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COMMENTO: la natura apparentemente esclude l'uomo dal mistero della vita. In realtà questa è una scelta comoda di coloro che sfuggono alle proprie responsabilità. La madre non ha scelta. Deve partorire lei i suoi figli. L'uomo può scegliere. La paternità è innegabilmente diversa dalla maternità, ma non per questo è un'esperienza meno profonda. Lo sanno bene gli uomini che oltre a concepire un figlio hanno deciso di essere padri.

 

 

 

Oltre i confini del mondo

Capitolo n. 20

Essere padre

 


"Angel, sei sveglio?" Buffy, ferma davanti alla porta di pesante legno scuro, si sentiva molto infelice. Angel era il compagno della sua vita, il padre del figlio che portava. Eppure non osava entrare nella sua stanza senza aver ricevuto il suo consenso.
Nonostante la crescente intimità c'erano ancora, fra loro, barriere che lei non poteva o osava superare.
Angel aveva ancora momenti in cui si allontanava da lei, il viso oscurato da antichi fantasmi, la mente tormentata da ricordi tragicamente simili a incubi. Buffy sospirava e cercava di controllare l'ansia e il senso di solitudine che sempre l'invadevano quando lui la lasciava, fisicamente, chiudendosi nella sua stanza, o anche solo mentalmente, estraniandosi da lei.

Probabilmente non si sarebbe mai abituata a saperlo lontano, ma era passato poco tempo da quando si erano ritrovati e l'angoscia di poterlo ancora perdere era costantemente pronta a risorgere in lei.
Generalmente era lei che alla fine interrompeva la volontaria clausura del vampiro invadendo di prepotenza i suoi spazi, cercandolo, parlandogli, richiamando la sua attenzione. Angel non la respingeva mai. A volte però la accoglieva con indifferenza, un'indifferenza che feriva Buffy, nonostante vi fosse preparata. Lei però non si arrendeva. Continuava a combattere, con la testardaggine che le era caratteristica, fino a quando lui non riacquistava la serenità perduta.

In quelle occasioni entrambi sentivano il peso della maledizione che gravava su di loro.
Se avessero potuto toccarsi, sentire uno il corpo dell'altro contro il proprio, manifestare il loro amore reciproco in assoluta libertà sarebbe stato semplice ritrovarsi, ricordare che non erano più soli al mondo. Non era però possibile. Un solo gesto incontrollato sarebbe potuto costare ad Angel la sua anima ed era un rischio che nessuno dei due osava correre.
Quella oscura minaccia incombeva su ogni loro gesto, anche il più innocente, offuscando le loro esistenze.

Quella mattina Angel le aveva preparato come sempre la colazione, trattenendosi a tenerle compagnia mentre mangiava. Era il suo modo discreto di assicurarsi che la futura mamma non trascurasse la sua salute e mangiasse a sufficienza. Quando era depressa Buffy tendeva a sottovalutare l'importanza di un buon pasto. Quel giorno però lei era di buon umore e aveva apprezzato quello che lui le aveva cucinato. Avevano parlato di cose senza importanza, senza neppure accennare ai gravi problemi che assillavano entrambi.
Terminato di riordinare la cucina Angel l'aveva baciata frettolosamente sul capo, si era raccomandato di chiamarlo in caso di necessità, e si era diretto alla sua camera. Non aveva effettivamente l'esigenza di riposare, ma, come Buffy ben sapeva, aveva bisogno dei suoi momenti di solitudine per studiare i libri che amava tanto, ma soprattutto allentare la crescente tensione che sempre esisteva fra loro.

Tutto come al solito quindi. Era l'uomo che amava, con cui avrebbe condiviso il resto della sua vita. Niente avrebbe dovuto impedirle di varcare quella soglia, penetrando nella sua intimità.
Se fosse entrata e l'avesse trovato ancora addormentato, sul letto, magari senza niente addosso, Buffy non avrebbe perso il controllo. La paura di perderlo per sempre era troppo forte.
La sua serenità sarebbe però stata incrinata da una sottile, ma acuta, sofferenza. Dover limitare non solo i suoi gesti, ma perfino i propri pensieri era per lei un enorme sacrificio. La sua natura era istintiva, limpida, diretta. Non potersi comportare in modo spontaneo era una continua tortura.

Si amavano. Fra loro tutto avrebbe dovuto essere semplice e naturale. Invece erano costretti a vivere un realtà fatta di pensieri nascosti, occhiate sfuggenti, frasi non dette, atti sospesi nel nulla.
Abitare sotto lo stesso tetto era, per lei e Angel, come camminare sull'orlo di un abisso che li attirava inesorabilmente, ma che li avrebbe anche distrutti.
Poterlo toccare, accarezzare, baciare nella penombra delle cantine era stata una conquista, ma non sufficiente a placare il bisogno che aveva di lui. Le catene che lo trattenevano, impedendogli di toccarla, la paura sempre presente nell'animo di lei di non resistere e andare oltre erano un costante ostacolo fra loro. Il piacere che si scambiavano era intenso, ma anche velato da una triste melanconia.

Bussò di nuovo, ma senza ottenere nessuna risposta. Non voleva entrare senza annunciarsi, rischiando di trovarsi in una situazione non solo imbarazzante, ma anche dolorosa per entrambi. In quel momento aveva bisogno di dimenticare la sofferenza. Desiderava sentirlo vicino come mai le era accaduto prima.
Era quasi l'ora del tramonto. Angel avrebbe già dovuto essere sveglio.
Con riluttanza aprì lentamente l'uscio. Il letto era disfatto, ma vuoto. In bagno scorreva l'acqua della doccia. Ora sapeva perchè Angel non l'aveva sentita.
Stancamente, premendosi il ventre con una mano si sedette sul letto. Non c'era poi così tanta urgenza. Poteva attendere che lui avesse finito.

Sfiorò con la punta delle dita il cuscino sul quale era ancora presente l'impronta del capo di Angel. Le lenzuola erano fredde. Senza di lei al suo fianco Angel non aveva potuto scaldarle con il proprio corpo. Buffy provò vergogna per il proprio egoismo. Angel doveva soffrire più di lei per la loro forzata separazione perchè era molto più solo. La sua natura lo allontanava inesorabilmente dal resto dell'umanità. Solo lei avrebbe potuto essergli veramente vicina invece...
Le coperte giacevano aggrovigliate in fondo al letto. Doveva avere avuto un sonno agitato, probabilmente infestato da incubi dai quali lei non aveva potuto proteggerlo.
Con un sospiro di esasperazione Buffy si alzò per sedersi sulla poltrona accanto alla finestra.
Sulla sedia poco distante da lei erano riposti gli abiti del vampiro scrupolosamente ripiegati: pantaloni neri e un maglione grigio scuro. Si ripromise, appena possibile, di andare a comprare qualche capo di abbigliamento un pò meno serio per il vampiro. Al pensiero di acquistare abiti per lui le sue labbra si piegarono in un sorriso. Stava iniziando a ragionare come una moglie e quest'idea...le piaceva molto.

Sola, nella penombra della camera che le era così famigliare, lasciò la mente libera di vagare. Come sempre le accadeva ultimamente i suoi pensieri si concentrarono presto sul bambino.
Era stato crudele a trasformare Riley in un bifne, ma in fondo non era neppure nato. Non si poteva pretendere che distinguesse il bene dal male. Riley in fondo aveva attentato alla sua vita. Il piccolo si era difeso come poteva ed era stata una fortuna che fosse in grado di farlo.
Nè lei, nè Angel avrebbero avuto il coraggio di compiere un'azione del genere. Avrebbero difeso il piccolo, ma...non a quel prezzo. Angelus invece avrebbe ucciso con soddisfazione quell'uomo che odiava. Buffy era incerta se definire suo figlio più clemente o più crudele del demone stesso. Forse Riley avrebbe preferito la morte a quel destino.

Fino a quel momento aveva temuto il parto, sperando che non arrivasse mai. Invece ora era impaziente di veder nascere il piccolo per poterlo educare, guidare le sue scelte, interagire con lui.
Stava per mettere al mondo una creatura indubbiamente potente, con potenzialità enormi. Aiutarlo a crescere sarebbe stata una grande sfida per lei e Angel.
Con un sospiro ringraziò il destino che le aveva donato, fra tanti motivi di angoscia, un compagno come il vampiro. Insieme a lui si sentiva sicura di poter affrontare qualsiasi problema.

Si diede silenziosamente della stupida per aver pensato anche solo per pochi istanti di poterlo sostituire come padre con Riley. Nessun essere umano normale sarebbe stato all'altezza di un simile figlio e soprattutto lei non avrebbe potuto amare nessun altro come amava il vampiro e nessun altro l'avrebbe amata e capita come solo lui sapeva fare. Senza il loro amore lei sarebbe stata ora una creatura sola, indifesa e tremante di fronte alla creatura ignota che portava. Era la complicità, la comprensione che li univa a renderli forti.
Vagamente invidiò le donne che potevano attendere serenamente la nascita del proprio figlio. Poi ricordò gli incubi che sua madre le aveva confessato di aver avuto prima della sua nascita. Alcuni erano ridicoli. Joyce aveva sognato di partorire un pallone da foot boll invece di un bambino. Altri erano terrorizzanti, soprattutto quelli in cui lei nasceva con le deformazioni più terribili. La paura evidentemente faceva parte dell'essere genitori per tutti e non solo per lei ed Angel.

L'orrore aveva distorto il viso di sua madre anche quando le aveva detto di essere la Cacciatrice. Evidentemente come sarà il proprio figlio alla nascita è solo la prima delle sorprese a cui è destinato a trovarsi di fronte un genitore, ma non l'ultima. Per lei ed Angel non sarebbe stato poi molto diverso.
Il viso le si deformò in una smorfia di dolore. Forse non aveva in realtà tutto il tempo che credeva. Faticosamente si alzò con l'intenzione di sollecitare Angel. Arrivò fino alla porta del bagno poi sentì un flusso caldo scorrerle lungo le gambe. Bussò con energia alla porta, al punto da far vibrare i vecchi cardini.
"Angel.ho bisogno di te!" gemette.
In un istante la porta si aprì e le forti mani di Angel la afferrarono per la vita, sostenendola.
"Che cosa succede? Stai male?" chiese il vampiro in ansia, colpito dal modo in cui aveva afferrato le sue spalle.
"No...sto bene." lo rassicurò Buffy "ma credo sia arrivata il momento!" sussurrò contro il suo petto.

Angel la guardò per alcuni istanti perplesso, poi la comprensione illuminò il suo sguardo. Senza esitare la prese in braccio e la depose sul letto.
"Hai chiamato Willow?" chiese immediatamente.
"No." rispose incerta Buffy. " Non ci ho pensato. Volevo te!" esclamò, come se la sua risposta fosse scontata.
Angel afferrò subito la cornetta del telefono, senza distogliere lo sguardo da lei.
"Dovresti camminare, non stare distesa" mormorò a se stesso, mentre componeva il numero "ma sei così debole...spero che Willow e Tara arrivino in fretta!"

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"Fa male!" gemette Buffy stringendo più forte la mano del compagno.
Angel seduto accanto a lei, il viso tirato per la preoccupazione, non disse nulla Nessuna parola in quel momento gli pareva adeguata. Si limitò a ricambiare la stretta delle piccole dita come tentando di trasmetterle parte della sua forza.
"Non ci vorrà ancora molto Buffy" mormorò Willow, china sulla compagna, in attesa di accogliere il nuovo nato al suo arrivo nel mondo.
La giovane strega si sentiva impotente. Aveva letto tutto quello che aveva trovato sulle nascite e i parti. Grazie ai suoi poteri era perfino riuscita a introdursi di nascosto in alcune sale parto per imparare il più possibile. Ma ora tutte le sue conoscenze erano inutili. Bisognava solo attendere e sperare che Buffy, la Cacciatrice uscita vittoriosa da tante battaglie, riuscisse a vincere anche quella contro il dolore di dare alla luce suo figlio.

Angel fu colpito da come i capelli biondi, normalmente così luminosi, ora apparissero spenti e privi di vita. Con un brivido tentò di accarezzarli in un istintivo gesto di conforto per Buffy, ma anche di rassicurazione per se stesso. Realizzò con orrore che, nonostante le esperienze vissute, fino a quel giorno non aveva veramente saputo che cosa fosse la paura.
Buffy agitava il capo sul cuscino, gli occhi serrati, inarcando il corpo per il dolore e sfuggendo al suo tocco. Il vampiro serrò le labbra. Assurdamente gli sembrava che lei lo stesse respingendo, anche se si aggrappava spasmodicamente alla sua mano.
Probabilmente lo riteneva responsabile del dolore che stava provando e aveva ragione. Se avesse saputo...era a causa di suo figlio che ora lei si lamentava e contorceva sul letto!
Desiderò ardentemente poter tornare indietro nel tempo per disfare ogni cosa, annullare quei momenti che per un incredibile scherzo del destino non erano scomparsi insieme alla sua umanità, ma avevano condotto Buffy a rischiare la vita in quel momento.
Non pensò al bambino neppure per un istante. Ora era solo Buffy il centro dei suoi pensieri e tutto in lui si ribellava nel vederla soffrire in quel mondo. Il pensiero della sua vita senza di lei improvvisamente lo colpì e un senso di raggelante panico lo sommerse.

Guardò Willow, alla ricerca di aiuto, ma lei era concentrata sulla partoriente e non colse il suo sguardo implorante. Fu la mano ferma di Giles, stretta sulla sua spalla a ricondurlo alla ragione.
Buffy non lo stava respingendo. Anzi, aveva un estremo bisogno di lui. Desiderava quel bambino. Era loro figlio, la realizzazione viva e concreta del loro amore.
Non sarebbe morta! Lui non glielo avrebbe permesso! Sarebbe andato tutto bene, ma... tutte le donne soffrivano al momento del parto e Buffy normalmente era una donna coraggiosa. Aveva sopportato in passato ferite anche gravi senza lamentarsi. Se si lamentava in quel modo forse qualcosa non stava andando nel verso giusto.

Buffy, come a confermare i pensieri del vampiro, in preda ad una nuova contrazione, abbandonò la sua mano per afferrare la spalliera del letto.
Angel sobbalzò, cercando istintivamente qualcosa da fare per aiutare la compagna, ma non trovò nulla. Sconfortato appoggiò la mano indolenzita e ormai vuota sul ventre teso di lei come se potesse, semplicemente con il suo tocco, lenirne la sofferenza. La sua mente fu invasa da un'ira e da una paura brucianti che annientarono ogni altro pensiero.
Passarono lunghi, tremendi istanti, di assoluto sbigottimento. Poi riuscì a districare quei sentimenti confusi realizzando che non gli appartenevano veramente. Erano del bambino.

Il piccolo sentiva il suo mondo fatto di quiete, calore e nutrimento cambiare e nessuno di quei cambiamenti era di suo gradimento. Qualcosa lo spingeva, lo comprimeva, lo strattonava e senza un motivo che fosse per lui comprensibile. Aveva paura ed era arrabbiato e tutta la sua ira era rivolta verso colei che lo aveva tradito, nutrendolo e proteggendolo per poi respingerlo crudelmente verso l'ignoto, un ignoto che il piccolo non voleva affrontare.
Angel represse violentemente l'impulso di ordinargli di smetterla, di fare sentire a quel debole essere tutta la forza con cui era disposto a difendere Buffy. Sarebbe stata la scelta più semplice e forse anche la più efficace. Il ricordo del destino di Riley aumentò le sue ansie. Il bambino non era poi così indifeso.
Con determinazione il vampiro raccolse tutte le sue energie, ma proprio quando stava per concentrarle su quella primitiva e potente entità le sentì dileguarsi.
Era suo figlio, loro figlio. Non poteva fargli volutamente del male. Non era cattivo, ma solo ignorante. Non sapeva che cosa gli stava succedendo e tentava di difendersi nel solo modo che riteneva possibile. Tentare di reprimerlo avrebbe solo acuito la sua ira e i suoi timori.
Anche se stava facendo del male a sua madre meritava qualcosa di più di una dura sgridata. Aveva bisogno di essere rassicurato, non punito.

La cosa più urgente da fare era comunque alleviare le sofferenze di Buffy.
Il bambino lo conosceva, credeva in lui. Sarebbe stato facile convincerlo che non stava accadendo nulla di grave, che non esisteva nessun pericolo e soprattutto che nessuno era responsabile di quello che gli stava accadendo. Angel si preparò psicologicamente a trasmettergli pace e serenità. Non poteva però farlo. Erano sentimenti in quel momento lontani da lui. Non poteva mentire a suo figlio.
Presto si rese conto che l'unica soluzione possibile era dire a quella mente ancora incontaminata dal mondo la verità.
Affiorarono in lui i ricordi della notte, ormai lontana, trascorsa come uomo fra le braccia della donna che amava. La felicità che aveva provato e l'impulso profondo che l'aveva spinto a generare una nuova vita. Emerse dal profondo della sua anima il senso di impotenza che provava di fronte a Buffy sofferente di fronte a lui sul letto, incapace do controllare il dolore. Ma più forte di ogni altro sentimento c'era la paura per la vita delle due creature che più amava al mondo e i suoi sensi di colpa per essere stato causa di tutto questo.

Se il bambino avesse potuto tradurre i sentimenti di suo padre in parole sarebbe stato questo il messaggio che avrebbe ascoltato: "Hey piccolo. Se vuoi prendertela con qualcuno, può farlo con me. Lei non ha colpe. Sono io il solo responsabile! Sono stato un uomo, e come tutti gli uomini ho cercato l'immortalità donandoti la vita. Lei me lo ha permesso, perchè mi ama e ti ama. Ti ha portato dentro di sè per tutto questo tempo e ora soffre per consentirti di scoprire che cosa è la vita, ma è solo a causa mia se ora devi varcare questa soglia!"
Non era del tutto vero, naturalmente. Buffy era responsabile quanto lui della nascita del bambino. Anche lei aveva compiuto la sua scelta. Angel razionalmente lo sapeva, ma il suo cuore la pensava diversamente.
Con sommo stupore Giles vide Buffy rilassarsi improvvisamente sui cuscini. I suoi lineamenti erano sempre contratti ed era evidente che il travaglio stava continuando, ma il dolore ora sembrava essere divenuto più sopportabile.
Nello stesso istante il corpo del vampiro vicino a lei si irrigidì e un gemito sommesso risuonò nella stanza improvvisamente silenziosa.
Angel crollò in ginocchio vicino al letto, la mano sempre ferma sul ventre di Buffy, ma l'espressione del suo viso, gli occhi chiusi, l'atteggiamento di tutto il corpo testimoniavano una enorme sofferenza.

L'Osservatore afferrò le spalle del vampiro e tentò di allontanarlo dal letto, ma quando Angel si oppose, scotendo vigorosamente il capo, il compassato inglese si rese conto che stava accadendo qualcosa di straordinario, che lui non comprendeva. Decise allora di non interferire. Lentamente si allontanò, e stringendo le mani dietro la schiena si dispose ad osservare quello che sarebbe avvenuto.
Straziato dalla sofferenza Angel si chiese come aveva potuto sopportare Buffy tutto questo per le lunghe ore che erano trascorse da quando erano iniziate le doglie. Il dolore era acuto, dirompente, capace di annullare ogni pensiero coerente. Lentamente però riuscì a prenderne il controllo. Smise di combatterlo. Lo accettò, trasformandolo in una parte di sè.
Quando ci riuscì fu in grado finalmente di pensare e tentò di comunicare ancora con l'essere che lo stava torturando e che lui stesso aveva generato. Non cercò di ragionare con lui. Sarebbe stato inutile. La logica del bambino era ancora molto semplice e soprattutto completamente offuscata dalla paura. Si limitò ad inviarli emozioni, immagini sperando di trovare fra le tante quella giusta per placare le sue ansie.

Il calore del corpo di Buffy stretto al suo, la magnificenza di un cielo stellato, la gioia di ritrovare l'amore, l'incredibile stupore di poter diventare padre: trasmise al piccolo ogni sentimento che potesse rassicurarlo, dimostrandogli che il mondo che lo attendeva era un mondo di luce e di gioia. Non riuscì però a ottenere nessun risultato. La sofferenza non cessava e il travaglio di Buffy non sembrava progredire. Il bambino non voleva nascere!
Il dolore tornò a sommergerlo mentre lo sconforto invadeva il suo animo. Niente sembrava convincere il piccolo a lasciare, senza combattere, il grembo materno che gli aveva dato la vita. Eppure il momento era giunto e non si poteva attendere ancora a lungo. Il bambino non poteva saperlo, ma parte del disagio che ora provava non dipendeva più dal parto, ma dal fatto che il corpo di sua madre non era più in grado di offrirgli quello di cui aveva bisogno. Bisognava convincerlo a seguire il destino verso cui la natura lo stava sospingendo prima che fosse troppo tardi.
Angel, con un soffocante senso di panico, percepì il dolore diminuire. Era segno che il piccolo stava perdendo energie.

Qualcosa esplose con violenza nella sua mente e raggiunse con violenza il piccolo. Non erano sentimenti. Erano qualcosa di più primordiale. Scaturivano dal demone.
Angel ne fu dilaniato e tentò invano di arginare il flusso dirompente, di formare una barriera a protezione di suo figlio. Il piccolo ne fu investito in pieno.
Passione, desiderio, bramosia sfrenata per la vita nella sua essenza più pura. Avidità di sentire, possedere, nutrirsi del vibrante calore del sangue che pulsa, il cuore che batte, le viscere che fremono, il respiro che scaturisce fra le labbra. Agire, parlare, pensare: esistere, il più grande dei privilegi. Essere parte dell'universo, non come un'ombra inconsistente, ma come un essere concreto, reale, padrone di ogni cosa esistente sotto il cielo.

"Sta nascendo!" sentì esclamare in lontananza da Willow.
"Che il Signore ci protegga!"
Il commento sommesso di Giles raggiunse chiaramente Angel, la cui mente era però annebbiata dall'immane sforzo a cui si era volontariamente sottoposto.
Era stato veramente l'austero gentiluomo, apparentemente agnostico, a parlare? Il vampiro non lo aveva mai sentito prima invocare l'aiuto di Dio. Il bambino...Buffy...Angel tentò di aprire gli occhi, ma qualcosa dentro di lui finalmente cedette lasciandolo crollare nell'incoscienza.

Questa NON è la FINE, non può esserlo, perché l'amore di Buffy e Angel è "forever, this is the whole point"

 

Nemici amiciContinua