ancora più soli. Aumentano le case di cura per anziano perché non sappiamo nè possiamo dedicare tempo alla cura degli anziani. Siamo diventati delle persone sole. Se noi non torniamo indietro sui valori non riusciamo a rientrare in una vita diversa.

S.a

E' un problema di affidamento. Nella solitudine si pensa solo a se stessi.

F.o

Come possiamo trarre frutto? Siamo pochi ma abbiamo una responsabilità educativa. Sono cose che conosciamo ma non proclamiamo abbastanza. Far capire che non è importante l'avere ma l'essere. Dobbiamo anche cercare di penetrare nei canali dove più facilamente si può farsi sentire.

P.o

Il nostro impegno è per la continuazione della vita: dobbiamo capire dove dobbiamo andare.

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2010-2011

"Farsi carico"

 

9 ottobre 2010 FILMINSIEME: Si può fare
13 novembre 2010 Chiamati alla relazione
11 dicembre 2010

Accorgersi...

Una esperienza personale - I gesuiti di Selva

15 gennaio 2011 Vivere il quartiere
12 febbraio 2011 Fuitevenne! Uno sguardo alla città
12 marzo 2011 La politica al servizio della società
26 marzo 2011 FILMINSIEME: Alla luce del sole
9 aprile 2011 La dignità nel lavoro
14 maggio 2011 Costruttori di fraternità (1° incontro)
11 giugno 2011 Costruttori di fraternità (2° incontro)

 

 

  Indice anno

 

Chiamati alla relazione

13 novembre 2010

 

Dal Vangelo di Luca (10,25-37)
Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna? ". Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi? ". Costui rispose: " Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come tè stesso". E Gesù: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai".
Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo? ". Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatelo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, tè lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? ". Quegli rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va e anche tu fa' lo stesso".

 

 

 

  • per iniziare: l'icona di Rublev:

  • La teologia orientale è prima di tutto contemplazione e l'icona è strumento per trasmetterla. Perciò l'icona è più di un'opera d'arte.

  • La rappresentazione della Trinità con le figure di tre angeli che ricordano: i tre personaggi misteriosi apparsi ad Abramo e Sarà alle querce di Mamre nel cap. 18 di Genesi.

  • Le tre figure, uguali nei manti e nelle movenze fanno pensare a tre immagini di una stessa realtà. L'inclinazione dell'uno verso gli altri e gli sguardi reciproci indicano l'intensità di pensiero e di sentimenti, un rispecchiarsi reciprocamente nell'attenzione verso il centro, dov'è il calice.

  • La Trinità appare come amore in se stessa, ma anche amore che si dona, pronto a sacrificarsi per l'umanità attraverso l'incarnazione.

  • Consenso, pensiero condiviso, congiura... per farsi carico dell'umanità nello spendersi. Nel farsi carico è la rivelazione di Dio!

Il pensiero torna alla Genesi, alla creazione dell'uomo come "immagine di Dio", dell'uomo come unità di coppia per realizzare la "somiglianza", dell'uomo come custode del proprio fratello nel "convivere", fino al vertice proposto da Gesù "che tutti siano uno" (Gv 17). Tutto questo è possibile perché Dio si fa carico, dona se stesso, la sua natura relazionale di Dio Trinità.

Ne viene una conseguenza importante: dallo stesso gesto creatore di Dio, l'uomo nasce non come un'individualità isolata, ma come per una dimensione comunitaria, per cui il rapporto con Dio, il cammino per crescere nella somiglianza avrà la sua prima chiamata nella relazione umana. Non solo nel suo versante inferiore ma anche nella socialità.

Il senso del cammino umano, nei singoli e nella storia, è allora nella relazione spirituale e concreta contemporaneamente secondo quello che viene domandato a ciascuno.

L'itinerario sarà quello di rendersi povero/i in sé, vuoti, per fare spazio all'altro con cui ci si incontra. Come appare dall'immagine del samaritano.

L'attualizzazione nella vita di coppia, della sua sacramentalità.

 

 

  Indice anno

 

Accorgersi

11 dicembre 2010

 

Dal Vangelo di Giovanni (2,1-11)
Tre giorni dopo, ci fa uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino". E Gesù rispose: "Che ho da fare con tè, o donna? Non è ancora giunta la mia ora". La madre dice ai servi: "Fate quello che vi dirà".
Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le giare"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora attingete e portatene al maestro di tavola". Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono".
Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
 

 

 

a. Ambientazione :
tempo, luogo, motivo, sono l'occasione per la rivelazione di Dio, per cui nulla è vuoto di senso e significato.
"Il terzo giorno" è il giorno della risurrezione-gloria, perciò il giorno della festa con Dio per sempre (Is 25,8).
"C'era": esserci, come sarà detto della madre al cap. 19, alla croce. L'importanza di esserci là dove la vita "avviene". Senza l'esserci non è possibile la partecipazione (che perciò non è curiosità, invadenza, protagonismo).
Nella parabola del samaritano: due passanti che lo precedono vedono ma non ci sono, il samaritano vede e c'è. Perché? La possibilità di essere presenti è legata alla conquista paziente della libertà interiore dalla preoccupazione, dal sovrappensiero, che possono schiacciare la sensibilità e - lasciare indifferenti.

b. "Non hanno vino"
Chi inizia?
La "madre" si accorge. Nella situazione c'è qualcosa che non permette la "festa", il bene dell'unità della famiglia.
Assumere l'iniziativa è la conseguenza spontanea e immediata dell'accorgersi. È il bene creativo ma ne nasce un travaglio: la risposta di Gesù risuona come dire che la propria identità non può essere collegata all'episodio che insieme stanno vivendo ma va vista in relazione alla sua "ora", e questa è nascosta alla madre. La radice della sua linea di condotta, che lo fa agire, è nella volontà di un Altro.
La madre è fuori dal legame tra il Figlio e il Padre.
Con fiducia incondizionata nell'efficacia della parola di Lui, la madre (rimproverata!) mantiene l'iniziativa e si affida a quella parola che sa non poter essere che amore e ordina ai servi di fare altrettanto, di affidarsi alla parola di Gesù.

E la fede più grande, la madre ne mostra la qualità.
E apre la strada all'iniziativa del Signore, che parla ai servi, essi obbediscono.
Le due volontà coincidono. La festa può ricominciare!

c. Accorgersi
Nella vita di coppia
Nella vita con i figli
Nella famiglia più ampia
Nel territorio
Nella società
Nella Chiesa
 

F.o

Mi ha colpito che questo miracolo avviene durante la partecipazione ad una festa. Quindi questo miracolo è destinato ad allietare un momento di convivialità, di gioia.
Maria comprende il disagio degli sposi, si accorge della difficoltà in cui possono trovarsi.
Infine mi colpisce la discrzione con cui Maria e Gesù vivono il momento del miracolo. Scompaiono, nessuno sa che cosa sia avvenuto, non si mostrano autori del miracolo.
 

A.a Nel prestare attenzione agli altri ci sono richieste specifiche (la compagnia agli anziani, l'aiuto a chi ha bisogno) ma anche la capacità di farsi presente, di vedere i bisogni degli altri anche quando questi non si esplicitano.
Spesso ci diciamo disponibili ma poi non realizziamo quanto ci viene richiesto.
 
F.o Accorgersi: ci viene richiesto anche nel nostro gruppo. Notare stasera la presenza di persone che non erano presenti negli altri incontri, persone per cui abbiamo pregato. Significa anche notare i segni nel volto di qualcuno che ha bisogno di aiuto, per cui occorre intervenire. E questo spesso salva.
Il fare quasi irruente di Maria non è nelle mie corde, ma penso che invece specie nella famiglia occorre essere attenti: occorre essere "rompiscatole" piuttosto che farsi gli affari propri. E' un bene farsi gli affari degli altri, lindiffferenza danneggia.
 
L.i Quando le richieste sono esplicite è più semplice intervenire. Nella mia esperienza mi ha aiutato a vivere il comando: "vivere bene l'attimo presente" che mi viene dalla mia esperienza di focolarini. Questo modo di vivere fa sì che ci si accorge di chi ci sa intorno; se l'altro si sente amato ritorna e riempie di gioia l'incontro.
 
F.o Mio padre stava fuori tutto il giorno per il mio lavoro eppure era presente anche se lontano da casa. Ora noi genitori vorremmo essere più amici. Ripensando a quando ero ragazzo, all'epoca c'era un distacco; invece noi ora siamo troppo invadenti, il distacco tende invece a sollecitare il contatto da parte dei figli.
 
L.a I nostri ragazzi vivono una vita diversa e quindi vogliamo proteggerli troppo. Loro mutano di anno in anno. E' difficile per noi fare i genitori . Cerco di applicare l'educazione che mia madre dava a me, ma occorre cambiare perché i tempi sono diversi.
 
d.G.i Bisogna chiedersi quanto siamo convinti che nell'altro c'è un mistero. Non possiamo possedere l'altro nelle sue profonde intimità. Non restare sgomenti rispetto al mistero che è l'altro. Ciò che non comprendiamo ci può intimorire e sgomentare
 
F.o Penso alla vita di coppia e cosa significa accorgersi: vedere le esigenze degli altri. Il dialogo rende facile l'accorgersi. Don Lucio Lemmo, nella sua omelia per la messa della famiglia nelle feste di Piedigrotta, ci disse: "Siete le sentinelle gli uni degli altri". Quante crisi, infedeltà nascono dal non vedere, non saper vedere. I disagi dei figli nascono spesso dal non vedere, dal non accorgersi. Bisogna stare attenti alle spie quando queste si accendono. A volte ci neghiamo l'evidenza; occorre usare la parola per comunicare.
 
F.a Qualche volte dipende da una certa superficialità. Cammino senza guardare. Altre volte dipende dal fatto di voler risolvere ogni problema. Accorgersi può significare anche solo essere vicina, anche senza risolvere il problema. Accorgersi è quindi anche solo condividere.
 
L.i Proibie ai figli qualcosa è spesso solo per la nostra tranquillità. Abbiamo la responsabilità di decidere con loro chiedendo aiuto allo Spirito Santo.
 
E.a Mio padre era severissimo su alcune cose e meno su altre. Mi impediva la discoteca ma a 14 anni mi ha complrato la vespa per darmi la capacità di decidere. La mamma invece con la sua emotività non sapeva trasmettermi le giuste sensazioni; invece mio padre mi ha insegnato ad essere autonoma.
Chi si accorge dell'altro fa una doppia fatica: vedere e cercare di risolvere.
Maria si espone perché si prende cura degli altri.
 
D.a Accorgersi significa amare. Nel rapporto di coppia significa saper amare. Bisogna amare per la persona che si ama e non per se stessi.  Nasce dall'amore per la famiglia e nella famiglia e diventa amore per gli altri. Nel rapporto con i figli bisogna imparare ad amarli nelle loro identità.
 
S.a Ci sono situazioni difficile che vivo da sola. Vigilare come genitori perché molti genitori invece non prestano attenzione. Maria interviene e poi si fa da parte per la sciare spazio a chi può agire.
 
C.o Accorgersi può essere una nostra esperienza, un fatto personale ma occorre anche insegnare ad accorgersi. C'è molto da lavorare per far capire la propria sensibilità agli altri. Nell'ambiente di lavoro capita di vedere cose sbagliate e cerco di far vedere agli altri il punto sbagliato.
Anche con i figli occorre far capire la nostra sensibilità ed insegnarla loro.
 
B.a Mi rendo conto di aver vissuto insieme a mia figlia negli anni il cambiamento del modo di intendere l'espressione "farsi carico". Fino a 13 anni vivevo la vita di due persone; si sbaglia anche per troppo amore: come mamma volevo preoccuparmi di tutto.
Mi sono sentita educata da mia figlia a migliorare il mio rapporto con lei. Ho imparato che "farsi carico" significa anche stare zitti, accettare la crescita. E' importante anche nella coppia farsi carico di situazioni esterne che vengano reciprocamente condivise
 

 

  Indice anno

Una esperienza personale - I Gesuiti di Selva

 

Nel mese di luglio scorso abbiamo vissuto un’esperienza molto bella a Selva di Val Gardena.
Presso la casa dei Gesuiti si tengono corsi estivi e non solo, di formazione per giovani e per coppie.
Ci pensavamo da tempo e quest’anno abbiamo deciso di farci questo regalo: un tempo per fermarci, per rivedere e rileggere la nostra vita a due, allontanandoci per un po’ dal quotidiano.
Questa esperienza ha superato di molto le nostre aspettative: per quello che ci ha permesso di vivere all’interno della nostra coppia, per l’occasione di confronto con tante belle persone e storie familiari e, non ultimo, siamo rimasti veramente ammirati dell’organizzazione sia del corso che della gestione della casa, nell’arco della settimana.
Il corso a cui abbiamo partecipato aveva per tema: “ Al principio del fondamento, ovvero come rileggere al plurale un’esperienza singolare”, tema che ricalcava il primo ciclo degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Lojola, traducendolo nell’ambito familiare.
La presenza di due coppie guida ha permesso di proporre la tematica del corso con diverse modalità, dal linguaggio più meditativo e riflessivo, a quello dell’immagine o della corporeità, a quello infine più provocatorio dei giochi di ruolo.
E’ stato per noi un tempo prezioso che ci ha insegnato cose nuove, come ad esempio scrivere il nostro libro degli esercizi, mettere la nostra vita al centro, fermarla per un po’ alla presenza di Dio, rivederla nella prospettiva a due.
Durante questo percorso abbiamo più volte raccontato della nostra esperienza di gruppo di famiglie, per questo adesso ci sentivamo di dover trasmettere a voi la bellezza delle cose che abbiamo vissuto:
- le tante coppie provenienti da tante parti d’Italia e impegnate in tanti campi
- il gran numero di bambini presenti a dare allegria anche ai pranzi insieme e al tempo libero
- i ragazzi che hanno prestato la loro opera per accudire i più piccoli ed organizzarli nelle attività di ogni giorno
- la preghiera condivisa e la partecipazione alle lodi mattutine e alla messa serale
- l’aiuto reciproco, i turni di lavoro nell’autogestione della casa, nel servire a tavola, pulire i locali
- la possibilità di trovarci noi due, uno di fronte all’altro, di parlarci guardandoci negli occhi, con tempi sereni e dilatati
- la bellezza mozzafiato delle montagne che circondano Villa Capriolo che ci ha ospitato…
 

 

  Indice anno

 

Vivere il quartiere

15 gennaio 2011

 

Dalla "Lettera a Diogneto"
I cristiani nè per regione, nè per voce, ne per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, nè usano un gergo che si differenzia, nè conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, nè essi aderiscono ad una corrente fìlosofìca umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio.
A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani.
 

 


Farsi carico del territorio.
- Riferimenti biblici:
     • Es. 36,28 "abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri";
     • Gs. 14,9 "la terra che ha calcato il tuo piede, sarà in eredità a te";
     • Ger. 2,7 "avete contaminato la mia terra",
     • Ger. 29, 4-7, Lettera ai deportati:
"Così dice il Signore degli eserciti. Dio di Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e fìglie, scegliete mogli per i vostri figli e maritate le fìglie, e costoro abbiano fìglie e figli. Lì moltipllcatevi e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro".
- Conseguenze:
     • Riconoscenza,
     • Responsabilità,
     • Assumere il compito di animazione che attua il "coltivare e custodire" del comando del Signore (Gen 2,15)
     •La comprensione dei primi cristiani:
     •La lettera a Diogneto, n° 5
     •La comprensione di oggi,
     •Testimonianza di Clelia Modesti
 

 

L'incontro è stato incentrato sull'intervento di Clelia Modesti, presidente del Comitato Civico prima Municipalità di Chiaia.
Partendo da un suo recente incontro a Scampia, segnalava la differente vitalità che esiste tra un quartiere, certamente problematico come Scampia e la zona di Chiaia. A Scampia c'è una voglia di fare realizzata da oersone, consce delle difficoltà ma felici.
Nella zona di Chiaia questa vitalità, questa felicità non esiste; si vive nell'individualismo e non nella condivisione dei beni e delle risorse che pure esistono sul territorio.
E quindi lo sforzo del comitato è quello di realizzare piccole iniziative che, senza sostituirsi al politico, sollecitano le istituzioni a realizzare micro progetti che da un lato coinvolgano le persone dall'altro realizzino un benessere che non è agiatezza ma valorizzazione del territorio e rispetto per quello che c'è nel territorio stesso.
Un'altra dimensione in cui si muove il comitato è il superamento di una mentalià partitica all'interno di questa istituzione che fa coincidere spesso più quello che è utile al proprio partito piuttosto che all'interesse delle persone. Se una cosa è buona da realizzare non diventa cattiva perché proposta dalla parte avversa.
La realizzazione di questi micro interventi infonde inoltre la certezza che l'interessamento dei cittadini rende possibile il lavorare insieme alle istituzioni ed essere di pungolo e controllo al lavoro da fare.
La partecipazione al comitato non è solo una condivisione di solidarietà ma un diventare parte attiva. Essere in molti aiuta ad essere voce del territorio.
L'attività del comitato e le sue realizzazioni sono riportate nel sito (visita il sito) e ciascuno può contribuire con proposte e segnalazioni

Il dibattito che è seguito ha confermato la necessità di farsi parte attiva nella realtà in cui viviamo per realizzazre quella presenza che può essere di sprone agli altri e di aiuto ai piuù deboli
 

 

  Indice anno

 

Fuitevenne! Uno sguardo alla città

12 febbraio 2011

d.G.i

Ho fatto un sogno! Riuscire a guardare con l'occhio di Dio per non fuggire, per prendersi a carico anche il dolore. Nella Bibbia c'è il dolore di Dio. Dio Padre sente di poter confidare il suo pensiero a chi lo può capire: "Non posso tacere al mio amico Abramo il mio piano su Sodoma e Gomorra" Così come si confida con Mosè quando dice: "Ho sentito il lamento del mio popolo e sono venuto a liberarlo".
La tentazione del giusto può prenderci vedendo il tanto male della nostra città. Ma ancora nella Bibbia troviamo le parole di Iavhè: "Può una madre dimenticare il proprio figlio?
E Gesù, guardando Gerusalemme, pianse sulla città perché non aveva saputo riconoscere i segni che tante volte aveva ricevuto
Proporre una meditazione sul "Fuitavenne" è proprio per cercare le ragioni del restare.
Proprio Gesù appena dopo aver pianto sulla città, entra nel tempio e scaccia i mercanti, scuotendo la città e spingendola a pregare, a vivere in modo diverso.
Isaia ci dice: "il sacrificio che io voglio è aiutare la vedova."
Ed in queste parole della scrittura che occorre trovare la forza di reagire, la forza di restare.
 

 

L'incontro è stato incentrato sull'intervento di Mario Di Costanzo.
(appunti presi nel corso dell'incontro)
 

Napoli non è una città complessa ma una città complicata, in cui non una sola causa ma più con-cause rendono difficile il percorso.
In base alla mia esperienza posso portare una visione sia dal punto di vista ecclesiale che politico della situazione napoletana.
Alla provocazione scelta con l'espressione di Eduardo "Fuitevenne", io ne contrappongo un'altra sempre di Eduardo: "Addà passa 'a nuttata". Questa seconda espressione  contiene il messaggio dell'attesa, di qualcosa che viene dall'alto senza che ciascuno faccia il suo: il tempo cambia ed arriverà qualcosa di meglio.
Anche il cuore dei napoletani, così caro alla tradizione, è qualcosa che sta cambiando e ne avvertiamo la realtà nelle vicende di tutti i giorni.
Un problema serio che ha investito il laicato italiano è la trasformazione del termine laico e del suo modo di comportarsi. Quindici anni fa il termine "operatore pastorale" non esisteva; c'era il laico così come espresso dal concilio: un cristiano che prega, che pensa, che sta dentro la situazione del proprio paese, compreso la situazione politica. L'operatore pastorale invece è un cristiano che sa tutto sull'azione pastorale ma ignora la vita della sua città.
Allora possiamo anche andar via dopo però aver fatto un esame di coscienza sulla vita della nostra città.
Paola Bignardi ha definito il laico come:
1) il laico pastorale, che si spende molto nelle iniziativa, a volte eccessiva se perde il riferimento alla realtà.
2) il laico spirituale, che identifica l'esperienza cristiana con la sua vicenda interiore e mette in secondo piano il riferimento alla realtà


E' certo che il laicato in questi ultimi tempi ha avuto una condotta omissiva nei confronti dei documenti sulla dottrina sociale. Già 22 anni fa nel 1989, i vescovi italiani pubblicavano un documento su "SVILUPPO NELLA SOLIDARIETA’. CHIESA ITALIANA E MEZZOGIORNO"
In questo documento c'è un'analisi attenta della situazione, una denuncia violenta dell'illegalià diffusa; in una situazione di illegalià sono penalizzati gli ultimi, i piccoli. Ma nello stesso tempo si richiama il compito primario della chiesa di farsi voce per rompere i meccanismi e proporre una nuova logica di sviluppo. La chiesa deve formare le coscienze e: "Sono necessari, e doverosi, l’aiuto e la solidarietà dell’intera nazione, ma in primo luogo sono i meridionali i responsabili di ciò che il sud sarà nel futuro"

Quale è la nostra responsabilità? C'è una responsabilità personale e collettiva. In termini personali principalmente il non approfittare dello stato sociale e delle sue provvidenze per ottenere indebiti vantaggi; rispettare le regole con responsabilità personale; gestire la cosa pubblica con il principio del buon padre di famiglia, con attenzione e cura.

C'è anche certamente una grande responsabilità del sistema politico: i partiti non sono più la fonte delle idee e delle proposte ma ne mantengono solo la gestione, ingigantendo i guasti che ne discendono.

Cosa fare per riprendere quota: occorre puntare sull'istruzione, così come anche i vescovi hanno sostentuo in un loro recente documento. Quale futuro ha una gioventù che non frequenta o abbandona la scuola prima dei termini? E quale competitività ha una scuola che non ha qualità? Una gioventù senza istruzione o con scuola di scarsa qualità è perdente in partenza e può facilmente cadere nella delinquenza e finire inglobata nel crimine organizzato. Dalla scuola quindi si dovrebbe ripartire.

Si può finire con un catalogo dei doveri per far rialzare questa città:

- il dovere di un'intelligenza critica, capace di comprendere gli effettivi ruoli delle forze reali, anche se occulte.

- formare un laicato capace di capire e di essere presente nel mondo

- riprendere e riproporre la dottrina sociale della chiesa come fonte di studio e di realizzazione per la  ripresa della città

 

 

  Indice anno

 

La politica al servizio della società

12 marzo 2011

d.G.i

Il riferimento biblico per l'incontro di stasera è:
"Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stao dato dall'alto" (Gv. 19,11)

Possiamo aggiungere: "Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore" (1 Pt. 2,13)

Per noi c'è la scoperta che la comunità di fede non nasce da una condizione "anarchica" della propria esistenza, ma da un pensarsi "a corpo" nella condivisione delle responsabilità per il bene comune.

C'è una provvidenza anche nelle persone che hanno ricevuto un incarico. Gesù è inserito nella storia: nasce a Betlemme per ordine dell'imperatore, Cresce in un asocietà configurata a non anarcoide, paga la tassa, si sottopone alla società organizzata. Per noi è la scoperta che la vocazione cristiana è anche vocazione alla vita civile.
Il 6 gennaio 1994, Giovanni Paolo II scriveva ai vescovi italiani: "Certamente oggi è necessario un profondo rinnovamento sociale e politico. Accanto a coloro che, ispirandosi ai valori cristiani, hanno contribuito a governare l'Italia nel corso di questo mezzo secolo, acquistando innumerevoli meriti verso il paese e il suo sviluppo, non sono mancate purtroppo persone che non hanno saputo evitare addebiti anche gravi...
I laici cristiani non possono dunque, proprio in questo decisivo momento storico, sottrarsi alle loro responsabilità. Devono piuttosto testimoniare con coraggio la loro fiducia in Dio, Signore della storia, e il loro amore per l'Italia attraverso una presenza unita e coerente e un servizio onesto e disinteressato nel campo sociale e politico, sempre aperti ad una sincera collaborazione con tutte le forze sane della nazione" (Le responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell'attuale momento storico).

Quasi come una risposta a questa domanda, Chiara Lubich fondava il movimento politico per l'unità nel 1996: "Ognuno scruti il fondo del proprio cuore: si interroghi sul contributo personale che può dare, si che nessun essere umano si senta estraneo a questa "gestazione di un mondo nuovo"
 

 

All'incontro ha partecipato Argia Albanese, della segrateria del Movimento Politico per l'Unità.
(appunti presi nel corso dell'incontro)

La mia presenza non può che portare il racconto di un'esperienza in politica in prima persona: insegnante, inserita nel movimento dei focolari. Spinta da sempre ad un impegno politico, inizialmente nella scuola, le elezioniscolastiche e glli organi collegiali. Dopo l'incontro con Chiara Lubich a Pompei, in cui nasce il M.P.U., l'impegno a protare in politica l'amore scambievole e tramite questo costruire l'unità. Fino ad essere eletta al Parlamento nel 1996.
La politica è lo strumento che ha realizzato i lprogresso dell'umanità ma anche dove si realizzano le peggiori situazioni.
Cosa è significato per me avere incontrato questo ideale e perché è necessario impegnarsi inpolitica: L'impegno in politica è significato per me stare dalla parte dei deboli, degli ultimi; agli inizi da giovane, approfondire e capire il bilancio comunale, seguire i lavori del consiglio comunale per sollecitare il corretto lavoro degli assessori. Dopo il territori del 1980, il programma di ricostruzione ha interessato 13 comuni del circondario napoletano dove sono stati trasferiti cittadini di Napoli, quartieri diventati in breve dormitori e ghetti. E quindi battaglie per costruire in questi quartieri infrastrutture, chiese, scuoloe e non solo case. Ansia di stare dalla parte dei più deboli, applicando il motto di Chiara Lubich: "morire per la propria gente". E quindi organizzazione di doposcuola perché l'impegno non sia solo astratto ma anche concreto.
Quando mi sono candidata al parlamento e sono stata assegnata in una sezione non facile per ilmio partito ho dovuto misurarmi in una campagna elettorale molto difficile per dar voce ai cittadini più deboli; mi sono confrontata con forze che intervenivano pesantemente nelle decisioni dei cittadini. Questo mio sostegno alla parte debole della popolazione, prendendo parte ai loro bisogni, penso mi abbia portato alla elezione al parlamento.

Subito dopo inun incontro con Chiara ho ricevuto un impegno particolare: non quello di aiutare tutti ma di amare tutti e lavorare insieme con le altre forze.

Così nasce l'eperienza di questo movimento voluto da Chiara e che mi ha portato negli anni del mio mandato parlamentare veramente a cercare in ogni altro collega, indipendente dalla sua appartenenza, un altro da amare. Ed ho legato questa scelta al fine del mio mandato: se non amo, mi dicevo, rendo vano qualunque altro impegno. In ogni caso non sono mancati momenti molto duri, difficili da accettare, talvolta proprio all'interno della coalizione piuttosto che con la parte "avversa"

La mancata rielezione non è stata facile da riaccettare ma ho cercato di comprenderne le ragioni. Ho capito poi che fare politica poteva essere ed è anche essere cittadina là dove mi trovo, quindi di nuovo nella scuola, come genitore, come famiglia, nel mio quartiere.

Per questo occorre riscoprire il significato della politica, vivere la politica come amore perché la si intenda come vocazione; poi si può andare verso gli altri.
L'etica pubblica non appartiene ai cattolici ma è un patrimonio comune che fonda i cittadini. E' importatne considerare l'etica pubblica come azione comune del popolo. In America Latina è in corso un progetto presso alcune università per lo studio della fraternità in politica. Questo concetto era già presente ai tempi della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza; ma solo le prime sono state analizzate ed in molti casi perseguiti. Si è perso o non mai attuato il concetto di fraternità.

In Italia abbiamo anche un modo diverso di intendere la politica. Al sud ricerchiamo più un rapporto personale con il politico: si cerca personalmente il politico non solo per favori ma anche per la risoluzione dei problemi. Al nord invece sono maggiormente i gruppi organizzati, industriali, artigianali, di altra natura, che instaurano il contatto con la politica. E questo in parte dà più voce alla popolazione ed allontana la ricerca del favore personale.

Il M.P.U. si è imposto il compito di trasmettere alle persone un contenuto nuovo nel modo di fare politica.
 

d.G.i

Conclusione:
Paolo VI diceva: "La giustizia è la misura minima della carità. La politica è la misura massima della carità".
Stasera abbiamo avuto la testimonianza di come si può incontrare la croce nel fare la politica.
 

 

  Indice anno

 

La dignità nel lavoro

9 aprile 2011

d.G.i

Il riferimento biblico per l'incontro di stasera è:
"...non più però come schiavo, ma come fratello carissimo" (Fm. 1,16)

Una lettera brevissima, quasi un biglietto, dalla prigionia (o ad Efeso tra il 52 e il 54, oppure da Roma tra il 61 ed il 63) rivolta a Filemone, un cristiano di Colosso portato alla fede da Paolo. Uno schiavo di nome Onesimo (significato: utile) era fuggito dalla casa; incontra Paolo ed il vangelo, è battezzato, e comprende nella nuova visione della vita di dover tornare dal suo padrone.
La soluzione dell'inevitabile tensione sta nel proporre una dimensione nuova che è la fraternità, conseguenza dell'essere figlio di Dio, dello stesso Padre, e perciò fratelli, diventati per il battesimo discepoli di Gesù Cristo.

Filemone è esortato ad accoglierlo "per sempre" non più come schiavo ma, "molto più che schiavo, come fratello carissimo", "sia come uomo sia come fratello nel Signore".
Dignità dunque, come uomo e come cristiano.


Il pensiero della Chiesa
"benché tra gli uomini vi siano giuste diversità, la uguale dignità delle persone richiede che si giunga a condizioni di vita più umana e giuste" (GS 29)
"Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni. Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa." (GS 41).
"Gli uomini del nostro tempo reagiscono con coscienza sempre più sensibile di fronte a tali disparità: essi sono profondamente convinti che le più ampie possibilità tecniche ed economiche, proprie del mondo contemporaneo, potrebbero e dovrebbero correggere questo funesto stato di cose. (GS 53).

i vari aspetti della vita sociale in cui si rileva la dignità:

- famiglia
- scuola
- mondo del lavoro
- politiche sociali
- sanità

Gesù aveva detto: "Non chiamate nessuno padre". Nelle Beatitudine non c'è posto per una superiorità l'uno dell'altro. Ciò non toglie che ci siano tensioni perché i cristiani sono presenti nel mondo.
 

C.D.C

Quando mi hanno chiesto di introdurre l'incontro mi sono lanciato, ma poi ho pensato: cosa dico? La dignità deve essere a 360°, non in un unica direzione come per esempio quella del sindacato. E' una dignità dell'essere.
Dal calendario di San Gaspare: "la libertà, il sabato, il giorno di riposo trova la sua completezza nel riposo più che nel fare".
Ma nella mia esperienza il giorno di riposo è dedicato al lavoro. Molto spesso mia figlia, ora 30 anni, mi ha rinfacciato questa mancanza. Una volta non si poteva rinunciare a lavorare la domenica; ora ci sono impostazioni diverse, si dà il lavoro in appalto, si chiede ad altri di lavorare la domenica.
Sempre dal calendario: "sapersi fermare, dire basta in modo che questa scelta diventi una ricchezza: il riposo aumenta la capacità di essere. In vacanza per esempio è il momento di recuperare la dimensione, di ritrovare se stessi con la lettura ed anche la preghiera e la meditazione.
Nell'ambiente di lavoro ognuno cerca la propria affermazione che definisco: dignità apparente. L'affermazione di se stesso è dare il consenso a chi è sopra di noi; ma se il nostro superiore fa qualcosa che non è accettabile, come ci si comporta?
Nel mondo dell'informazione, l'ordine delle notizie nelle diverse testate non è lo stesso. Questa diversità non è accettabile, è mettere in rilievo quello che interessa e non quello che ha vera priorità.
Ci sono testate giornalistiche dove è impossibile farsi palatini dell'etica professionale. Siamo tutti d'accordo che le cose non vanno se ne parliamo singolarmente; poi spesso ci comportiamo come pecore che seguono le decisioni che arrivano dall'alto.
E' una lotta enorme i cui risultati sono spesso molto piccoli; gli sforzi non sono visti e compresi da nessuno.
C'è molta gente che farebbe di tutto pur di apparire in televisione. Compito corretto di chi conduce un inchiesta, un intervista è comprendere chi ci sta di fronte, capire che spesso si tratta di persone deboli.
Ci vuole infine un rispetto del lavoro in quanto fonte di benessere. L'immagine della tavola è il frutto del lavoro e va rispettato nei confronti di chi si è preoccupato di imbandire la tavola.
La propria dignità sul lavoro passa attraverso la dignità degli altri. Ci dobbimao unire a quelli che la pensano allo stesso modo. Anche se spesso non si è capiti. Sono stato per 10 anni nel sindacato ed alla fine sono stato accusato di aver utilizzato quel periodo per raggiungere posizioni di carriera.
 

L.a

Chi fa il proprio dovere non fa carriera perché dà fastidio. Ho quindi dei dubbi a come fare per portare avanti la dignità del lavoro
 

F.o

Dobbiamo dare l'esempio, avere la coscienza di fare bene il proprio lavoro, avere questa disposizione. La mentalià corrente è quella di portare a casa il mensile a fine mese. Ma occorre seguire prima il dovere e poi il diritto. E' un po' la mentalità che siamo soliti attribuire ai giapponesi. La nostra costituzione è fondata sul lavoro: quindi tutti dovrebbero fare il proprio dovere al lavoro. Invece se rinunicamo ad essere di pungolo per gli altri, non ci comportiamo più da cristiani.
All'inizio della mia attività ero sconcertato dalla mancanza di professionalità di medici ed infermieri. Mi aiutò trovare alcune persone che si davano da fare e mettendoci insieme riuscimmo a creare un ambiente diverso.
Pensiamo al lavoro non riconosciuto di tante donne, le casalinghe, che lavorano a casa e spesso fuori. Ed essendo questo lavoro non retribuito, solo l'amore lo giustifica.
Pensiamo ai nostri giovani, che sono costretti per la mancanza di opportunità a passare attraverso tante rinunce.
La precarietà invece è una miniera per i politici perché è fonte di continue promesse, spesso non mantenute.
 

d.G.i

Il momento storico che stiamo vivendo, le situazioni se lette dal punto di vista della negatività sono funeste ma se viste dal lato di "farsi carico" sono un'opportunità, sono la capacità di accorgersi e di dare le ragioni della speranza.
 

L.o

Lo scritto che abbiamo avuto in preparazione a questo incontro (G.Matino - Ero nudo) si parla di dignità del lavoro. Mio padre 40 anni fa si licenziò da dirigente perché notò irregolarità nel lavoro della sua azienda. Fu un momento duro per la nostra famiglia. Ma il ricordo di quel gesto, mi ha abituato a scindere il lavoro dalla retribuzione. Vedo persone che ricevono retribuzioni non proporzionate alle ore di servizio, costrette a tempi di lavoro estremamente lunghi.
 

M.o

Ho vissuto un'esperienza molto difficile lo scorso anno. Come tante industrie della zona anche la mia ha subito un taglio di 15 persone su un totale di 40. Per me, che sin dal primo momento non ero tra le persone coinvolte nei tagli, è stato difficile affiancare i colleghi che dovevano lasciare il lavoro, unendomi alle loro proteste; ma nello stesso tempo non apparire falso avendo le spalle coperte.
Ho visto però anche altri colleghi che nello stessa situazione non hanno voluto condividere, anche solo come partecipazione, le difficoltà che si stavano vivendo
 

F.a

La dignità del lavoro riguarda anche le strutture in cui il lavoro si svolge. La scuola dove insegno è grande e spaziosa ma un cedimento strutturale ad inizio anno ci ha relegato in una parte dell'edificio. Così anche i servizi si sono ridotti, fino ad una situazione davvero difficile anche igienicamnete.
Ho preso l'iniziativa di scrivere una lettera al dirigente, sottoscritta dai colleghi, per ottenere un intervento migliorativo.
Ma penso a quanta gente deve prestare il proprio servizio in ambienti fatiscenti dove la dignità non viene per niente rispettata.
 

B.a

Per lavorare con dignità bisogna fare un lavoro che si ama. Inoltre bisogna imparare a lasciare fuori dal lavoro tutti gli aspetti che non riguardano il lavoro stesso. Mentre si lavora non si può pensare ad altro. Chi ha un rapporto con il pubblico nel proprio lavoro non può scaricare le proprie frustazioni sul lavoro. Infina bisogna sempre scindere il discorso economico da quello del lavoro.
 

S.a

Anche per me non è giusto legare il lavoro alla retribuzione. Nel mondo della scuola dove lavoro, molti insegnati sostengono di non fare il propro lavoro perché non gudadagnano sufficientemente e giustificano in questo modo un comportamento lassivo. Lavoro quest'anno ad un liceo dopo tanti anni al nautico. Vivo la responsabilità di trasmettere ai ragazzi la cultura. L'ambiente è diverso: ragazzi di alta borghesia, figli di ricchi, viziati. Sto cercando di guardare nei ragazzi dei fratelli da amare; ho imparato a non guardare il loro aspetto ma ad amarli per quello che sono; anche nella dirigente non cerco solo di condividere quello che fa ma vedere quello che lei è. Non è più il solo senso del dovere ma si cerca di risplendere insieme.
 

C.e

E' difficile spesso comportarsi onestamente perché ogni uomo ha un prezzo; è facile essere coinvolti. Ma se veramente non si vuole esssere coinvolti non si entra per non farsi comprare anche se questo potrebbe dire rinuncia.
 

 

  Indice anno

 

Costruttori di fraternità - 1° incontro

14 maggio 2011

d.G.i

Il riferimento biblico per l'incontro di stasera è:
"La moltitudine dei credenti era un cuore solo ed un'anima sola" (At. 4,22)

Forse all'origine il testo di Genesi su Caino ed Abele non si riferisce ai primi uomini ma ad un antenato dei Cainiti al tempo dei patriarchi. Forse è stato riportato alle origini dell'umanità per dare al testo un valore universale.
Due modi di vita talmente diversi, stanziale e nomade, da indurre alla violenza. Quando Dio domanda a Caino: "dov'è Abele, tuo fratello?" Caino risponde: "Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?" E il Signore: "la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo".
Comincia nella scrittura lo svolgimento del filo d'oro della rivelazione di Dio che fa della vicenda dell'umanità un cammino di ritorno all'Uno. Dio conduce a comprendere la fratenità come il massimo della realtà umana. Nel popolo di Israele si sviluppa la consapevolezza di essere chiamati fratelli.
Nel Nuovo Testamento questa pedagogia è vissuta da Gesù con i "suoi". Dalla relazione iniziale generata dalla chiamata al discepolato, in cui era prevalente l'essere correligionari e compatrioti, il Signore li conduce a chiamarli "amici" a cui si può confidare fino in fondo il progetto del Padre che è l'unità, fino alla condivisione della preghiera perché "siamo una cosa sola come io e te, Padre"
Gesù volle che i discepoli stessero con lui, senza interessi particolari. Alla sera del giovedì dice loro: "Non vi chiamo servi ma vi chiamo amici". Non basta più essere insieme, occorre camminare verso un'amicizia.
Gesù inaugura questa aspirazione di Dio, non rimandandola al futuro ma affermandola al presente. Il Risorto dice a Maria di Magdala: "Va dai miei fratelli".
L'unità è dunque possibile e già inaugurata come modo di essere uomini ad immagine e somiglianza di Dio Trinità.
La pedagogia di Dio parte dai fratelli Caino ed Abele per arrivare ad essere uno nella Trinità.

Le conseguenze nel Nuovo Testamento:
"chi non ama il proprio fratello, non può amare Dio" (1 Gv. 4,20)
"solleciti per le necessità dei fratelli" (Rm. 12,13)
"i fratelli sparsi per il mondo" (1 Pt. 5,9)

La Chiesa è segno di questa fraternità, con il lavoro incessante per il cammino: dalla famiglia al clan, dal popolo di appartenenza all'universalità della relazione umana, all'unità di un cuor solo ed un'anima sola.
Che potrebbe essere la parola dell'essere insieme nel carisma canonicale.
Riconoscere l'altro come "fratello" significa rendergli possibile il ritrovamento della verità di essere figlio di Dio. La conseguenza è prendere coscienza delle tante forme di indifferenza, delle parole appuntite, dell'indulgenza con la maldicenza, tutte cose che possono uccidere il fratello in noi!
Ma la conseguenza positiva che incide e rinnova radicalmente la relazione umana è riconoscere Cristo in ogni volto.

F&L

La fraternità non è uno stato naturale; tra fratelli c'è spesso motivo di dissidio. La fraternità è piuttosto una scelta o forse una vocazione. Bisogna essere convinti di essere fratelli. Noi non possiamo essere da soli; dall'inizio dei tempi: "Non è bene che l'uomo sia solo...". Ho bisogno dell'altro; ed allora o uso gli altri  o sono io ad amare gli altri. Io e gli altri o meglio "noi".
La fraternità è una scelta riconosciuta anche da valori laici (vedi Rivoluzione Farncese). Non è quindi solo un valore religioso ma per noi cristiani è uno specifico. Essere cristiani significa essere tutti fratelli (Gv. 13,34-35)
Gesù ci dà un comandamento che vale per tutti.
Il punto centrale è la regola d'oro: Ciò che volete gli uomini facciano a voi. anche voi fatelo a loro (Lc. 6,27-38)
Questa regola esiste in tutte le religioni e anche nel mondo laico (Dichiarazione doveri degli uomini art.4)
Esiste da qualche anno anche un "premio della fraternità" che vuole evidenziare chi è capace di mettersi nei panni del più debole, guardando il mondo con i suoi occhi.

G.i

A volte ci scoraggiamo di fronte alle difficoltà. Da diacono e terziario francescano, ho fatto della fraternità la base della mia vita, su ispirazione della vita francescana. Ma per relizzare la fraternità e la solidarietà dobbiamo rivestirci di Cristo. La solidarietà senza fraternità è semplice assistenza.
Da questi principi ci siamo chiesti, tempo fa, con alcuni amici cosa facciamo da cristiani di fronte alla realtà della povertà.
E' nata così l'idea degli "Amici di strada", per distribuire ai senza tetto un pasto caldo una volta alla settimana. Noi che siamo impegnati in questa "distribuzione" sentiamo però che è una comunità intera che si sente coinvolta: si sente che anche per chi si dedica solo a preparare i pasti c'è un'attenzione ed una cura che è un tutto uno con il gruppo che si occupa della distribuzione.
E' solo un piccolo passo; abbiamo forse dimenticato le opere di misericordia che sono stati per secoli la spina dorsale della chiesa. Se esiste una paternità di Dio, esiste una fraternità che lega tutti noi.
Queste persone che noi andiamo ad incontrare ormai ci conoscono, ci aspettano, ci abbracciano. Hanno bisogno di essere rafforzati nelle loro decisioni per farli crescere ed abbandonare questa posizione.
Si dice non c'è carità senza giustizia ma ora si deve anche dire non c'è giustizia senza carità.
C'è tanto da fare, ci vorrebbe un accompagnamento continuo, un impegno di cui tutti i cristiani si dovrebbero farsi carico

F&L

Anche noi di Famiglie Insieme abbiamo avuto questa sensibilità e da tanti anni abbiamo scelto il sostegno a distanza. Ma stiamo maturando anche un sostegno a vicinanza.
L'abbiamo sperimentato a Natale. Con una serie di piccoli passi siamo riusciti a raccogliere una cifra superiore a quello che serviva. La maggiore povertà di cui soffrono molte persone è la dignità perduta. C'è bisogno di un cammino di recupero. Una suora con molta dedizione si dedica e ci sollecita a sostenere un recupero.
Possiamo e dobbiamo sentirci coinvolti per questo cammino di recupero.

R.a

Per recuperare queste persone non c'è bisogno solo del pasto ma un percorso di recupero.

F&L

Dal discorso di Chiara Lubich a 700 politici di tutto il monod (Innsbruck 2001): "la risposta alla vocazione politica è innanzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo, infatti, solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come se fosse il proprio."
Un eccesso di aiuto potrebbe essere di intralcio alla crescita delle persone. La preoccupazione è far crescere la responsabilità.
Non bisogna farlo da solo. Il confronto con altri ci può aiutare a capire quale è la strada da percorrere.
Se siamo umili, se riusciamo ad essere vicini ad una persona e la facciamo parlare si capisce che quella persona è uguale a me. Allora mi devo prendere la colpa di non aver considerato la persona come un mio fratello. Dovrebbero finire queste barriere che ci incattiviscono.

d.G.i

A Piedigrotta siamo una comunità che partecipa alla vita delle altre comunità. Cerchiamo di avere un cuor solo ed un'anima sola. Nella prima comunità cristiana non c'era nessun indigente perché c'era una corresponsabilità costante l'uno dell'altro.

L.y

Non bisogna sottovalutare l'importanza di questo incontro. Quello che si costruisce in questa stanza ci aiuta quando rimaniamo soli. Spesso i problemi li affrontiamo da soli. Basta un attimo, qui costruiamo un rapporto che ci rende presente il Signore. C'è la certezza che noi con Lui possiamo vivere un problema anche se non lo possiamo risolvere. La grazia di non sentirsi sola: "ero nudo e mi avete dato da vestire". Che ricchezze incredibili di dolore, esperienza, condivisione con gli altri si può trovare in quelli che noi definiamo "barbone". Se non mi fossi avvicinata e non avessi creato un legame non avrei scoperto tutto il bello che possedeva.

F.o

Mi sento sconsolato; se anche dessi tutto del mio, non risolverei il problema. Non servono solo i soldi.
Esiste anche il mondo del lavoro, della famiglia e non solo il mondo dell'indigenza.

E.a

C'è anche un altro aspetto. Ho fatto per un periodo un cammino neocatecuminale. Un percorso che ci veniva richiesto: "Scegli una cosa a cui tieni di più, vendila e dai i soldi a qualcuno. C'era una zingara vicino alla casa dove abitavo, che stava tutto il giorno seduta senza fare niente con  i bambini che erano liberi per la strada. Forse all'epoca eravamo meno abituati di ora. Non mi era simpatica, mi sembrava che potesse fare qualcosa per cambiare. 
Quando decisi di dare alla prima persona che incontravo il ricavato della mia privazione, incontrai lei per prima.
Questo mi fece capire che dovevo superare il giudizio. Non stava a me giudicare il comportamento dell'altro; dovevo dare senza pregiudizi.

R.a

Si ha paura di essere troppo coinvolti. Queste persone potrebbero appropriarsi della nostra vita. Spesso si teme di riversare troppo amore verso una madre che ha bisogno di aiuto, si ha paura di essere troppo coinvolti e quindi si mette una distanza.

d.G.i

Il primo obiettivo della carità non è operare ma amare. La solidarietà è una misura penultima. La carità è la misura ultima. Pensare di risolvere il problema degli "Amici di Strada" può essere limitante. Amare tutti deve essere "l'amore che opera".

S.a

Andando a trovare gli ex alunni non mi aspettavo una tale accoglienza. Ho ringraziato il Signore per l'accoglienza che ho ricevuto. Mi sono sempre chiesto come coinvolgere questi ragazzi: l'operosità nasce dall'amore. Il germe dell'amore rimane ma è un dono che va coltivato.

D.a

Occorre solidarietà e non beneficenza. E quello che ha fatto il samaritano. La solidarietà è contagiosa. Abbiamo fatto un'esperienza nell'ospitare un bambino russo. Ricordo con molta emozione tutto quello che ho avuto occasione di contattare tramite la presenza di questo bambino.

 

  Indice anno
 

Costruttori di fraternità - 2° incontro

11 giugno 2011

F.o

Fraternità non è una cosa astratta ma un qualcosa di vivere giorno per giorno:
Chiediamoci come viviamo la fraternità nella comuntà in cui siamo inseriti cominciando dalla coppia:

  • accoglienza dell'altro: accoglierlo per quello che è senza aspettarsi e pretendere quello che non può dare.

  • essere "fratelli" dei figli senza perdere il ruolo di genitori; essere autorevoli senza essere autoritari, dando testimonianza del nostro amore con le nostre scelte.

  • essere fratelli con i  nostri parenti: non è facile perché ci sono interessi, beghe, difficoltà di comprensione.

Vivere la fraternità è anche rispetto delle regole e rispetto degli altri; siamo a volte condizionati dall'ambiente in cui viviamo abituandoci a vivere male.
Dobbiamo riappropriarci della benevolenza verso gli altri; siamo aggressivi perché tartassati o stressati, compressi; dobbiamo combattere contro la stupidità e l'irruenza.
Essere fratelli non è tenersi la rabbia dentro ma poter dire la propria opinione, confidare il proprio dispiacere per qualcosa che non va: ci vuole sincerità!
Al punto estremo di questo cammino c'è l'accettazione della diversità, come abbiamo discusso lo scorso anno.

Esiste poi la realtà ecclesiale, sia quella parrocchiale sia quella universale: in parrocchia occorre essere aperti ed accoglienti. Famiglie Insieme è una proposta per tutte le coppie e tutti devono sentirsi accolti. Possiamo essere presi dal rischio di guardare più una persona per quello che fa e per quello che può dare e non principalmente per quello che è.
Dobbiamo scoprire la bellezza di accogliere l'altro. In 16 anni di cammino abbiamo fatto progressi in questa comprensione ma non dobbiamo fermarci.

Si arriva quindi a vivere la fraternità scambiandoci il perdono, accogliendo l'altro e vivendo nel nostro essere la resurrezione del Signore. La fraternità è la dimensione orizzontale; l'incontro con il Signore ci dà la dimensione verticale.
Chiara Lubich propone quasi una ricetta, semplice ma di non facile applicazione:
AMARE
TUTTI ... PER PRIMI ... FACENDOSI UNO ... SENZA CONDIZIONI ... VEDENDO GESU' NELL?ALTRO
 

L.a

In una coppia credente che fa un percorso di fede è importante vedere Gesù nell'altro. Dopo tanti anni di vita insieme ci si scopre, a volte, diversi: chi si ha vicino sembra uno sconosciuto.
Sono situazioni forti che ti interrogano; spesso si sente tutto come ostile.
Cercando di vedere nell'altro Gesù, si ridimensionano le nostre pretese e si accoglie il suggerimento dell'altro come un punta di vista diverso che completa il panorama.
Con questo atteggiamento si può anche sperimentare una fraternità che non è quella del sangue ma quello dell'aiuto reciproco.
Noi due insieme facciamo esperienza da molti anni con un gruppo di coppie che cerca di vivere la comunione d'animo mettendo in comune sforzi, fallimenti, gioie, vivendo come fratelli legati dalla "Parola di Vita" proclamata nel Vangelo e messa in pratica nella vita di tutti i giorni.
Una frase di Herman Hesse dice: "La legge dell'amore più che un comandamento è un invito alla felicità.

F.o

Allora possiamo riformulare la regola d'oro che leggiamo nel vangelo: "Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro."
Questa regola può diventare: "Ciò che gli uomini si aspettano, vorrebbero o avrebbero piacere di ricevere da voi, voi fatelo a loro."

L.a

Vorrei vedere Gesù nell'altro ma non ci riesco. Frequento la chiesa, ascolto l'omelia e vorrei fare tante cose per mettere in pratica quello che ascolto, ma non ci riesco. Soprattutto all'esterno del gruppo è difficile.
 

L.y

Siate perfetti! E' questo il limite che ci viene proposto. Ed allora occorre accettare i fallimenti. Quando non riesco ad amare una persona la affido al Signore, perché amo il Signore e so che il Signore ama tutti noi.

R.a

Qui è facile. E' difficile nel mondo esterno. E' comune a tutti essere in difficoltà. Anche io riscontro la difficoltà di essere sempre in linea con una scelta di fraternità.

d.G.i

Non ci dobbiamo spaventare se quando ci viene proposto un ideale alto ci sentiamo sconfortati.  Avvertiamo questa differenza e sproporzione che può portare ad una rassegnazione. C'è un passaggio obbligato nel cammino che ha un traguardo vertiginoso. E' un cammino che chiede di non arrestarsi all'impossibile.
Lo spirito chiede alle persone gesti che appaiono folli ma che sono evocativi di quello che ci viene richiesto.
Gesù ha trasformato la regola d'oro dal negativo al positivo. Compito della famiglia è vivere una spiritualità incarnata. In famiglia: hai visto il fratello.. hai visto il Signore

M.a

A volte cerco di pensare a quante volte vedo il Signore nell'altro che mi è vicino: lo vedo in chi soffre, nell'anziano, nel figlio che ti fa soffrire, nel marito che hai amato ma che ti appare diverso. Da chi ti fa una cattiveria come faccio a vedere in lui il Signore? Eppure leggiamo: che merito hai ad amare qualcuno che ti ama?

G.o

Portato all'estrema conseguenza, nel concedere il perdono dovremmo essere portati ad amare anche chi ci fa un torto grande: pensiamo a chi ha avuto una persona cara uccisa. Ma io mi chiedo: anche se riuscissi a superare questo abisso e perdonare, posso addirittura arrivare a considerarlo fratello? Non può essere istintivo amare chi ci ha fatto del male! Devo piuttosto intraprendere un percorso che mi porterà a realizzare il perdono.

F.o

Stiamo attenti agli assolutismi: la cosa importante sono i piccoli passi; alleniamoci con i piccoli passi.

G.i

Il problema è difficile quando dura e perdura tutto il giorno. Quando la stessa persona ti fa del male e continua a farti del male, la presenza del Signore deve essere più "presente". Forse è possibile perdonare anche torti grandi ma poi è difficile amare. Io ho un difficoltà con una persona da cui ho subito una grande torto. Ho difficoltà ad avere rapporti con lui anche se mi emoziono e gioisco dei suoi figli che mi sembra di  non dover coinvolgere nelle difficoltà del nostro rapporto. Ma tutto sempre sollecita a rivedere le proprie posizioni.

 

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2009-2010

"Amare la diversità"

 

14 novembre 2009 "Io, un diverso"
12 dicembre 2009 "Tu, un diverso"
9 gennaio 2010 "I figli, diversità generazionale"
23 gennaio 2010 FILMINSIEME: La lunga strada verso casa
13 febbraio 2010 "Diversità e pace: un dono dall'alto"
20 marzo 2010 FILMINSIEME: Le chiavi di casa
10 aprile 2010 “Cristo risorto oltre le diversità”
8 maggio 2010 “La diversità nella comunità Cristiana”
5 giugno 2010 “La diversità nella società”
19-20 giugno 2010 Incontro finale: Oasi Dehon

 

  Indice anno

 

Io, un diverso

14 novembre 2009

F.a

Bisogna essere riconoscenti per la diversità dell’altro.
C’è un senso di completezza della diversità. Ognuno è diverso; la diversità ci circonda. I figli sono diversi da noi e tra loro, ma bisogna capire che ci completano.
E’ bello contemplare la diversità.
Ci si può sentire vittime della diversità. Perché siamo diversi dagli altri? Perché è successo proprio a me di essere diverso?
Si deve passare da questa visione ad un’altra dicendo: “meno male che è successo proprio a me; grazie”

M.o

Mi sono guardato dentro e mi sento diverso da prima. La maturazione che si ha negli anni ha bisogno di un riequilibrio interiore. Se non stiamo bene con noi stessi non siamo equilibrati. Non si possono fare le stesse cose di qualche tempo fa e per questo è necessario ritrovare un equilibrio compatibile con la nostra crescita. E da ciò nasce quello che possiamo dare: la positività nel sentirsi diversi.
Bisogna trovare momento per momento la capacità di riequilibrarsi.
Siamo sempre chiamati ad essere qualcuno o qualcosa sempre in modo diverso.

G.a

Ricordo il distacco nell’adolescenza che è il primo momento in cui ci si sente davvero diversi.
L’esperienza di lavoro all’estero ci ha dato fortemente il senso della diversità.Eravamo noi i diversi. E da lì abbiamo imparato ad amare la diversità.
La mia sterilità mi ha fatto sentire fortemente diversa, ma oggi ringrazio il cielo che sia stato così. La coscienza della propria diversità è il segno della povertà di spirito. Il Signore dice sempre parole diverse e non una parola è inutile; noi siamo le parole di Dio. Chiunque di noi manchi è un dono che non c’è più.

L.i

La diversità dell’altro la accetti se accetti te stesso.
Ero timidissima. Poi ebbi l’immagine forte di Dio che mi amava e questo mi fece sentire sicura come non ero mai stata, e cambiò tutto. Ma questo mi ha messa davanti alla responsabilità di amare tutti perché creati da Dio.
Dal punto di vista umano è difficile e faticoso accettare la diversità.

P.o

La diversità presuppone l’esistenza di un modello, ed al giorno d’oggi questa è un’evidenza. Se riflettiamo su ciò, la diversità è un dono in quanto distanza dall’omologazione.
Non cresce chi cerca di essere conforme ad un modello.

F.o

Io mi sento sempre diverso; 5 minuti fa ero diverso da ora. E’ importante l’equilibrio perché cambiamo nel tempo con continuità.
Bisogna essere intelligenti. Noi non ci accettiamo. Cerchiamo, perciò, di demitizzarci. Nessuno i noi è Dio! Cerchiamo di essere un po’ umili.
E non è solo un fatto psicologico. Ognuno di noi può ricominciare e per fare ciò deve capire che bisogna amarsi per come si è, perché Dio ti ama come sei. Per questo bisogna sempre riprendere a camminare perché c’è Dio che ci ama.

G.i

Accettarsi da soli non è facile perché ognuno pensa di potere essere diverso da quello che è e si sente diverso da quello che vorrebbe essere, anche senza fare necessariamente riferimento ad un modello. E questa diversità crea tanta sofferenza, a partire dall’adolescenza in poi; ci si sente inadeguati. Ma da quanto detto fino ad ora, è chiaro che solo la coscienza di essere accompagnati ed amati da Dio ci da la possibilità di accettare noi stessi. Se Dio ci ama, gli va bene che siamo così ora.

M.R.

Quanto è difficile accettare la diversità nella malattia!
Anche la vecchiaia è una condizione di diversità.

F.a

Siamo diversi perché abbiamo scelto un cammino di fede.
Facciamo scelte controcorrente perché non ci uniformiamo.

G.i

A volte è doloroso essere diversi. E’ faticoso.
Ma è la tua identità e va difesa

F.o

La diversità è spesso presa come pretesto per prevaricare sugli altri.
Al contrario la storia dimostra che la crescita, sia essa scientifica o filosofica, nasce sempre dall’insieme.

G.o

Ho difficoltà a capire l’accettazione della diversità. Cosa è la diversità; non mi è chiaro il concetto. La diversità è, spesso, ciò che non è moralmente accettabile come il tossicodipendente, il barbone. Io sento repulsione nella diversità dell’odore del barbone che non si lava da tanto! E non mi sento di invitarlo alla mia tavola. Secondo me, l’accettazione è la condivisione anche con chi è veramente diverso. Al momento, io non me la sento. Come possiamo costruire un cammino per accettare profondamente gli altri?

M.o

G. ha lanciato la sfida che è il cammino di quest’anno di Famiglie insieme. Ma dobbiamo partire da noi.

E.a

Si è diversi da quello che si vuole da se stessi. Bisogna fare pace con se stessi.

G.a

Nell’accettazione del diverso, quanto più noi ci sentiamo fragili nella nostra diversità, tanto più riusciamo ad accettare gli altri.

F.o

Ma accettare non è approvare!

L.i

Dobbiamo essere capaci di non generalizzare. Non è giusto, ad esempio, dire “gli zingari”, ma bisogna guardare alla singola persona. Solo così si stabilisce un rapporto.

F.o

Bisogna avere benevolenza, anche nei propri confronti. La mia diversità è l’”unicum” che io posso dare agli altri. Siamo unici ed irripetibili altrimenti non vale neanche la pena nascere.

M.a

Come ultima di sei figli, sono sempre stata la “diversa” di casa, ed ero sempre diversa dagli altri, anche a scuola, nel mondo del lavoro; ed ero sempre additata come diversa. E’ così che mi sono sempre appoggiata su Dio ed è cresciuta la mia religiosità.

G.i

Ma perché parliamo di diversità se siamo tutti uomini e, quindi, tutti uguali?

G.i

Alle volte usiamo la diversità per sentirci diversi da altri diversi “scomodi”. Lo psicologo Andreoli giustifica la nostra curiosità quasi morbosa nello scavare nelle vicende torbide (quali quelle di Erba) con l’atteggiamento di chi sente l’autore del crimine come un diverso e si rasserena pensando a se come incapace di certi crimini. Non si deve giudicare la persona per le azioni che fa: non approvare le azioni, ma accettare l’altro. Proviamo ad avere questo atteggiamento con noi stessi: non ci giudichiamo per le azioni errate.

S.a

Mi sono ritrovata in una vita completamente diversa rispetto a quella che volevo. E questo mi ha portato tanto dolore. La separazione da mio marito mi ha portato solitudine e diversità. Non è stato facile, ma ho superato questa sensazione guardando alla ricchezza che Dio mi ha dato e mi da, anche attraverso il dolore quotidiano. E ciò mi ha reso padrone della mia vita.

G.i

Ci sono diversi punti nella Bibbia per accettare noi stessi.
La Creazione: il Signore crea ogni cosa nel suo ordine. Per l’uomo, però, la descrizione della creazione è molto diversa: il Signore soffia il suo Spirito nella bocca. Dio non crea l’umanità nella conformità. E’ l’unità tra carne e spirito: la carne può essere simile a quella del fratello; lo spiritoè la relazione unica tra l’uomo e Dio,tra il creato ed il Creatore e ci rivela che solo Dio conosce il cuore dell’uomo in profondità.
Bisogna lavorare per questa unità tra la parola profonda (che è soffio, non carne) e la nostra individualità. Siamo chiamati a quella autenticità di vita che è la parola che diventa carne.
Il Signore non si scandalizza del fatto che ci sentiamo diversi: ci ama anche se tentenniamo, protestiamo, neghiamo.

 

 

  Indice anno

 

Tu, un diverso

12 dicembre 2009

C & P

Bisogna partire dalla creazione: il Signore ci ha creati “maschio e femmina” per poter realizzare un progetto d’amore. In ogni rapporto umano esiste sempre la diversità perché ognuno è unico. Il rapporto di coppia è complesso per le problematiche da affrontare. Tanti sono i momenti di intolleranza, ed è in questi momenti che si è chiamati a crescere nell’amore dell’altro. Amore vuol dire donarsi, perseverare nell’impegno di salvare il matrimonio perché indissolubile. La diversità porta a mettere tante volte dei paletti ovvero degli ostacoli poiché non si vuole vedere con gli occhi dell’amore. Molte volte nella coppia c’è bisogno di momenti di pausa e ci complicità per ricaricarsi, perché spesso la routine quotidiana ci impedisce di curare la relazione. Gli elementi fondamentali in una coppia sono il dialogo e non essere egoisti con la persona che si ha accanto, pensando che la persona che si è scelti per tutta la vita è la nostra compagna di viaggio.

C.a

E’ difficile trovare il punto d’incontro nel matrimonio. Spesso mi chiedo: “come facciamo ancora a stare insieme?” Se uno dice “rosso”, l’altro dice “nero”; se uno lo vuole “chiaro”; l’altro “scuro”. Come è possibile? Dobbiamo fermarci un attimo e vediamo quelle piccole cose che ci hanno fatto innamorare; nei momenti di difficoltà è importante perché spesso ce ne dimentichiamo. La mia forza è nel rivolgermi al Signore per riavere la calma e la lucidità e per tener a freno la lingua che talvolta “cammina da sola” creando danni a chi mi sta vicino. E’ meglio parlare a freddo e non a caldo. Per affrontare la diversità ci vuole amore e rispetto per l’altro.

G.i

Se non c’è amore e bene non ci si confronta, ci si scontra e tutto finisce. Da quando sto in Famiglie insieme riesco ad affrontare meglio tutto. La diversità è un bene perché se fossimo tutti uguali non ci sarebbe più lo stimolo a fare niente; che parliamo a fare con uno che è uguale a noi!

P.o

E’ bello riuscire a parlare così liberamente. C’è una spontaneità che oggi è estremamente difficile trovare soprattutto negli ambienti di lavoro che frequento nei quali qualsiasi cosa si dice ne nasconde qualche altra. Più che ascoltare l’altro, bisogna interpretare quello che non dice. (n.d.r.: sto sperimentando una diversità positiva!)

R.a

Per me è stato sempre scontato che avremmo fatto il cammino insieme anche se caratterialmente siamo come la notte e il giorno. Io sono più calma e pacata mentre lui è più impulsivo. Anche nel litigio non abbiamo mai messo in discussione il matrimonio. Pensiamo che si discute per risolvere e non per dividersi.

L.a

Prima di vedere come è cambiata nel tempo la persona che ci è accanto, perché non ci chiediamo: “sono cambiato io”?  Nel fidanzamento ed all’inizio del matrimonio eravamo più accondiscendenti; ora lo siamo di meno. Si era più disponibili. Ora non tengo più la lingua a freno. Sento che sto tornando a quell’impulsività che avevo da bambina. Insomma, si cambia e bisogna esserne consapevoli.

G.i

Quando si è giovani e ci si fidanza e ci si sposa, si hanno poche cose a cui pensare. Al cibo ed alle nostre necessità ci pensano i genitori ed abbiamo molto più tempo da dedicare l’uno all’altro. Poi cominciano le responsabilità che con i figli aumentano esponenzialmente. Accade così che aumentano le tensioni e si spera che il partner le risolva. In quel momento la diversità è vista solo come un ostacolo ed il proprio coniuge diventa il motivo per cui il problema non si risolve. A causa delle tensioni che i problemi creano, invece di ascoltare l’altro cerchiamo di imporre solo la nostra opinione nel tentativo di risolvere subito il problema; ogni cosa diversa da quello che pensiamo allunga il brodo e fa crescere la tensione. E questa tensione su chi si può sfogare? Sul partner, naturalmente! Se non ci possiamo sfogare su lui/lei, con chi dobbiamo farlo? E così si cominciano a costruire muri che limitano sempre di più l’ascolto l’uno dell’altro. E per abbattere i muri ci vuole tempo, ma questo tempo ci è sottratto dai problemi che dobbiamo risolvere. Insomma si entra in un giro vizioso a causa del quale i muri crescono fin quando non ci si ascolta più. E qual è questo momento? Come si può evitare ciò?

L.a

Ci vuole un po’ di leggiadria, leggerezza nel prendere le cose ed i problemi della vita. All’inizio si fa l’errore di pensare di potere cambiare l’altro. Poi, dopo innumerevoli tentativi, mi sono resa conto che non è possibile. E ho imparato ad accettarlo così com’è ed ora non riesco proprio ad immaginare la mia vita senza di lui.

G.i

Facciamo un giro di boa: stiamo pensando ad amare la diversità, non a sopportarla. C’è una positività nella diversità dell’altro.

R.a

Litigare è buono, non è un fatto negativo. L’importante è mantenere la stima reciproca, il rispetto l’uno per l’altro.

E.a

Invidio un po’ di ha più anni di matrimonio alle spalle. Prima c’era una mentalità diversa ed il matrimonio era una pietra miliare su cui costruire la società. Oggi le cose sono cambiate e devi scegliere la persona che ti sei sposata ogni giorno; e questo è molto più difficile. Niente è scontato. Oggi il potersi lasciare è visto dai giovani come un’opportunità e non in maniera negativa. Ci sono tanti motivi per i quali l’altro ti può diventare un ostacolo. Bisogna credere nella grazia di Dio. Nella mia esperienza ho visto che non è da sottovalutare questo punto perché vi sono momenti in cui è facile lasciarsi. Affidarsi a Dio è l’unica possibilità per spegne i rancori che nascono per le cose non avute dal partner.

B.a

Ciò che mi colpì di mio marito fù il fatto che era completamente diverso da me e da tutti i miei amici. Ora, invece, la sua diversità è quella che gli contesto sempre ma, riflettendoci, è quella che fa andare avanti la baracca. E il momento che ci unisce di più è la fede che qui a Piedigrotta trova il suo appoggio.

L.o

A 19 anni deliberatamente rifiutai una relazione con una ragazza, ma solo dopo capii perché: era troppo simile a me. Ed infatti, scegliendo mia moglie ho voluto amare una persona diversa da me. Il momento critico nella coppia è l’inserimento dei figli perché cambiano le dinamiche che si erano create prima. Si lotta tra i coniugi sull’educazione dei figli pensando sempre che la propria sia la migliore.

F.o

Poniamo l’attenzione sul verbo “amare”: cosa significa? Amare è una scelta, non un sentimento; ed è la scelta che abbiamo fatto nel matrimonio. E va fatta ogni giorno perché ogni giorna si cambia. La scelta di fede, poi, è una grande forza che aiuta nelle difficoltà. Io sono più propenso a credere che la diversità sia un tesoro da cogliere. Non bisogna appiattirsi; non bisogna cambiare l’altro. L’altro è bello per come è, non per come lo vorrei. Le diversità aiutano. La contrattualità è fondamentale. Abbiamo tante diversità io e mia moglie, ma anche tanti comuni denominatori. E sono questi da esaltare. Il confronto nella coppia e tra le coppie è fondamentale per vedersi con occhi diversi. E uno dei tanti aspetti fondamentali della diversità è la sessualità. (n.d.r.: qui dà lettura di un brano tratto da dispense di Raimondo Scotto sulla sessualità nella coppia)

G.i

Da quanto si è appena detto, sono due le cose imprescindibili: l’ascolto dell’altro e non l’imposizione delle proprie idee; la reciprocità per evitare di finire ingabbiati dalla diversità dell’altro.

G.i

Bisogna amare nell’altro il disegno di Dio per l’altro. L’uomo è come un “tu di Dio”, creato da Dio ma diverso da Lui. E Dio fa fatica ad entrare nell’uomo per capirlo ed essere capito dall’uomo. L’uomo somiglia a Dio, ma è diverso e Dio stesso lo ha voluto diverso da se (Genesi). Dio si meraviglia della solitudine dell’uomo e cerca di dargli tutto, ma non riesce a colmare la sua solitudine finchè non crea la donna che nasce dall’uomo stesso ma ne è profondamente diversa. Ma Dio fa tutto per amore e la diversità è stata, quindi, creata per l’amore. L’essere nudi senza vergogna di Adamo ed Eva è il senso dell’accettazione spontanea della diversità. Il fatto che la Bibbia sottolinei che l’uomo abbandona il padre e la madre è il simbolo di quanto forte è il legame che nasce nella comunione di due esseri diversi che si arricchiscono a vicenda. Quando l’adesione all’altro nella diversità viene meno, allora si sente la solitudine. E’ l’esperienza della nudità. Bisogna riscoprire gli spazi della coppia e della famiglia; la relazione tra i coniugi non tollera costrizioni esterne (lo vedremo nelle prossime riunioni). Bisogna allenarsi, fare ginnastica per amare la diversità. Anche Dio fatica ad entrare nella reciprocità con l’uomo. Non bisogna stancarsi di cercare l’appartenenza l’uno dell’altro e con Dio.

 

  Indice anno
 

I figli, diversità generazionale

9 gennaio 2010

L.a

La diversità generazionale oggi è fortissima ed è maggiore di quella tra noi ed i nostri genitori

C.o

Noi spesso ci sentiamo vittime dei figli. Forse siamo noi troppo disponibili e viviamo pendendo dai loro voleri

L.a

E’ bello notare come quello che sentivamo dire da coppie più grandi di Famiglie insieme è esattamente ciò che poi abbiamo vissuto noi. I ragazzi devono essere ascoltati, ma solo quando vogliono loro! Quando il momento è propizio si aprono completamente. Non fanno ciò che vogliamo noi; li dobbiamo solo consigliare. Non sono più nostri. Spesso sono disorientati nella giungla che è il mondo esterno. Spesso i gruppi non trasmettono buone amicizie e perdono il contatto con quanto detto dai genitori. Ma bisogna insistere. La nostra prima figlia non sta dando il buon esempio al secondo e soprattutto verso la loro presenza in chiesa perché vengono presi in giro.

C.o

Io sono più rigido mentre mia moglie no. Però così facendo, i figli hanno nei genitori delle alternative: se non va bene l’uno, va bene l’altro. Oggi i ragazzi hanno molte più opportunità. Bisogna sempre ringraziare Dio perché i figli sono come dei gioielli! Noi li affidiamo spesso alla Madonna ed a nostro Signore e continuiamo a dare il nostro esempio.

S.a

Io, purtroppo, vivo la difficoltà della non presenza dell’altro piatto della bilancia. E questa difficoltà la vivo soprattutto con il primo per la differenza di sesso. Anche perché in famiglia non ci sono altri riferimenti maschili. Mi aiuta molto calarmi nella mia adolescenza per capire meglio i miei figli. Oggi però, vedo molta più violenza perché i ragazzi sono bombardati da messaggi violenti. Ed il computer fomenta queste espressioni violente. Alle volte quando parlo con loro mi sembra di fare solo monologhi. I nostri figli sono comunque ragazzi diversi rispetto al resto. Io alle volte mi arrabbio perché il primo tende a subire dagli altri; si fa domande e me le butta addosso come elemento di confronto con me. Bisogna cercare di entrare nel loro mondo, anche se sono cose che non ci interessano più. Non è facile dialogare a questa età; c’è bisogno di una bella fatica per dialogare!. Bisogna anche sapere attendere, avere pazienza. Noi ci attendiamo un ritorno da parte loro, ma non sappiamo i tempi ed i modi di questo ritorno. Per questo motivo, ci vuole tanto amore e carità. Io vedo i miei figli come di Dio ed allora mi chiedo: come faccio ad educare i Tuoi figli? La differenza generazionale c’è e ci sarà sempre.

C.o

Oggi non funziona più il “mazza e panelle”. L’esperienza con mia figlia mi ha insegnato questo. Loro dicono sempre che siamo troppo in ansia. Ci sono, al contrario, tanti genitori che non se ne curano proprio perché ci sarebbero tante rinunce che non vogliono fare.

S.a

Ma questo stargli dietro non potrebbe essere peggio? Sembra che i ragazzi che hanno poco dai genitori hanno paura di perdere anche quel poco mentre quelli che hanno tanto fanno anche gli spavaldi con i genitori.
Credo, poi, che sia importante la coerenza. La rovina dei ragazzi è la non coerenza dei genitori. E questo costringe a soffrire i genitori per primi. Certe cose è meglio non dirle se non si possono fare. Ma lo sforzo per la coerenza a volte stanca.

L.i

Le difficoltà c’erano anche nelle epoche passate ma i valori della famiglia non sono cambiati. Mia madre si fidava molto di me cosicché io ero. All’epoca, molto più libera delle mie coetanee e di molti ragazzi di oggi. Io e mio marito siamo sempre stati coerenti nei rispetti dei figli. Quando mia figlia mi chiedeva qualcosa, le dicevo che dovevo prima parlare con papà. Spesso le decisioni sono prese per la nostra tranquillità e non per il bene dei ragazzi. Non abbiamo fatto i figli per la nostra tranquillità!
Ogni età ha i suoi affanni, ma noi siamo qui per essere sicuri che Dio ci darà la forza per vivere con i nostri figli che sicuramente faranno cose diverse da quelle che vogliamo. Ma sono figli amati da Dio e Lui sa quel che è il loro bisogno. Noi dobbiamo dare questi valori e trasmetterli ai nostri figli.

L.a

Trasmettere i valoriè una responsabilità bella e Dio ci dice che tutto quello che abbiamo avuto lo dobbiamo dare. E se i figli ci vedono agire, assumono quel valore. Non dobbiamo trasmettere valori teorici. Un altro aspetto è che la diversità è un dono anche per noi oltre che per i figli. L’esempio è proprio il calcolatore, la musica. Io riesco ad entrare in questo mondo attraverso loro. Sono la mia porta di accesso a mondi che non avrei mai avuto in mente di esplorare. Siamo noi che non dobbiamo arroccarci sulle nostre posizioni ma imparare ad usare bene le cose. Demonizzare le cose che non si conoscono è peggio. Le generazioni sono diverse, ma siamo sempre persone. Dobbiamo entrare nelle loro dinamiche. Quando mi dicono “non puoi capire” io chiedo loro di spiegarmi per condividere. E’ la nostra ottica ad essere importante; dobbiamo avere gli occhi di Dio verso di loro. Bisogna non avere paura perché la paura blocca la conoscenza.

L.a

Noi diamo ai figli le direttive ma poi loro crescono come vogliono. Molto dipende anche dal loro carattere. Questo non significa che noi abbiamo fallito perché sono loro a decidere nella loro libertà.

F.o

Non dobbiamo fare i confronti. Ogni figlio è unico. Ciò che rovina la nostra e la loro vita sono i confronti. Il confronto è il non accettare la diversità; è la sua negazione. Ogni figlio è un caso diverso. Se devo fare un confronto, devo guardare dentro di me.La mia serenità nasce da come io vivo la mia vita e non dal farla uguale agli altri omologandomi a loro. La diversità è ricchezza non nel confronto, ma nella persona.

F.a

Ci mettiamo in discussione quando le cose non vanno bene. E’ difficile capire quando farsi da parte; e i figli alle volte te lo fanno capire. Io alle volte tendo ad essere invadente.

T.o

Ci sentiamo turbati rispetto a ciò che accade (come la triste notizia della morte di una ragazza che si è uccisa). Noi dobbiamo combattere contro le nostre proiezioni sui nostri figli. L’emergenza su cui interrogarci è che noi rischiamo di andare verso una forte difficoltà di comunicazione tra noi e loro. E tra poco ci saranno anche i problemi di dipendenza dal computer.

G.i

Dobbiamo ripartire, come Gesù, dal Padre. Il principio di autorità dell’Antico Testamento non ha soddisfatto l’uomo. Gesù parlando di Dio Padre ci fa capire che Dio prima ama e poi crea; noi siamo amati da subito. Dobbiamo credere nella comunicabilità. Bisogna imparare ad a avere fiducia. I problemi si risolvono con il tempo. Il Signore sa aspettare. Le Sue caratteristiche d’amore sono il silenzio ed il tempo (l’attesa). Se si vuole l’urgenza delle soluzioni si creano solo problemi ed incomunicabilità.

 

  Indice anno

 

Diversità e pace: un dono dall'alto

13 febbraio 2010

B.a

Io e mio marito veniamo da due esperienze di vita completamente diverse, ma accomunate da un vissuto piuttosto travagliato. Ci siamo uniti nella consapevolezza che eravamo molto diversi. All’inizio era anche interessante vedere le diversità ma poi, con il passare del tempo, sono andate accentuandosi fino a livelli di forte contrasto, soprattutto nell’educazione dei figli. Ma alla fine, pensandoci, viviamo tutto ciò con una grande tranquillità. Non vivo la diversità di mio marito con rabbia anzi, alle volte credo sia una ricchezza. Ma una cosa sento come certa: tutta questa pace e la bellezza della vita di coppia non è una forza nostra. Consci di questo, nella nostra stanza abbiamo voluto mettere come segno di riconoscimento una Bibbia aperta. E’ il segno che non abbiamo paura e talvolta la sera mi meraviglio di cosa sia successo nella giornata e di come sia arrivata a sera! Una grossa mano ce l’ha data l’esperienza con i Piccoli Fratelli di Spello tra i quali abbiamo sperimentato l’”insieme è meglio”. Nel quotidiano il rapporto con nostra figlia ci ha fatto diventare da educatori a educati! Non riusciamo ad accettare la diversità del figli. Per questo ho imparato a mettermi davanti a Maria e ad affidarle mia figlia traendo da ciò tanta pace.

P.o

Oltre alla diversità familiare, io personalmente ho dovuto aggiungere anche una forte diversità ambientale. Ma se all’inizio è stato difficile, poi è diventata una ricchezza.

M.a

E’ bello partecipare a questi incontri perché certe domande non ce le poniamo se non qui. Una forte esperienza di diversità è venuta con mio figlio che è voluto andare a vivere da solo con una persona con la quale noi ben sapevamo che non poteva continuare. L’unica cosa che abbiamo potuto fare è affidarci al Signore. Ma non ho mai chiesto a Dio che si lasciassero, ma solo che li aiutasse. E’ stata dura, ma io mi sono sentita tranquilla. E alla fine è andata come speravamo. Ma ora ha deciso di andare all’estero a lavorare, anche facendo il cameriere nei locali per guadagnarsi da vivere all’inizio. Bisogna abbandonarsi al Signore, ma l’abbandono deve essere completo e non bisogna aspettare delle risposte subito perché Dio ha i suoi tempi.

F.o

In un primo istante il tema mi sembrava un po’ strano, ma grazie all’introduzione delle coppie guida ho capito che il tema vero è l’affidamento. In fondo il matrimonio cristiano è l’affidarsi in pieno al Signore. Forse dobbiamo chiederci come fare entrare il Signore nelle nostre vite quotidiane, nelle coppie, nelle famiglie. Come permettiamo a Dio di agire? E’ importante, in questo, il confronto con altre coppie. Noi, ad esempio, abbiamo tratto molto giovamento in incontri nei quali leggiamo la Parole di Vita crescendo umanamente e spiritualmente. E’ utile avere un obiettivo comune di ricerca, di vedere insieme le cose della vita. E’ difficile vedere le cose standoci al di dentro; perciò è importante il confronto con chi osserva dall’esterno. E’ così che abbiamo scoperto che “insieme è meglio”. Molto spesso si arriva a Dio attraverso i fratelli. Nella vita di coppia non è tutto rose e fiori e ci sono momenti olto difficili che solo nell’insieme si possono superare.

R.a

Le diversità cambiano e si evolvono negli anni. Ma se si fa un bilancio, ci si accorge di avere avuto tanto dalla vita, ogni giorno. Che importanza ha se mi arrabbio con mio marito, anche con forza. Sono sempre sciocchezze rispetto a quanto abbiamo avuto. La scelta di convivenza fatta da nostro figlio è al di fuori dei nostri parametri, abituati a pensare che uno prima si sposa e poi vive insieme, ma, tutto sommato, è un segno di maturità. Ed anche il fatto che siamo qui a parlarne è un dono.

S.a

La diversità è un grande dono perché ci dà la possibilità di sperimentare la grande libertà con cui il Signore ci permette di vivere, diversi dagli altri, ciascuno con la propria identità. Per questo è importante affidare tutto al Signore perché questo ci toglie la paura e ci rasserena. Viviamo calati nella diversità, anche nel lavoro, in tutto. Bisogna affidarsi per vivere in pace la nostra vita.

E.a

Ciò che ha detto Maria è un po’ quello che è successo a me come figlia. Mio padre mi disse di no quando io gli proposi di andare all’estero a studiare. Ma ci sono andata lo stesso. E ciò mi è servito molto nel matrimonio. Avevo imparato a cavarmela da sola e quando siamo andati prima in Francia e poi negli Stati Uniti con mio marito e con mio figlio per questioni di lavoro, sono rimasta praticamente da sola con il bambino. E lì ho sperimentato l’importanza delle proprie radici. La settimana scorsa siamo stati da amici romani di vecchia data in via di separazione. Ci hanno sconvolti nel loro odio reciproco riversato nella ripartizione delle cose da separare. Abbiamo tentato di tutto per farli ragionare a ala fine ci siamo ritrovati, quasi senza accorgercene, a pregare: era l’unica cosa che potevamo fare.

P.o

Scopro solo stasera che la diversità è un dono! Ma non pensiamo che affidandosi al Signore tutto si possa risolvere senza la nostra volontà di crescere, di progettare il futuro! Il Signore ci aiuta a crescere in maniera sana. Non credo che il Signore pensi a tutto: sarebbe troppo riduttivo.

S.a

Ma l’affidarsi a Dio è un lavoro difficile. Bisogna superare il proprio egoismo con tanta volontà. E’ ammettere dicendo a se stessi “non ce la faccio da solo” e per fare ciò ci vuole tanto esercizio, costanza e volontà.

C.e

La compagna di mio figlio e la sua famiglia erano quanto di peggio ci potesse capitare; erano da prendere a schiaffi! E invece li abbiamo amati; abbiamo amato la loro diversità, ma non saremmo mai stati capaci di farlo da soli. Senza Dio non ce l’avremmo fatta. E il ritorno di mio figlio a casa non è stata mica una vittoria!

L.o

Per me la diversità è sempre stata un dramma. E’ difficile accettare il diverso, chi la pensa diversamente da te o che si presenta diverso. Ciò che mi ha sbloccato è capire che il Signore ci ha creato diversi. E’ accettare la propria storia e quella degli altri. Sono convinto che la coppia e la famiglia è il luogo, il laboratorio delle diversità. In essa si sperimenta come reggere la diversità e come far nascere l’accordo. E’ il luogo dove le diversità si incontrano e si scontrano.

M.o

Vorrei sottolineare la parola “dono”. Il dono è la capacità di comprendere che noi siamo amati e ciò alle volte significa la risoluzione del problema; altre volte l’accettazione del problema; altre ancora il comprendere che la soluzione migliore è diversa da quella che ci aspettavamo.

D.G.

I doni che noi riceviamo non sono per noi, ma per l’umanità. Salomone chiese come dono la saggezza ma non per lui, ma per il popolo. Parlare delle problematiche senza lo scatto necessario per superarle può essere avviluppante. Comincia il tempo della preparazione alla Pasqua. Entriamo nelle problematiche con l’occhio di Dio. Dobbiamo uscire dall’idea di sentirci soli di fronte alle diversità. Il Signore ci chiede, come a Salomone: “chiedimi ciò che devo concederti”. Dobbiamo tenere questo nel nostro cuore quando siamo di fronte all’incapacità di risolvere la diversità. Non è il pellegrinaggio, l’accendere le candele ciò che conta, ma l’entrare nel mistero dell’amore di Dio che ci continua a fere vivere nelle nostre difficoltà ma con la certezza della vicinanza di Dio. E’ il momento di fare uno scatto, anche nelle singole coppie. Dio ci ha unito e non vuole che qualcosa ci separi; per questo dobbiamo capire che possiamo chiedere a Lui “ciò che deve concederci”. Il matrimonio è un rapporto a tre: due si uniscono ed uno unisce.
La vita va vissuta umanamente senza pretese miracolistiche, ma con la certezza di Dio come autore di ciò che viviamo nelle tensioni di ogni giorno. Facciamo un esercizio penitenziale: non progettiamo il bene dei figli e dei coniugi, non riconduciamo l’altro a noi stessi, ma facciamo emergere le verità che sono nel cuore di ciascuno.

 

  Indice anno

 

La diversità nella comunità Cristiana

8 maggio 2010

L & F

Ci sembra che parlando di comunità, e cristiana in particolare, si debbano distinguere come dei cerchi concentrici. Il più piccolo è la nostra famiglia, casa nostra; il secondo è il palazzo, il nostro quartiere, il territorio; il terzo è allargato alla nazione, fino a coinvolgere tutta l’umanità. Sono cerchi ampiamente comunicanti, guai a considerarli come entità chiuse, o peggio da difendere. Analizziamo un cerchio alla volta. Iniziamo dalla famiglia, piccola chiesa domestica, ecclesìola, come la chiama amorevolmente Giovanni Paolo II. E’ il primo luogo dove si deve riconoscere e trasmettere la fede; è il primo luogo dove si vive l’amore, che deriva da quella scelta di fede. Questa scelta d’amore riesce a far superare anche delle crisi di identità che la famiglia può riconoscere, per la caduta di modelli che per secoli la hanno retto , e con essa la società. Non esiste più l’indissolubilità del matrimonio, almeno di quello civile; non esiste un capofamiglia riconosciuto e autoritario; grazie al sempre maggiore rapporto paritario tra uomo e donna si vanno ridefinendo i ruoli; i figli difficilmente sono sottomessi ai genitori. Tutto questo crea scompiglio e confusione, se non si torna alla scelta iniziale del Matrimonio: appunto la scelta dell’amore, che significa soprattutto rispetto e accettazione…. Ma il modello del rispetto, dell’accoglienza, dell’attesa si offre anche per i rapporti tra coniugi; è come (fa tremare i polsi solo a sentirlo) se ci venisse l’indicazione di essere disposti anche ad allontanamenti, a separazioni (di spirito e di corpo) del coniuge , pur di riprendere il cammino dell’unità a cui ci chiama il Matrimonio. Come se ci venisse l’indicazione “Non vi preoccupate, è naturale, può accadere che ci sia un calo di affettività, che ci sia stanchezza nel rapporto di coppia. Ma l’Amore sa aspettare, l’Amore sa perdonare, l’Amore sa ricominciare”. Aspettare, perdonare e ricominciare sono le indicazioni date dalla legge dell’amore alle nostre famiglie, ad iniziare dalla coppia .
Il secondo cerchio è quello del territorio, con gli altri che ci vivono vicini, e qui diventa un po’ più difficile, in quanto si incontra maggiormente la diversità. Ma anche qui, se vogliamo comportarci cristianamente, siamo chiamati all’amore, che significa un atteggiamento
di accoglienza, di attenzione, di gentilezza. In una parola, ed è il motivo conduttore di questa chiacchierata: Costruire il rapporto. Anche quando è difficile.
L’ambito in cui si vive concretamente e immediatamente la comunità cristiana è certo quello parrocchiale. Da quasi 50 anni facciamo quest’esperienza, e ne siamo contenti. Abbiamo sentito, prima singolarmente e poi anche in coppia, che non bastava l’impegno a casa, che siamo chiamati a costruire una famiglia più grande, se vogliamo seguire Cristo.
Anche quando è iniziata la nostra storia insieme, abbiamo riscontrato una comunanza e una diversità: seppure con una fede condivisa, le scelte applicative sono state molto spesso diverse. Eppure, proprio per questo arricchenti, anche se non condivise al 100%. In ogni caso, abbiamo curato di percorrere un cammino insieme, ed in questo ci hanno molto sostenuto i colloqui che mensilmente siamo riusciti ad avere (insieme e singolarmente) col nostro confessore; le visite che facevamo a persone sofferenti, l’Eucaristia che già da allora cercavamo di celebrare insieme. Essere in una comunità ci ha molto aiutati a crescere come coppia, anche per il rapporto con altre coppie di fidanzati e di sposi. Sempre siamo stati aiutati dai sacerdoti di questa comunità, in cui abbiamo riscontrato apertura, dialogo, empatia. Per questo e per l’amicizia che ci lega ancora a molti di loro ringraziamo il Signore: è un grande dono che riconosciamo di avere ricevuto. Tuttavia, come in ogni famiglia, anche in parrocchia non sempre è stato facile la costruzione dell’unità. Soprattutto quando è mancata la possibilità di un rapporto autentico, basato sulla sincerità, conoscenza, comprensione, rispetto, stima, fiducia (sono i pilastri di un autentico rapporto, quelli che proponiamo ai fidanzati).
Fulvio Proprio grazie a Famiglie Insieme, abbiamo anche imparato, che, per il bene comune, occorre rinunciare ad alcune tentazioni di azione, che possono diventare preoccupazione. Occorre dare spazio agli altri, anche a costo che le cose poi non vadano come si è desiderato. Sono ancora molto grato a chi, dopo un nostro incontro di verifica, disse chiaramente che certe mie proposte potevano sembrare troppo “incanalanti” per Famiglie Insieme, fino ad essere soffocanti. Da allora, ho capito che è bene condividere maggiormente, rispettare i tempi, saper aspettare. Per me non è facile, ma per amore si può.
La critica costruttiva, quindi, la correzione fraterna, ma dobbiamo dire che grazie anche a queste piccole croci, si cresce nella costruzione dell’insieme, della comunione, e poi ne derivano anche consolazioni; si sente quella bellezza del volersi bene; e questo “sentire il corpo” ti rassicura, ti sostiene
Certo, a volte si identifica la comunità parrocchiale col gruppo ristretto che frequenta più assiduamente la parrocchia, che magari si impegna:… Allora , come viviamo l’amore per chi viene fedelmente o occasionalmente nelle nostre assemblee (la più importante, che la saggezza della Chiesa propone nel giorno del Signore, è l’Eucaristia domenicale)? Come viviamo l’amore per quelli che non vengono mai, i “lontani”? Non possiamo stare qui ad aspettare: il Signore ci manda. Allora, per prima cosa
accogliamo tutti con affetto, senza giudicare. Non stanchiamoci di proporre ed invitare.
Linda Infine, l’aspetto allargato della comunità, il nostro paese, e poi il mondo. Un breve cenno ed un pensiero: non si può rimanere confinati negli stretti limiti nazionali; avvertiamo la necessità di considerarsi cittadini del mondo, e quindi di evitare i particolarismi, i nazionalismi, i respingimenti; il discorso potrebbe svilupparsi, ma andremmo troppo in là; prendiamo solo in considerazione l’aspetto ecclesiale, anche ricordando il significato del termine “cattolico” che contraddistingue la nostra fede: vuol dire Universale.
E quindi dobbiamo allargare gli orizzonti, essere attenti alle indicazioni del Magistero, del Vescovo, che rappresenta l’unità che vogliamo costruire. Anche quando non siamo del tutto d’accordo; anche quando siamo feriti dalle incoerenze, dalle infedeltà; anzi, proprio in quel momento, dobbiamo
amare di più, pregare di più, invocare lo Spirito Santo perché ispiri soprattutto chi ha maggiori responsabilità. Questa è la marcia in più di chi crede: potersi sempre riferire alla sorgente dell’Amore e della Sapienza, anche nel momento del dolore, della Croce e della divisione, perché così ci ha insegnato Gesù. Questo significa essere fedeli e fiduciosi, cioè uomini di fede, anche quando certe lentezze, certe incomprensioni, certi dolori sembrano paralizzare la via dello Spirito. Allora più che mai diventa necessario riscoprire il rapporto col Padre misericordioso, farsi permeare della pazienza, della sua fiducia, del suo affidarsi, del suo saper ricominciare, pur con un figlio finito tra i porci. Che sono il segno del suo grande amore.
E lasciamo a tutti noi queste parole come proposta di vita, fondamentale per costruire un rapporto umano autentico, che è la base della comunità:
pazienza, fiducia, affidamento, saper ricominciare. Che significa: più amore.

Per leggere tutto l'intervento

 

S.a

La mia esperienza di vita cristiana è stata caratterizzata da diversi percorsi: da bambina sono cresciuta in una chiesa a via Manzoni con un parroco tipo don Milani , poi da ragazza ho conosciuto la Comunità di S. Egidio dove ho vissuto per 17 anni la profondità della vita comunitaria; con la nascita dei miei figli , ho cercato una realtà ecclesiale adatta alla loro età girando molte chiese della mia zona. Non è stato facile trovare ciò che cercavo dopo la profondità di Parola della realtà comunitaria fin quando il Signore ci ha portato a Piedigrotta. Ritornare a vivere la realtà della chiesa non è stato facile ma oggi sono grata a Dio dell'essere "figlia della Chiesa". In questi anni ho incontrato varie realtà e diversità , ognuna con pregi e con limiti e ho capito che tutto è disegno di Dio se vissuto con fede nei vari carismi.
Quest'anno durante la preghiera delle lodi mattutine del venerdì santo mi hanno colpito due frasi di un'antica omelia che dicono più o meno così:
"Gesù ha dato il suo sangue per formare la Chiesa" e "noi siamo nati per il sangue e il corpo di Gesù". In un periodo in cui spesso mi chiedo il senso profondo della vita, in un mondo così sfasciato, queste parole mi hanno aiutato a capire che sono nata per formare la Chiesa e viverla in ogni momento della giornata: a casa, a lavoro, per strada, in chiesa, tra chi ti disprezza e tra chi ti ama: è vivere quella diversità alla quale Dio ti chiama. Vivere in profondità la vocazione cristiana significa anche avere l'audacia dell'annuncio della verità a costo di una grande solitudine e scomodità ma è stesso la libertà dell'essere figlia di Dio che ti permette ciò.

M.o

Nel mio cammino di fede, ho sempre unito alla preghiera personale l’impegno in parrocchia, insieme a mia moglie, prima da giovani poi da sposati e genitori.
Non sempre siamo passati per esperienze entusiasmanti e a volte ci siamo sentiti in difficoltà. A volte addirittura abbiamo dovuto cambiare aria. La diversità nella Chiesa esiste, come esiste nel mondo, ma purtroppo spesso si sperimenta la diversità che divide piuttosto che una diversità che crea una complementarietà necessaria ed arricchente.
Come fare a capire chi è diverso? E’ diverso l’altro che non pensa o non si comporta come me o sono diverso io che non mi comporto come il mio vicino, il mio fratello. Non è facile rimanere distaccati dal giudizio, che molto spesso si volge a nostro favore.
Nei tanti anni che sono alle nostre spalle e nei tanti incontri fatti si impara a riconoscere quel diverso che ci arricchisce perché ci porta a completare quello che a noi manca. Ed il pensiero va alle tante persone che hanno fatto crescere la nostra vita perché, diverse da noi, ci hanno aperto ad una mentalità nuova e ad un atteggiamento differente.
Ma il pensiero va anche alle tante persone che ci sono apparse diverse nel senso brutto del termine, diverse da noi perché forse non accettate; occasioni perdute di capire in pieno una ricchezza che non siamo riusciti a scoprire. E rimane anche il dubbio che anche il nostro operare non abbia influito sulla vita di un altro e che, nonostante l’essere vicino, abbiamo camminato come canali paralleli senza incontrarsi.

D.G.

S. Paolo ha dedicato il cap. 12, 13 e 14 della 1° ai Corinti al tema della diversità nella Chiesa.
S. Agostino commenta:

“La mano della usa grazia, la mano della sua misericordia ha modellato i nostri cuori, ed egli che ha modellato i nostri cuori uno per uno, ha dato a noi, ad ognuno di noi, il nostro cuore, cuori però che devono rimanere nell’unità. Così ogni membro del nostro corpo è stato formato singolarmente, ognuno ha la sua propria funzione, ma tutte le membra vivono nell’unità del corpo. La mano fa quello che l’occhio non fa, l’orecchio compie quello di cui non sono capaci né mano né occhio. Ma tutti agiscono in unità e, benché adempiano funzioni diverse, mano, orecchio, occhi non si combattono tra loro.
Analogamente avviene nel corpo di Cristo: tutti gli uomini, come le membra, si rallegrino dei propri doni. Infatti ha modellato uno per uno i loro cuori colui che su è scelto un popolo per erede… Allo stesso modo che nelle nostre membra (del corpo) le funzioni sono diverse, ma nell’unità della salute, così anche in tutte le membra di Cristo i doni sono diversi, ma nell’unità dell’amore.
Senza invidia: “se tu ami l’unità, allora ciò che ciascuno possiede in essa, lo possiede anche per te:Togli l’invidia e ciò che è mio è tuo; tolgo l’invidia e ciò che è tuo è mio (Agostino)
Fratello e sorella ne Signore: in ognuno amare il Signore: hai visto tuo fratello, hai visto il Signore.
Amore che serve: “dal cielo egli dà, sulla terra egli prende. IL medesimo dà, il medesimo prende.
Amore che perdona: per ritornare nell’unità del corpo di Cristo, ristabilire la pace, almeno nell’intimo di ciascuno.
Amore che rispetta: in considerazione dell’essere membra l’uno dell’altro: Perciò vederci in Cristo che ci unisce: In Paolo andarono a Roma Paolo e Cristo

 

Indice anno    

 

Incontro conclusivo di preghiera e di verifica
S.Antonio Abate - Oasi Dehon

19-20 giugno 2010


vedi sintesi dell'incontro

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2008-09

 

“Testimoniare il matrimonio”

“Dall’io dell’individuo al noi di coppia”

 

11 ottobre 2008 Stimoli di riflessione proposti da Antonio Gentile, psicoterapeuta della famiglia.
8 novembre 2008 Testimoni dell’amore:
l’aiuto reciproco
13 dicembre 2008 Testimoni dell’amore nel comunicare:
il disagio femminile
10 gennaio 2009 Dono e perdono
17 gennaio 2009 FILMINSIEME: L'ultimo bacio
1 febbraio 2009 GIORNATA DELLA FAMIGLIA
14 febbraio 2009 Innamorati o rassegnati?
14 marzo 2009 Educazione alla gratitudine
28 marzo 2009 FILMINSIEME: Giorni e nuvole
18 aprile 2009 Testimoniare ai figli l’educazione all’amore
9 maggio 2009 Educazione alla gratitudine
6 giugno 2009 Testimoniare ai figli l’educazione all’amore
20-21 giugno 2009 Incontro conclusivo: Oasi Dehon

 

 

 

  Indice anno    

 

La reciprocità

8 novembre 2008

Alla luce del vangelo reciprocità è innanzitutto della coppia, non nel senso di esclusione degli altri membri della famiglia, ma perché nella realtà familiare gli sposi soltanto vivono il patto sacramentale che fa di essi una realtà tipica. Perciò reciprocità, per i cristiani, è tensione verso l’unità, tensione sempre in atto perché unità mai pienamente raggiunta; per questo motivo la reciprocità è vigilanza, dinamismo verso il diventare sempre più “due in un solo essere” (Gen. 2,24). Ed è, ancora, impegno a testimoniarsi a vicenda e all’umanità, il legame non altrimenti decifrabile per cui Cristo e Chiesa sono anch’essa “due in uno” (Ef. 5,32).

 Alcuni valori:

- La fedeltà, attenta al progetto di Dio sull’altro;

- La solidarietà, “portare ciascuno il peso dell’altro” (Gal. 6,2), anche sul piano spirituale, quando il coniuge innocente “si fa” peccatore con il coniuge peccatore, e il pentimento dell’uno diventa gioia condivisa dei due;

- L’originalità, nel senso che, nella vocazione comune di tutti i battezzati sposati all’unità ed a significare Cristo, ogni coppia ha un proprio itinerario di crescita, da individuare negli avvenimenti e nelle scelte della vita; attraverso essi lo spirito indica la strada

 

Indice anno    

 

Il disagio femminile

13 dicembre 2008

Un dono da ravvivare.
Paolo a Timoteo scrive: “Mi ricordo della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Loide, poi in tua madre Eunice e ora, ne sono certo, anche in te. Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te” (2 Tm. 1,5-6).
Le parole valgono non solo per l’ordinazione sacerdotale, ma per ogni dono di Dio: “ravvivare”, come il fuoco che è sotto la cenere. Occorre pensare alla responsabilità umana, alla forza creatrice dell’amore, alla capacità inventiva; ma anche e, prima di tutto, alla grazia del sacramento e alla preghiera.
Da qui la fecondità degli atteggiamenti e dei comportamenti che, per un cammino cristiano, prima di essere psicologici e in ricerca di soluzioni che portino fuori del disagio, sono interiori e cristiani:

- perciò lo spazio, individuale e di coppia, per la parola di Dio da ricordare per viverla;

- la preghiera, che aiuti a non enfatizzare le difficoltà dimenticando quanto il Signore ha operato nella grazia del sacramento e può ancora operare;

- i piccoli passi che traducono quello che si crede possibile in possibilità reale

 

 

Indice anno    

 

Dono e perdono

10 gennaio 2009

La coscienza della propria esistenza personale e della propria storia, anche in senso sociale, porta alla consapevolezza che la vita è un dono, di Dio innanzitutto.
In lui si scopre la libertà di prevenire, di avere premura, di accantonare gli errori di rinnovare la fiducia. Domani nella liturgia del battesimo di Gesù, ascolteremo quel: “Tu sei il mio figlio” detto a Lui e, in Lui, ad ogni uomo, “Io ho gioia di te, che tu esista”, prima di ogni capacità di risposta adeguata. Questo è il dono.
In questo essere “dono” c’è il rischio della libertà. L’esperienza intima dice che, quando al dono non c’è corrispondenza, la libera disposizione di Dio è di essere più ancora benevolmente vicino all’uomo perché continui a vivere. Questa sua decisione di essere comunque dono autorizza la fiducia che Gesù insegna nel vangelo e la comprensione del perdono come amore che non è legato al negativo da superare ma all’amore che decide di amare “per primo”. Questa visione appartiene alla relazione umana fondata nel vangelo, particolarmente alla sacramentalità del matrimonio, e va imparata quotidianamente e domandata nella preghiera personale e di coppia, sapendo che il traguardo alto è il “perdonare settanta volte sette” (Mt. 18,22), e il “dare la vita per i propri amici” (Gv. 15,13).
La delicata espressione, del Piccolo Principe, della volpe che domandava il dono dell’amore “ se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata”. L’amore non appartiene alla categoria dell’avere ma, dell’essere. Non si può dire in termini veri “io ho l’amore” e perciò “io ho una moglie” “io ho dei figli” ma, “sono sposato”, “sono padre”. Molte lingue, compreso l’ebraico, non hanno un termine equivalente ad avere. In ebraico “io ho” deve essere detto con una forma indiretta “è a me”. (rif. La preghiera del mattino di Bonheffer)

 

Indice anno    

 

Innamorati o rassegnati?

14 febbraio 2009


- Innamoramento o Innamoramenti ?

Quando ci chiediamo “cos’è l’innamoramento” quali sono le prime cose a cui pensiamo? Ma siamo proprio sicuri che il significato sia uno solo?

- Il “primo” innamoramento”

-         facciamo di tutto per conquistarlo e mostriamo il meglio di noi stando attenti ad ogni particolare.

-         Le rinunce non ci pesano

-         È tutto “rosa” se stiamo insieme, i problemi non ci riguardano, tutto il resto non conta.

-         I difetti dell’altro/a non esistono o forse non li vediamo o semplicemente li perdoniamo.

- il “dopo”

-         La vita insieme, tante gioie ma anche i primi problemi: conciliare lavoro e famiglia, far quadrare i conti, mare o montagna, gli amici di lui o gli amici di lei, film o partita, stadio o gita, Natale con i miei o con i tuoi, frittata anche stasera, basta con la cioccolata lo vedi che stai ingrassando.

-         Ed allora: non mi capisce abbastanza; forse lui/lei non è quello che pensavo; non sono più sicuro/a che sia l’uomo/la donna dei miei sogni.

- uno strato di polvere sul cuore

-         Mi sembra di non provare più niente

-         E’ tutto solo un dovere

-         Come potrò mai sopportare tutta la vita con lui/lei?

- tentazione di una nuova storia romantica o nostalgia del primo innamoramento?

-         Avrei bisogno di innamorami ancora, avrei bisogno di una nuova storia che mi stordisca e che mi faccia evadere, per non pensare più a niente, per non pensare a tutti i nostri problemi….

-         Sarebbe bello tornare ai vecchi tempi, ma lui/lei non è più quello di una volta.

-         Forse con un’altra persona… forse con quella persona.

- Re-innamorarci si può

-         La piantina dell’amore va innaffiata tutti i giorni.

-         Troppa polvere (problemi, malumori, litigi, incomprensioni) sul cuore soffoca l’amore; rischiamo di pensare che non ci sia più quando invece è solo sommerso.

-         Estirpiamo la giungla delle preoccupazioni quotidiane che opprimono il nostro amore: qualche attimo per noi, un po’ di complicità, proviamo ancora a sorprenderci.

-         Meglio un po’ meno perfetti in due che più perfetti da soli

-         Non vergognamoci di dirle/dirgli: “Se ti conoscessi oggi per la prima volta, mi innamorerei di te, ma proprio così come sei oggi e farei di tutto per conquistarti”.

 

 

Indice anno    
 

Educarsi alla gratitudine

14 marzo 2009

La gratitudine è l’atteggiamento che si impara nel silenzio, nella coscienza non oppressa dalle preoccupazioni ma nella gioia del dono ricevuto e custodito nella realtà nuziale.

“Attendo che lei dorma per ringraziare ogni sera il Signore della sua presenza ed abbracciarla nella tenerezza.”

Alcuni riferimenti:

-  “Guardati bene dal dimenticare” (Dt. 4,9)

-  “Mi forza e mo canto è il Signore egli mi ha salvato” (Es. 15,2)

-  “Trova gioia nella donna della tua giovinezza” (Pr. 5,18)

-  “Questa volta è osso delle mie ossa carne della mia carne” (Gen. 2,22)

 

 

Indice anno    
 

Testimoniare ai figli l’educazione all’amore.
(Col. 3,16-21)

18 aprile 2009

 

-  come ci si educa all’amore?

-  educare, da “e-ducere”, “trarre fuori” nei figli quello che hanno dentro come natura umana, come figli di Dio nella grazia del battesimo.

- ogni azione educativa ha il versante negativo (doloroso) di far tacere in sé quello che si vorrebbe proporre per avere sicurezza, dice san Paolo “no esasperate i vostri figli”: perciò tacere, attendere, rispettare…

- il versante positivo di una vita di premura e attenzione vissuta nell’ordinarietà della famiglia (Col. 3,23)

 

 

Indice anno    
 

Allargare gli orizzonti. Gli altri nella nostra casa. (Rm. 12,3-13)

9 maggio 2009

 

- l’opera dello spirito nella crescita della disponibilità fino alla scoperta della possibilità dell’impossibile, e all’esperienza della casa aperta ad ogni necessità di persone che domandano ascolto.

- Serve una scintilla per allargare gli orizzonti. Questa scintilla non si genera solo dalla riflessione personale ma scaturisce come atteggiamento per esempi nei campi di lavoro come occasione di generosità. E allora che si scopre la bellezza dell’individuare la scintilla anche se piccola e farla scattare nel cuore di chi si incontra.

 

 

Indice anno    
 

Fu invitato alle nozze anche Gesù (Gv 2, 1-11)

6 giugno 2009

 

- la scelta di nascere e crescere in una famiglia condividendone le caratteristiche comuni a tutte, dice di un disegno originario di Dio che Cristo intende riportare alla sua purezza, con il primato assoluto della parola di Dio.

- questo primato alla famiglia è donata la possibilità di trascendersi, subordinandosi sempre ai progetti di Dio (Mc 10,13-16)

- invitare Gesù alle nozze. Preghiera individuale di coppia, di famiglia unita per dare uno spazio concreto a questo invito. Esso non è un fatto devozionale e neppure una “uscita di sicurezza” dalla tribolazione.

- la presenza continua di Gesù riconduce al disegno primordiale di Dio che rende possibile la sua attuazione (Mt. 19,4-9). Ed è quello che san Paolo insegna fino allo splendore del matrimonio sacramento di Cristo e della chiesa. (Ef. 5)

 

 

Indice anno    
 

Incontro conclusivo di preghiera e di verifica
S.Antonio Abate - Oasi Dehon

20-21 giugno 2009


vedi sintesi dell'incontro

 

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2007-08

 

 

“Dall’Io al Noi”

 Dalla persona alla coppia; dalla coppia alla famiglia;

dalla famiglia alla società. 

 
10 novembre 2007

Dall’Io persona al Noi coppia

  Ma perché t’ho sposato! Chi me l’avrebbe detto…a me!

Il coniuge: da impedimento ai propri desideri a occasione di crescita nell’unità.

Salmo n. 128 “Beato l’uomo che teme il Signore”

1 dicembre 2007

Dall’Io coppia al Noi famiglia                                  

 Ah, se l’avessi saputo prima che i tuoi erano così! Sei proprio come loro!

I parenti: da minaccia per l’equilibrio di coppia a occasione di confronto e di collaborazione

Salmo n. 131 “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore”

12 gennaio 2008

Dall’Io coppia al Noi famiglia

               Ma siete proprio dei bacchettoni!

Come trasmettiamo ai figli la nostra fede e i valori: dal muro del “devi fare” allo spazio del “puoi fare”

Salmo n. 127 “Se il Signore non costruisce la casa”

3 febbraio 2008 GIORNATA DELLA FAMIGLIA
9 febbraio 2008

Dall’Io coppia al Noi famiglia

     Tutti i miei amici lo fanno! Non è giusto, non mi volete bene!

La provocazione sui figli: dall’omologazione del branco all’educazione alla libertà

Salmo n. 124 “Se il Signore non fosse stato con noi”

23 febbraio 2008

Auditorium S. Luisa Marillac Presentazione libro di R. Scotto “Orizzonti di libertà - Sessualità e amore nei giovani” e  Dibattito
8 marzo 2008

Dall’Io famiglia al Noi società

Ma quello ha il televisore con lo schermo gigante e noi invece…!

La sobrietà felice: dal possesso delle cose all’incontro con l’altro

Salmo n. 121 “Alza gli occhi verso i monti”

19 aprile 2008

Dall’Io famiglia al Noi società

Lasciamoli stare quelli. Sono scombinati. Mettono in testa strane idee.

I nuovi stili di vita familiare: dal rifiuto del confronto  all’accoglienza fraterna

Salmo n. 126 “Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion”

10 maggio 2008

Dall’Io famiglia al Noi società

  Oddio, adesso arrivano ed è ancora tutto in disordine, non abbiamo finito di cucinare… non ce la faccio più! Mai più a casa nostra!

La nostra casa: dal dovere di ospitalità alla festa nell’incontro con gli altri

Salmo n. 134 “Ecco, benedite il Signore”

21-22 giugno 2008 Incontro conclusivo: Mercogliano

 

 

 

            (n.d.r.) Come al solito, invece di una sintesi precisa di quanto scaturito dal confronto durante i nostri incontri, si offrono degli spunti di riflessione, proposti da don Giovanni Sansone. Questi spunti ci hanno guidati e aiutati, e ci auguriamo possano essere utili a tutti quelli che vorranno approfondirli e farli propri, superando anche le difficoltà di una forma tipografica non perfetta; inoltre, speriamo che tutti possano provare il piacere di insistere nella lettura e considerazione (“Leggere, rileggere, penetrare…” dice don Giovanni). Anche così, come in tutte le cose della vita, e soprattutto per quanto riguarda la vita di coppia e la realtà familiare, si dimostrerà che la volontà di superare le difficoltà e la perseveranza sono le basi  su cui si può costruire saldamente…

 

Parlaci del matrimonio, maestro, e lui rispose dicendo: siete nati insieme e insieme sarete in eterno; sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni, sarete insieme anche nella silenziosa memoria di Dio.

Ma lasciate che vi sia spazio nel vostro essere insieme, lasciate che i venti del paradiso danzino tra voi. Amatevi l’un l’altro ma non fate dell’amore una catena: lasciate invece che vi sia un mare in movimento tra i lidi delle vostre anime.

Cantate, ballate insieme e siate gioiosi, ma lasciate che ognuno sia solo. Anche le corde di un liuto sono sole, eppure fremono alla stessa musica.

Datevi i vostri cuori ma non per possederli, perché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.

State in piedi insieme, ma non troppo vicini, perché le colonne del tempio stanno separate e la quercia e il cipresso non crescono l’una nell’ombra dell’altro”. (Kahlil Gibran)

 

All’inizio dell’anno ci siamo domandati che cosa significhi per noi il passare del tempo che a volte avvertiamo talmente rapido da defraudarci della capacità di possederlo, e allo stesso momento esigente con le domande che salgono dai nostri cambiamenti personali, dagli equilibri sempre nuovi del nostro essere di coppia, di genitori, di partecipi a rapporti che si allargano con la gratificante complicità della comunicazione che affascina. Siamo “soggetti” al tempo, come sudditi di fatalità ineluttabile cui arrendersi passivamente, o siamo “soggetti” del tempo come protagonisti di ogni stagione per la freschezza che deriva dal vivere il presente che il Signore ci propone? Ci pare che l’essere “soggetti” in senso attivo comporti una forte e serena coscienza di cammino da compiere, un guardare a persone e situazioni come strumenti preziosi di un amore che conduce l’esperienza umana di coppia, pur bella e ricca e feconda nel suo essere relazione senza riserve, a dimensioni sempre più profonde con il conseguente espandersi sempre più ampio, fino all’esperienza sempre più intima della vita della Trinità con il frutto di sentirsi sempre più chiamati ad essere solo amore, senza aggettivi. Tempo che scorre, perciò, inteso come cammino che prosegue, come “esodo” che è la parola biblica che sta ad indicare il cammino verso la “patria grande” della terra di Dio. Esodo, letteralmente, si dovrebbe leggere “uscita”. Uscita da che cosa? Certamente da quello che ritarda o che ancora non è l’approdo nel “noi” senza limiti di cui si diceva poco sopra. Perciò ogni stagione non è tanto traguardo quanto tappa e punto di partenza, non luogo di riposo ma trampolino di lancio. Non finisce la fatica del cammino. E si rinnova il fascino delle vette, quel “che siano perfetti nell’unità” che il Signore ha lasciato nel suo testamento come ambizione e traguardo del vivere cristiano. È questo il mistero pasquale della famiglia, il suo uscire e il suo entrare.

I salmi delle ascensioni, della salita alla “casa del Signore” ci hanno illuminato, accompagnato e confortato, proponendosi dolcemente come compagni e battistrada del nostro cammino che procede.

 

 

Indice anno    

 

“Dall’io dell’individuo al noi di coppia”

10 novembre 2007

 

Per pregare. Nel salmo 128, pieno di pace, gioia e luce, si può immaginare “la sconfinata letizia di quel primo paradiso, quando l’uomo aveva visto sorgere la donna dal suo stesso costato e aveva creduto che fosse soltanto un sogno dolce e senza mistero” (Parazzoli, Uccelli del Paradiso, Milano, 1982).

Per riflettere. A volte, dopo anni di condivisione intensa e gratificante, si sperimentano spazi di solitudine nel pensare, nel decidere, nell’attesa inutile dell’affetto. A volte fa capolino l’interrogativo sottile e angoscioso sull’avere sbagliato, come se la propria scelta di sposarsi non avesse corrisposto ad una vera vocazione al matrimonio e alla famiglia che abbia a vedere con Dio.

“Il punto che dobbiamo rendere credibile anche per la nostra stessa vita è che la sofferenza in diverse forme, fa necessariamente parte della nostra vita. È questa (della vita di coppia) una sofferenza nobile, direi. Occorre capire che il piacere non è tutto. Che il cristianesimo ci da gioia. Ma l’amore è anche sempre rinuncia a se stesso. Il Signore stesso ci ha dato la formula su che cosa sia amare; chi perde se stesso si trova; chi guadagna se stesso si perde. Esodo è quindi anche una sofferenza. La vera gioia è una cosa distinta dal piacere: la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la croce di Cristo” (Benedetto XVI, al clero di Aosta, 25/7/05).

 

 

Indice anno    

 

“Dal noi di coppia al noi di famiglia più ampia”

1 dicembre 2007

 

Per pregare. Il salmo 131 propone un’unità non deprimente, come quella di un bambino che si lascia allattare e svezzare. La gioia matura dell’ “anima svezzata” deriva dall’esperienza dell’aver ricevuto dalla gratuità del seno materno, che genera la fiducia piena fino all’abbandono della distinzione.
Per riflettere. Scrive E. Mounier: “Sai tu cos’è l’infanzia spirituale? È, molto semplicemente l’avere un’anima toccata dalla grazia che può non aver fatto nulla nella vita ma che ha ricevuto da Dio il dono di uno sguardo semplice rivolto a lui e quella freschezza dove a Dio deve essere tanto caro riposarsi, visto che non vi sono più se non uomini preoccupati, tesi, inaspriti dal lavoro e dalla serietà. Dio non vuole gente che abbia della virtù ma fanciulli che egli possa prendere come si solleva un bambino, in un momento, perché è leggero ed ha dei grandi occhi” (Luglio 1957).
Tra la coppia e la famiglia, in senso più largo, c’è uno spazio che necessariamente domanda umiltà e fiducia. L’unità non è mai frutto di “occhi altezzosi” o di “cercare cose grandi”. È un apprendimento paziente che deve domandarsi di non pretendere, ma di far nascere la verità dall’amore.
 

 

 

Indice anno    
 

"Dal noi per noi al noi con i figli: come trasmettere ai figli la fede e i valori?”

12 gennaio 2008

 

Per pregare: Salmo 127: Come la terra è il segno dell’amore e della benedizione di Dio nello spazio, i figli sono il segno della benedizione divina e della sua presenza creatrice nel tempo. Sono un dono “teologico” dell’amore di Dio.
Per riflettere.

  • La certezza della grazia del sacramento del matrimonio. Nazareth sta davanti a noi come modello e possibilità di “portare a compimento” quanto Dio ci domanda. All’interno del modello sociale in cui viviamo, ma senza essere schiavi di quello che ci è stato trasmesso in senso di tradizioni e di regole sociali, la tensione va verso il vivere nella guida di Dio la responsabilità familiare. Occorre il lavoro di discernimento per capire che cosa sono “le norme” e che cosa “le metanorme”, quelle che la Bibbia fa risalire al “principio” (Mt 19,8) e quelle che sono derivate dalla sola tradizione anche religiosa. Vi si può scoprire una famiglia meno stretta, chiusa in sé, ma come nucleo dove si imparano rapporti più ampi.

  • La certezza del compito di genitori. La sensibilità attuale mette in crisi tutti i rapporti verticali, non solo quelli genitori-figli. A Nazareth c’è una paternità che passa attraverso l’esercizio dell’autorità, che non evita prove ed ostacoli ma li sa gestire perché non schiaccino, ma facciano crescere, come tappe di un cammino. Un’autorità che accetta di diventare silenzio man mano che l’altro assume la propria responsabilità, che diventa autorevolezza, e paziente azione di convincimento, passando dal muro del “devi fare” allo spazio del “puoi fare”. Fino al punto di essere liberi di dire al proprio figlio: “tocca a te ora dire che cosa devo fare io”, come per dire: “sei così cresciuto che devo essere io a interrogarti”.
    Scrive Elia Canetti: “Compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita”.

 

Indice anno    
 

Festa della famiglia.

3 febbraio 2008

 

Come ogni anno, in occasione della giornata della Vita, si è riproposta la considerazione della scelta matrimoniale come fondamento della famiglia. Il rinnovo delle promesse coniugali ed il momento conviviale (l’insieme) indicano l’importanza di fondarsi sulla roccia di Dio, e sulla comunione coi fratelli.
Nell’intenzione di coinvolgere maggiormente e di proclamare la grazia sacramentale derivante dal Matrimonio, si è tentato di assicurare in tutte le celebrazioni la presenza di una coppia di Famiglie Insieme e l’animazione della liturgia, ma si è dovuto riconoscere che la disponibilità non è stata sufficiente, per cui si è deciso per le prossime volte di limitarsi ad alcune celebrazioni, coinvolgendo nell’animazione i frequentatori abituali di quelle liturgie.
 

 

Indice anno    
 

“Dal noi con i figli al noi con i figli che se ne vanno: dall’omologazione del branco alla educazione alla libertà”

9 febbraio 2008

 

Per pregare. Salmo 124: Jahweh è il vero protagonista del salmo. Come i monti circostanti abbracciano Gerusalemme come una chioccia i suoi pulcini, così Jahweh con il suo popolo: “lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio, come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati” (Dt 32,10-11).
Per riflettere. Abbiamo dedicato questo incontro, a cui seguirà un altro sull’educazione alla sobrietà, alla problematica degli adolescenti. Una ricchezza di interrogativi esistenziali, l’abbondanza di esperienze, l’impegno, i tentativi, le ansietà. Ci sono state di guida le parole dell’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, nella lettera di quest’anno alla diocesi sulla missione della famiglia: “A volte genitori e figli non riescono a comunicare tra loro, a comprendersi. Ci si interroga sui desideri, sulle fatiche, sui condizionamenti culturali, sulla credibilità della fede, sulla coerenza dei cristiani, sul vero volto della Chiesa. Ogni coppia di sposi, ogni genitore vive stagioni diverse: non sono solo i figli a crescere e trasformarsi… Qualche volta le semplici e disarmanti domande dei figli (i classici “perché?”) possono diventare occasioni per riprendere alcuni interrogativi decisivi per la vita spesso lasciati in fondo al cuore… Non possiamo disattendere il bisogno diffuso di accoglienza e di legami profondi” (N° 20).
 

 

Indice anno    
 

Incontro-dibattito su
“Sessualità e giovani”

23 febbraio 2008

 

Raimondo Scotto: “Orizzonti di libertà”. Si è sviluppato un proficuo dialogo tra l’autore e gli intervenuti (circa 250 persone, nell’auditorium S. Luisa all’Arco Mirelli), aiutato anche da alcuni “espedienti” comunicativi (i power point di canzoni attinenti, la possibilità di poter formulare le domande in modo anonimo, la conduzione della serata da parte di giovani…) (ved. foto della serata)
 

 

Indice anno    
 

“L’adolescenza: l’educazione alla sobrietà felice: dal possesso alla relazione con l’altro”

8 marzo 2008

 

Per pregare. Salmo 121: “Colui che segna la loro via alle nuvole, all’aria, al vento, tesserà anche la via per la quale il tuo piede può camminare” (Paul Gerhardt, ? 1676).
Per riflettere. presentando la famiglia come scuola di amore, nella sua lettera pastorale l’arcivescovo di Milano dice: “Questa scuola di carità, che trova la sua radice nel dono di grazia dei sacramenti, inizia molto presto con la reciproca attenzione tra i coniugi e si sviluppa in continuità trovando la sua più autentica attuazione nell’educazione dei figli. Tra gli sposi ogni giorno si vive e si rafforza l’amore attraverso il desiderio e lo scambio del bene reciproco, la stima e l’aiuto vicendevole, la confidenza delle parole e dei sentimenti, la vigilanza nella gestione delle cose e dell’uso del tempo, la prontezza al dono di sé… È nel contesto di questo amore quotidiano che anche i figli vengono introdotti a pensieri e a comportamenti di amore, ossia di condivisione e di servizio reciproco, e imparano a superare con il dono di sé forme di egoismo, di ripiegamento o di strumentalizzazione dell’altro. Il buon esempio dei genitori, prima e più della loro parola, costruisce la famiglia come “scuola dell’amore e del dono di sé”. La famiglia che quotidianamente sa aprire le aule di questa “scuola” leva la sua voce in una società povera di amore, scossa e disgregata da tensioni e conflitti, appesantita da troppe forme di egoismo.
 

 

Indice anno    
 

“Dal noi famiglia al noi società”

19 aprile 2008

 

Per pregare. Salmo 126: L’itinerario pedagogico e salvante di Dio ha la sua attuazione nella vicenda di Israele: all’educazione paterna delle lacrime corrisponde la gioia della purificazione, del perdono, della salvezza. Scrive Agostino: “la vostra terra è la Chiesa: seminate quanto potete… Che cosa devi seminare? La misericordia. E che cosa mieterai? La pace… Così dovete amare e dato che in questa vita le cose buone si compiono attraverso dolori e pene, non venite meno! Seminate tra le lacrime, mieterete con gioia!”
Per riflettere. Ruth appare come icona attualissima dell’apertura senza riserve. Tenacemente fedele alla suocera restata vedova e senza figli, decisa a tornare nella sua patria di origine, triste nella rassegnazione alla condizione di sconfitta dalla vita. Pur resa libera da ogni dovere di ulteriore appartenenza, Ruth le dice: “dove andrai tu, andrò anch’io; dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta” (Ruth 1,16-17). Donna forte nel bene, nella mansuetudine, nel servizio, entra nel solco delle generazioni di Israele che conducono a Gesù, introduce al Nuovo Testamento perché il suo nome è nella genealogia di Gesù (Mt 1,1-17).
 

 

Indice anno    
 

“Dal noi dell’intimità al noi dell’ospitalità”

10 maggio 2008

 

Per pregare. Salmo 134: “Colmaci, o Signore Dio nostro, delle benedizioni connesse alle tue feste; accordaci vita e pace, gioia e soddisfazione secondo le tue promesse. Saziaci della tua bontà, rallegraci con il tuo aiuto. Purifica il nostro cuore perché possiamo servirti sinceramente...
Sii benedetto tu che santifichi Israele e le sue feste.” (Preghiera ebraica)
Per riflettere. La festa entra nelle nostre case e conduce dall’incontro casuale alla parola più intima, dal colloquio a due alla commensalità della famiglia unita, dal cercare appoggio alla condivisione.
Il salmo 134 conclude i canti della fatica, della salita, perché si arriva dove Dio abita, la comunità di quanti sono uniti nel suo nome.
Vi sono momenti di autentica esperienza che lo testimoniano, e ne abbiamo ringraziato insieme il Signore che ce li concede.
 

 

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2006-07

 

 

“Custodire la vita”

 

Quest’anno il tema scelto è stato: “FAMIGLIA: CUSTODE DELLA VITA”, in sintonia e in continuazione col messaggio di S.S. Benedetto XVI a Valencia, in occasione dell’incontro mondiale delle famiglie. E' stata quindi proposta la riscoperta di uno dei pilastri del Matrimonio: la trasmissione e la valorizzazione della vita, in tutte le sue sfaccettature: amore di sé, rispetto, perdono, comunicazione, educazione, convivenza, condivisione.

 

La famiglia: custode della vita

“Sua madre custodiva nel cuore tutte queste cose. E Gesù cresceva in età sapienza e grazia davanti agli uomini e davanti a Dio” (Lc. 2:31,32 )

11 novembre 2006

Custodire se stessi:

      volersi bene per volere bene

16 dicembre 2006

Custodire il coniuge:

      perdonarsi a vicenda e ricostruire

13 gennaio 2007

Custodire la famiglia:

      la riconciliazione in famiglia

4 febbraio 2007 GIORNATA DELLA FAMIGLIA
10 febbraio 2007

Custodire i figli:

      condurli insieme nel mondo

10 marzo 2007

Incontro-dibattito con  “esperti”:

“La coppia che scoppia: i rimedi, la ricostruzione, l’abbandono, la consolazione della vicinanza, coniugi no ma genitori sì”

14 aprile 2007

Custodire i figli:

      condurli insieme nel mondo

12 maggio 2007

Custodire i nonni:

      pesante bagaglio o scrigno per la vita?

16 giugno 2007 GIORNATA INSIEME

 

 

Premessa

Nella cultura profana e in quella biblica il verbo “custodire” significa “conservare, serbare con cura, difendere, proteggere, avere in custodia, sorvegliare, vigilare”.

Tutti questi significati possono essere intesi anche in senso figurato come custodire un impegno, una fiducia, un segreto…

Testo biblico per la riflessione, Gv 17,11-12:

“Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi. Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi”.

La parola “Padre” è titolo e motivo di fiducia. È la parola con cui inizia la preghiera che Gesù dona ai suoi. Quasi per dire che alla base di ogni fiducia che permette di accogliere una missione che coinvolga altri e di viverla con pienezza, c’è la certezza di essere amati nel cuore di Qualcuno in cui è la fonte e la possibilità di relazioni vere. Il primo atteggiamento che ci dobbiamo domandare è perciò quello di ascoltare, riflettere insieme e fare eventuali passi nell’atmosfera tersa di questa verità: Dio c’è ed è Padre.

In questa atmosfera Gesù domanda la vigilanza del Padre sui discepoli, la conservazione nel bene in cui si trovano per averlo accolto e seguito, la preservazione dai mali che li minacciano.

 

 

Indice anno    
 

“Amarsi per amare”

11 novembre 2006

 

L’annuncio della Scrittura è che la più grande e totale manifestazione dell’amore sta in Dio stesso, nel suo farsi vicino alla persona e di persona, nel suo raggiungerla preventivamente (cfr. Ger 1; Lc 1,15; Gal 1,15).
L’uomo rischia molto quando - anche senza accorgersene – si domanda un processo inverso, quando cerca in se stesso la fonte dell’amore. A livello individuale esiti di questo rischio sono la solitudine, il pessimismo, la frustrazione… A livello interpersonale l’incapacità di relazionarsi, il senso di inadeguatezza che induce alle chiusure. Nel tempo nostro il rischio è accentuato dalla richiesta sociale e mediatica del riuscire ad ogni costo.
L’invito della fede è ad aprirsi alla forza dello Spirito di Dio che ha la capacità di vitalizzare la nostra affettività. Il “filo d’oro” si svela in quel “non temere, io sono con te” che percorre tutta la Scrittura da Abramo a S. Paolo a Corinto in Atti 18. In questa apertura allo Spirito matura la disponibilità al dolore che irrompe nella vita. La persona matura nell’amore di sé è quella che ha creduto nell’amore che gli si va svelando nelle vicende della vita personale: per cui non ha più paura del proprio volto e della propria storia (cfr. Sal 73).
È proprio questa libertà da sé che non lascia più che il proprio io si metta in mezzo tra sé e Dio, ed anche tra sé e l’altro che ci è vicino, che permette di essere soggetti dell’amore, liberi di amare l’altro, anche nel dolore, fino al dono radicale di sé.
 

 

Indice anno    
 

“Perdonarsi e ricominciare”

16 dicembre 2006

Testo di riferimento Col 3,12-15.
Il cuore del cristianesimo, la rivelazione di Dio in Gesù crocifisso, è letto da Paolo come l’evento dell’amore verso chi ha peccato (Rm,5). Un amore perciò gratuito, oltre ogni rivendicazione di risarcimento. Questo significa che l’amore di Dio all’umanità è perdono (Ef 2,13-18). È incondizionato, non è preceduto – come se si trattasse di una premessa – dal pentimento ma lo fonda e lo rende possibile. Così nella parabola del figlio prodigo (Lc 15) il pentimento del figlio inizia quando si rende conto dell’amore fedele del padre, che non ha smesso di amarlo mai. Il figlio legge come perdono l’amore del padre fedele a se stesso. Comprendiamo che il superamento dell’aspetto solo giuridico o rivendicativo è un più di amore. Questo nocciolo della fede cristiana diventa l’identità dei discepoli di Gesù. L’indicativo di Dio è imperativo dell’uomo. Dice Ratzinger (Benedetto XVI): “La Chiesa è una comunità di peccatori convertiti che vivono nella grazia del perdono trasmettendola a loro volta ad altri”.
La possibilità del perdono, in definitiva dipende dall’amore al Signore in croce.
C’è un’onnipotenza nel perdono, perché tutto può essere perdonato.
C’è una debolezza, perché non è garantito dal pentimento. Perciò il perdono non è una legge, ma una possibilità. È la testimonianza che la persona vale più dei suoi errori, e la relazione più dell’offesa che l’ha ferita. Questo permette di vivere la difficoltà dell’asimmetria: chi perdona lascia all’offensore la possibilità di riprendere la relazione. In famiglia il perdono non è solo motivo di vivere in pace ma profezia di quell’umanità che Dio vuole.
 

Viene riportato il bel contributo che Fulvia Stellato, catechista di Piedigrotta, ha voluto farci giungere, dopo aver ascoltato l'annuncio dell'incontro del 16/12/06 , il cui tema è stato: "custodire il coniuge: perdonarsi a vicenda e ricostruire" . È anche questo un modo per partecipare alle nostre iniziative, e, considerato quanto ne è scaturito, sarebbe anche auspicabile, anche se... insieme sarebbe meglio. Anche perché Fulvia è ricorsa a ciò (lasciandoci peraltro qualcosa di più duraturo) perché era impossibilitata a venire .
Devo dire che ascoltare il tema che vi eravate dati per il vostro periodico incontro di famiglie ha scatenato in me sentimenti contrastanti. Quando hai perso la "tua metà", "il tuo compagno", "tuo marito", sentir parlare dell'essere "custodi del proprio coniuge" può far sorgere sensi di colpa, può far pensare che non si sia assolto al meglio questo compito, altrimenti ciò che è successo non sarebbe successo. E così, si torna indietro col pensiero, si fruga nei ricordi, alla ricerca di qualcosa che ci possa rassicurare. Io ero custode di mio marito? Si, lo ero, e non solo negli ultimi tempi, quando la consapevolezza di poterlo perdere l'aveva reso, se possibile, ancora più prezioso ai miei occhi. Lo ero già a 16 anni, quando ci fidanzammo, e la differenza di età poteva far apparire me desiderosa di un surrogato di figura paterna. In realtà, già, istintivamente, cominciavo a frappormi tra lui e il mondo, per difenderlo dagli inevitabili colpi della vita, scoprendo, giorno dopo giorno, quel piccolo lato oscuro e fragile della sua personalità, trincerato dietro cumuli di ostentata forza e sicurezza, frutto di millenni di combinazioni genetiche e condizionamenti ambientali. Ogni tanto, periodicamente, delle repentine e brevi tempeste infuriavano, lasciandoci poi stupiti di come ci fossimo lasciati trasportare dalla collera per motivi futili, o, comunque, facilmente superabili. Ero custode quando imparavo ad amare i difetti ed i limiti allo stesso modo della bellezza,  della cultura e dell'ironia tagliente come un rasoio; lo ero quando perse la madre e,  poi, nel corso degli anni, i due fratelli: il suo dolore fu il mio dolore e cominciò la mia lotta quotidiana contro la disperazione ed il senso di predestinazione che lo attanagliava. Era una lotta con le unghie e con i denti per tener vivo in lui l'amore per la vita: le gioie di figli meravigliosi, le coccole in quantità industriale, l'assuefarmi ai suoi finti maltrattamenti (tesi a dimostrare che "lui non si era fatto mettere sotto dalla moglie giovane"), il seguirlo costantemente, tutto era volto ad alleviare le sue pene e a permettergli di superare al meglio le sue paure, nascoste e mai espresse, ma radicate dentro di lui. Ero custode della nostra passione: l'ho coltivata, alimentata, accresciuta fino all'ultimo giorno della sua vita terrena e non ho mai capito come si possa dire che essa, col tempo, possa andare a scemare, o trasformarsi in qualcosa di tiepido od insipido. C'é da chiedersi come si possa sopravvivere alla perdita di un amore così grande: in realtà ho fortemente rischiato di non riuscirci, ma varie componenti hanno contribuito a rimettermi sul tram della vita, dal quale avevo deciso di scendere definitivamente. Prima di tutto l'amore di Dio che si è manifestato a me in maniera incredibilmente forte. Ho, ancora oggi, la sensazione quasi fisica che il Signore mi stia portando in braccio, insegnandomi che, la sua infinita grazia può contenere tutto: una sofferenza inenarrabile e l'immensa gioia di essere figli suoi. Poi c'è l'amore dei miei figli, due doni che hanno illuminato le nostre vite, dando loro un senso compiuto, una ragione d'essere. Essi sono "amore incarnato", alla stregua di Cristo, "Amore incarnato" del Padre, e ciò basterebbe a rendermeli cari oltre ogni dire. Ma io ho l'incredibile privilegio di poterli guardare come persone degne di rispetto ed ammirazione e non basta una vita per ringraziare Dio di un simile dono. Infine, è stato Bruno stesso a darmi la forza di andare avanti, con alcune sue frasi, pronunciate in tempi, per me non sospetti, che sono state letteralmente un viatico per la mia seconda vita (come la chiamo da due anni in qua). Un giorno, pochissimo tempo prima di morire, mentre eravamo a pranzo, ed io lo guardavo nascostamente, come amavo fare, mi ha detto queste parole: "Stai troppo intorno a me, devi crearti nuovi interessi, perché io tra poco me ne vado!" In un'altra occasione, in cui mi lamentavo un po'  di quanto poco si ricordassero del mio aiuto coloro che ne avevano usufruito, mi disse: "Io, io ho capito tutto quello che hai fatto per me!" Ecco, queste parole sono l'ossigeno che mi ha aiutato a respirare negli ultimi due anni. E, dunque, sono stata custode di mio marito? Lo spero tanto, pur nei limiti strettissimi posti dalla nostra umanità. Sono ancora custode di mio marito? Si, soprattutto ora che siamo non più due corpi ed un'anima sola, ma due anime in un sol corpo. Sono una teca vivente che custodisce una reliquia, un ricordo; sono una sorta di calice nel quale si fa memoriale di lui e anche se, paradossalmente, il Signore mi facesse dono di un nuovo amore, nulla mi priverebbe di questo ruolo del quale non Lo ringrazierò mai abbastanza: essere custode del mio Bruno.

 

 

Indice anno    
 

“La riconciliazione in famiglia.”

13 gennaio 2007

 

Testo di riferimento: Ef 5,25-27.
“Il punto che dobbiamo rendere credibile anche per la nostra stessa vita è che la sofferenza, in diverse forme, fa necessariamente parte di essa. È questa (nella vita di coppia) una sofferenza nobile, direi. Occorre capire che il piacere non è tutto. Che il cristianesimo ci da gioia. Ma l’amore è anche sempre rinuncia a se steso. Il Signore spesso ci ha dato la formula di che cosa è amore: chi perde se stesso si trova; chi guadagna se stesso, si perde. È sempre un Esodo e quindi anche una sofferenza. La vera gioia è un cosa distinta dal piacere: la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la croce di Cristo” (Benedetto XVI al clero di Aosta -25/7/05).
A volte, dopo anni di condivisione intensa e gratificante, si sperimentano spazi di solitudine nel pensare, nel decidere, nell’attesa vana dell’affetto. A volte fa capolino l’interrogativo sottile e angoscioso sull’avere sbagliato, come se la propria scelta di sposarsi non avesse corrisposto ad una vera vocazione al matrimonio e alla famiglia che abbia a vedere con Dio.
La comunione con il “modo” di Cristo, con la sua croce, non come devozione-rifugio ma come realtà viva da riconoscere come propria, per farla propria, porta all’identificazione di lui che, mentre si propone viene lasciato solo, mentre si spende pienamente per chi ama viene schiacciato dal senso di fallimento, mentre vive l’obbedienza fino alla morte si smarrisce come se il Padre l’avesse abbandonato. È il mistero di Gesù abbandonato che si prolunga, si espande nei discepoli perché siano veramente suoi: “voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove, e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me” (Lc 22,28-29).
Questi passaggi dolorosi possono essere richiesti nel cammino di fede delle unioni anche più consolidate. Possono essere rivelatori di una proposta di Dio a chi vive la vocazione a quell’amore di “agape”, di gratuità di cui ha parlato il Papa (Deus charitas est).

 

 

Indice anno    
 

“Custodire i figli.”

10 febbraio 2007
14 aprile 2007

 

Testi i riferimento:

Preghiera “custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato” (Gv 17,11).

Presenza “tua madre era come un vita piantata vicino alle acque” (Ez 19,10)

Parola “Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino” (Col 3,21).

Fiducia “Chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 19,37).

“L’esperienza quotidiana ci dice che educare alla fede non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande «emergenza educativa», della crescente difficoltà che si incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori – base dell’esistenza e di un retto comportamento … In una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo, viene a mancare la luce della verità e si finisce per dubitare della bontà della vita e della validità dei rapporti e degli impegni che la costituiscono… In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano «odio di sé» che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà… In un mondo in cui l’isolamento e la solitudine sono condizione sempre più diffusa, diventa decisivo l’accompagnamento personale che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso e accolto. Il giovane di oggi conserva dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano «ha affermato di essere la verità, non la consuetudine»” (Benedetto XVI al Convegno Diocesano di Roma – 11/6/07).
 

 

Indice anno    
 

“L’amore malato – La coppia che scoppia”
Tavola rotonda

10 marzo 2007
 


Vedi resoconto dell'incontro

 

 

Indice anno    
 

“Custodire gli anziani”

12 maggio 2007

 

Testi i riferimento:

Qo 12, 1-7: anzianità, debolezza e prossimità alla morte.

Sir 25,2-6: l’anziano e la sapienza.

Dt 6,20-21: l’anziano e la trasmissione della fede.

Lc 2,25-38: l’anziano testimone (Simeone e Anna)

Lettere Pastorali del N.T.: l’anziano destinatario di amore

2 Cor 4,16: l’anzianità come occasione di progresso interiore

Gv 12,24: l’anzianità come contributo alla nuova creazione nella legge del seme.

“L’esperienza quotidiana ci dice che educare alla fede non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande «emergenza educativa», della crescente difficoltà che si incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori – base dell’esistenza e di un retto comportamento … In una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo, viene a mancare la luce della verità e si finisce per dubitare della bontà della vita e della validità dei rapporti e degli impegni che la costituiscono… In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano «odio di sé» che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà… In un mondo in cui l’isolamento e la solitudine sono condizione sempre più diffusa, diventa decisivo l’accompagnamento personale che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso e accolto. Il giovane di oggi conserva dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano «ha affermato di essere la verità, non la consuetudine»” (Benedetto XVI al Convegno Diocesano di Roma – 11/6/07).
 

 

Indice anno    
 

“Giornata insieme.”

16 giugno 2007

 

“Una cosa è certa: insieme alla gratitudine di quella prima Chiesa di cui parla S. Paolo, ci deve essere anche la nostra, poiché grazie alla fede e all’impegno apostolico di fedeli laici di famiglie, di sposi come Priscilla e Aquila il cristianesimo è giunto alla nostra generazione. Poteva crescere non solo grazie agli apostoli che lo annunciavano. Per radicarsi nella terra del popolo, per svilupparsi vivamente, era necessario l’impegno di queste famiglie, di questi sposi, di queste comunità cristiane, di fedeli laici che hanno offerto l’«humus» alla crescita della fede. E sempre, solo così cresce la Chiesa. In particolare, questa coppia dimostra quanto sia importante l’azione degli sposi cristiani. Quando essi sono sorretti dalla fede e da una forte spiritualità, diventa naturale un loro impegno coraggioso per la Chiesa e nella Chiesa” (Benedetto XVI, udienza 7/2/07).

 

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2005-06

 

 

Gli incontri di FAMIGLIE INSIEME dell’anno 2005-06 , come concordemente si è notato nell’incontro di verifica del 2 giugno 2006, sono stati di una particolare intensità e hanno notevolmente contribuito alla crescita in comunicazione e fratellanza fra i partecipanti.

Essi sono stati preparati da un’ “equipe” che ha tracciato un programma per tutto l’anno; inoltre una coppia, verificandosi con don Giovanni, provvedeva volta per volta all’introduzione dell’incontro tramite il  racconto di esperienze e la comunicazione di riflessioni, così da tentare di costruire una “comunione” di vita. Sono stati momenti bellissimi di condivisione, completati dalla riflessione curata da don Giovanni, che prendeva spunto dal brano biblico proposto.

Rimangono nella nostra memoria e nel nostro cuore queste condivisioni, e non avendo la possibilità di trascriverle, almeno si è pensato di riportare gli spunti di riflessione di don Giovanni, come memoria per chi ha partecipato, come invito all’approfondimento per chi fosse interessato alle tematiche, come impegno per tutti.

 

La speranza oltre i fallimenti

“da Lui usciva una forza che sanava tutti” (Lc. 6,19)

 

28 ottobre 2005

Incontro preparatorio

12 novembre 2005

la motivazione (Gen 29,20)

10 dicembre 2005

Incontro dibattito con esperti:

 “c’eravamo tanto amati” ovvero La coppia che scoppia

Vedi relazione dell'incontro

14 gennaio 2006

oltre l’innamoramento (Ct 8, 6-7)

5 febbraio 2006

Festa della famiglia

11 febbraio 2006

i figli: fine o alibi? (1 Sam 1. 8)

11 marzo 2006

quale priorità?

La libertà dai condizionamenti (Pr 5. 18-19)

26 marzo 2006

FILMINSIEME: "Un bacio appassionato" 

1 aprile 2006

il dono alla comunità umana (Ef 5. 21-24)

13 maggio 2006

la sfida della Provvidenza

                             1 Cor 7. 32

2 giugno 2006

GIORNATA INSIEME - vedi resoconto

 

 

Indice anno    
 

“Incontro preparatorio”

28 ottobre 2005

 

Annamaria e Carlo, Rosalba e Gigi, Mariarita e Guido, Don Giovanni
Le linee che ci siamo dati
“La Chiesa cerca il bene e la felicità dei focolari domestici e quando questi per qualunque motivo vengono disgregati, ne soffre e cerca di porvi rimedio accompagnando pastoralmente queste persone, in piena fedeltà agli insegnamenti di Cristo… Sappiano, questi uomini e queste donne, che la Chiesa li ama, non è lontana da loro e soffre della loro situazione” (Giovanni Paolo II, 1997).
La situazione dolorosa di tanti richiede cha la Chiesa annunci e testimoni il vangelo del matrimonio e della famiglia con serietà e con urgenza.
La coscienza certa che tutti i battezzati appartengono alla Chiesa, anche quando la loro situazione di vita non è in piena comunione con essa, deve indurre ad evitare ogni forma di emarginazione e di giudizio. Deve impegnare a stare loro vicini per aiutarli, anche con l’esperienza di gruppo, a vivere nella preghiera, nella parola di Dio e nella carità reciproca, sicuri che “l’amore risana”.
Annunciare il vangelo del matrimonio non è una attività ma una vita.
Occorrono:

  • spirito di umiltà: avere un matrimonio “regolare” non è un vanto;

  • spirito di missione: la propria esperienza, con le luci ma anche con le ombre provvidenziali, può essere di aiuto ad altri;

  • spirito di fede: “quello che non è possibile agli uomini è possibile a Dio” (Mt 19);

  • spirito di carità: il rispetto senza riserve della coscienza e delle scelte altrui;

  • cercare nella Scrittura e nella vita le possibilità di guarigione dell’amore malato.

 

Indice anno    
 

“La motivazione nella coppia”

12 novembre 2005

 

Conducono: Annamaria e Carlo
Riferimento biblico: Gen 29,20: “Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei”
 

  • L’ideale voluto da Dio è molto chiaro nella Scrittura: l’essere umano, uomo e donna, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è chiamato a vivere in comunione. Il pensiero che deriva da questa rivelazione conduce alla consapevolezza che la comunione d’amore dell’uomo e della donna è ad immagine della comunione d’amore che è lo stesso essere di Dio-Trinità.
    Quando riflettiamo sulla motivazione che conduce al consenso della coppia e permette di mantenersi nella fedeltà ad esso, dobbiamo superare il significato prevalentemente giuridico del consenso come contratto che punta a garantire la validità del matrimonio per sostenerlo ma che si può rivelare debole.

  • La ragione teologica può arricchire la forza del consenso giuridico rendendolo ancora più forte e totale. È importante arrivare alla certezza che il consenso tra due battezzati è il segno che deve contenere e manifestare il patto di Dio con il suo popolo, di Cristo con la Chiesa, e quindi non è solo un avvenimento sociale ma un evento di grazia, l’azione di Dio che crea una comunità per manifestarsi.

  • Questa coscienza, per conseguenza, porta alla forma giuridica ma la supera, non per sottovalutarla ma per la priorità che l’unione sponsale di Dio con l’umanità pone con radicalità, domandando l’obbedienza della fede. L’intelligenza e la volontà dei due, per l’accoglienza della parola rivelata nella loro vita, li fa sentire “una cosa sola”, li costituisce in unità.
    Dalle motivazioni alla motivazione: imparare a fare il discernimento dei “coefficienti” della scelta iniziale per privilegiare con sempre maggiore priorità la scelta finale della persona, in cui la pienezza di vita dell’uno è nell’essere uno dei due: “questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa” (Gen 2,23).

  • Il modello alto della motivazione in senso cristiano è Gesù che vive la sua scelta con consapevole radicalità: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). È un modello che non si può e non si deve imporre con il criterio etico e sociale, ma è come una luce a cui guardare e da cui attingere forza di vita, perciò Paolo dirà agli Efesini invitando gli sposi a donarsi reciprocamente “come la Chiesa sta sottomessa a Cristo… come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei.”

 

Indice anno    
 

“L’amore oltre l’innamoramento”

14 gennaio 2006

 

Conducono: Rosalba e Gigi

Riferimento biblico: 1 Pt 3,1-7 “Ugualmente voi, mogli, siate sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa. Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti -; cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace; ecco ciò che è prezioso davanti a Dio. Così una volta si adornavano le sante donne che speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai loro mariti, come Sara che obbediva ad Abramo, chiamandolo signore. Di essa siete diventate figlie, se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia.
E ugualmente voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita: così non saranno impedite le vostre preghiere.”

  • La lettera di Pietro è scritta ai cristiani delle Chiese dell’Asia Minore, provenienti dal paganesimo, di cultura ellenistica, sensibili perciò alla mentalità greca. Si dovrebbe datare prima del 64-67, anno del martirio; e sembra conoscere quello che Paolo ha scritto ai Romani e agli Efesini.

  • Una parola alle donne: “cercate di adornare l’interno del vostro cuore”, e una parola agli uomini: “trattate con riguardo le vostre mogli perché il loro corpo è più debole”. Queste parole sembrano indicare il cammino di interiorizzazione dell’amore. La dimensione dell’innamoramento, tipico della giovanilità e quella della sintonia psicologica e del cointeresse, sembrano sfociare in una dimensione più profonda: “trattate con riguardo”, “rendete loro onore”. Questa maturazione va nella direzione del sacramento, “perché partecipano con voi della grazia della vita”.

  • Un invito a non lasciarsi condizionare dalle modificazioni psico-fisiche, dal logorìo inevitabile che la vita spesa porta con sé; a saper godere dei doni dell’amore più pacato, meno emotivo, come quello della donna quarantenne in attesa del quarto figlo che diceva: “ho tanta fatica, ma tanta pace nel cuore”.

  • La scoperta della parola più profonda, che viene dall’interno dell’altro, pur diverso, matura la coscienza di poter imparare nell’ascolto, perché nessuno sa e ha tutto da solo.

  • Umiltà e riconoscenza perché “essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa”.

 

Indice anno    
 

“FESTA DELLA FAMIGLIA”

5 febbraio 2006

 

Il 5 febbraio 2006 dalle 10,30 in poi in occasione della Giornata per la Vita, si è svolta la FESTA DELLA FAMIGLIA, che negli altri anni veniva proposta la domenica tra Natale e Capodanno, il che non è stato nel calendario del  2005.  Dopo la Messa delle 10,30 nella quale si sono rinnovate le promesse coniugali, si è stati insieme, giocando, pranzando, cantando, come le altre volte, contribuendo alla costruzione di una famiglia di famiglie, forse con minor coinvolgimento rispetto le passate proposte, ma con la stessa gioia.

 

 

 

Indice anno    
 

“I figli, fine o alibi?”

11 febbraio 2006

 

Conducono: Mariarita e Guido.

Riferimento biblico:  1Sam 1,8: “Anna, perché piangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?
 

Dalla considerazione tradizionale del matrimonio come contratto, inscindibile e perciò indissolubile, che resta anche quando l’amore finisce perché su di esso non hanno potere né i contraenti né l’autorità, la luce della riflessione teologica conduce all’approfondimento. Se il matrimonio è l’evento dell’alleanza di Dio con il suo popolo, di Cristo con la Chiesa, il sì senza ritorni di Dio esige un sì senza ritorno dall’uomo. Allora il matrimonio tra battezzati è di questa natura. È sacramento, cioè un’azione di salvezza di Gesù.

Conseguenze:

  • Due in uno: passare dall’appartenenza individuale al Signore all’essere disponibile a Lui nella grazia della relazione interpersonale, per cui le singole persone si santificano nella relazione. Perciò la vita spirituale della coppia è caratterizzata dalla tensione all’unità.

  • Come Cristo ha amato la Chiesa”. Paolo presenta ai primi cristiani il mistero della fecondità di Cristo che si attua nell’aridità della solitudine, nell’asprezza del rifiuto, nel trauma della rottura, nell’oscurità dell’abbandono, nella fedeltà quando l’altro sceglie l’infedeltà… La situazione di non amore si tramuta in Cristo in esperienza e testimonianza di amore più radicale.

  • Una comunione aperta: una profonda unità per il bene del mondo; l’intimità e l’esclusività non inducono a solitudine o egoismo, ma spingono all’apertura che include gli altri (per questo la Chiesa, il quartiere, la città): piccola Chiesa nella grande Chiesa.

 

Indice anno    
 

“Quale priorità? La libertà dai condizionamenti”

11 marzo 2006

 

Conducono: Francesca e Maurizio.

Riferimento biblico:  Pr 5,18-19: “Trova gioia nella donna della tua giovinezza: cerva amabile, gazzella graziosa, essa s’intrattenga con te; le sue tenerezze ti inebrino sempre; sii tu sempre invaghito del suo amore”.

  • Pur nel rammarico per la condizione non corrispondente al vangelo di tanti nella nostra società e nella Chiesa, siamo chiamati ad accogliere la testimonianza dei valori umani e cristiani offerti dalle singole coppie nella tenerezza fedele. La riflessione porta a scoprire la serietà dell’impegno umano (vita di coppia, educazione dei figli, servizio del prossimo, impegno sociale, costanza nelle prove), a sentire la serietà dell’impegno umano come strada per una sempre maggiore profondità nel vivere l’adesione alla vocazione ricevuta nel matrimonio. 

  • Imparare a cogliere le opportunità per far sentire concretamente e con gioia l’appartenenza alla Chiesa in cui la certezza di essere amati rende possibile l’impossibile. Per conseguenza occorre educarsi a comprendere e a cogliere i sacramenti come segni espressivi della fede della Chiesa non in senso astratto e devozionale ma come concreta esperienza della possibilità di attuare il vangelo, vivendo l’ordinario in modo straordinario.

  • Anche se nella fatica di dover andare contro corrente, ai fidanzati e agli sposi va proposto fedelmente e con cordialità il vangelo del matrimonio. Nell’impegno a testimoniare che alla indissolubilità del matrimonio è legata la presenza del Signore nella vita di famiglia, e che essa è un’esigenza della “sequela di Gesù”.

  • Lo stimolo a cogliere l’esigenza di quanto il vangelo dice con chiarezza nel cuore dell’uomo anche non esplicitamente cristiano:
    Un uomo decide di lasciare la famiglia per farsi sanyasin (asceta). Una notte, quando di nascosto sta per partire, getta un ultimo sguardo alla moglie e ai figli addormentati e, rivolto a loro, dice: «chi siete voi che mi tenete qui incatenato». Una voce nel buio bisbiglia: «loro sono me, sono Dio». L’uomo non fa attenzione. Non ascolta e parte. E a Dio non resta che concludere: «ecco uno che, per cercarmi, mi abbandona»". (Tagore)

  • L’impegno per la priorità è passare costantemente dalla accettazione della diversità alla riconoscenza per il dono dell’altro, dall’apparente meno-essere al reale più-essere nella sottomissione d’amore.

 

Indice anno    
 

“La coppia: un dono alla comunità”

1 aprile 2006

 

Conducono: Rosalba e Gigi, Maria e Carmine.

Riferimento biblico:  Ef 5,21-24 “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è il capo della moglie come anche Cristo è il capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto”.

 

La coscienza della vocazione a testimoniare la relazione d’amore che Dio è in se stesso, porta al passaggio dalla mentalità della salvaguardia etico-sociale dei rapporti nella fedeltà e nell’indissolubilità, alla coscienza di segno, manifestazione, almeno parziale, del rapporto che la Chiesa ha con Cristo, come Sposa. Perciò tale passaggio è uno dei modi concreti, diretti, per ossevare, capire e vivere la Chiesa.

  • La più intima e personale unità d’amore tra due persone” (Rahner),che comporta l’uscire da sé per trascendersi nell’altro, è inevitabilmente un trascendersi nella realtà di Dio; perciò, per la comunione filiale con lui, per il battesimo vissuto nella quotidianità, è rivelazione di Dio. Il matrimonio non è un segno copia della Chiesa, ma un segno che contiene la realtà della Chiesa. Perciò è un sacramento, una possibile manifastazione del mistero di Cristo che si rende sposo dell’umanità.

  • La Chiesa può comunicare il Vangelo e la grazia dei sacramenti, perché in lei la presenza di Cristo Sposo rimane fedele; è una presenza di grazia che non è vanificata dalla debolezza. La grazia che è nella Chiesa come tale, sacramento di unità, è presente nell’unità dei due, e questa unità è il dono al mondo.

  • La “fantasia creatrice” dello Spirito Santo suggerisce all’intimità della coppia i diversi modi di essere dono all’umanità.

 

Indice anno    
 

“La sfida della Provvidenza”

13 maggio 2006

 

Conducono: Mariarita e Guido.

Riferimento biblico:  1Cor 7,32 “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni”

 

La lezione della quotidianità:

  • l’esperienza del pane per ogni giorno

  • della salute per amare

  • della parola per accompagnare

  • della volontà per perseverare
     

  • La verità della Provvidenza si fa esperienza nella quotidianità vissuta all’insegna del Padre Nostro, in un crescendo che conduce gradualmente al sempre più profondo.
    La Provvidenza è segno della possibilità di Dio in noi al di là delle nostre forze, per esempio quando chiede il perdono nella vita di coppia e di famiglia (dice Gesù: “Và da lui… avrai guadagnato un fratello”); ne scaturisce lo stupore, la riconoscenza, la possibilità di comunicare l’esperienza dello “io sono con te”, che autorizza l’audacia dell’impegno “nel tuo nome getterò la rete”.

  • Nel tempo del “non-senso”, come quando quello che abbiamo cominciato a vivere come progetto di Dio su di noi sembra venir meno, o a motivo di sbagli personali, o a motivo di altri fattori, la certezza della Provvidenza diventa scoperta della possibilità del più di amore proprio quando sembra finito il tempo per amare.

  • Il segno sacramentale di amare “come Cristo” raggiunge in lui la profondità di colui che è “separato”, sulla croce. Il suo aver sperimentato la povertà radicale di sé è invito a seguirlo al di là delle incertezze dei vari momenti della vita e ad accoglierlo e amarlo nelle incertezze dei fratelli e delle situazioni.

  •  La lezione della Provvidenza è invito a passi da fare come gruppo che sa accogliere e sa far sentire “a casa”. Dice il Papa Benedetto XVI: “Le sfide della società attuale richiedono la garanzia che le famiglie non siano sole. Un piccolo nucleo familiare può trovare ostacoli difficili da superare se si sente isolato dal resto dei suoi familiari e amici. Perciò, la comunità ecclesiale ha la responsabilità di offrire sostegno, stimolo e alimento spirituale che fortifichi la coesione familiare, soprattutto nelle prove o nei momenti critici”: (Al congresso internazionale delle famiglie, Valencia 8/7/06)

 

 


Inizio pagina    

I “passi” di Famiglie Insieme  nel 2004-05

 

Lasciamoci vivere dalla Parola

“La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1).

Il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei fa memoria degli antenati: “per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza” (ivi).
Un anno all’insegna del “Lasciamoci vivere dalla Parola”, non astrattamente ma incentrato nella vicenda di persone reali. Ripercorriamo brevemente le tappe segnate dai nostri incontri.

 

17 novembre 2004

Il sogno di Dio sulla coppia (i due saranno una sola carne…Adamo ed Eva)

10 dicembre 2004

La preparazione alla vita di coppia (Maria e Giuseppe promessi sposi)

26 dicembre 2004

giornata della famiglia

8 gennaio 2005

L’amore oltre i legami di sangue (Rut)

22 gennaio 2005

incontro-dibattito «famiglia e territorio»

12 febbraio 2005

La trasmissione dei valori (Gioacchino ed Anna: la santità cresce in una famiglia santa)

12 marzo 2005

Le difficoltà, i contrasti in famiglia: (Giuseppe e i suoi fratelli)

9 aprile 2005

incontro di preghiera

14 maggio 2005

Una famiglia di famiglie, la comunità: Atti degli Apostoli

12 giugno 2005

giornata insieme di verifica e di programmazione

 

 

Indice anno    
 

“Il sogno di Dio sulla coppia”

17 novembre 2004

I due saranno una sola carne…Adamo ed Eva

Il credere alla possibilità che un altro da sé possa aiutare a superare la solitudine personale con la sua diversità non subalterna ma “in relazione”;  nella prima coppia abbiamo capito che l’umanità si realizza nell’unità tra i due, in ogni vocazione, che domanda in modo radicale di pensare la vita come un dono di reciprocità.

 

Indice anno    
 

“La preparazione alla vita di coppia”

10 dicembre 2004

Maria e Giuseppe promessi sposi

Questa reciprocità è preparata nella dimensione umanissima dell’incontro. Essere accanto all’altro come colui che parla di sé, che si dice all’altro così come Dio dice a ciascuno, è quello che abbiamo visto in Maria e Giuseppe.

Abbiamo compreso l’errore dell’appartenenza possessiva, e l’importanza di “parlare al cuore” dell’altro nella vita di coppia e di famiglia.

 

Indice anno    
 

“Giornata della famiglia”

26 dicembre 2004

Come da consuetudine da 6 anni ormai: rinnovo delle promesse matrimonali nella messa delle ore 10,30 e quindi  pranzo, gioco e canti insieme. Grande possibilità di aggregazione e crescita in fraternità.

 

 

Indice anno    
 

“L’amore oltre i legami di sangue”

8 gennaio 2005

Rut
Rut, nel suo donarsi a Noemi, ci ha insegnato l’amore al mondo, alla cultura, alle esigenze dell’altro che amiamo. Una dimensione di apertura del cuore per la forza della Provvidenza. Abbiamo capito che non bisogna avvilirsi di fronte alle diversità che sembrano accentuarsi con il crescere della coscienza di sé. L’amore non si gioca sul proprio terreno, ma “in trasferta”.

 

 

Indice anno    
 

“Incontro-dibattito «famiglia e territorio»”

22 gennaio 2005

Con la partecipazione di “esperti”,coordinati da Angelo Abignente, giurista. Sostanzialmente sono state riportate esperienze di positività in un contesto estremamente difficile, quale quello della nostra città, così ad es. a Scampia (Enrica Morlicchio Sociologa), nella prevenzione giovanile (Giulio Maggiore Responsabile Centro Shalom), nella scuola (Anna Rita Quagliarella Dirigente scolastico), nelle strutture del territorio (dal Consultorio familiare del territorio: Silvana Lucariello Psicologa  e Silvana Raiano Neuropsichiatra infantile) .

 

Indice anno    
 

“La trasmissione dei valori”

12 febbraio 2005

Gioacchino ed Anna: la santità cresce in una famiglia santa
Abbiamo guardato a Gioacchino e Anna, nomi prestati dalla devozione a personaggi reali che hanno saputo trasmettere i valori. Per la loro opera educativa Maria ha pronunciato il suo sì e ha cantato il magnificat con l’affermazione che l’azione di Dio si trasmette “di generazione in generazione”.

 

Indice anno    
 

“Le difficoltà, i contrasti in famiglia”

12 marzo 2005

Giuseppe e i suoi fratelli
Nella vicenda di Giuseppe, abbiamo imparato che ogni forma di superiorità all’interno della convivenza impedisce la relazione tra uguali, necessaria per la reciprocità. L’importante non è essere irreprensibili, non coglibili in fallo, che è fonte di soggezione, ma il lasciarsi aiutare e correggere.

 

 

Indice anno    
 

“Incontro di preghiera”

9 aprile 2005

Intensa occasione per essere uniti nel Signore, cercando di costruire una comunione di anime

 

Indice anno    
 

“Una famiglia di famiglie, la comunità:”

14 maggio 2005

Atti degli Apostoli
Infine abbiamo guardato alla “casa”, luogo “fontale” della comunità cristiana delle origini, che si ritrova ella casa dei credenti. Abbiamo guardato ad Aquila e Priscilla che appaiono non solo come collaboratori di Paolo, ma quasi come “protettori” del suo ministero, come tramite della presenza del mondo al Vangelo e del Vangelo al mondo.
“Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede”. (Eb 12,1-2)

 

Indice anno    
 

“Giornata insieme di verifica e di programmazione”

12 giugno 2005

Nella prima parte don Giovanni ha riportato la sintesi degli incontri “Lasciamoci vivere dalla Parola”, e subito si è pensato di “fermarla” e trasmetterla; così si utilizzerà lo spazio per le famiglie nel sito internet di Piedigrotta, per lasciare traccia dei nostri “passi” nella vita di famiglia. Durante la S. Messa, nel corso della quale don Giovanni ha fatto riferimento alla vita matrimoniale, ha riportato , tra l’altro, le parole del S. Padre:
“La rivelazione biblica è anzitutto espressione di una storia d’amore… perciò la storia dell’amore e dell’unione di un uomo e di una donna nell’alleanza del matrimonio ha potuto essere assunta da Dio quale simbolo della storia della salvezza.
Il fatto inesprimibile, il mistero dell’amore di Dio per gli uomini riceve la sua forma linguistica dal vocabolario del matrimonio e della famiglia in positivo e in negativo…
Lo svilimento dell’amore umano, la soppressione dell’autentica capacità di amare si rivela, infatti, nel nostro tempo, l’arma più adatta e più efficace per scacciare Dio dall’uomo, per allontanare Dio dallo sguardo e dal cuore dell’uomo”. (Benedetto XVI, 6 giugno 2005).

Il confronto ha dato spunti anche per le proposte future, che saranno approfonditi e meglio delineati nel primo incontro 2005/06, previsto per il giorno 8/10/05 alle 19,15, nel salone parrocchiale, continuando negli appuntamenti del 2° sabato del mese, giorno da anni impiegato per le proposte di “Famiglie Insieme”