"Angel, sei sveglio?" Buffy, ferma
davanti alla porta di pesante legno scuro, si sentiva molto infelice.
Angel era il compagno della sua vita, il padre del figlio che portava.
Eppure non osava entrare nella sua stanza senza aver ricevuto il suo consenso.
Nonostante la crescente intimità c'erano ancora, fra loro, barriere
che lei non poteva o osava superare.
Angel aveva ancora momenti in cui si allontanava da lei, il viso oscurato
da antichi fantasmi, la mente tormentata da ricordi tragicamente simili
a incubi. Buffy sospirava e cercava di controllare l'ansia e il senso
di solitudine che sempre l'invadevano quando lui la lasciava, fisicamente,
chiudendosi nella sua stanza, o anche solo mentalmente, estraniandosi
da lei.
Probabilmente non si sarebbe mai abituata a
saperlo lontano, ma era passato poco tempo da quando si erano ritrovati
e l'angoscia di poterlo ancora perdere era costantemente pronta a risorgere
in lei.
Generalmente era lei che alla fine interrompeva la volontaria clausura
del vampiro invadendo di prepotenza i suoi spazi, cercandolo, parlandogli,
richiamando la sua attenzione. Angel non la respingeva mai. A volte però
la accoglieva con indifferenza, un'indifferenza che feriva Buffy, nonostante
vi fosse preparata. Lei però non si arrendeva. Continuava a combattere,
con la testardaggine che le era caratteristica, fino a quando lui non
riacquistava la serenità perduta.
In quelle occasioni entrambi sentivano il peso
della maledizione che gravava su di loro.
Se avessero potuto toccarsi, sentire uno il corpo dell'altro contro il
proprio, manifestare il loro amore reciproco in assoluta libertà
sarebbe stato semplice ritrovarsi, ricordare che non erano più
soli al mondo. Non era però possibile. Un solo gesto incontrollato
sarebbe potuto costare ad Angel la sua anima ed era un rischio che nessuno
dei due osava correre.
Quella oscura minaccia incombeva su ogni loro gesto, anche il più
innocente, offuscando le loro esistenze.
Quella mattina Angel le aveva preparato come
sempre la colazione, trattenendosi a tenerle compagnia mentre mangiava.
Era il suo modo discreto di assicurarsi che la futura mamma non trascurasse
la sua salute e mangiasse a sufficienza. Quando era depressa Buffy tendeva
a sottovalutare l'importanza di un buon pasto. Quel giorno però
lei era di buon umore e aveva apprezzato quello che lui le aveva cucinato.
Avevano parlato di cose senza importanza, senza neppure accennare ai gravi
problemi che assillavano entrambi.
Terminato di riordinare la cucina Angel l'aveva baciata frettolosamente
sul capo, si era raccomandato di chiamarlo in caso di necessità,
e si era diretto alla sua camera. Non aveva effettivamente l'esigenza
di riposare, ma, come Buffy ben sapeva, aveva bisogno dei suoi momenti
di solitudine per studiare i libri che amava tanto, ma soprattutto allentare
la crescente tensione che sempre esisteva fra loro.
Tutto come al solito quindi. Era l'uomo che
amava, con cui avrebbe condiviso il resto della sua vita. Niente avrebbe
dovuto impedirle di varcare quella soglia, penetrando nella sua intimità.
Se fosse entrata e l'avesse trovato ancora addormentato, sul letto, magari
senza niente addosso, Buffy non avrebbe perso il controllo. La paura di
perderlo per sempre era troppo forte.
La sua serenità sarebbe però stata incrinata da una sottile,
ma acuta, sofferenza. Dover limitare non solo i suoi gesti, ma perfino
i propri pensieri era per lei un enorme sacrificio. La sua natura era
istintiva, limpida, diretta. Non potersi comportare in modo spontaneo
era una continua tortura.
Si amavano. Fra loro tutto avrebbe dovuto essere
semplice e naturale. Invece erano costretti a vivere un realtà
fatta di pensieri nascosti, occhiate sfuggenti, frasi non dette, atti
sospesi nel nulla.
Abitare sotto lo stesso tetto era, per lei e Angel, come camminare sull'orlo
di un abisso che li attirava inesorabilmente, ma che li avrebbe anche
distrutti.
Poterlo toccare, accarezzare, baciare nella penombra delle cantine era
stata una conquista, ma non sufficiente a placare il bisogno che aveva
di lui. Le catene che lo trattenevano, impedendogli di toccarla, la paura
sempre presente nell'animo di lei di non resistere e andare oltre erano
un costante ostacolo fra loro. Il piacere che si scambiavano era intenso,
ma anche velato da una triste melanconia.
Bussò di nuovo, ma senza ottenere nessuna
risposta. Non voleva entrare senza annunciarsi, rischiando di trovarsi
in una situazione non solo imbarazzante, ma anche dolorosa per entrambi.
In quel momento aveva bisogno di dimenticare la sofferenza. Desiderava
sentirlo vicino come mai le era accaduto prima.
Era quasi l'ora del tramonto. Angel avrebbe già dovuto essere sveglio.
Con riluttanza aprì lentamente l'uscio. Il letto era disfatto,
ma vuoto. In bagno scorreva l'acqua della doccia. Ora sapeva perchè
Angel non l'aveva sentita.
Stancamente, premendosi il ventre con una mano si sedette sul letto. Non
c'era poi così tanta urgenza. Poteva attendere che lui avesse finito.
Sfiorò con la punta delle dita il cuscino
sul quale era ancora presente l'impronta del capo di Angel. Le lenzuola
erano fredde. Senza di lei al suo fianco Angel non aveva potuto scaldarle
con il proprio corpo. Buffy provò vergogna per il proprio egoismo.
Angel doveva soffrire più di lei per la loro forzata separazione
perchè era molto più solo. La sua natura lo allontanava
inesorabilmente dal resto dell'umanità. Solo lei avrebbe potuto
essergli veramente vicina invece...
Le coperte giacevano aggrovigliate in fondo al letto. Doveva avere avuto
un sonno agitato, probabilmente infestato da incubi dai quali lei non
aveva potuto proteggerlo.
Con un sospiro di esasperazione Buffy si alzò per sedersi sulla
poltrona accanto alla finestra.
Sulla sedia poco distante da lei erano riposti gli abiti del vampiro scrupolosamente
ripiegati: pantaloni neri e un maglione grigio scuro. Si ripromise, appena
possibile, di andare a comprare qualche capo di abbigliamento un pò
meno serio per il vampiro. Al pensiero di acquistare abiti per lui le
sue labbra si piegarono in un sorriso. Stava iniziando a ragionare come
una moglie e quest'idea...le piaceva molto.
Sola, nella penombra della camera che le era
così famigliare, lasciò la mente libera di vagare. Come
sempre le accadeva ultimamente i suoi pensieri si concentrarono presto
sul bambino.
Era stato crudele a trasformare Riley in un bifne, ma in fondo non era
neppure nato. Non si poteva pretendere che distinguesse il bene dal male.
Riley in fondo aveva attentato alla sua vita. Il piccolo si era difeso
come poteva ed era stata una fortuna che fosse in grado di farlo.
Nè lei, nè Angel avrebbero avuto il coraggio di compiere
un'azione del genere. Avrebbero difeso il piccolo, ma...non a quel prezzo.
Angelus invece avrebbe ucciso con soddisfazione quell'uomo che odiava.
Buffy era incerta se definire suo figlio più clemente o più
crudele del demone stesso. Forse Riley avrebbe preferito la morte a quel
destino.
Fino a quel momento aveva temuto il parto, sperando
che non arrivasse mai. Invece ora era impaziente di veder nascere il piccolo
per poterlo educare, guidare le sue scelte, interagire con lui.
Stava per mettere al mondo una creatura indubbiamente potente, con potenzialità
enormi. Aiutarlo a crescere sarebbe stata una grande sfida per lei e Angel.
Con un sospiro ringraziò il destino che le aveva donato, fra tanti
motivi di angoscia, un compagno come il vampiro. Insieme a lui si sentiva
sicura di poter affrontare qualsiasi problema.
Si diede silenziosamente della stupida per aver
pensato anche solo per pochi istanti di poterlo sostituire come padre
con Riley. Nessun essere umano normale sarebbe stato all'altezza di un
simile figlio e soprattutto lei non avrebbe potuto amare nessun altro
come amava il vampiro e nessun altro l'avrebbe amata e capita come solo
lui sapeva fare. Senza il loro amore lei sarebbe stata ora una creatura
sola, indifesa e tremante di fronte alla creatura ignota che portava.
Era la complicità, la comprensione che li univa a renderli forti.
Vagamente invidiò le donne che potevano attendere serenamente la
nascita del proprio figlio. Poi ricordò gli incubi che sua madre
le aveva confessato di aver avuto prima della sua nascita. Alcuni erano
ridicoli. Joyce aveva sognato di partorire un pallone da foot boll invece
di un bambino. Altri erano terrorizzanti, soprattutto quelli in cui lei
nasceva con le deformazioni più terribili. La paura evidentemente
faceva parte dell'essere genitori per tutti e non solo per lei ed Angel.
L'orrore aveva distorto il viso di sua madre
anche quando le aveva detto di essere la Cacciatrice. Evidentemente come
sarà il proprio figlio alla nascita è solo la prima delle
sorprese a cui è destinato a trovarsi di fronte un genitore, ma
non l'ultima. Per lei ed Angel non sarebbe stato poi molto diverso.
Il viso le si deformò in una smorfia di dolore. Forse non aveva
in realtà tutto il tempo che credeva. Faticosamente si alzò
con l'intenzione di sollecitare Angel. Arrivò fino alla porta del
bagno poi sentì un flusso caldo scorrerle lungo le gambe. Bussò
con energia alla porta, al punto da far vibrare i vecchi cardini.
"Angel.ho bisogno di te!" gemette.
In un istante la porta si aprì e le forti mani di Angel la afferrarono
per la vita, sostenendola.
"Che cosa succede? Stai male?" chiese il vampiro in ansia, colpito
dal modo in cui aveva afferrato le sue spalle.
"No...sto bene." lo rassicurò Buffy "ma credo sia
arrivata il momento!" sussurrò contro il suo petto.
Angel la guardò per alcuni istanti perplesso,
poi la comprensione illuminò il suo sguardo. Senza esitare la prese
in braccio e la depose sul letto.
"Hai chiamato Willow?" chiese immediatamente.
"No." rispose incerta Buffy. " Non ci ho pensato. Volevo
te!" esclamò, come se la sua risposta fosse scontata.
Angel afferrò subito la cornetta del telefono, senza distogliere
lo sguardo da lei.
"Dovresti camminare, non stare distesa" mormorò a se
stesso, mentre componeva il numero "ma sei così debole...spero
che Willow e Tara arrivino in fretta!"
§§§§§§§§§§§§§§
"Fa male!" gemette Buffy stringendo
più forte la mano del compagno.
Angel seduto accanto a lei, il viso tirato per la preoccupazione, non
disse nulla Nessuna parola in quel momento gli pareva adeguata. Si limitò
a ricambiare la stretta delle piccole dita come tentando di trasmetterle
parte della sua forza.
"Non ci vorrà ancora molto Buffy" mormorò Willow,
china sulla compagna, in attesa di accogliere il nuovo nato al suo arrivo
nel mondo.
La giovane strega si sentiva impotente. Aveva letto tutto quello che aveva
trovato sulle nascite e i parti. Grazie ai suoi poteri era perfino riuscita
a introdursi di nascosto in alcune sale parto per imparare il più
possibile. Ma ora tutte le sue conoscenze erano inutili. Bisognava solo
attendere e sperare che Buffy, la Cacciatrice uscita vittoriosa da tante
battaglie, riuscisse a vincere anche quella contro il dolore di dare alla
luce suo figlio.
Angel fu colpito da come i capelli biondi, normalmente così luminosi,
ora apparissero spenti e privi di vita. Con un brivido tentò di
accarezzarli in un istintivo gesto di conforto per Buffy, ma anche di
rassicurazione per se stesso. Realizzò con orrore che, nonostante
le esperienze vissute, fino a quel giorno non aveva veramente saputo che
cosa fosse la paura.
Buffy agitava il capo sul cuscino, gli occhi serrati, inarcando il corpo
per il dolore e sfuggendo al suo tocco. Il vampiro serrò le labbra.
Assurdamente gli sembrava che lei lo stesse respingendo, anche se si aggrappava
spasmodicamente alla sua mano.
Probabilmente lo riteneva responsabile del dolore che stava provando e
aveva ragione. Se avesse saputo...era a causa di suo figlio che ora lei
si lamentava e contorceva sul letto!
Desiderò ardentemente poter tornare indietro nel tempo per disfare
ogni cosa, annullare quei momenti che per un incredibile scherzo del destino
non erano scomparsi insieme alla sua umanità, ma avevano condotto
Buffy a rischiare la vita in quel momento.
Non pensò al bambino neppure per un istante. Ora era solo Buffy
il centro dei suoi pensieri e tutto in lui si ribellava nel vederla soffrire
in quel mondo. Il pensiero della sua vita senza di lei improvvisamente
lo colpì e un senso di raggelante panico lo sommerse.
Guardò Willow, alla ricerca di aiuto,
ma lei era concentrata sulla partoriente e non colse il suo sguardo implorante.
Fu la mano ferma di Giles, stretta sulla sua spalla a ricondurlo alla
ragione.
Buffy non lo stava respingendo. Anzi, aveva un estremo bisogno di lui.
Desiderava quel bambino. Era loro figlio, la realizzazione viva e concreta
del loro amore.
Non sarebbe morta! Lui non glielo avrebbe permesso! Sarebbe andato tutto
bene, ma... tutte le donne soffrivano al momento del parto e Buffy normalmente
era una donna coraggiosa. Aveva sopportato in passato ferite anche gravi
senza lamentarsi. Se si lamentava in quel modo forse qualcosa non stava
andando nel verso giusto.
Buffy, come a confermare i pensieri del vampiro,
in preda ad una nuova contrazione, abbandonò la sua mano per afferrare
la spalliera del letto.
Angel sobbalzò, cercando istintivamente qualcosa da fare per aiutare
la compagna, ma non trovò nulla. Sconfortato appoggiò la
mano indolenzita e ormai vuota sul ventre teso di lei come se potesse,
semplicemente con il suo tocco, lenirne la sofferenza. La sua mente fu
invasa da un'ira e da una paura brucianti che annientarono ogni altro
pensiero.
Passarono lunghi, tremendi istanti, di assoluto sbigottimento. Poi riuscì
a districare quei sentimenti confusi realizzando che non gli appartenevano
veramente. Erano del bambino.
Il piccolo sentiva il suo mondo fatto di quiete, calore e nutrimento cambiare
e nessuno di quei cambiamenti era di suo gradimento. Qualcosa lo spingeva,
lo comprimeva, lo strattonava e senza un motivo che fosse per lui comprensibile.
Aveva paura ed era arrabbiato e tutta la sua ira era rivolta verso colei
che lo aveva tradito, nutrendolo e proteggendolo per poi respingerlo crudelmente
verso l'ignoto, un ignoto che il piccolo non voleva affrontare.
Angel represse violentemente l'impulso di ordinargli di smetterla, di
fare sentire a quel debole essere tutta la forza con cui era disposto
a difendere Buffy. Sarebbe stata la scelta più semplice e forse
anche la più efficace. Il ricordo del destino di Riley aumentò
le sue ansie. Il bambino non era poi così indifeso.
Con determinazione il vampiro raccolse tutte le sue energie, ma proprio
quando stava per concentrarle su quella primitiva e potente entità
le sentì dileguarsi.
Era suo figlio, loro figlio. Non poteva fargli volutamente del male. Non
era cattivo, ma solo ignorante. Non sapeva che cosa gli stava succedendo
e tentava di difendersi nel solo modo che riteneva possibile. Tentare
di reprimerlo avrebbe solo acuito la sua ira e i suoi timori.
Anche se stava facendo del male a sua madre meritava qualcosa di più
di una dura sgridata. Aveva bisogno di essere rassicurato, non punito.
La cosa più urgente da fare era comunque
alleviare le sofferenze di Buffy.
Il bambino lo conosceva, credeva in lui. Sarebbe stato facile convincerlo
che non stava accadendo nulla di grave, che non esisteva nessun pericolo
e soprattutto che nessuno era responsabile di quello che gli stava accadendo.
Angel si preparò psicologicamente a trasmettergli pace e serenità.
Non poteva però farlo. Erano sentimenti in quel momento lontani
da lui. Non poteva mentire a suo figlio.
Presto si rese conto che l'unica soluzione possibile era dire a quella
mente ancora incontaminata dal mondo la verità.
Affiorarono in lui i ricordi della notte, ormai lontana, trascorsa come
uomo fra le braccia della donna che amava. La felicità che aveva
provato e l'impulso profondo che l'aveva spinto a generare una nuova vita.
Emerse dal profondo della sua anima il senso di impotenza che provava
di fronte a Buffy sofferente di fronte a lui sul letto, incapace do controllare
il dolore. Ma più forte di ogni altro sentimento c'era la paura
per la vita delle due creature che più amava al mondo e i suoi
sensi di colpa per essere stato causa di tutto questo.
Se il bambino avesse potuto tradurre i sentimenti di suo padre in parole
sarebbe stato questo il messaggio che avrebbe ascoltato: "Hey piccolo.
Se vuoi prendertela con qualcuno, può farlo con me. Lei non ha
colpe. Sono io il solo responsabile! Sono stato un uomo, e come tutti
gli uomini ho cercato l'immortalità donandoti la vita. Lei me lo
ha permesso, perchè mi ama e ti ama. Ti ha portato dentro di sè
per tutto questo tempo e ora soffre per consentirti di scoprire che cosa
è la vita, ma è solo a causa mia se ora devi varcare questa
soglia!"
Non era del tutto vero, naturalmente. Buffy era responsabile quanto lui
della nascita del bambino. Anche lei aveva compiuto la sua scelta. Angel
razionalmente lo sapeva, ma il suo cuore la pensava diversamente.
Con sommo stupore Giles vide Buffy rilassarsi improvvisamente sui cuscini.
I suoi lineamenti erano sempre contratti ed era evidente che il travaglio
stava continuando, ma il dolore ora sembrava essere divenuto più
sopportabile.
Nello stesso istante il corpo del vampiro vicino a lei si irrigidì
e un gemito sommesso risuonò nella stanza improvvisamente silenziosa.
Angel crollò in ginocchio vicino al letto, la mano sempre ferma
sul ventre di Buffy, ma l'espressione del suo viso, gli occhi chiusi,
l'atteggiamento di tutto il corpo testimoniavano una enorme sofferenza.
L'Osservatore afferrò le spalle del vampiro
e tentò di allontanarlo dal letto, ma quando Angel si oppose, scotendo
vigorosamente il capo, il compassato inglese si rese conto che stava accadendo
qualcosa di straordinario, che lui non comprendeva. Decise allora di non
interferire. Lentamente si allontanò, e stringendo le mani dietro
la schiena si dispose ad osservare quello che sarebbe avvenuto.
Straziato dalla sofferenza Angel si chiese come aveva potuto sopportare
Buffy tutto questo per le lunghe ore che erano trascorse da quando erano
iniziate le doglie. Il dolore era acuto, dirompente, capace di annullare
ogni pensiero coerente. Lentamente però riuscì a prenderne
il controllo. Smise di combatterlo. Lo accettò, trasformandolo
in una parte di sè.
Quando ci riuscì fu in grado finalmente di pensare e tentò
di comunicare ancora con l'essere che lo stava torturando e che lui stesso
aveva generato. Non cercò di ragionare con lui. Sarebbe stato inutile.
La logica del bambino era ancora molto semplice e soprattutto completamente
offuscata dalla paura. Si limitò ad inviarli emozioni, immagini
sperando di trovare fra le tante quella giusta per placare le sue ansie.
Il calore del corpo di Buffy stretto al suo,
la magnificenza di un cielo stellato, la gioia di ritrovare l'amore, l'incredibile
stupore di poter diventare padre: trasmise al piccolo ogni sentimento
che potesse rassicurarlo, dimostrandogli che il mondo che lo attendeva
era un mondo di luce e di gioia. Non riuscì però a ottenere
nessun risultato. La sofferenza non cessava e il travaglio di Buffy non
sembrava progredire. Il bambino non voleva nascere!
Il dolore tornò a sommergerlo mentre lo sconforto invadeva il suo
animo. Niente sembrava convincere il piccolo a lasciare, senza combattere,
il grembo materno che gli aveva dato la vita. Eppure il momento era giunto
e non si poteva attendere ancora a lungo. Il bambino non poteva saperlo,
ma parte del disagio che ora provava non dipendeva più dal parto,
ma dal fatto che il corpo di sua madre non era più in grado di
offrirgli quello di cui aveva bisogno. Bisognava convincerlo a seguire
il destino verso cui la natura lo stava sospingendo prima che fosse troppo
tardi.
Angel, con un soffocante senso di panico, percepì il dolore diminuire.
Era segno che il piccolo stava perdendo energie.
Qualcosa esplose con violenza nella sua mente
e raggiunse con violenza il piccolo. Non erano sentimenti. Erano qualcosa
di più primordiale. Scaturivano dal demone.
Angel ne fu dilaniato e tentò invano di arginare il flusso dirompente,
di formare una barriera a protezione di suo figlio. Il piccolo ne fu investito
in pieno.
Passione, desiderio, bramosia sfrenata per la vita nella sua essenza più
pura. Avidità di sentire, possedere, nutrirsi del vibrante calore
del sangue che pulsa, il cuore che batte, le viscere che fremono, il respiro
che scaturisce fra le labbra. Agire, parlare, pensare: esistere, il più
grande dei privilegi. Essere parte dell'universo, non come un'ombra inconsistente,
ma come un essere concreto, reale, padrone di ogni cosa esistente sotto
il cielo.
"Sta nascendo!" sentì esclamare
in lontananza da Willow.
"Che il Signore ci protegga!"
Il commento sommesso di Giles raggiunse chiaramente Angel, la cui mente
era però annebbiata dall'immane sforzo a cui si era volontariamente
sottoposto.
Era stato veramente l'austero gentiluomo, apparentemente agnostico, a
parlare? Il vampiro non lo aveva mai sentito prima invocare l'aiuto di
Dio. Il bambino...Buffy...Angel tentò di aprire gli occhi, ma qualcosa
dentro di lui finalmente cedette lasciandolo crollare nell'incoscienza.
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