Non sapeva dove si trovava. Sembrava il corridoio di un albergo.
Il luogo era silenzioso, ma qualcuno doveva aver dimenticato aperta una
finestra. Sommessi e ovattati, i suoni della notte, giungevano a tratti,
turbando il silenzio.
Non furono le risate sguaiate degli ubriachi a stupire Buffy, ma un altro
rumore, ritmico e regolare, che andava aumentando per poi diminuire, fino
a sparire, come di qualcosa in movimento. Zoccoli, potevano essere solo
zoccoli di cavalli che battevano sul selciato.
"Cavalli? Selciato?" si chiese la Cacciatrice perplessa.
Lo stupore la scosse, facendola uscire dallo stato di torpore in cui si
trovava.
Si guardò intorno per la prima volta con attenzione. La luce soffusa
non era la fredda luce elettrica dei neon, ma un caldo bagliore che proveniva
dai pesanti lumi ad olio, in ottone lucente, appesi alle pareti. Le porte
erano in pesante legno intagliato e i muri erano coperti da preziosa tappezzeria
in raso rosso, con un'intricata fantasia floreale.
Indubbiamente non si trovava nel suo tempo e probabilmente neppure nella
sua città
ed era sola.
Non ricordava come era giunta in quel luogo e neppure il perché.
La curiosità, dentro di lei, superò però presto il
timore.
Si avvicinò con diffidenza ad una delle porte, con una massiccia
maniglia dorata. Dall'interno della stanza non proveniva nessun rumore.
Buffy appoggiò quindi con più sicurezza una mano sul freddo
metallo e spinse l'uscio. La porta si aprì silenziosamente.
La stanza era immersa nel buio, ma la luce che penetrava dal corridoio
le permise di distinguerne i particolari: era un soggiorno. Buffy avanzò,
decisa a comprendere il motivo che l'aveva condotta in quell'albergo,
in un altro tempo.
Senza riflettere, per un istintivo senso di protezione, chiuse la porta
dietro di sé. Le tenebre tornarono. Si fermò per un istante,
resa indecisa dall'oscurità, ma qualcosa dentro di lei la obbligò
ad avanzare, anche se con cautela.
Non sapeva che cosa cercare, ma un senso di dolorosa urgenza cresceva
inesorabile dentro di lei. C'era qualcosa in quel luogo che doveva vedere.
Era come se la sua stessa sopravvivenza dipendesse da questo.
Non faceva nessun rumore muovendosi. Un pesante tappeto che percepiva,
senza poterlo vedere, attutiva i suoi passi. Urtò un oggetto con
un piede. Si chinò protendendo le mani per comprendere che cosa
fosse. Le sue dita incontrarono stoffa morbida, lana probabilmente e poi
pelle
ancora tiepida.
Affannosamente Buffy cercò il petto, ma quando lo trovò
non vi percepì nessun battito. Esplorò il viso sconosciuto,
accarezzandone gentilmente le fattezze, sperando di trovare un segno di
vita, ma inutilmente. I lineamenti erano già resi rigidi dalla
morte.
Le dita le restarono impigliate in lunghi capelli sottili. Era una donna,
pensò, come se conoscere il sesso di quel povero essere servisse
a dare un significato alla sua morte. Si corresse però subito:
avrebbe potuto anche essere un uomo, un giovane uomo a giudicare dall'esile
struttura del viso. In quell'epoca probabilmente non si usavano i capelli
corti.
Improvvisamente si ritrasse, alzandosi in piedi di scatto. Aveva una
mano bagnata da qualcosa di denso e umido: sangue. Il cadavere aveva una
ferita sul collo. Provò l'impulso di pulirsi le dita sui vestiti,
ma si trattenne.
Era la Cacciatrice. Aveva assistito ad altre morti assurde, anche più
orribili, ma questa volta era diverso. Si trovava in un luogo e in un
tempo che le erano ignoti e le tenebre rendevano misteriosa ed inquietante
la presenza di quel cadavere privo di un nome e di un volto.
Era arrivata troppo tardi. Non c'era nulla che potesse fare per quel
giovane. Un'altra vita si era persa inutilmente senza che lei neppure
lo sapesse. Forse era per lui che era stata portata in quella stanza.
Era la Cacciatrice: avrebbe dovuto aiutarlo, salvarlo, ma
aveva fallito
e lui giaceva sul pavimento, freddo e immobile, mentre i suoi assassini
una
risata sommessa di donna la distrasse da quei cupi pensieri.
Uno spiraglio di luce filtrava da sotto una pesante tenda. Il suono era
giunto da quella parte.
Buffy, compiendo un largo giro per evitare il cadavere, si avvicinò.
Forse la belva che si era dissetata del sangue di quel poveretto, ebbra
della vita che aveva rubato, era ancora in quel luogo. Lei non avrebbe
potuto ridare la vita a chi l'aveva persa, ma poteva fare giustizia!
Scostata la tenda di velluto Buffy si trovò di fronte ad una porta
socchiusa. La spinse leggermente, in modo da poter guardare oltre senza
essere vista.
La camera da letto le parve vuota, ma esitò ad entrare. Gli arredi
opulenti la intimidirono.
Tutto nel locale trasmetteva un senso di ricchezza, lusso, decadenza.
I mobili barocchi, gli stucchi, i soprammobili elaborati, i tappeti e
i quadri creavano un'atmosfera densa e artefatta, creata apposta per offuscare
i sensi. Nell'aria aleggiava un profumo dolce e penetrante a cui si mescolava
quello più acre del fumo delle innumerevoli candele che ardevano
ovunque.
Osservando con più attenzione, con tristezza, Buffy distinse un
uomo e una donna, che giacevano uno di fianco all'altra, sull'enorme letto
a baldacchino.
Poteva solo intravederli, ma si convinse subito di trovarsi di fronte
ad altre due vittime innocenti: due amanti che avevano trovato la morte,
insieme, per opera di un demonio senz'anima.
Le lenzuola candide e il copriletto di raso in disordine ne celavano i
visi e parzialmente i corpi, ma il loro pallore e la loro immobilità
non lasciava dubbi.
Un braccio femminile pendeva abbandonato oltre il bordo del letto. Buffy
fu assurdamente colpita dall'esile eleganza di quella mano, le cui dita
sottili terminavano con lunghe unghie attentamente curate. Dell'uomo poteva
indovinare solo la sagoma robusta, sotto le coperte, ma il suo istinto
le diceva che non c'era più vita in lui.
La fiamma di una candela vicino a lei tremò e Buffy si riscosse
dalla contemplazione di quel terribile spettacolo. Forse il mostro, sazio
di dolore e sangue, era ancora nella stanza. Il cadavere nel soggiorno
sembrava recente e se il vampiro fosse fuggito dal corridoio lei lo avrebbe
incontrato. Buffy si preparò alla lotta, ma proprio mentre stava
per entrare nella stanza il suono di una voce femminile la fermò.
"Vieni qui
.non ho ancora finito con te." Era stato solo
un sussurro, mormorato in tono suadente, ma era chiaro che chi aveva parlato
si aspettava di essere obbedito.
Infatti, il corpo dell'uomo riprese vita, si sollevò dal materasso
per avvicinarsi alla compagna.
Buffy non lo vide in volto, ma non ne aveva bisogno. La morbida luce delle
candele illuminò il mitico uccello nero, tatuato sulla candida
spalla, che sembrò prendere vita per spiccare il volo per effetto
del movimento dei muscoli ben disegnati.
"Darla
che cosa vuoi ancora?" chiese Angel, affondando
il viso fra i seni che la donna gli offriva, inarcando leggermente la
schiena.
Darla gli afferrò il capo premendolo contro di sé.
"Il piacere
per questo ti ho creato, per darmi piacere
un
infinito piacere. L'esistenza è così noiosa senza il piacere."
Angel sollevò la testa, vincendo la resistenza delle lunghe dita
che lo trattenevano.
"Abbiamo già fatto l'amore non so quante volte questa notte
e
.Ah!"
Il gemito di dolore colse Buffy impreparata. Sobbalzò e spalancò
gli occhi per la sorpresa. Lunghi solchi rossi ora spiccavano lungo le
spalle dell'uomo che amava.
Con un gesto rapido quanto improvviso il vampiro aveva punito il suo
cucciolo per tanta impertinenza. Darla lo aveva graffiato profondamente,
recidendo la pelle perfetta, con le sue lunghe unghie.
Per un istante la Cacciatrice aveva visto irrigidirsi i muscoli del collo
dell'uomo con cui aveva condiviso tanti momenti difficili. Quello normalmente
era il preludio all'esplosione della sua furia. Non quella notte però.
I muscoli contratti tornarono quasi immediatamente a rilassarsi e Angel
tornò a deporre il capo sul petto della compagna in un atto di
resa.
"Perchè?" mormorò soltanto.
C'è ancora molto che devi imparare, tesoro mio." Riprese la
voce femminile in un sussurro, come se nulla fosse successo. "L'amore
non ha nulla a che fare con tutto questo. L'amore è patetico, rende
deboli e sciocchi. Conduce alla sconfitta e alla pazzia. Il piacere è
forza, potere! Il piacere governa il mondo!"
"Buffy, sei pronta?"
Buffy scosse la testa. I capelli ancora bagnati le schiaffeggiarono il
volto. Lo specchio del bagno rifletteva la sua immagine, ma avrebbe potuto
essere il viso di un'estranea.
"Sbrigati, o faremo tardi. Odio non essere puntuale, lo sai!"
la famigliare voce di Willow da oltre la porta era impaziente.
"Io
arrivo subito." Riuscì a stento a rispondere
Buffy.
Si sciacquò il viso, nel tentativo di schiarirsi le idee e infine
trovò il coraggio di affrontare l'amica. Ancora avvolta nell'accappatoio
uscì dal bagno.
"Era ora!" Esclamò Willow voltandosi verso di lei, ma
la sua espressione cambiò immediatamente. Buffy non era pronta
per uscire, come lei si aspettava, ma ancora avvolta nell'accappatoio,
con i capelli bagnati che le incorniciavano il volto esaltandone il pallore
e lo sgomento.
"Che cosa ti è successo?" domandò la giovane strega,
quasi sottovoce per lo stupore.
"Non lo so." Rispose Buffy sconsolatamente. "Ho fatto la
doccia, stavo per asciugarmi i capelli e poi
ero da un'altra parte.
Willow
ho paura."
La finestra era illuminata, ma nessuna ombra traspariva attraverso i
vetri.
Buffy non era nella stanza. Forse era in bagno. Probabilmente stava preparandosi
per uscire con Willow, che era arrivata poco prima.
Il vampiro avanzò di pochi passi, attratto da quella finestra uguale
a tante altre in quella strada.
Senza rendersene conto penetrò nel cerchio di luce che il lampione
disegnava sul marciapiede. Alla bianca luce al neon la sua pelle apparve
di un biancore spettrale. Spettinato, con le larghe spalle curve, pareva
essere tornato il vagabondo che era stato un tempo.
"L'amore della sua vita è tornato all'Inferno e lei
esce
a divertirsi! Sgualdrina!"
"Non sai di che cosa stai parlando Angelus!" interloquì
l'anima con ira.
"Lo so benissimo! L'hai vista anche tu, con i miei stessi occhi.
Guardala anche ora!" la luce della finestra era stata per brevi secondi
oscurata da un'ombra.
Il vampiro, improvvisamente consapevole della luce che lo illuminava,
si ritrasse nel buio.
"Avevo previsto che si disperasse, che perdesse addirittura la ragione
per amor tuo, invece...guardala! La sua vita continua come se nulla fosse
successo. Dove è finito tutto il suo proclamato amore eterno per
te, stupida anima? Forse avrà pianto un po', leggendo la lettera,
ma poi è andata avanti senza guardarsi alle spalle. Non ha fatto
neppure un misero tentativo per sottrarti ai tormenti degli abissi infernali!"
"Ho fiducia in lei e i dolori più grandi spesso sono proprio
quelli che non riusciamo a esprimere."
"Fandonie! Menti anche a te stesso! Stai soffrendo, lo sento. Ti
senti tradito, abbandonato, ti chiedi se lei ti abbia mai veramente amato.
Il tuo dolore è dolce per me, ma non mi basta. La distruggerò
in ogni caso!"
"Tu soffri quanto me demone, anche se il tuo dolore è diverso
dal mio. E se io soffro, credimi, soffrirei molto di più se vedessi
la sua disperazione. Buffy è forte e né tu né Gloria
riuscirete a distruggerla. Lei non sarà mai tua!"
L'anima si dibatteva invano contro le sbarre invisibili che Gloria aveva
creato per imprigionarla.
Quello non era l'Inferno, ma per Angel era forse anche peggio.
Condivideva i pensieri, le sensazioni che il demone provava attraverso
il suo corpo, ma non poteva far nulla per controllarne la volontà.
Esasperato dall'impotenza osservava quello che accadeva sotto i suoi occhi,
incapace di reagire. Percepiva la sua bocca articolare parole che lui
non avrebbe mai voluto pronunciare.
Odiò ogni più piccolo frammento di se stesso come mai gli
era accaduto prima.
Angelus stava tentando di divorare l'anima di Buffy, il suo coraggio,
la sua forza, le sue speranze e lui...poteva solo assistere!
Apparentemente lei aveva reagito con indifferenza alla sua scomparsa.
Osservarla mentre proseguiva nella sua vita come se nulla fosse accaduto
lo turbava e alimentava i dubbi che si nascondevano nel profondo della
sua coscienza. Le vecchie paure tornavano e con esse il dolore: Buffy
non lo aveva mai veramente amato.
Ancora innocente, si era invaghita di lui. Il fascino del mistero, il
brivido del pericolo, l'attrazione del proibito avevano giocato a suo
favore. Poi era cresciuta e c'erano stati gli altri, c'era stato Riley,
il bravo ragazzo che l'aveva lasciata. Forse se non l'avesse fatto ora
lei
sarebbe stata felice, sposata, magari in attesa di un loro bambino.
La visione di Buffy, il viso reso ancor più luminoso dalla vita
che cresceva dentro di lei, invase l'anima escludendo ogni altro pensiero:
desiderio per qualcosa che non avrebbe mai potuto essere, rimpianto e
bruciante gelosia lottarono a lungo. Alla fine vinse il dolore.
Leggeri, eterei eppure reali giunsero infine i ricordi a placare la sofferenza.
Non poteva essersi illuso fino a quel punto. Se i sentimenti di Buffy
per lui non fossero stati così profondi lei non avrebbe mai
piccole mani lo accarezzavano, esplorando il suo corpo con ingenua
curiosità. Fra loro c'erano ancora i vestiti e più di un
secolo di dolore, solitudine e tormenti.
Cuscini di pizzo, peluche e articoli di bellezza: lei l'aveva accolto
nella sua stanza, il suo piccolo regno di fanciulla, non più bambina,
ma non ancora donna.
Il letto cedeva sotto il loro peso. Le sue labbra si schiudevano arrendevoli
per accoglierlo. La sua bocca era calda, un calore che da tempo lui non
aveva più sentito. Era viva, dolce, pura e si fidava di lui.
Adorava baciarle la tenera pelle del collo, bianca, sottile, sensibile.
Sotto di essa scorreva veloce la vita, le sue vene pulsavano contro le
sue labbra. Presto lei sarebbe cresciuta, cambiata, avrebbe perso la sua
innocenza e forse lo avrebbe guardato in modo diverso: il disprezzo avrebbe
sostituito l'amore. Non sarebbe accaduto però quella notte. Ora
lei era sua, la sua ragazza.
Un gemito: quasi casualmente le aveva sfiorato un seno. Attraverso la
sottile stoffa dell'abito aveva percepito il risvegliarsi del giovane
corpo. La sua mano aveva subito interrotto il contatto. C'erano limiti
che non dovevano essere superati quella notte e forse mai.
Lei però non comprendeva, non sapeva. Desiderosa di riprovare quella
nuova stimolante sensazione ora premeva il petto contro il suo.
Emozioni dimenticate stavano risorgendo nel suo animo. Desiderio della
carne, ma anche dello spirito. Lei era sua.
Piccole mani affusolate, superata la barriera della sua maglietta, indugiavano
contro i suoi capezzoli.
Un gesto che da parte di chiunque altra lui avrebbe considerato un chiaro
invito a ricambiare il favore, ma fatto da lei poteva significare solo
incoscienza del proprio potere di donna.
Sarebbe stato semplice liberarsi dei vestiti e annegare dentro di lei,
nel suo mondo di luce e calore. Ma lui non poteva, non voleva farlo. Già
una volta aveva ridotto la propria vita a minuscoli frammenti, fino a
distruggerla, annientando ogni sogno e speranza. Questa volta non avrebbe
fallito permettendo al suo egoismo e alla sua debolezza di dissipare quest'ultima
possibilità offertagli dal destino di essere felice.
Sotto il palmo della mano la curva di un fianco snello, rotondità
morbide che tendono la stoffa dell'abito succinto, il nayol delle calze
liscio e setoso: una dolce tortura per la sua volontà.
A pochi centimetri il mistero, l'abisso inesplorato del piacere, il Paradiso
.ma
lui era un demone e l'Inferno era il suo posto. Non poteva accettare quello
che lei gli offriva con tanto candore.
Eppure lei glielo stava offrendo, liberamente, senza limiti o condizioni
perché lo amava.
Questo era più di quanto lui avrebbe mai potuto sperare: la sua
fiducia, il suo rispetto, il suo amore.
Durante le lunghe ore seguenti, nel suo letto solitario, ascoltando i
rumori del giorno penetrare nella stanza buia, il suo corpo avrebbe conservato
quelle sensazioni continuando a protestare per non aver trovato l'agognato
appagamento. Dopo decenni di tormenti però, gli incubi sarebbero
cessati, almeno per qualche tempo e la sua anima avrebbe potuto trovare
riposo, cullata dal calore di quell'amore innocente.
una gelida lama gli bruciava nel petto, gli abissi infernali lo
reclamavano e occhi grigi colmi di disperazione lo osservavano mentre
precipitava.
Lacrime umide, fredde scorrevano sul suo petto. Non erano però
sue.
Una voce tranquilla penetrava la sua follia per portarvi quiete e pace.
Il tempo degli orrori e del dolore era finito. Lei, con pazienza, aveva
placato i suoi deliri.
Era nato di nuovo, con sofferenza e angoscia, fra le sue forti braccia,
che l'avevano guidato e sostenuto un passo dopo l'altro.
Una bestia, lui non era altro. Eppure lei non era fuggita. Ancora una
volta aveva creduto in lui. Gli era rimasta accanto fino a quando la nebbia
era scesa fra loro.
I suoi dubbi, le sue paure li avevano condannati entrambi a una vita
priva d'amore. Eppure la solitudine, l'umiliazione dell'abbandono, il
tradimento dei loro sogni e delle loro speranze si erano dissolti nel
caldo abbraccio del suo perdono.
Era ritornato e tutto era ricominciato da dove l'avevano interrotto.
Gli anni di vuoto, gli altri uomini, la speranza di una vita normale erano
stati dimenticati per lui.
Finalmente i loro corpi avevano potuto unirsi, senza rimorsi e paure,
ma non era stato altro che il completamento di qualcosa iniziato una notte
come le altre in un vicolo anonimo.
Nel suo abbandono non c'erano stati rimpianti, rammarico, sofferenza per
tutto quello a cui stava rinunciando. C'era stato solo amore e desiderio
per
lui, vampiro con un'anima.
"Hai da accendere?"
Angelus sobbalzò violentemente, raddrizzandosi e abbandonando il
muro contro cui si era appoggiato.
L'uomo si era avvicinato senza che lui se ne accorgesse e questo non era
normale.
La sua rabbia verso la Cacciatrice aumentò. Era talmente preso
da lei da dimenticare le più elementari norme di sicurezza. Le
avrebbe fatto pagare anche questo!
"No!Vattene!" rispose sgarbatamente, voltando la schiena allo
sconosciuto.
Avrebbe potuto facilmente ucciderlo, ma non aveva fame in quel momento.
Lei occupava tutti i suoi pensieri, la Cacciatrice e
Gloria con le
sue promesse.
"Strano
avrei giurato che fumassi Angelus." Rispose il
nuovo venuto, senza scomporsi, fissando le spalle del vampiro. "Tutti
sanno che il demone perde le corna, ma non il vizio!"
Udendo quelle parole, pronunciate con serena disinvoltura, Angelus rigidamente
tornò a voltarsi.
Questa volta scrutò attentamente chi gli stava di fronte: capelli
biondi, quasi bianchi, lunghi, legati a coda di cavallo; vestiti dimessi,
che nascondevano però un fisico muscoloso; lineamenti fini, che
avrebbero potuto essere effeminati se non fosse stato per gli occhi azzurri,
gelidi come l'Inferno.
Con irritazione il vampiro scoprì che non riusciva a dare un'età
allo sconosciuto uscito dalla notte. Avrebbe potuto avere venti anni,
come quaranta. Non era un vampiro, ma non era neppure un uomo.
"Chi sei? Come mai mi conosci così bene?" chiese con
voce arrogante, sperando così di mascherare la preoccupazione che
provava. Angelus detestava non sapere chi o che cosa aveva di fronte.
La conoscenza era potere e lui non sopportava, in un confronto, l'idea
di essere quello con meno potere.
"Non ha importanza, almeno per il momento. Dobbiamo parlare, ma non
ho intenzione di visitare le fogne di Sunnydale. C'è un locale,
poco distante, sempre aperto. Credo che lo frequentino i tuoi amici vampiri.
Andrà benissimo."
Lo sconosciuto si incamminò con passo spedito, oltrepassando il
vampiro che si ritrasse per non essere sfiorato.
Angelus rimase fermo sul marciapiede ad osservarlo allontanarsi.
Solo quando svoltò in un vicolo, sparendo dalla sua vista, si decise
a seguirlo.
Temeva quell'essere di cui non sapeva nulla, ma il potere, di qualunque
genere, lo attraeva inesorabilmente e quell'individuo era sicuramente
potente.
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