Il labirinto del terzo tipo è una rete, in cui ogni punto può essere connesso con qualsiasi altro punto. Non si può srotolarlo, anche perché - a differenza dei labirinti del primo e del secondo tipo - non ha un interno e un esterno, dato che è estensibile all'infinito.
E' questo il labirinto che descrive lo spazio metropolitano, lo spazio del moderno. La sua forma estrema è quella del non luogo: mondo promesso al provvisorio e all'effimero, spazio intermittente e senza storia, puro incrocio di mobilità e di traiettorie, nel quale individui senza volto si sfiorano senza parlarsi (Augé 1992).
I non luoghi danno la "misura" di un'epoca, quella che stiamo attraversando: aeroporti, stazioni ferroviarie, centri commerciali, grandi catene alberghiere, strutture per il tempo libero, reti cablate. Chi entra in questi spazi rinuncia alle proprie determinazioni abituali: diventa solo quello che fa come passeggero, cliente, guidatore. Partecipa all'identità anonima di una comunità provvisoria: "la coesistenza di individualità distinte, simili e indifferenti le une alle altre".
Gabriele Qualizza, Spazio del moderno e metafora del labirinto da Fucine Mute