Strumenti utilizzati: Frontifocometro Topcon e microscopio Zeiss invertito per analisi metallografiche per gli ingrandimenti da 32x a 1260x
Ci siamo talmente abituati che li portiamo sempre appesi al collo e spesso ce li dimentichiamo sulla testa.
Naturalmente sto parlando degli occhiali: per uno come me che ne usa almeno tre tipi diversi, possono diventare veramente una ossessione.
Nulla di strano quindi che ne faccia a pezzi un paio per vedere come sono fatti, anzi, come sono fatte le lenti degli occhiali.
Soggetto della prova sono due lenti, una in vetro e l'altra in resina, provenienti da due occhiali smessi. Ciascuna lente è stata utilizzata per circa un anno e poi l'occhiale è stato sostituto.
Strumenti utilizzati il mio solito microscopio Zeiss Episcopico invertito per metallografia ed un frontifocometro, quella specie di microscopio che l'ottico usa per valutare le lenti degli occhiali.
Due parole su questo strumento non proprio comune ma molto interessante e che, nella sua versione manuale, potete trovate sull'usato per un centinaio di Euro: è un sistema ottico che tramite un oculare guarda una corona di punti. Inizialmente essi sono perfettamente a fuoco ed, in questa condizione, la manopola della messa a fuoco segna zero. Ma se io ora inserisco nel percorso ottico una lente, questa sfuoca l'immagine della corona di punti. Per rimettere di nuovo a fuoco io devo spostare la manopola e questa, con il suo indice, mi segna quante diottrie ha la lente in esame.
Ma non solo con il frontifocometro si misurano le diottrie, da +25 a -25, ma anche si vede quale è il centro ottico della lente, se è una lente sferica o se ha anche una componente cilindrica (valore ed angolo) e tante altre belle cosette che esulano da queste note.
Tutto sommato non è una cattiva idea quella di verificare in proprio la rispondenza di un paio di occhiali alla prescrizione dell'ottico, non è certo un lavoro difficile e potrebbe giustificare inspiegabili mal di testa.
Per prima cosa valutate il valore diottrico delle lenti e, mentre lo fate, ne marcate anche il centro ottico. Poi verificate sull'occhiale la distanza fra i due centri così trovati e che deve essere uguale alla distanza interpupillare che il vostro ottico ha indicato sulla ricetta.
Non è difficile che a causa di schiacciamenti o traumi vari questa distanza si sia alterata, così come è possibile che troviate delle differenze fra le vostre misure e la ricetta dell'ottico. In tal caso, mi raccomando, non fate assolutamente nulla all'occhiale, semplicemente portatelo dall'ottico per una opportuna verifica !
Tornando ora alle due lenti oggetto delle nostre attenzioni, abbiamo già detto che una è in vetro, l'altra è in resina.
A meno di grossi danni, ad occhio non vediamo nulla di particolare, perciò appoggiamole sopra al microscopio ed andiamo a conoscerle più intimamente.
La lente di vetro.
Dopo un anno di lavoro si presenta piuttosto male, con molte rigature visibili anche a basso ingrandimento.
Ma è subito evidente che il danno maggiore non è dato tanto dalle rigature, ma da vere e proprie scheggiature che compaiono ovunque la superficie della lente sia stata scalfita ed in particolar modo all'incrocio di due diverse incisioni.
Si notano parecchie scheggiature in vari stadi di sviluppo, da appena accennate a vere e proprie chiazze che si allargano a macchia d'olio. Probabilmente, le continue cadute, gli urti anche piccoli, fanno via via allargare sempre più il difetto.
Non si notano invece segni di umidità o di patine grasse sulla superficie.
Lente di resina.
Le incisioni visibili sono piuttosto scarse, ma quelle che sono riuscite a superare lo strato superficiale indurito hanno fatto gravi danni.
Piuttosto si nota una pellicola liquida che resta aderente alla superficie della lente. Non so se si tratta di grassi o di acqua o di una emulsione di entrambi, ma certamente crea un velo opaco e difficile da eliminare.
Certamente la velatura non viene assolutamente rimossa dal classico fazzoletto di cotone: l'unico risultato che si ottiene è un effetto "rastrello" tipico dei giardini giapponesi, con delle rigature microscopiche parallele e corrispondenti alla trama del fazzoletto.
Un risultato molto migliore lo si ottiene pulendo con un fazzoletto di carta, tenendolo ripiegato almeno doppio, in modo che il vapore emesso dalla nostra mano non torni a velare la lente. In questo caso le rigature sono molto meno visibili, quasi scomparse anche a 500 ingrandimenti.
Il risultato vero lo si ottiene invece con una goccia di sapone liquido sparsa e leggermente sfregata per tutta la superficie e poi risciacquato sfregando con le dita fino al tipico attrito sulla superficie.
Se noi esaminiamo ora la lente la vediamo completamente esente da tracce di velatura, ma attenzione, basta solo prendere gli occhiali e toccare le lenti con le mani per tornare immediatamente al punto di partenza !
Conclusioni
Non credevo che le lenti in resina fossero così robuste, evidentemente il trattamento di indurimento superficiale che viene loro fatto funziona molto bene.
Naturalmente nulla può contro veri graffi di oggetti duri ed acuminati, ma ai cento incidenti giornalieri resiste benissimo, anche meglio delle lenti in vetro.
Queste ultime hanno poi il grosso problema delle scheggiature che, subdolamente, iniziano all'incrocio di due rigature e poi, adagio adagio, urto dopo urto, si espandano fino a formare macchie consistenti, pur restando sempre invisibili se noi guardiamo la lente per trasparenza. Ma ben evidenti in tutta la loro gravità se le osserviamo al microscopio in episcopia e con illuminazione obliqua.
Le conclusioni che io ho tratto da queste prove sono l'abbandono di alcuni preconcetti che avevo sulle lenti in resina e quindi un ripensamento sulla presunta robustezza delle lenti in vetro.
Poi, l'utilizzo sistematico dei fazzolettini di carta per pulire le lenti degli occhiali, al posto dei fazzoletti in cotone o peggio, surrogati vari tipo orlo della camicia, tovaglioli, sottana della moglie, ecc. ecc.